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Il bastone e la corteccia

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Francesco Urso:

Il bastone e la corteccia


Mi ritrovai a Saint Jean Pied de Port, il paese da cui tradizionalmente inizia il Cammino Francese, grazie a un caro amico che cercava compagnia per intraprendere questo lungo viaggio a piedi.
Ricordo ancora che la decisione di partire la prendemmo una sera di aprile in una birreria. Quello del viaggio fu uno degli ultimi argomenti discussi quella sera. Stefano, all’epoca receptionist in un hotel, aveva delle ferie arretrate e io in quel periodo ero abbastanza scarico di lavoro.
Fissammo la data della partenza per i primi di maggio, subito dopo la chiusura del Salone del Mobile di Milano.
Per non partire del tutto impreparati, organizzammo un appuntamento con un membro della confraternita di San Giacomo, a Varese.
Oltre al ritiro delle credenziali, volevamo farci spiegare qualcosa in più riguardo al Cammino di Santiago de Compostela. Le domande erano le stesse che tutti si pongono: che attrezzatura portare, quali indumenti, dove dormire, da dove iniziare il Cammino. Giorgio Milani, è questo il nome del confratello che ci accolse nella sua casa, rispose a tutte le nostre domande e fu così bravo nel raccontarci cosa avremmo incontrato lungo la strada che abbandonammo l’idea di percorrere gli ultimi cento chilometri e decidemmo lì, sul momento, di iniziare dalla Francia. Il tempo a disposizione era poco, avevamo solo dieci giorni, e ciò significava che il nostro arrivo a Santiago sarebbe stato rimandato a data da destinarsi.
Il 5 maggio partimmo da Malpensa e il 6 maggio iniziò il nostro Cammino verso Santiago. La compagnia di Stefano durò mezza salita. Due passi diversi non permettono di camminare insieme e quindi mi ritrovai solo.
Sui Pirenei ebbi la fortuna di conoscere Fabio, con il quale nacque una profonda amicizia. Il nostro sodalizio fu benedetto dal primo pranzo “comunitario” a base di Parmigiano stravecchio, pane, acqua e biscotti “Rebuenas”, una sorta di imitazione dei biscotti “Principe”, formati da due gallette con al centro una crema di cioccolato. Sarà stato il calo di zuccheri da svenire, sarà stato il cibo offerto da una persona che fino a poco prima era un perfetto sconosciuto, ma quello lo ricordo come uno dei pranzi migliori.
Il giorno seguente, dopo aver riposato nell’ostello degli olandesi a Roncisvalle, all’alba ci mettemmo in cammino.
Si discuteva dell’opportunità di procurarsi un bordone per camminare, dell’utilità di avere un punto di appoggio sul quale scaricare il peso delle braccia e di tutte le teorie similari che quella strada ha ascoltato mille volte. Nei boschi tra Roncisvalle e Zubiri – che nella Navarra vengono chiamati i “boschi delle streghe”, le Brujas – ci fermammo e da due rami di non so quale pianta ricavammo due bastoni. Quello di Fabio era robusto, lungo a sufficienza e sicuramente adatto allo scopo. Io scelsi un ramo già spezzato, tutto storto, troppo corto e troppo flessibile. Sembrava di camminare puntando su una molla: a ogni appoggio il bastone vibrava.
I due bastoni erano un po’ come noi.
Fabio con l’abbigliamento adatto e super attrezzato, io con l’abbigliamento da città e lo “zaino di hello kitty”, come lo battezzò una ragazza rumena che alcuni giorni dopo mi regalò il suo. Dopo giorni alcuni pellegrini mi confessarono di avermi scambiato per un “turigrino”, cioè uno di quelli che viaggiano leggeri perché i bagagli se li fanno trasportare; solo dopo, continuando a incrociarmi, si resero conto che la mia attrezzatura “essenziale” era tutto ciò che possedevo.
La sera Fabio la dedicò alla pulizia del bordone. Con un coltello multiuso lo liberò da tutta la corteccia ed eliminò gli attacchi dei rami secondari che potevano dar noia. Nel giro di poco tempo il suo bastone era perfetto come quelli che si sarebbero potuti acquistare in uno dei negozietti lungo la strada. Io ero troppo stanco: dopo il bucato e dopo aver mangiato qualcosa di veloce, mi ritirai in branda fino al mattino seguente.
L’indomani partimmo di buon’ora e camminando, piano piano, cominciai, con le unghie, a staccare pezzi di corteccia dal mio bastone. Dall’alto verso il basso, un po’ alla volta e, come spesso accade cercando un significato a cose che non ce l’hanno, dissi a Fabio che quello era un modo per renderlo mio. Il bastone doveva perdere la sua corteccia con la stessa lentezza con la quale avanzavamo. Il bastone doveva essere il simbolo del mio procedere.
Fabio è un po’ animista e ama considerare alcuni oggetti come animati e senzienti. Ricordo che prima di buttare qualcosa ringraziava l’oggetto per il servizio reso e solo dopo se ne liberava. Quando lasciò per strada le scarpe, a causa dell’eccessivo peso nello zaino, facemmo una vera e propria cerimonia. Fabio scrisse su un biglietto la loro storia, elencò i luoghi dove erano stati e scrisse una preghiera, indirizzata a chiunque le avesse trovate, chiedendo loro di prendersene cura e di farle continuare a camminare. Ero certo che su un tipo come lui la storia del Bastone eletto a simbolo del mio cammino avrebbe fatto presa.
