Forum dei pellegrini - Libreria Editrice Urso

LIBRI & GUIDE => LIBRI E GUIDE UTILI PER IL PELLEGRINO => Libri e Guide utili per il Cammino di Santiago => Topic aperto da: Francesco Urso - 05 Dicembre 2013, 18:23

Titolo: Il mio cammino di rinascita, di Elena Martinelli
Inserito da: Francesco Urso - 05 Dicembre 2013, 18:23
(http://www.libreriaeditriceurso.com/copertine_libri/ilmiocammino.jpg)
Elena Martinelli
Il mio cammino di rinascita
2012, 8°, pp. 224

€ 14,00

(http://www.libreriaeditriceurso.com/immagini_1/carrellino.gif) (http://www.libreriaeditriceurso.com/barra_sotto/compra.html)


(https://fbcdn-sphotos-f-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn2/1394083_589601927744056_374877740_n.jpg]https://fbcdn-sphotos-f-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn2/1394083_589601927744056_374877740_n.jpg)

In cammino perché? 
Per trovare risposte?
O per farsi domande?

Le  domande  durante  il  Cammino  sono  tante,  insistenti,  martellanti,  nella disperata ricerca di risposte facili, comode, pronte all'uso, che però non arrivano.

Bisogna giungere alla meta per assaporare la pace e le risposte che arriveranno poi dalla vita stessa.
Basta stare in ascolto!


(http://www.libreriaeditriceurso.com/immagini_2/recensioni.gif)
Per “IL MIO CAMMINO DI RINASCITA” di Elena Martinelli

“De toda la memoria solo vale / el don preclaro de evocar los suenos”. Di tutta quanta la memoria conta solamente il dono insigne di evocare i sogni… Questi due versi mi sembra siano la cifra interpretativa del volume di Elena Martinelli che presentiamo questa sera.

Conosco il Camino da oltre 40 anni, e allora non c’erano né mappe né guide e nemmeno pellegrini.
Avevo chiesto notizie al Centro di Perugia e ricevuto un fascicoletto ciclostilato. Non esisteva nemmeno altro e, quando nel 1988 ho pubblicato un libretto intitolato “E sus eia” una persona arguta e tutt’altro che sprovveduta mi ha chiesto se voleva dire “Viva il porco!”.
A Santiago – e si era già nell’agosto del 1976 – ricordo piazza e cattedrale praticamente deserte e, fra le persone che passeggiavano, solamente qualche pellegrino confuso e spossato.

Poi c’è andato il Papa e da allora la notorietà del Camino è cresciuta a dismisura, è diventato “moda” e come un fiume in piena sulle piste, almeno dai Pirenei alla Galizia, si è trovato un po’ di tutto, ma proprio di tutto. E nelle librerie, anzi, fin nelle edicole, è esplosa una altrettanto variegata marea di pubblicazioni.
Intendiamoci, esistono lavori seri su ogni aspetto del Camino, ma la valanga di roba che non vale la carta, pur se spesso patinata e zeppa di fotocolor, rende difficile trovare qualche cosa che valga la pena di raccogliere quasi quanto quarant’anni fa.
Premessa forse eccessiva questa, ma rifiuto ormai da molti anni, salvo casi eccezionali, di fare presentazioni – troppe volte mi sono trovato a dover scendere a compromessi con le mie intime opinioni in nome, come per i funerali, del “nihil nisi bonum” anche quando del “bonum” per conto mio almeno, non c’era affatto – ora che, a fronte della richiesta di un amico, ho accettato, nutrivo parecchie perplessità. E la sicurezza anche di mantenere la mia decisione di molti anni fa. Basta con il “nihil nisi bonum”. Pertanto sarò “critico” realmente, dirò i difetti e i pregi, sempre secondo la mia personalissima e limitata competenza dell’opera presentata.

