Forum dei pellegrini - Libreria Editrice Urso

OLTRE IL CAMMINO... => Testimonianze dei pellegrini - Diari => Topic aperto da: Francesco Urso - 01 Ottobre 2017, 17:54

Titolo: Davanti alla cattedrale di Santiago de Compostela, di Federico Angeli
Inserito da: Francesco Urso - 01 Ottobre 2017, 17:54
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/6c/Bas%C3%ADlica_de_Santiago_02.JPG/800px-Bas%C3%ADlica_de_Santiago_02.JPG)
Uno dei momenti peggiori della mia vita: un tardo pomeriggio di agosto, davanti alla cattedrale di Santiago de Compostela, seduto, all’ombra, per terra, sul selciato ancora caldo del sole del giorno. Solo e abbandonato in mezzo a migliaia di persone festanti. Così mi sentivo.
Un passo indietro – Nel 2013 ho fatto il mio primo Cammino di Santiago. Conoscevo l’esperienza sin dagli anni 80 del millennio precedente, perché l’avevano fatta alcuni amici guidati dal nostro prete di allora. Per decenni ne avevo sentito parlare e quindi sapevo tutto: dell’esperienza; del significato spirituale, storico, religioso, teologico, artistico. La comunità di cui facevo parte ha ripetuto quell’esperienza più volte nei decenni successivi, ma per i motivi più vari non ho mai potuto partecipare.
Nel 2013 la mia vita era ormai cambiata: da un decennio non facevo più parte di quella comunità, che per me era diventata stretta, come una setta. Per quell’estate non avevo programmi particolari e un amico mi aveva proposto di percorrere insieme un tratto del Cammino. Da parecchio tempo avrei voluto fare anch’io quell’esperienza, in modo laico e per i fatti miei, lontano dalla retorica che mi aveva accompagnato per decenni. Dario era una garanzia e accettai. Anzi, siccome avevo un’estate libera davanti a me, decisi di prendermi un mese intero. Dario, invece, aveva a disposizione solo 10 giorni; così, dopo il suo rientro, avrei proseguito il Cammino da solo. Ed è ciò che ho fatto.
Itinerario strano, il nostro, perché Dario aveva già percorso alcuni tracciati e non volevamo tornare su quelli noti: da Santander fino a Oviedo e poi il “Primitivo”. Un abbraccio e il congedo con Dario. Proseguo da solo, anzi, con la compagnia che su quel tracciato impervio e solitario inevitabilmente va costituendosi. Ogni sera, infatti, per una decina di giorni, nei pochi ostelli disponibili si ritrovano inevitabilmente le stesse facce. Ciascuno col suo ritmo di giorno, tutti insieme la sera in posti fuori dal mondo, dove non c’è nulla se non le persone. Non si può non legare, ciascuno con il suo carattere, con la sua lingua, con la sua socievolezza. La mattina era sempre più difficile separarsi e finiva che si camminava insieme. È stato bello, molto, e ricordo ancora tutte quelle persone, una per una.
Ma io aspiravo a un’esperienza personale, più solitaria. Dopo una settimana di relazioni strette, approfittando di una tendinite che un po’ mi rallentava, decido di concedermi qualche tappa più breve, “per riposare”, e per abbandonare la compagnia che ormai, dopo le montagne, avanza come una falange su Santiago. Decisione dolorosa, separarsi, lasciarli andare, ma con quella scusa mi ricavo un tempo tutto mio. Ricordo in particolare il piccolo albergue di quella sera, isolato, nel bosco: solo 12 posti e quasi tutti liberi. Mi sono goduto intensamente quei giorni.
