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Claudio Santoro
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LA VIA DEGLI ABATI
negli appunti del cammino
di Claudio Santoro

Questa via italiana collega Pontremoli a Bobbio e traversa i nostri Appennini per 125 km circa.
Poiché li attraversa non è priva di dislivelli e saliscendi che si compiono in mezzo ai boschi.
La città di arrivo (Bobbio) è quella dove è sepolto San Colombano, fondatore di Abbazie, grande santo viaggiatore

Ottobre 2010

Inizio a sentir parlare di Via degli Abati, o Abbotts Way che dir si voglia, in un pomeriggio al Santuario del Lavello di Calolziocorte (a pochi chilometri da Lecco), nell’ambito di IMMAGIMONDO 2010, una rassegna annuale sul viaggiare e sul turismo. Organizzata  dal gruppo comasco di IUBILANTES e presentata da Ambra Garancini, vi è una giornata dedicata ai cammini a piedi e l’occasione mi piace perché mi dà la possibilità di conoscere Luciano Callegari, lo spezzino che, da oltre dieci anni, cura il più bel sito sui pellegrinaggi e i cammini che tanto mi fu utile nel preparare e organizzare quello di Santiago de Compostela compiuto nell’aprile di quell’anno.

Fra i vari relatori vi sono Franco Alessandri che ci parla della Francigena in Toscana e Alberto Alberti, un sanguigno triestino,che ci descrive con entusiasmo i 220 km che separano Sessa Aurunca  da Roma.

 Vi è anche Elio Piccoli che, assistito da un filmato di RAI Tre, ci parla dell’Ultramaratona che si svolge sui 126 chilometri della Via degli Abati che lega Bobbio a Pontremoli, traversando gli Appennini e le province di Piacenza, Parma e Massa Carrara. La cosa inizia, nonostante ad Elio il filmato non parta bene, ad intrigarmi (sto parlando di camminare, sia ben chiaro) e quando ne parlo ad Alessandro e Angelo, che potrebbero farmi compagnia, trovo un certo interesse.

Quali sono le motivazioni? Perché è in Italia, in una zona che non conosco e il percorso mi impegnerebbe per cinque giorni, un lasso di tempo che non dovrebbe procurare trattative dispendiose e laboriose per negoziare la mia assenza.

Ad inizio 2011 si vanno definendo alcuni impegni e viene scelta come data di partenza i primi di giugno. Angelo lavora e deve organizzare la sua assenza e il periodo non va bene ad Alessandro che è impegnato nei suoi allenamenti finalizzati alle corse in mountain bike. Una settimana di cammino in quel periodo gli sballerebbe tutta la preparazione.

La pubblicazione sul sito di Luciano di un link dedicata alla via degli Abati, con ampie descrizioni del tragitto e delle tappe, ci convince ulteriormente sulla bontà della scelta, ma il meglio deve ancora venire, perché una nostra richiesta di informazioni sul sito viene dirottata all’amico Mario Pampanin e lo stesso ci prende letteralmente per mano offrendoci un’assistenza di prima scelta.

A partire dall’invio della nuova cartina della AW, divisa in quattro tronconi che ci fornisce non solo dettagli sul percorso, le possibilità logistiche e le distanze, ma quella giusta tranquillità nell’affrontare una strada che non si conosce.

A un primo incontro con Angelo si decide di sfruttare le descrizioni del fiorentino Luciano Mazzucco che percorrono la via da Sud a Nord (da Pontremoli a Bobbio) e, nell’elaborare il tragitto, considerato che raggiungeremmo Pontremoli nel primo pomeriggio, ci verrebbe utile un pernottamento dopo una tappa breve. Cervara sarebbe il luogo ideale e Mario ci tira fuori il coniglio dal cilindro trovando la possibilità di dormire lì in una scuola materna in disuso. Soluzione spartana e molto “basic”, ma tanto comoda sotto il profilo logistico.

Le Aziende del Turismo di Pontremoli e Bobbio, insieme alla cartina, ci propongono ipotesi di pernotto in b&b e agriturismo che, considerato che siamo appena in due persone, si potranno scegliere all’ultimo momento a seconda della distanza percorsa  e della gamba che ci verrà.