Questo libro, per fortuna, è uno dei pochi che val la pena di leggere. Non foss’altro perché assolutamente diverso da ogni altra opera del genere e grazie, è il caso di dire, proprio ai suoi “difetti”.
Quasi ogni altra pubblicazione ha – o vorrebbe, ahimé, avere – “messaggi” da trasmettere, acute osservazioni da proporre, profonde filosofie da divulgare oppure vuole quantomeno render palese quanto bravo scrittore – fotografo – giornalista sia (o si ritenga) e quale variegata quanto profonda cultura egli possegga.
Nulla di più lontano dalle intenzioni dell’autrice.
Si vede bene che non ha, né assolutamente pretende di avere, ampia dimestichezza con la letteratura, l’architettura, la musica, la filosofia. Talvolta anche la sua prosa ha qualche esitazione, in qualche caso inciampa su grammatica e sintassi, qualche frase traballa, vi sono semplificazioni eccessive, ridondanze, contraddizioni, luoghi comuni ma paradossalmente, sono proprio questi aspetti strettamente negativi che donano interesse e anche, sì, pregio, a questo libro.

Però tutto questo non conta nulla, nulla importa. Anzi, la scrittura stessa ci introduce e via ci accompagna in una storia “scritta con i piedi”. Non suoni offensiva e nemmeno riduttiva questa espressione che riconosco un po’ forte: quale altro modo più genuino e vero per chi, giorno su giorno, macina camminando centinaia di chilometri? I piedi rappresentano il nocciolo del pellegrinaggio, di ogni pellegrinaggio, la sintesi più profonda anche e soprattutto oggi, che ogni famiglia possiede più di una automobile e anche i bambini hanno esperienza di jet.
E’ vero, è proprio così e l’autrice ce lo rammenta e richiama passo dopo passo, giorno dopo giorno in questo viaggio che è, prima di tutto, un viaggio iniziatico. Lo ripete spesso, con alternanza di sentimenti, sempre con dubbi, sempre strabica, un occhio alla strada, un occhio dentro se stessa, senza nemmeno pensare che probabilmente è tutto qui, che questo è il vero, forse l’unico modo di viaggiare veramente.

Non è un libro sul “Camino di Santiago”; è un libro su Elena Martinelli, sul suo viaggio dentro il Camino, su lei stessa come donna, come madre, come figlia di Dio che cerca, fuori e dentro, se stessa, con tutti i propri limiti e pregi, che cerca di realizzare un bilancio e di scorgere una prospettiva del suo viaggio terreno, “nel  mezzo del cammin di nostra vita”. O se arrischiato sembra l’accostamento al viaggio di Dante, si può citare la dedica a un altro viaggio, al “Voyage au bout de la nuit”, che riporta i versi di una canzone delle guardie svizzere di fine settecento che suonano così: “La nostra vita è un viaggio / nell’inverno e nella notte, / noi cerchiamo il nostro passaggio / nel cielo ove nulla luce”. Ma sul Camino la luce c’è, c’è il Camino della Via Lattea che, quando batte il sole, come un riflesso si prolunga in lunghe ombre sulla polvere dei sentieri terreni.