Poi, dopo l’ultima tappa solitaria in cui non si incontra anima viva, si preannuncia il flusso del Cammino principale. Come provenendo da un rigagnolo laterale, mi immetto nel fiume a meno di 100 km dalla foce. È tutta un’altra cosa: torme di pellegrini ovunque, gruppi giganteschi, ostelli con centinaia di posti collocati in cittadine con migliaia di abitanti. Si sente la meta, cresce il senso di essere ormai arrivati… Più si avanza e più la strada si arricchisce di moltitudini. Cambiano anche i rapporti umani: prima si parlava con tutti, cioè si scambiava almeno qualche parola con chiunque si incontrasse solitario sui sentieri; ora sarebbe impossibile anche solo salutare, dunque ci si affida al caso e agli umori, diversificando gli approcci.
La tendinite è praticamente risolta, l’alle-namento ormai è tale da poter andare spedito e senza problemi. La strada è confortevole e relativamente pianeggiante. Senza spingere vado mediamente più veloce della maggior parte dei pellegrini, soprattutto di quelli che, facendo solo gli ultimi 100 km, sono all’inizio della loro fatica e devono ancora prendere il passo. Il giorno prima di arrivare a Santiago de Compostela è piovoso. Raggiungendo le persone e i gruppetti che mi camminano davanti, di volta in volta ascolto le lingue e butto l’occhio per ipotizzare un saluto più o meno veloce; poi, dopo il primo approccio, valuto e decido. Dipende da chi si incontra. È un gioco interessante: ci sono persone diversissime, soprattutto ora che alla meta confluiscono tutti i tipi umani, ognuno con la sua storia. Si può scambiare con tutti.
A un certo punto faccio un errore: davanti a me una pellegrina solitaria avanza a dir poco lentamente, portando uno zaino enorme, sproporzionato. La riconosco: l’ho incontrata nei giorni precedenti e la saluto. Mi attacca un bottone mai visto. Procede a passo di lumaca. Non ho fretta, certo, ma fatico a stare al suo ritmo. Però non molla mai, parla in continuazione e non mi offre nessuna possibilità di sganciarmi in modo cortese. Dopo un’ora riesco finalmente a liberarmi. Nessuno mi aspetta (una delle cose belle del Cammino è proprio questa, che non esiste il concetto di ritardo), ma sono leggermente indietro sulla tabella di marcia; quindi mi riprometto di essere più prudente negli incontri a venire.
Poco oltre, davanti a me due figure coperte da mantelle. Da lontano sembrano due donne… una è molto alta. Raggiungendole sento che parlano italiano. Potrebbe essere una buona occasione per scambiare due parole senza fatica, ma mi riprometto di restare in incognito, salutare col gergo internazionale del pellegrino e passare oltre.
Nel sorpasso mi volto per salutare e incrocio lo sguardo con quello della più alta. Due occhi scuri, svegli… le saluto in italiano e mi rendo conto di aver già abdicato. Cominciamo a parlare e proseguiamo insieme. Dopo i primi scambi generici capisco che sono persone interessanti e che ho voglia di passare un po’ di tempo con loro. Ci raccontiamo le solite cose: da dove arriviamo, il percorso fatto, considerazioni sul tempo e informazioni sulla tappa. C’è qualcosa che merita e si passa alla fase successiva: le presentazioni. Sul Cammino capita di parlare per ore con gente della quale non si conosce il nome. Poi, magari al congedo, si recupera ciò che nella vita ordinaria si fa all’inizio. Sono Alice e Grazia, diversamente toscane.
Nelle vene di Alice scorre sangue lombardo, anche di una frazione di Romano di Lombardia, un posto che ho casualmente conosciuto proprio qualche settimana prima, perché mi ci hanno mandato a fare gli esami di stato (la “maturità” di una volta). Proprio da quella piccola frazione veniva una collega commissaria, una pellegrina esperta che mi aveva dato un sacco di consigli utili prima della partenza. Si chiacchiera del più e del meno e a un certo punto le strade si separano, come è normale. Buen camino!, e chissà se ci si rivedrà mai…
Ci si rivede subito, il giorno dopo, in un bar affollatissimo nei dintorni di Santiago. Siamo un po’ sorpresi perché ormai il pellegrinaggio è un fenomeno di massa e, in quel frangente, significava una lotta nella folla per ottenere un café con leche. Ancora un tratto di strada insieme e di nuovo Buen camino.