Dopo un altro incontro per definire i dettagli logistici del tragitto siamo pronti a partire.

 

 

Sabato 4 giugno 2011 - Lecco – Pontremoli – Cervara

Si parte in treno da Lecco e Angelo, sbagliando di dieci minuti l’orario di partenza del convoglio per Milano, rischia di perderlo!

Da Milano si prosegue per Parma, anche se scopriamo che il nostro treno parte con mezz’ora di ritardo per un guasto al locomotore. Per fortuna il cuscinetto di tempo con la coincidenza per Pontremoli ci lascia sufficientemente tranquilli. Il tempo per un piadina a Parma e con un treno regionale semideserto si giunge a Pontremoli, fine della corsa.                                        

 

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Fa caldo e in una cittadina semideserta vediamo il “pons tremuli” da cui deriva il nome e, dopo una rapida visita, si decide di affrontare il percorso e iniziare a salire. Angelo, in località Case  Corvi si prepara il panino che fungerà da cena, dato che a Cervara sappiamo cosa ci aspetta..

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In breve il bosco inizia farsi più fitto e iniziamo a conoscere un habitat che contraddistinguerà la Via degli Abati e l’Appennino.

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Iniziamo anche a vedere la segnalazione e la freccia bianca che ci terrà compagnia.

 

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Viaggia con me anche Ferruccio, lo zaino di marca Ferrino che mi ha tenuto compagnia lo scorso aprile durante il Cammino di Santiago e che, per circa un anno, si è impigrito nel box, custodito in un sacco di plastica. Nonostante i giorni di marcia siano pochi e abbia caricato il minimo indispensabile, gli 11 chili si fanno sentire, soprattutto nei tratti in salita.

Sono poco più di 12 km e quasi 500 metri di dislivello e alla fine raggiungiamo la nostra prima meta, Cervara che, correttamente viene indicata come “agglomerato di case”.

Vediamo alcune persone e un signore corpulento che, a prima vista, ci appare un lottatore di sumo. Quando gli passiamo vicino ci chiede se proseguiamo o ci fermiamo: è Claudio Cocchi, il referente indicatoci da Mario e che ci fornirà l’alloggio per la notte.

Si tratta della scuola materna in disuso, situata nella parte alta del paesino; entrando a sinistra vi è uno stanzone con letti a castello e a destra una stanza, dal pavimento ondulato e gonfio, con due brandine, in fondo i servizi igienici. Il Cocchi ci precisa che ci sono le docce, ma non l’acqua calda, dato che il contatore non è abilitato a sostenere l’energia necessaria per il boiler. Ma poco importa  e poi nessuno ci aveva promesso altro se non una soluzione per dormire a 10 € a testa. Ci fornisce un paio di federe pulite e con i nostri sacchi a pelo non ci serve nient’altro. Parlando con i suoi concittadini sento un dialetto dalle cadenze a me ignote e che stento a catalogare.

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Superiamo lo sconcerto di apprendere che la scuola veniva usata come seggio elettorale, ma che, dopo il distacco di parte dell’intonaco dal soffitto, i carabinieri di presidio hanno preferito optare di dormire presso una casa privata che è stata adibita a seggio. Il cielo promette acqua, ma speriamo in bene.

Dopo un giro fra le case e aver scoperto che l’unico bar è chiuso, ci conviene consumare i panini che ci siamo portati ai quali va a fare compagnia l’acqua attinta alle fontane di Cervara e andarcene a letto presto. Tanto di guadagnato per la tappa di domani.

Domenica 5 giugno 2011 – Cervara – Borgo Val di Taro – San Pietro

Si parte e il primo obiettivo da raggiungere è il lago Verde che dista 4,5 km e altri 300 mt di dislivello. Neanche a parlarne di fare colazione, dato che non vi è traccia di bar neanche nei pressi del laghetto, dove troviamo un pescatore con il suo cane e alcune case private

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Una breve sosta e adesso si scende per il prossimo traguardo: il Cippo dedicato alla Resistenza che in queste montagne è stata sicuramente aspra e sanguinosa. Una menzione particolare è dedicata alle donne della Valverde e dell’Alta Lunigiana. Una sosta per rifiatare, sentire al telefono Maria e riflettere sulla stupidità della guerra, ancora più atroce quando è fra gente della stessa nazione (chissà perché si definisce “civile”?).