Ho sbagliato nel dire, cedendo alla tentazione di un fin troppo facile gioco di parole, “scritta con i piedi”. Intendevo dire che non si tratta, come troppo spesso accade, di una intellettuale in cerca di conferme. Il viaggio dell’autrice è un viaggio dal cuore in giù, ma il cuore per forza ci vuole, altrimenti anche i piedi non avrebbero significato.
Certo, occhi per vedere, orecchie per ascoltare, naso per odorare, bocca per parlare. Oppure occhi per piangere, orecchie per sentire ben più che voci e rumori, naso per sentire pure, e qui ci vorrebbe un lungo discorso per significare cosa sia l’odorato e quanto ne abbiamo perduto, che è mal riassunto nel “fiuto”, che pare è molto ma molto di più, bocca per sorridere e tacere, e che lunghi discorsi può fare il silenzio…E tutto questo “di più” questo “ultreia” ce lo dà il cuore.
Ma i piedi rimangono, sono i piedi l’essenziale. Se Elena avesse raggiunto  Santiago non dico in volo ma anche in un confortevole pullman con sedili anatomici, toilette e aria condizionata, testa e cuore sarebbero stati gli stessi, ma avrebbe visitato Santiago di Galizia e non il “Campo della stella”. Non avrebbe dialogato con sé e gli altri, con la polvere e il fango, la canicola e la pioggia, con il sudore e le vesciche, con le risa e i silenzi, l’esaltazione e la depressione. Non avrebbe potuto rispondere alle domande che necessariamente s’è posta. Di più, non avrebbe saputo nemmeno porsi quelle domande che hanno raschiato, anche dolorosamente, certo, la crosta della sua anima, della sua propria anima personale e di quella di tutti, dei pellegrini incontrati sulle piste della Via Lattea e degli altri pellegrini della vita rimasti fisicamente a casa ma che Elena ha portato con sé, dentro di sé sulla sua via.
Lo dice chiaro Elena, lo dice la suddivisione tappa per tappa del libro, lo dice il tono di ogni frase, la
scansione dei ricordi, il susseguirsi dei diversi fili che ne compongono la trama e che corrono paralleli, interscambiandosi fra loro passo su passo.
Vi è la strada, vi sono i paesi, le città, le chiese e le locande, le camere e i letti, gli alberi e i campi, i pranzi e le cene, le docce e souvenir, come in ogni diario di viaggio.
Vi sono in più anche le persone, la gigantesca “famiglia” dei pellegrini che si snoda con lei, attorno a lei come un fiume via via dai Pirenei fino a sfociare a Finisterre, alla fine del mondo.
Goccia in questo fiume, vi è Elena e con lei sua figlia e i suoi cari rimasti a casa, in qualche modo anche loro immersi nella corrente, e infine vi è tutto quando Elena porta dentro di sé, ricordi, sensazioni, emozioni, sentimenti…tutto il bene e il male che in ognuno di noi cresce dentro come una giungla disordinata e che viene a galla, senza pudore e reticenze.
Vi è in questo diario una fin disarmante semplicità, onestà, verità. Vi è il cuore, vi sono i piedi ma anche tutto il resto del corpo a cui di solito nessuno pensa, che nessuno racconta, che, momento per momento lungo la via, pesa, eccome, con tutte le piccole ma ineludibili esigenze e pressanti richieste ma che poi, solo poi però, al momento di mettere in “bella copia” tutti dimenticano, trascurano, ignorano, cancellano.
Muscoli ed ossa, stomaco e viscere, l’epidermide tutta, fino, sempre ai piedi. Il nutrirsi e l’evacuare, il dormire e il lavarsi, la stanchezza e il sudore, le più elementari funzioni fisiologiche che diventano drammatiche quando si è definitivamente a tu per tu con se stessi senza null’altro, senza gli ammortizzatori a cui la nostra comoda esistenza ci ha abituati al punto di apparire indispensabili.
Orina, mestruazioni, diarrea, pulci, tendinite…E la folla, la folla strabocchevole che elimina la riservatezza, la “privacy” che tanto amiamo e a cui siamo così assuefatti. La puzza, il russare, le snervanti, interminabili attese che la porta si apra, il cesso sia libero, fino alla caccia del filo per stendere la misera biancheria, sempre la stessa, giorno dopo giorno.
E quando piove ci si bagna e cammina, e quando batte il sole si suda e cammina, e quando si ha fame si ascolta la pancia brontolare e cammina, e quando si è stanchi , scoraggiati, pentiti addirittura, si ingoia e cammina. Da soli, in compagnia, allegri e tristi, pregando o imprecando, si cammina, passo dopo passo, un piede davanti all’altro piede…una storia scritta coi piedi, appunto.
Piedi spesso piagati, ma c’è il resto che quei piedi sostengono.
C’è il mettere alla prova se stessi, per prima cosa, lo scrollarsi di dosso la nostra opulenta civiltà che ormai ci è entrata dentro in ogni cellula quasi. Il misurare la nostra tenacia, la nostra volontà, la capacità di sopportare, reagire, controllarsi e vincersi. E infine gli altri, la gente, la “massa” che diventa di nuovo umanità, uomini come noi perché tutti ridotti all’osso, senza i paludamenti che ci mascherano nella vita di ogni giorno. Che maschera noi stessi, ci nasconde agli altri ma nasconde gli altri a noi in un anonimato che solo le fitte maglie della nostra società rende naturale ma naturale non è, un anonimato che prima di tutto annichilisce i sentimenti, la loro accettazione e manifestazione.
E’ questo quanto manca in quasi tutti gli scritti sul “Camino” ed è proprio questo che il libro di Elena ci dà. La vita. Senza svolazzi lirici, senza distillazione di intenzioni, senza null’altro oltre alla vita. Una vita però così limpida e schietta che diventa “exemplar”, paradigma del vero Camino, del suo significato, del suo inguaribile fascino.
Ed è questo che in ben pochi degli innumerevoli scritti sul Camino ho trovato.
Luciano Coretti
25 luglio, San Giacomo