Dopo poche ore e altri incontri cambia tutto, in peggio, in modo lento ma inarrestabile. Si tratta solo (!) del mio stato interiore, perché in realtà non mi succede nulla di male, anzi. Giungo comodamente all’albergue della catena galiziana nella periferia della città e lascio il mio zaino. Albergue enorme, anonimo, poca gente e fredda, indifferente ai nuovi venuti. Esco e mi dirigo in centro. Il clima è definitivamente cambiato. Più ci si avvicina alla cattedrale, più le strade sono piene di pellegrini che gironzolano apparentemente senza meta, forse proprio perché sono alla meta.
Sul Cammino si va tutti nella stessa direzione, a Santiago de Compostela no.
Anch’io sono alla meta, ma sento in modo op-primente ciò che peraltro sapevo fin dalla partenza: che quella meta non è il mio scopo.
Comincio a essere inquieto e insoddisfatto. Mi guardo intorno disorientato e rimpiango i sentieri solitari, il cammino. Il cammino è finito e ciò che inizia comincia a mettermi angoscia. Dovrei invece essere appagato, giacché tutti raccontano dell’arrivo a Santiago come di una grande gioia. Dovrei condividere il clima di festa che riempie le strade, invece niente. Pago l’assenza di motivazione religiosa? Le cose religiose le so ancora, ma non le sento più. La motivazione spirituale non manca, ma è troppo labile. E comunque non è legata a un luogo, pur bello e significativo come Santiago de Compostela.
La città è bella e provo a godermi l’arte, cerco la storia e i significati, ma nulla mi acquieta. Lo scetticismo mi separa dagli entusiasti che mi circondano e una pena cresce in me: una pena per me e per quella segreta speranza che mi si affaccia alle soglie della coscienza, timida e scettica attesa di qualcosa di imprevisto… Qualcosa dell’antica devozione? Almeno un benessere come quello del cammino: perché deve venir meno proprio a Santiago?
In coda mi avvicino al Santo e, giunto il mio turno, gli butto come tutti le braccia al collo. Non succede nulla, ovvio, è una statua, però intanto anche quello l’ho fatto e l’umore non cambia. Non posso nemmeno picchiare forte la testa su quella di Mastro Mateo, perché i lavori di restauro impediscono di avvicinarsi all’architetto di pietra. Mi siedo smarrito in quel clima da bazar, cerco pace nella zona riservata alla preghiera e medito su di me, sulla mia storia, sul perché sono lì, perché ci sono venuto. Ripartire subito? Ho ancora 10 giorni e sul Cammino si stava bene.
Che fare?
Non succede nulla. Ma lo sapevo: mi conosco bene. Non credo alle storie che mi hanno ficcato in testa per decenni. Ci sono svolte nella vita da cui non si torna indietro. Reagisco, esco, provo ancora con le visite turistiche, provo a buttarla in cultura, vedo musei, apprezzo architetture, esco e rientro nella massa di persone che si fanno foto, si ritrovano, si abbracciano, si salutano, si chiamano, urlano, ridono, cantano, suonano… Mi fermo.
Uno dei momenti peggiori della mia vita: un tardo pomeriggio di agosto davanti alla cattedrale di Santiago, seduto, all’ombra, per terra, sul selciato ancora caldo del sole del giorno. Solo e abbandonato in mezzo a migliaia di persone festanti. Così mi sento.
