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ERMENEUTICA DEL TEMPO

(intervento di Nino Muccio all'incontro dell'Anpi di Avola sul "25 APRILE e SUL 67° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE")

…Dico questo perché volendo io fare una riflessione sul tempo mi sono ricordato che nell’Ecclesiaste ci sono delle bellissime riflessioni sul tempo. Vi ricordate?...C’è un tempo per vivere e un tempo per morire, c’è un tempo per piantare e uno per sradicare, etc…etc.

Adesso i ragazzi non leggono neppure più l’Ecclesiaste, ma possono sempre scoprire, per esempio, a proposito di tempo, i versi di Ivano Fossati. Dicono che c’è un tempo per seminare/e uno che hai voglia di aspettare/un tempo sognato che viene di notte/e un altro di giorno teso/come un lino a sventolare/…Dunque una riflessione sul tempo: è importante parlare del tempo e per introdurre un po’ questo discorso sul tempo ho pensato che forse valeva la pena affidarci a Italo Calvino.

Italo Calvino ha scritto questo che è il suo primo romanzo: Il sentiero dei nidi di ragno. Mi piace questo brano, mi piace questo brano perché è molto significativo.

Comunque per dire qualche cosa su Calvino e su cosa mi ha spinto a pensare a questo libro, dico che questo libro, questo romanzo, questo romanzo iniziale di Calvino è un inno, un inno al tempo.

Soprattutto un inno al tempo in cui dei giovani si videro costretti probabilmente senza essere eroi a recitare un ruolo degli eroiInvece costoro non sanno pensare ad altro, come innamorati, e quando dicono certe parole tremano nella barba, e gli occhi luccicano e le dita carezzano l’alzo dei fucili. A Pin non chiedono che canti loro canzoni d’amore, o canzonette da ridere: vogliono i loro canti pieni di sangue e di bufere, oppure le canzoni di galere e di delitti che sa solo lui, oppure anche canzoni molto oscene che bisogna gridare con odio per cantarle. Certo, essi riempiono Pin d’ammirazione più di tutti gli altri uomini: sanno storie di autocarri pieni di gente sfracellata e storie di spie che muoiono nude dentro fosse di terra.

Sotto il casolare i boschi diradano in strisce di prato, e là dicono che ci sono spie seppellite e Pin ha un po’ di paura di passarci alla notte, per non sentirsi tirare i calcagni da mani cresciute in mezzo all’erba…Ora io francamente non so se sono capace di cantare le canzoni d’amore che riesce a cantare Pin, sicuramente non potrei essere capace di fare questi gorgheggi amorosi, ma spero di non farvi perdere tempo con dei semplici raschiamenti di gola e, tuttavia, è qui il punto: noi dobbiamo ritornare a perdere tempo.

Perdere tempo per non perdere tempo.

Non si tratta di annullare il nulla, ma è certo che il nichilismo di oggi è un distrattore assoluto di tempo: tempo in quanto vissuto.

Nella nostra Weltanschauung non c’è più il tempo, cioè il tempo della psiche: il tempo che non si separa dallo spazio.

Scusate se mi permetto questa piccola divagazione.

Sembra che…parlavo di questa divagazione che mi sono permesso a proposito di scienza. A proposito di scienza, relativamente alla opportunità di associare la scienza ai comportamenti umani.

Bene: diciamo che in fondo la scienza ogni tanto qualche suggerimento utile ce lo dà, soprattutto se a praticare l’ambito scientifico è un genio. Beh! In questo caso è stato il genio di Einstein: il genio di Einstein che ci ha spiegato la curvatura dello spazio-tempo.

La curvatura dello spazio-tempo è il vissuto.

Più la materia del vissuto ha consistenza più è incurvato lo spazio-tempo.

Cioè, se c’è tensione emotiva il vissuto appare come uno spazio-tempo incurvato.

Un po’ come fa la forza di gravità a incurvare lo spazio-tempo.

Senza tensione emotiva lo spazio-tempo è ritornato piatto.

Ecco credo che questo sia uno dei mali di oggi: mancanza di tensione emotiva.

Spazio e tempo dunque si separano.

Ma lo spazio ha bisogno del tempo: spazio e tempo sono le coordinate del racconto.

Dal racconto vengono le emozioni.

Viaggiano le emozioni scivolando sulle curvature dello spazio-tempo: ogni volta che scopriamo qualcosa che è nel mondo una forza si agita dentro di noi.

Una gravità che piega la psiche in modo da far oscillare le emozioni.

Su una superficie piatta le emozioni non viaggiano.

C’è bisogno che il nulla riprenda a fluttuare (caro Ciccio): abbiamo bisogno delle increspature.