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LIBRI SUI CAMMINI DEL PELLEGRINO
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Titolo: Re:Il mio cammino di rinascita, di Elena Martinelli
Inserito da: Francesco Urso - 09 Settembre 2014, 14:54
(http://www.libreriaeditriceurso.com/copertine_libri/ilmiocammino.jpg)
Elena Martinelli
Il mio cammino di rinascita
2012, 8°, pp. 224

€ 14,00

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Elena Martinelli presenta il suo libro all'incontro di poeti e pellegrini a Besenello


In cammino perché? 
Per trovare risposte?
O per farsi domande?

Le  domande  durante  il  Cammino  sono  tante,  insistenti,  martellanti,  nella disperata ricerca di risposte facili, comode, pronte all'uso, che però non arrivano.

Bisogna giungere alla meta per assaporare la pace e le risposte che arriveranno poi dalla vita stessa.
Basta stare in ascolto!


(http://www.libreriaeditriceurso.com/immagini_2/recensioni.gif)
Per “IL MIO CAMMINO DI RINASCITA” di Elena Martinelli

“De toda la memoria solo vale / el don preclaro de evocar los suenos”. Di tutta quanta la memoria conta solamente il dono insigne di evocare i sogni… Questi due versi mi sembra siano la cifra interpretativa del volume di Elena Martinelli che presentiamo questa sera.

Conosco il Camino da oltre 40 anni, e allora non c’erano né mappe né guide e nemmeno pellegrini.
Avevo chiesto notizie al Centro di Perugia e ricevuto un fascicoletto ciclostilato. Non esisteva nemmeno altro e, quando nel 1988 ho pubblicato un libretto intitolato “E sus eia” una persona arguta e tutt’altro che sprovveduta mi ha chiesto se voleva dire “Viva il porco!”.
A Santiago – e si era già nell’agosto del 1976 – ricordo piazza e cattedrale praticamente deserte e, fra le persone che passeggiavano, solamente qualche pellegrino confuso e spossato.

Poi c’è andato il Papa e da allora la notorietà del Camino è cresciuta a dismisura, è diventato “moda” e come un fiume in piena sulle piste, almeno dai Pirenei alla Galizia, si è trovato un po’ di tutto, ma proprio di tutto. E nelle librerie, anzi, fin nelle edicole, è esplosa una altrettanto variegata marea di pubblicazioni.
Intendiamoci, esistono lavori seri su ogni aspetto del Camino, ma la valanga di roba che non vale la carta, pur se spesso patinata e zeppa di fotocolor, rende difficile trovare qualche cosa che valga la pena di raccogliere quasi quanto quarant’anni fa.
Premessa forse eccessiva questa, ma rifiuto ormai da molti anni, salvo casi eccezionali, di fare presentazioni – troppe volte mi sono trovato a dover scendere a compromessi con le mie intime opinioni in nome, come per i funerali, del “nihil nisi bonum” anche quando del “bonum” per conto mio almeno, non c’era affatto – ora che, a fronte della richiesta di un amico, ho accettato, nutrivo parecchie perplessità. E la sicurezza anche di mantenere la mia decisione di molti anni fa. Basta con il “nihil nisi bonum”. Pertanto sarò “critico” realmente, dirò i difetti e i pregi, sempre secondo la mia personalissima e limitata competenza dell’opera presentata.

Questo libro, per fortuna, è uno dei pochi che val la pena di leggere. Non foss’altro perché assolutamente diverso da ogni altra opera del genere e grazie, è il caso di dire, proprio ai suoi “difetti”.
Quasi ogni altra pubblicazione ha – o vorrebbe, ahimé, avere – “messaggi” da trasmettere, acute osservazioni da proporre, profonde filosofie da divulgare oppure vuole quantomeno render palese quanto bravo scrittore – fotografo – giornalista sia (o si ritenga) e quale variegata quanto profonda cultura egli possegga.
Nulla di più lontano dalle intenzioni dell’autrice.
Si vede bene che non ha, né assolutamente pretende di avere, ampia dimestichezza con la letteratura, l’architettura, la musica, la filosofia. Talvolta anche la sua prosa ha qualche esitazione, in qualche caso inciampa su grammatica e sintassi, qualche frase traballa, vi sono semplificazioni eccessive, ridondanze, contraddizioni, luoghi comuni ma paradossalmente, sono proprio questi aspetti strettamente negativi che donano interesse e anche, sì, pregio, a questo libro.