 

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Da lì prendiamo una strada sulla sinistra e scendiamo verso Valdena (abbiamo percorso quasi 14 km).

Quando incrociamo la Provinciale e vediamo l’annunciata insegna gialla del Ristorante Monelli, ci si apre il cuore: dopo i panini di Parma e di Cervara… si mangia!

Consumato il gradito pranzo nella terrazza all’aperto (la strada non è per nulla trafficata) si riprende in salita per San Vincenzo e si arriva in discesa a Borgo val di Taro, dalla parte del cimitero. Una sosta e una bibita fresca al bar in piazza ci restituiscono energia; al tavolino a fianco due coppie di ragazzi chiacchierano fra di loro e uno descrive le gesta epiche di un tizio che l’altra sera si sarebbe tirato una serie innumerevole di righe di cocaina. Consultiamo la lista delle strutture ricettive forniteci dall’Azienda del Turismo di Borgotaro e decidiamo di contattare telefonicamente l’agriturismo “La Vigna di San Pietro”, nell’omonima località. Considerata l’ora della giornata,  i sette km e i 300 metri di dislivello che ci separano dalla meta mi sembrano più pesanti di quelli che sono.

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Le nuvole si fanno più consistenti e il tempo non promette niente di buono, ma ci va benissimo in quanto, dopo un lungo tratto nel bosco, emergiamo a poca distanza dall’agriturismo e lo raggiungiamo mettendoci al riparo appena poco prima che si scateni un temporale (Silvano, il titolare dell’agriturismo era uscito per venirci incontro in jeep, vista la mala parata).

La struttura è gestita da marito e moglie bergamaschi che, da sei anni, hanno rilevato l’agriturismo. Era un loro sogno, ma nella loro zona non avevano trovato un’occasione adeguata e al prezzo che ritenevano giusto. Ci raccontano della iniziale difficoltà ad essere accolti dai locali, in particolare della loro scelta di allevare maiali di razza “nero di parma”, ma con tenacia e costanza (doti tipicamente orobiche) si sono ricavati la loro nicchia. Dalla finestra della stanza (ci è toccata una matrimoniale) si vedono la valle e Borgotaro e le montagne oltre le quali vi è la Liguria. Silvano ci decanta le qualità climatiche della zona che, rispetto al paese, è più fresca d’estate e meno fredda  d’inverno, grazie anche al “marino”,  il vento che arriva dal mare.

La cena è semplicemente ottima: salumi prodotti da loro, risotto e porcini, un filetto di maiale al pepe verde che si scioglie in bocca, fragole e un Gutturnio  niente male. Pare che ci sia andata bene perché lì vicino c’è un agriturismo vegetariano e si parla della prossima apertura di uno addirittura vegano!

Dopo qualche chiacchiera e dopo che Silvano si sbilancia nel dirci che la carne dei suoi maiali ha lo stessa quantità di  colesterolo del pesce (!?), si piomba a letto a recuperare energie per l’indomani. Ci tocca un letto a due piazze, ma non è un problema.

Fuori continua a piovere.

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Lunedì 6 giugno 2011- San Pietro di Borgotaro - Bardi

Anche di mattina le condizioni meteo sono piovose. Dopo una ricca colazione che ci fa pensare che i 65 € spesi anche per la cena e il pernotto siano stati un buon investimento, Silvano e la moglie ci salutano, invitandoci a portare con noi del cibo per il pranzo. La prima tappa è San Cristoforo (760 mt), la cui chiesa appare nella nebbia.  La struttura, a differenza di molte altre chiese che troveremo in condizioni pietose, è ben tenuta e si vede che è stata oggetto di recenti lavori.

 

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Il sentiero continua ad essere ben segnalato e non vi sono difficoltà nel proseguire.

L’unico problema è costituito dalle condizioni meteo, ma, si sa, è ben difficile lavorare su questo elemento.

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Si sale ancora e a 1080 mt di quota raggiungiamo la cappellina de La Maestà e si inizia la discesa per Osacca dove si fa tappa per uno spuntino. Riemergono dagli zaini le albicocche disidratate nella versione bio e in quella “colorata”. Una fontana fa il resto.