A partire dalle increspature lo spazio-tempo riprende a curvarsi.

Ma perché questo nulla? Cosa è mancato?

La parola è venuta a mancare: la parola del racconto.

Nel racconto fluiscono le parole capaci di increspare il nulla.

Domenica…Domenica questa scorsa…So che molti di voi comprano Repubblica…e, insomma, c’era un articolo Roma, studenti neofascisti contro il partigiano etc. etc.

Ho letto l’articolo; penso che tanti di voi l’hanno letto. A me è piaciuta la risposta che ha dato il partigiano…Questi attivisti di estrema destra trovano sempre pretesti per negare la Resistenza, che è alla base della Costituzione Italiana…Ecco mi pare che la parola calda, la parola cardine di tutto questo sia pretesti: pretestuoso. Cioè, credo che…credo che questa parola debba offrire a noi la possibilità di diventare più attenti, di diventare più…insomma diventare…diventare degli esecutori di linguaggio, ma in maniera militante direi.

Ecco noi dobbiamo essere attenti, dobbiamo rifare la Resistenza attraverso le questioni che afferiscono al linguaggio. Questa cosa è fondamentale, perché se proprio vogliamo parlare del nulla di adesso (buttiamola sul piano speculativo), non c’è molto da dire: ma cos’è il nulla di adesso se non il nulla delle cose che si dicono, la banalità dei discorsi che si fanno?

Insomma, la radice profonda della nostra istituzione democratica è l’antifascismo.

Dunque la radice profonda dell’antifascismo attiene alla nostra comunità.

Da un punto di vista generale l’atto fondativo della comunità giunge al culmine di un processo storico-politico capace di determinare o, meglio, di definire, nel contesto territoriale su cui ricade, il destino di chi in quel contesto si trova gettato. (Gettato…è  un virgolettato che vuole essere una sorta di riferimento ad Heidegger).

Dunque è la storia che ha questo compito: aiutare la comunità non ad adempiere ad un destino già segnato, ma a cercare la sua identità.

Dal riflesso della identità della comunità va riverberando in ognuno il riflesso della identità del singolo: ogni singolo ha una identità o, per meglio dire, c’è un’interfaccia in cui elementi intrinseci ed estrinseci si fronteggiano: natura umana da una parte ed evento storico dall’altra.

Tutto questo serve a definire nella coscienza del gentile una stratificazione di contenuti.

Attenzione: sto dicendo del gentile perché, è importante questa precisazione, perché nella comunità non necessariamente ci devono stare individui che cercano Dio o che hanno bisogno di Dio; nella comunità non necessariamente ci devono stare individui che se hanno Dio possono rinunciare alla conoscenza.

Nella comunità c’è il gentile, cioè la gente: nella comunità c’è la gente.

Dunque il gentile appartiene alla gente: deve appartenere alla gente.

Il senso autentico del far parte di una comunità è esattamente questo: appartenere alla gente.

A partire dal gentile, perché la comunità è fatta di gente, cioè di persone che spinte da un desiderio profondo, viscerale (per dire quello che diceva Aldo Lanza poco fa: viscerale, usava lui questo termine), esprimono un bisogno non privato ma pubblico che è quello dell’appartenenza.

E per dar voce a questo bisogno sono pronte a testimoniarlo.

Qual è il modo migliore per testimoniare questo bisogno di appartenenza?

Il racconto.

Non certo il chiacchiericcio di questi giorni per esempio. (Ma questa casomai è una questione che affronteremo in altra sede e in altra circostanza).

Dunque il racconto, perché nel racconto fatto di un linguaggio che evoca vengono rievocati gli eventi che hanno determinato una scelta o le scelte.

Il venir meno del racconto ha portato alla crisi della comunità.

Io adesso non vorrei usare le solite parole banali o le solite frasi fatte; insomma le solite argomentazioni. Non vorrei, come si dice, sfondare porte aperte, ma insomma, questo è.

L’interruzione del racconto ha avuto conseguenze devastanti.

Basta dire che la nostra comunità oggi deve lottare per bloccare le forze revisioniste: le forze revisioniste che cercano di strappare quella radice profonda che è l’antifascismo.