Però tutto questo non conta nulla, nulla importa. Anzi, la scrittura stessa ci introduce e via ci accompagna in una storia “scritta con i piedi”. Non suoni offensiva e nemmeno riduttiva questa espressione che riconosco un po’ forte: quale altro modo più genuino e vero per chi, giorno su giorno, macina camminando centinaia di chilometri? I piedi rappresentano il nocciolo del pellegrinaggio, di ogni pellegrinaggio, la sintesi più profonda anche e soprattutto oggi, che ogni famiglia possiede più di una automobile e anche i bambini hanno esperienza di jet.
E’ vero, è proprio così e l’autrice ce lo rammenta e richiama passo dopo passo, giorno dopo giorno in questo viaggio che è, prima di tutto, un viaggio iniziatico. Lo ripete spesso, con alternanza di sentimenti, sempre con dubbi, sempre strabica, un occhio alla strada, un occhio dentro se stessa, senza nemmeno pensare che probabilmente è tutto qui, che questo è il vero, forse l’unico modo di viaggiare veramente.

Non è un libro sul “Camino di Santiago”; è un libro su Elena Martinelli, sul suo viaggio dentro il Camino, su lei stessa come donna, come madre, come figlia di Dio che cerca, fuori e dentro, se stessa, con tutti i propri limiti e pregi, che cerca di realizzare un bilancio e di scorgere una prospettiva del suo viaggio terreno, “nel  mezzo del cammin di nostra vita”. O se arrischiato sembra l’accostamento al viaggio di Dante, si può citare la dedica a un altro viaggio, al “Voyage au bout de la nuit”, che riporta i versi di una canzone delle guardie svizzere di fine settecento che suonano così: “La nostra vita è un viaggio / nell’inverno e nella notte, / noi cerchiamo il nostro passaggio / nel cielo ove nulla luce”. Ma sul Camino la luce c’è, c’è il Camino della Via Lattea che, quando batte il sole, come un riflesso si prolunga in lunghe ombre sulla polvere dei sentieri terreni.