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Anche in queste zone ci sono dei cartelli che ricordano vicende di guerra partigiana e a Osacca, nell’ottobre del 1943, vi fu un episodio di ribellione popolare nei confronti delle truppe repubblichine inviate per “bonificare” il territorio.

Si riprende nel bosco e le condizioni dei sentieri sono cattive: la loro natura argillosa, i profondi solchi lasciati dai trattori utilizzati per fare la legna e l’abbondante pioggia li rendono fangosi e ostici.

Raggiunta la Pieve di Gravago la giornata migliora e, dopo un rapido briefing con Angelo e, grazie alle cartine forniteci da Mario e Giovanni, decidiamo di abbandonare il bosco e scendere a Noveglia, per raggiungere Bardi via asfalto.

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Il bar “Geppetto” di Noveglia ci accoglie insieme a un affogato al caffè per Angelo e una birra fresca per me. Si fanno due chiacchiere con l’anziano titolare. Il principale argomento è costituito dal fieno che qualcuno ha tagliato, ma non ha fatto in tempo a raccogliere. Le piogge di questi giorni l’hanno rovinato. E’ stato più fortunato chi ha aspettato.

Si riprende il cammino in una giornata calda e, anche se l’asfalto non ci piace più di tanto, non rimpiangiamo il fango e l’umidità dei boschi. Dopo un po’ iniziamo a vedere Bardi e la sua rocca che si stagliano all’orizzonte. Percorso il ponte sul fiume Ceno il titolare del bar ci ha consigliato una scorciatoia per raggiungere la sommità del paese. Lo stesso tragitto ci viene consigliato dalla signora Silvana, del b & b “La casa di Irene” dove pernotteremo. La signora ci dà dei tempi di arrivo un po’ troppi spinti per le nostre capacità, ma la cosa non ci rattrista più di tanto.

Passato il Ceno abbiamo qualche difficoltà nell’imboccare la scorciatoia; non ci aiutano né un signore ben poco disposto nei confronti dei viandanti e severo guardiano della proprietà privata, né una fettuccia bianca e rossa che impedisce il passaggio nel sentiero. Una signora ci precisa che è stata messa lì per quelli che vi praticano il motocross e che ne danneggiano il fondo. Non ci sono problemi di sorta per i camminatori.

Angelo ha la gamba più leggera e inizia ad aggredire il ripido percorso per Bardi; io procedo più lentamente, accompagnato da uno splendido esemplare di setter irlandese che ha deciso di raggiungere Bardi con noi. Scopriremo dopo che è un gemello dell’esemplare posseduto dalla signora Silvana.

La rocca di Bardi viene – con qualche fatica raggiunta – e scopriamo che il b & b è in cima al paese! Vabbè c’è poco da fare: facciamoci quest’altro pezzo, ma alla fine arriviamo e la signora Silvana ci offre un tè e, con un po’ di rammarico, ci dice che ha preparato un letto matrimoniale. Con Angelo si ride un po’, ma speriamo che….non diventi un’abitudine.

La titolare è molto agitata per il prossimo arrivo del gruppo di undici guidato da Luciano Mazzucco che ci segue a distanza di 48 ore. Sistemare una coppia di pellegrini è certamente fonte di minore agitazione. Ci viene riservata la tariffa agevolata e, invece di 70 € , si pagano 60 € per il pernottamento.

La serata è bella e ci stupiscono le previsioni meteo improntate al peggio per l’indomani. In cuor nostro speriamo che siano sbagliate. Dopo la doccia raggiungiamo la piazza del paese e il ristorante “Il Pellicano” dove le pappardelle al sugo di cinghiale ci rimettono in carreggiata. Ci giungono le telefonate di Giovanni e di Luciano che ci chiedono aggiornamenti sul tragitto.