Nella prefazione a La letteratura partigiana in Italia, Natalia Ginzburg…Natalia Ginzburg ha scritto più o meno queste cose…Le strade e le piazze delle città, teatro un tempo della nostra noia di adolescenti e oggetto del nostro altezzoso disprezzo, diventarono i luoghi che era necessario difendere. Le parole «patria» e «Italia», che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché sempre accompagnate dall’aggettivo «fascista», perché gonfie di vuoto, ci apparvero d’un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D’un tratto alle nostre orecchie risultarono vere. Eravamo là per difendere la patria e la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava. Una verità così semplice e così ovvia ci parve strana perché eravamo cresciuti con la convinzione che noi non avevamo patria e che eravamo venuti a nascere, per nostra disgrazia, in un punto gonfio di vuoto. E ancor più strano ci sembrava il fatto che, per amore di tutti quegli sconosciuti che passavano, e per amore di un futuro ignoto ma di cui scorgevamo in distanza, fra privazioni e devastazioni, la solidità e lo splendore, ognuno era pronto a perdere se stesso e la propria vita…Raccontare per parlare dello spazio e del tempo perché spazio e tempo si coappartengono. Non c’è spazio che il tempo non riesca a definire, il tempo che abbiamo vissuto: un vissuto. Ecco il senso. Un portato dell’esistenza. Non importa se la vita si incarna in un bambino che si appresta a scoprire il mondo. E io qua vorrei abbandonarmi a un racconto che mi riguarda personalmente.

Cioè vorrei raccontare di un bambino che ad un certo punto si lascia incuriosire da una sedia. I bambini ogni giorno che passa scoprono sempre qualcosa e ora si tratta di una sedia. Questo bambino guarda con più attenzione di come abbia potuto fare prima e con la curiosità che cresce (nel bambino), dunque con più attenzione di come abbia potuto fare prima e scopre che questa è una sedia in acciaio o in ferro, diversa dalle altre sedie. Il bambino non sa capire che differenza c’è fra ferro e acciaio, però capisce che non è in legno la struttura della sedia oggetto d’una nuova scoperta. Poi il bambino diventa un po’ più curioso e scopre che attaccate a questa sedia, che, tra l’altro, è sagomata in un modo strano, ci sono dei rettangoli colorati pieni di scrittura e di figure: lui non ha mai visto una sedia di questo tipo insomma, e poi in ferro per giunta, comunque qualcosa che non è in legno, il solito legno delle sedie, e dunque scopre che attaccate in più punti a questa sedia ci sono delle targhette e poi andando a guardare più attentamente scopre che queste targhette recano delle scritture in una lingua che lui non conosce. Quando lui scopre le scritture in una lingua che lui non conosce il bambino già frequentava la scuola, insomma aveva imparato a leggere però la scrittura che riempiva le targhe attaccate alla sedia lui non la sa leggere. Non è semplice: ha delle scritte in inglese. Ma questo il bambino poi lo ha capito molto tempo dopo. Beh! Allora, a quel punto, era ovvio che il bambino diventasse curioso. Quando si diventa curiosi si fanno domande. Allora il bambino chiede: ma perché questa sedia? E poi, oltre a queste targhette attaccate alla sedia c’erano pure dei buchi che prima erano serviti ad ospitare dei bulloni. Allora qualcuno ha pensato di raccontare al bambino il motivo di quella sedia: la storia di quella sedia.

La storia di quella sedia è la Storia con la esse maiuscola.

Le case dei contadini sono piene di oggetti rimediati alla meglio, ma in questo caso era intervenuta la Storia perché quella sedia era stata letteralmente staccata da un aeroplano, non più in grado di volare, che stazionava nei pressi di quella casa. La casa dove c’era il bambino la sedia e chi ha raccontato la storia non era una casa normale, era una casa di campagna ubicata in una certa zona, anch’essa toccata dalla Storia: il luogo di cui varrebbe la pena parlare. Insomma, a pochissima distanza da questa casa c’era un campo: era un campo di aviazione leggera. (Non immaginatevi un aeroporto come quelli di adesso). Perché quando gli alleati sbarcarono  si insediarono in tutta questa zona, che con molta difficoltà è stata individuata dagli storici. Ma più che gli storici a creare confusione altri hanno agito: storici contro pseudo-storici.

Noi purtroppo abbiamo la sfortuna di vivere in mezzo a pseudo-tuttofare che molto spesso riescono a oscurare l’importanza e la bravura di quelli che in effetti meriterebbero di essere diciamo ascoltati in esclusiva. Bisogna dire che, seppure con non poca fatica e tempo, la Storia ha recuperato molti contesti spazio-temporali che l’hanno posta in essere. Insomma, diciamo che il luogo più o meno è stato localizzato con una certa precisione, ma per modo di dire e allora il bambino scopre che lì dove lui diciamo trascorreva gran parte del suo tempo, sicuramente tutto il periodo estivo, insomma, lì, erano accaduti dei fatti molto importanti: dei fatti molto importanti. E, allora, è stato, è stato, diciamo così, conseguenziale, il fatto che si scoprisse anche il fatto che Liliana ha anticipato: l’otto settembre, che poi non era l’otto settembre ma il tre settembre.