I giorni passavano e la strada con noi. Dopo la Navarra la Rioja, paese dopo paese. Il bastone cominciava a essere nudo. A dieci giorni di cammino rimase attaccato un solo pezzo di corteccia ma quello era l’ultimo mio giorno di Cammino. Il volo era prenotato e dovevo rientrare a casa. Eravamo a Redecilla del Camino in Castiglia e Leon, qualche tappa prima di Burgos.
Dopo cena staccai dal bastone l’ultimo pezzo di corteccia e lo diedi a Fabio chiedendogli di portalo fino a Finisterre e lì di gettarlo in mare. Fabio me lo promise, mise la corteccia in una stagnola e la ripose nello zaino.
Alle cinque del mattino Fabio mi svegliò per salutarmi. Io sarei partito qualche ora dopo con l’autobus. Ci abbracciammo e gli augurai Buen Camino e Ultreya, di cui fu lui stesso a spiegarmi il significato. Quando fu quasi fuori della camerata lo fermai e gli chiesi un ultimo favore. Gli dissi: “Ho preso il bastone nel bosco delle streghe, mi spiace lasciarlo in ostello. Mi sembra di fargli torto. Portalo con te e lascialo nel posto che ritieni più opportuno. È nato nel Bosco delle streghe ed è giusto che sia lasciato in un posto speciale”. Ci salutammo definitivamente. Fabio iniziò la sua nuova tappa e io ritornai a dormire in attesa della partenza.
Così fini la mia prima volta sul Cammino di Santiago de Compostela.
Fabio non lo sentii fino al suo ritorno. Mi telefonò a fine giugno perché dopo il Cammino era stato a Valencia, dove aveva abitato per tre anni. Fu una lunga telefonata. Mi raccontò tutto il resto del viaggio, le pulci prese per due volte nelle Mesetas, le sensazioni provate, gli incontri fatti, i paesaggi, la fatica, le albe, i tramonti. Naturalmente gli chiesi se avesse mantenuto le promesse e lui mi raccontò. Mi disse di aver camminato diversi giorni con tutti e due i bastoni ma che nessun posto gli sembrava adatto per abbandonare il mio. Si decise solo quando trovò un cippo di granito con la scritta: Via Aquitania–Burdeu–Astorga tramo 12 km del Camino de Santiago con su trazado original. Quello era un luogo speciale e lì lo abbandonò.
Passarono i giorni. Arrivato a Santiago de Compostela, Fabio, girando per la città, notò un gruppo di pellegrini italiani. Tra loro c’era un signore sulla sessantina con due bei baffi grigi. Il pellegrino andava per la città con il mio bastone. Fabio gli chiese dove l’avesse raccolto perché quello era il bastone di Agostino e gli mostrò la stagnola con il pezzo di corteccia da portare a Finisterre. Il pellegrino confermò di aver trovato il bastone appoggiato al cippo della via Aquitania e di averlo portato con sé malgrado fosse del tutto inutile per camminare perché troppo flessibile e troppo corto. Non c’era un motivo particolare per il quale lo teneva, ma dentro di sé sapeva che non poteva lasciarlo: voleva tenerlo fino alla meta.
Il bastone era quindi arrivato fino a Santiago! Ma il suo viaggio non era ancora finito; infatti il pellegrino coi baffi fece qualcosa in più: lo diede a un amico chiedendogli di portarlo a Finisterre. Lui non poteva continuare il Cammino poiché l’indomani avrebbe fatto ritorno a casa. Così fu che bastone e corteccia raggiunsero il Km 0,00, dove tutto finisce e ha un nuovo inizio, prima del sottoscritto.
Chiesi a Fabio il nome del Pellegrino per poterlo cercare e ringraziare, ma Fabio non lo ricordava. Ero rassegnato a non poter dare un nome e un volto a chi si era preso cura di quel bastone, quasi fosse il testimone di una staffetta.
Di questa bella storia rimanevano le foto su Facebook: il cippo della via Aquitania, la stagnola con dentro la corteccia tra le dita di Fabio e sullo sfondo il cartello con la scritta “Finisterre”.
Passarono alcuni mesi e arrivò un messaggio sul cellulare. Qualcuno aveva commentato una foto di Fabio e io ne ricevetti avviso poiché ero stato “taggato”. Il mio nome compariva passando il mouse sul bastone. Nel commento c’era scritto: “Fabio mi ha raccontato la storia del bastone che avevo trovato e che ho consegnato a Santiago ad altri pellegrini per portarlo a Finisterre!!! Stupenda storia”. Il giorno di Santo Stefano arrivò quindi un regalo inaspettato: ho ricevuto il dono di conoscere il Pellegrino coi baffi, quello che ha portato un pezzo di me a Santiago. Il suo nome era Vincenzo Caporale.
***
Ho scritto queste poche righe per un Progetto a cura di Fiorenzo Zerbetto del Forum dei pellegrini, che sta raccogliendo racconti di “sincronicità” avvenuti sul Cammino di Santiago de Compostela.
Il mio desiderio sarebbe stato veder pubblicato il racconto e donare una copia del libro a chi ha permesso che questa storia accadesse. Purtroppo, alcuni giorni dopo la stesura della bozza, mi è giunta la notizia della scomparsa di Vincenzo. Ho provato dolore. Un dolore che non immaginavo per una persona che non ho mai incontrato, a cui non ho mai stretto la mano, di cui non conosco il suono della voce.
Chissà, la prossima volta che camminerò verso Santiago forse troverò qualcosa che mi ha lasciato, qualche traccia, qualche ricordo, qualche persona in comune.