Ho sbagliato nel dire, cedendo alla tentazione di un fin troppo facile gioco di parole, “scritta con i piedi”. Intendevo dire che non si tratta, come troppo spesso accade, di una intellettuale in cerca di conferme. Il viaggio dell’autrice è un viaggio dal cuore in giù, ma il cuore per forza ci vuole, altrimenti anche i piedi non avrebbero significato.
Certo, occhi per vedere, orecchie per ascoltare, naso per odorare, bocca per parlare. Oppure occhi per piangere, orecchie per sentire ben più che voci e rumori, naso per sentire pure, e qui ci vorrebbe un lungo discorso per significare cosa sia l’odorato e quanto ne abbiamo perduto, che è mal riassunto nel “fiuto”, che pare è molto ma molto di più, bocca per sorridere e tacere, e che lunghi discorsi può fare il silenzio…E tutto questo “di più” questo “ultreia” ce lo dà il cuore.
Ma i piedi rimangono, sono i piedi l’essenziale. Se Elena avesse raggiunto  Santiago non dico in volo ma anche in un confortevole pullman con sedili anatomici, toilette e aria condizionata, testa e cuore sarebbero stati gli stessi, ma avrebbe visitato Santiago di Galizia e non il “Campo della stella”. Non avrebbe dialogato con sé e gli altri, con la polvere e il fango, la canicola e la pioggia, con il sudore e le vesciche, con le risa e i silenzi, l’esaltazione e la depressione. Non avrebbe potuto rispondere alle domande che necessariamente s’è posta. Di più, non avrebbe saputo nemmeno porsi quelle domande che hanno raschiato, anche dolorosamente, certo, la crosta della sua anima, della sua propria anima personale e di quella di tutti, dei pellegrini incontrati sulle piste della Via Lattea e degli altri pellegrini della vita rimasti fisicamente a casa ma che Elena ha portato con sé, dentro di sé sulla sua via.
Lo dice chiaro Elena, lo dice la suddivisione tappa per tappa del libro, lo dice il tono di ogni frase, la
scansione dei ricordi, il susseguirsi dei diversi fili che ne compongono la trama e che corrono paralleli, interscambiandosi fra loro passo su passo.
Vi è la strada, vi sono i paesi, le città, le chiese e le locande, le camere e i letti, gli alberi e i campi, i pranzi e le cene, le docce e souvenir, come in ogni diario di viaggio.
Vi sono in più anche le persone, la gigantesca “famiglia” dei pellegrini che si snoda con lei, attorno a lei come un fiume via via dai Pirenei fino a sfociare a Finisterre, alla fine del mondo.
Goccia in questo fiume, vi è Elena e con lei sua figlia e i suoi cari rimasti a casa, in qualche modo anche loro immersi nella corrente, e infine vi è tutto quando Elena porta dentro di sé, ricordi, sensazioni, emozioni, sentimenti…tutto il bene e il male che in ognuno di noi cresce dentro come una giungla disordinata e che viene a galla, senza pudore e reticenze.
Vi è in questo diario una fin disarmante semplicità, onestà, verità. Vi è il cuore, vi sono i piedi ma anche tutto il resto del corpo a cui di solito nessuno pensa, che nessuno racconta, che, momento per momento lungo la via, pesa, eccome, con tutte le piccole ma ineludibili esigenze e pressanti richieste ma che poi, solo poi però, al momento di mettere in “bella copia” tutti dimenticano, trascurano, ignorano, cancellano.
Muscoli ed ossa, stomaco e viscere, l’epidermide tutta, fino, sempre ai piedi. Il nutrirsi e l’evacuare, il dormire e il lavarsi, la stanchezza e il sudore, le più elementari funzioni fisiologiche che diventano drammatiche quando si è definitivamente a tu per tu con se stessi senza null’altro, senza gli ammortizzatori a cui la nostra comoda esistenza ci ha abituati al punto di apparire indispensabili.
Orina, mestruazioni, diarrea, pulci, tendinite…E la folla, la folla strabocchevole che elimina la riservatezza, la “privacy” che tanto amiamo e a cui siamo così assuefatti. La puzza, il russare, le snervanti, interminabili attese che la porta si apra, il cesso sia libero, fino alla caccia del filo per stendere la misera biancheria, sempre la stessa, giorno dopo giorno.
E quando piove ci si bagna e cammina, e quando batte il sole si suda e cammina, e quando si ha fame si ascolta la pancia brontolare e cammina, e quando si è stanchi , scoraggiati, pentiti addirittura, si ingoia e cammina. Da soli, in compagnia, allegri e tristi, pregando o imprecando, si cammina, passo dopo passo, un piede davanti all’altro piede…una storia scritta coi piedi, appunto.
Piedi spesso piagati, ma c’è il resto che quei piedi sostengono.
C’è il mettere alla prova se stessi, per prima cosa, lo scrollarsi di dosso la nostra opulenta civiltà che ormai ci è entrata dentro in ogni cellula quasi. Il misurare la nostra tenacia, la nostra volontà, la capacità di sopportare, reagire, controllarsi e vincersi. E infine gli altri, la gente, la “massa” che diventa di nuovo umanità, uomini come noi perché tutti ridotti all’osso, senza i paludamenti che ci mascherano nella vita di ogni giorno. Che maschera noi stessi, ci nasconde agli altri ma nasconde gli altri a noi in un anonimato che solo le fitte maglie della nostra società rende naturale ma naturale non è, un anonimato che prima di tutto annichilisce i sentimenti, la loro accettazione e manifestazione.
E’ questo quanto manca in quasi tutti gli scritti sul “Camino” ed è proprio questo che il libro di Elena ci dà. La vita. Senza svolazzi lirici, senza distillazione di intenzioni, senza null’altro oltre alla vita. Una vita però così limpida e schietta che diventa “exemplar”, paradigma del vero Camino, del suo significato, del suo inguaribile fascino.
Ed è questo che in ben pochi degli innumerevoli scritti sul Camino ho trovato.
Luciano Coretti
25 luglio, San Giacomo



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