Devo dire che poi quando ho cominciato a interessarmi seriamente di queste cose qua sono riuscito a vedere anche una ricca documentazione fotografica dell’armistizio. Insomma, diciamo che la zona è quella: noi stavamo in una contrada, Torretonda, ed era esattamente quello il luogo, cioè il campo di aviazione era a neanche cento metri dalla casa in direzione mare. In direzione ovest verso Avola c’era l’ospedale, era l’ospedale da campo. In direzione Siracusa c’era lo Stato Maggiore e già andavamo verso San Michele.

Qualche anno fa io ho preso questo libro; ma, voglio dire, non è un’impresa comprarsi questo libro, basta entrare in una libreria, sono riportati Massae, massari e masserie siracusane: a pagina 43 San Michele: il maniero fortificato. Bene! Questa masseria diciamo è circondata, ma solo in direzione Cassibile, da un vecchio uliveto, considerate che siamo un chilometro prima di Santa Teresa, forse neanche. Quindi, questo per chiarire questa storia Cassibile non Cassibile: ecco, lì, lì, a San Michele, a cento metri dal fabbricato, va bene, lì c’erano le tende, chè erano attendati, dello Stato Maggiore Alleato: a cento metri dal fabbricato, lì hanno fatto l’armistizio.

Io ho avuto anche la fortuna vedere queste famose pietre che sono state divelte: tutta una leggenda anche sulle pietre. Insomma mi sarebbe piaciuto parlare di queste cose in maniera più storicizzata, però capisco che dobbiamo stringere, tuttavia, tuttavia l’avete capito di cosa ho dovuto parlare: di un tempo e di un luogo. Ho dovuto perché dovevo impegnarmi in questo racconto etico che è la descrizione di un percorso immaginifico, come Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino: alla ricerca di un luogo che è dentro di noi. Solamente affidandoci al pensiero mistico possiamo essere consapevoli di tutto ciò: da cinque millenni i mistici si godono tutta la storia rimanendo seduti alle soglie dei loro abituri. Poi, magari in un’altra occasione, approfondiremo e chiariremo. Però consentitemi di chiudere con le parole di Vittorio Foa.

Vittorio Foa lo sapete no? Ha fatto nove anni di carcere tutti di fila: è uscito nel ’43, fatevi i conti quando c’è entrato se è uscito nel ’43: ha fatto nove anni.

Vittorio Foa io l’ho conosciuto che già lui era uno dei più grossi intellettuali del ‘900.

Questo è un libro molto importante e molto bello Il cavallo e la torre: risale a una quindicina di anni fa, ma forse di più. Chiudo: fatemi chiudere con Vittorio Foa…Io non so fino a che punto la mia :condizione personale influenza il mio giudizio sulla vita e sul mondo. La mia è una vecchiaia serena accanto a una donna, Sesa, che è una fonte di calma e di invito a prendere il mondo come viene senza pensarci troppo su. Essa ha la capacità di spianare le rughe del suo prossimo e anche quella, altrettanto preziosa, di spianare le rughe della sua fronte e quindi di essere in grado di aiutare gli altri. Essa ha l’intelligenza delle gioie e delle sofferenze degli altri, la capacità di lenire le sofferenze come di partecipare alla gioia. Negli ultimi anni ha avuto per me molta importanza la casa di campagna di Sesa a Castelforte, di fronte al golfo di Gaeta, luogo per me carico di amicizie, di affetti. Non so se questo mio stato d’animo mi porti a vedere il mondo più bello di quello che esso è. Può darsi. Io so che il mondo non è bello, so anche che io sto perdendo le mie forze. Ma un vecchio non deve scambiare la sua debolezza con la debolezza del mondo: se egli non è più capace di sperare altri ne sono capaci. Credo che la nostalgia, che è un sentimento naturale della vecchiaia, non deve volgersi solo al passato. A me non dispiace che non ci sia più il passato, mi dispiace di non vedere più il futuro, di cui sono curioso