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Questa scrittura si trova contenuta da pag. 62 a pag. 70 del volume:

AUTORI VARI
(Forum dei pellegrini)
Quando il cammino trascende
Sincronicità vissute da Camminanti e Pellegrini
(A cura di Fiorenzo Zerbetto)
Libreria Editrice Urso, Collana "Cammini" n. 10
ISBN 978-88-6954-110-0
2016, 16°, 2016, € 12,00  Il Progetto del Forum dei pellegrini, che sembrava un sogno al Convegno di pellegrini e poeti di Chivasso di dicembre del 2015, dopo un anno è diventato realtà. Sono in tutto ventotto le testimonianze incredibili raccontate per la prima volta tutte assieme con la meraviglia, la sorpresa di persone il più delle volte non allineate ortodossamente con la fede tradizionale, o che hanno fatto fatica – non solo ad accettare l’eccezionalità di ciascuna di queste esperienze, ma anche a parlarne –, e che tuttavia hanno sentito l’urgenza di doverlo fare, non appena sono venuti a conoscenza della nostra iniziativa.

28 testimonianze di situazioni vissute da Camminanti e Pellegrini. Pur con caratteristiche diverse, esse si collocano al di fuori di ogni logica probabilistica e aprono riflessioni su dimensioni, stati d’animo e accadimenti oltre l’ordinario.
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