Martedì 7 giugno 2011 – Bardi – Passo di Linguadà – Groppallo – Mareto

Le previsioni meteo erano esatte. Già in nottata un temporale aveva scaricato acqua e la colazione al b & b si svolge in una giornata plumbea e acqua battente. Si prende tempo per organizzare la giornata e, carta alla mano, si esaminano le varie soluzioni. Alla fine la signora Silvana ci propone di portarci in auto al passo di Linguadà, dove finisce la provincia di Parma e inizia quella di Piacenza. Sono poco meno di 12 km e, seppure con una certa titubanza, accettiamo l’offerta. La guida della signora sul suo SUZUKI VITARA ci fa comprendere subito che è certamente più pericoloso accettare il suo passaggio che procedere sulla via con la pioggia, ma il passo (938 mt) viene raggiunto e dotati di mantelle, copri zaino e tutto quanto è necessario per camminare sotto la pioggia, si inizia il cammino, ovviamente su asfalto, dato che è impensabile marciare nei boschi con una simile giornata. Altrettanto impensabile è utilizzare la “variante alta” del Monte Lama alla quale, due giorni dopo, rinuncerà anche la batteria da undici che ci segue a distanza.

Dopo un caffè caldo a Bruzzi si arriva a Groppallo che ci sembra una piccola metropoli con i suoi negozi di generi alimentari e ci facciamo un panino, con il pane del giorno prima, perché quello fresco non è ancora arrivato, all’Hotel Salini. Quattro chiacchiere con il titolare e si riprende a camminare sotto la pioggia incessante. Decidiamo di raggiungere Mareto. In questo modo ci facciamo una “onesta” tappa di 30 km e l’Hotel dei Cacciatori risulta quanto mai logisticamente opportuno.

A Farini d’Olmo la titolare del bar ci conferma che non c’è un posto per pernottare. Date le dimensioni dell’abitato una locanda o un b & b potrebbero lavorare.

Attacchiamo la salita per San Savino sotto pioggia battente; sono circa 5 km e  quasi 500 metri di dislivello e la fatica inizia a farsi sentire. Ci viene la ridarola nel vedere un furgoncino delle Poste italiane che passa e ripassa sulla strada: ma consegnerà le lettere una alla volta?

Una fermata di rifiatamento al coperto, presso il cantiere di una casa in costruzione e poi si punta a Mareto. Passano poche macchine e si vede poca gente in giro. Una donna trasporta un carriola di letame dalla stalla e si pensa alla vita dura della campagna e al fatto che sono gli anziani a condurla. Mario ci confermerà che vi sono paesi appenninici abitati solo da anziani e che il loro progressivo spopolamento è una realtà concreta. Si ferma una GOLF e ci chiede se vogliamo un passaggio, ma tiriamo diritto.

Un ultimo strappo e si giunge a Mareto. Angelo, nonostante la copertura, scopre di avere lo zaino zuppo e neanche a parlarne delle condizioni degli scarponi e delle calze. In queste situazioni non c’è gore-tex che tenga.

Finalmente ci tocca una camera con letti separati in un albergo che farebbe la felicità di un appassionato di vintage. Il ristorante si vede che è ben tenuto e rinnovato, ma la stessa sorte non è toccata all’albergo che il titolare ci definisce “troppo grande” e adatto più alle frequentazioni degli anni “60 e “70 che non a quelle odierne. Ma la doccia calda c’è e gli scarponi vengono ospitati nei locali della caldaia dove un po’ di calore dovrebbe agevolarne l’asciugamento.

La cena è semplice e buona e, considerata anche la prima colazione dell’indomani, i 35 € a testa ci sembrano ragionevoli.

Le chiacchiere sul Piacenza calcio che si gioca la permanenza in Serie B (non ce la farà), sugli Inzaghi originari di questi posti e sul magico Barcellona, insieme ad una camomilla calda, costituiscono un buon viatico per andarsene a letto.

Mercoledì 8 giugno – Mareto – Bobbio

La sveglia ce la dà lo scampanio della chiesa di Mareto, alle sei del mattino. Pare che sia un’usanza del luogo. La mattinata è bella e non piove; raggiungiamo i 1170 mt della Località Fontanone che in estate deve essere una tappa gradita e iniziamo la Sella dei Generali. In questo tratto si aprono ampi scorci di paesaggio e, dopo la giornata di ieri dove la visibilità era ben modesta, apprezziamo l’Appennino.