Questo contributo rappresenta nella sua forma integrale l’intervento da me svolto nel recente convegno organizzato dalla locale sezione dell’ANPI tenutosi il 24-04-2012 presso il Salone Comunale di Avola per il 67° Anniversario della Liberazione. Grazie ad una faticosissima e dispendiosissima operazione di sbobinamento dell’audio (tutti gli interventi sono stati registrati) mi è stato possibile tirare fuori questo documento. Ma la vera ragione per cui mi sono sottoposto a questo snervante lavoro che è durato, credetemi, molto tempo (non dico quanto ma tanto) è che ad esso volevo far seguire un post scriptum per riportare qualcosa che mi ha molto colpito. In particolare mi voglio riferire agli interventi successivi al mio che sono stati proposti da due giovani attivisti del movimento culturale Ales: parlo di Sara e di Mauro (spero di ricordare correttamente i loro nomi). A un certo punto ho temuto che m’avessero fatto uno scherzo: lo so, mi lascio andare a una freddura, ma la sorpresa non è stata poca a sentirli parlare l’una di spazio e l’altro di tempo. Non so quanti (ad eccezione di Ciccio Urso e di Gaetano D’Agata, che coi loro racconti hanno proposto ottime interpretazioni del tempo) siano riusciti ad agganciare i temi dello spazio e del tempo, ma io non potevo non vedere nelle cose che Sara e Mauro hanno detto l’ermeneutica del tempo: un tempo che si lascia interpretare solamente da chi ne sa riconoscere la forma. Non è il tempo ingabbiato che ha una forma, ma quello fuori da ogni gabbia, quello che è nello spazio che può spiegare le sue ali rivelandosi ad ognuno. Un po’ per gioco, un po’ perché quella è la mia cifra stilistica (mi pottu sta sbintura), c’è qualche fumosità, qualche metafora di troppo nel mio discorso: ma è veramente un male, una cosa da non farsi, usare troppo la metafora? Una parte importante dell’intervento di Sara è stato il cinema: quando Sara parlava di cinema faceva letteratura (io, ascoltandola, facevo letteratura): la letteratura è l’epifania dell’esistenza ha detto recentemente Claudio Magris. Personalmente al cinema devo molto perché dal cinema ho avuto le chiavi di lettura che mi servivano:

 

Nel giorno aureo della settimana

la vita dei fanciulli è meno retta.

Il gruzzolo serrato nella stretta

farà della magion meta sovrana.

 

Dal lenzuolo la trama si dipana

ai marmocchi che hanno fatto incetta.

L’occhio li rifonde e li assoggetta

al canto epico della durlindana.

 

Razziator degli orti e delle stalle:

son predatori spinti dal bisogno,

trafugator di merci e altri pegni.

 

Son vermi che diventerai farfalle:

pargoli perduti nel bel sogno,

miti spettator d’astuti ingegni.

 

Coniugando il cinema e l’esistenza, coniugando l’esistenza e la storia, coniugando la storia con la vita, fare in modo che tutto si ponga su un piano letterario, come ha fatto Mauro che parlando degli ultimi parlava in realtà di eroi. Ecco perché le mie riflessioni si fermano qua: questo mi accade ogni volta che mi capita di scrivere la parola eroi.

 

Nino Muccio

 

Avola, 01-05-2012   

 

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Boccaccio

Giuseppina Boccaccio legge
''DOVE VOLA L'AVVOLTOIO''
di Italo Calvino

DOVE VOLA L'AVVOLTOIO
Testo di Italo Calvino

Un giorno nel mondo finita fu l'ultima guerra,
il cupo cannone si tacque e più non sparò,
e privo del tristo suo cibo dall'arida terra,
un branco di neri avvoltoi si levò.

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò dal fiume
ed il fiume disse: "No,
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Nella limpida corrente
ora scendon carpe e trote
non più i corpi dei soldati
che la fanno insanguinar".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò dal bosco
ed il bosco disse: "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Tra le foglie in mezzo ai rami
passan sol raggi di sole,
gli scoiattoli e le rane
non più i colpi del fucil".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò dall'eco
e anche l'eco disse "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Sono canti che io porto
sono i tonfi delle zappe,
girotondi e ninnenanne,
non più il rombo del cannon".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò ai tedeschi
e i tedeschi disse: "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Non vogliam mangiar più fango,
odio e piombo nelle guerre,
pane e case in terra altrui
non vogliamo più rubar".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò alla madre
e la madre disse: "No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
I miei figli li dò solo
a una bella fidanzata
che li porti nel suo letto
non li mando più a ammazzar"

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

L'avvoltoio andò all'uranio
e l'uranio disse: "No,
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
La mia forza nucleare
farà andare sulla Luna,
non deflagrerà infuocata
distruggendo le città".

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell'amor.

Ma chi delle guerre quel giorno aveva il rimpianto
in un luogo deserto a complotto si radunò
e vide nel cielo arrivare girando quel branco
e scendere scendere finché qualcuno gridò:

Dove vola l'avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla testa mia...
ma il rapace li sbranò.