Mi sento solo, lo devo ammettere. Non ho nessuna intenzione di telefonare a casa né di dirlo a nessuno: sono tutti lontani e si preoccuperebbero a sentirmi così. Penso ad Antonella, perché lei è già stata a Santiago, da sola. Non voglio allarmare nemmeno lei; e nemmeno deluderla confessandole il mio stato… ma chissà, forse solo il fatto di scriverle… Già, ma cosa scrivo? Inizio incerto con alcuni dati oggettivi: sono qui… procedo, cancello, riscrivo, ripenso…
«Ciao Federico!» Alzo lo sguardo stupito: è Alice! C’è anche Grazia. Grazie a Dio (se c’è anche lui, se no non importa). Salto su e le abbraccio. «Hai impegni stasera?». «No? Mangiamo insieme?».
Cambia tutto, subito, in meglio, in modo sorprendente e inarrestabile. Passiamo insieme la sera e il giorno dopo. Loro sono splendide e… non solo perché ero disperato: lo sono davvero. Ritrovo il clima del Cammino, alla meta. Il Cammino è la meta, e il Cammino è fatto di un certo tipo di rapporti umani e anche di solitudine, di quella beata solitudo che non è la sola beatitudo, quella solitudine che si gusta con le persone, vicine o lontane, non quella che si patisce in mezzo alla gente.
Siamo diventati amici, abbiamo passato del tempo insieme, ci siamo abbracciati e salutati. Poi ciascuno per la sua strada fino a rivedersi a Firenze mesi dopo.
Poi è andato tutto meravigliosamente.
Ho camminato ancora una decina di giorni e percorso centinaia di chilometri andando e tornando tra Santiago, Muxia e Finisterre. Al secondo arrivo a Santiago ero ancora solo, ma stavo bene e in quella città mi sentivo a casa. Tutto diverso dalla volta precedente. Forse grazie a quell’incontro improbabile e fortuito in mezzo a centinaia di migliaia di sconosciuti in un incessante moto caotico. Un “caso” sicuramente poco probabile che molti, lo so, chiamerebbero “miracolo”. Sinceramente non lo credo. Non so nemmeno se il buon Dio ci osservi da lassù, ma, se anche fosse, stento a credere che si sia occupato di me in quel momento muovendo le sue pedine dall’alto. Da un lato ne sarei lusingato, ma, pensandoci bene, preferirei di no, perché lo preferirei impegnato in altro. In questo povero mondo martoriato si è sentita e si continua a sentire la sua latitanza e preferisco attribuire quell’incontro al caso piuttosto che a uno spreco di risorse provvidenziali. Magari, allora, possiamo chiamarlo sincronicità.

Questa scrittura si trova alle pagine 18-28 del volume:

(http://www.libreriaeditriceurso.com/album/sincronicita_copertina_D.jpg)
AUTORI VARI
(Forum dei pellegrini)
Quando il cammino trascende
Sincronicità vissute da Camminanti e Pellegrini

(A cura di Fiorenzo Zerbetto)
Libreria Editrice Urso, Collana "Cammini" n. 10
ISBN 978-88-6954-110-0
2016, 16°, 2016, € 12,00  (http://www.libreriaeditriceurso.com/immagini_1/carrellino.gif) (http://www.libreriaeditriceurso.com/barra_sotto/compra.html)
Il Progetto del Forum dei pellegrini, che sembrava un sogno al Convegno di pellegrini e poeti di Chivasso di dicembre del 2015, dopo un anno è diventato realtà. Sono in tutto ventotto le testimonianze incredibili raccontate per la prima volta tutte assieme con la meraviglia, la sorpresa di persone il più delle volte non allineate ortodossamente con la fede tradizionale, o che hanno fatto fatica – non solo ad accettare l’eccezionalità di ciascuna di queste esperienze, ma anche a parlarne –, e che tuttavia hanno sentito l’urgenza di doverlo fare, non appena sono venuti a conoscenza della nostra iniziativa.

28 testimonianze di situazioni vissute da Camminanti e Pellegrini. Pur con caratteristiche diverse, esse si collocano al di fuori di ogni logica probabilistica e aprono riflessioni su dimensioni, stati d’animo e accadimenti oltre l’ordinario.
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