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Una discesa piuttosto ripida e sassosa ci porta a Pescina dove incontriamo un gruppo di case e di persone. Inizia a far caldo e ci si leva la giacca antivento. Passiamo davanti ai ruderi di quello che era il Castello Farnese, ma solo alcuni fregi e le note di Luciano ci consentono di scovarlo. Un altro tratto nel bosco inizia, sempre ben segnalato; in alcuni punti occorre prudenza e scivolare non è difficile, grazie allo sbilancio prodotto dallo zaino. La discesa ci porta a Coli (630 mt) dove un taciturno bottegaio ci apre il negozio e ci fa uno spuntino a base di fette di pane piacentino e coppa.

Inizia a piovere e troviamo riparo nel palchetto coperto di una pista da ballo che credo faccia parte dell’Oratorio. Un cartello indica che a Coli vi è un Ostello della Gioventù, ma provo un brivido di sollievo nel sapere che non dobbiamo chiedere informazioni al bar che ospita un gruppo di anziani.

La pioggia ci aiuta a decidere: si va per asfalto, seguendo le volute dei tornanti mentre in basso muggisce un fiume ingrossato dalle piogge degli ultimi giorni.

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Arriva la telefonata di Mario che si propone di farci l’incontro, ma rinviamo il piacere di conoscerci al Ponte Gobbo, a Bobbio. Ci fornisce un’indicazione per non seguire la strada principale e prendere una scorciatoia che ci fa passare davanti al complesso di Don Orione fino a quando davanti ai nostri occhi si scorge il Ponte Gobbo di Bobbio, che San Colombano, con uno stratagemma, si fece costruire in una sola notte dal Diavolo.

Ad attenderci troviamo Mario Pampanin ed è molto piacevole abbracciarlo e poterlo ringraziare per tutta la cortesia adoperata nei nostri confronti.

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Una sosta al bar e raggiungiamo Palazzo Tamburelli, l’Ostello di Bobbio che accoglie pellegrini e viandanti dove siamo gli unici ospiti.

Un breve riposo e una doccia calda e ci si ritrova con Mario che ci fa visitare la cittadina. Di particolare interesse l’Abbazia con i resti di San Colombano, questo santo irlandese dal temperamento forte e poco docile che è la caratteristica di santità che contraddistingue i grandi Santi: San Francesco, San Rocco, San Giacomo per citarne solo alcuni.

Nel visitare Bobbio si nota che ha vissuto un periodo di notevole importanza sul territorio, a partire dal grande numero di chiese, dai resti fastosi dell’Abbazia che doveva essere un grosso centro di cristianità. La cripta con i resti del Santo e lo splendido mosaico romano sono veramente piacevoli e interessanti.

La telefonata di benvenuto dell’Assessore al Turismo ci è gradita ed è l’occasione per illustrare il ruolo dell’Associazione, di Giovanni Magistretti, Mario Pampanin, Elio Piccoli e tutte le persone che si adoperano per valorizzare la Via degli Abati. 

La cortesia di Mario si supera quando ci viene offerta la cena nel ristorante “Il Giardino”, nella piazza San Francesco. Si chiacchiera con grande piacere e scopriamo anche quanto sarà agevole per noi ricambiare la cena al nostro amico: un passerotto sembrerebbe un vorace rapace al suo confronto!

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Una passeggiata serale per le vie di Bobbio costituisce il prologo alla notte tranquilla presso l’Ospizio Tamburelli.

 

Giovedì 9 giugno – Bobbio – Lecco

Si torna a casa. Un giro ancora per Bobbio è l’occasione di salire al palazzo Malaspina, acquistare qualche dolce e l’ottimo pane piacentino. La corriere ci conduce a Piacenza in un’ora e mezza e da lì, in treno, si raggiunge Lecco C:\Users\Utente\Desktop\Via Abati\P1040819.JPG

Ci ripromettiamo di diffondere e pubblicizzare al massimo la Via degli Abati, così tanto amata e seguita dai nostri amici Giovanni, Mario, Luciano ed Elio e, soprattutto per questo, facciamo uscire un breve pezzo su Il Giornale di Lecco. Lo scopo è quello di suscitare interesse e curiosità, nella certezza che saranno soddisfatte al meglio.

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Claudio Santoro

   

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