GIUSEPPE BIANCA: scienziato, credente, poeta avolese Da La vita diocesana N.34 13 novembre 1983
Di formazione tipicamente umanistica (italiano, latino, greco, francese, arte della retorica, larga esperienza di rime e di metrica), con appena alcune nozioni di filosofia e di matematica apprese nel convento dei PP. Domenicani e con l'animo fortemente segnato dalla ripugnanza quasi traumatica per gli studi di giurisprudenza ai quali era stato avviato dai genitori, si rinchiude nel monastero della sua casa fra i libri della sua biblioteca privata per dedicarsi alla meravigliosa avventura di rivivere il mondo dei classici proiettandolo e ricreandolo nella lingua italiana. Ma ne avverte presto i limiti e si orienta verso un enciclopedismo di tipo illuministico. Uomo di fede autentica Come uomo, è concreto e vigorosamente realista. I massimi problemi, li ha risolti nella maniera più elegante e radicale insieme: accettando i dogmi della religione cattolica senza incertezze e senza reticenze. Una delle sue migliori composizioni poetiche è, a mio avviso, un Credo in versi dialettali, testimonianza di una fede autentica, che la cultura raffinata dello intellettuale non riesce a sradicare dall'anima popolare. Questo processo si risolve in un atteggiamento lucido, costante, irreversibile. E' difficile trovare un altro scrittore italiano dell'Ottocento, in cui la fede come sentimento fondamentale sia più ferma e più cristallina. Un darwinista? Ma neppure l'enciclopedismo illuministico può appagarlo. Quando Giuseppe Bianca, nel 1834, avuto fra le mani il primo volume del Prodromo della Flora siciliana del celebre Gussone, formula il desiderio di colmare le lacune inevitabili di quell'opera, peraltro in sé pregevole, praticando la metodologia, da lui a simultarleo intuita, della delimitazione dell'area della ricerca analitico-classificatoria e della «regionalizzazione» della botanica fondata sul principio della indissolubilità del rapporto tra flora e territorio, preludente in qualche modo all'evoluzionismo largo di Darwin nonno, il cui libro in seguito sarà conosciuto in Sicilia solo da lui e dal catanese Vincenzo Tedeschi, allora egli non può non avere la sensazione del rischio della svolta. Salvo un bagaglio fondamentale di latino e greco e di poesia classicheggiante, ereditato dal maestro Don Fardella, e salvare le nozioni e gli stimoli ricevuti dai Domenicani, per il resto, ormai, almeno da dieci anni egli si era fatto da sé. Il progetto di un " sogno" Autodidatta dunque, e autodidatta originale. Ma cominciare a 33 anni quasi a zero, tradurre un sogno in progetto definito, da praticare in un settore per lui quasi tutto nuovo come la botanica, con la pochezza di mezzi dello studioso che, oltre a partire con ritardo, è tagliato fuori dai centri nevralgici della ricerca e deve arrampicarsi sugli specchi per procurarsi buoni libri e sicuri aggiornamenti, è una impresa enorme anche per l'autodidatta più spericolato. Qui è avvenuta una cosa strana: Giuseppe Bianca, nominato Socio della Accademia Gioenia di Catania per i suoi meriti di latinista e di fine letterato, avendo manifestato ad alcuni amici Accademici il suo progetto scientifico e, insieme, le sue perplessità, invece di ricevere il consiglio di continuare a coltivare i suoi orti, venne incoraggiato a dirottare dal suo seminato. A tal punto era stimato? L'opera più famosa Ma la cosa più sorprendente è che, senza abbandonare mai gli studi umanistici, nel giro di pochi anni, assimilate rapidamente le opere classiche del Gussone, del De Candolle, Linneo, Buffon, Gaertner, Desvaux e numerosi altri grandi autori, si formò una tale base di conoscenze di botanica che già nel 1839 poteva leggere la prima di quelle dieci Memorie costitutive dell'opera Flora dei dintorni d'Avola che, terminata nel 1856, gli valse fama internazionale e lusinghieri riconoscimenti. Certo è quindi che, salvo le pause doverose e le involontarie interruzioni, per oltre vent'anni non smise di percorrere in lungo e in largo il territorio avolese che aveva designato a se stesso sulla base di criteri geologici, il cui rigore scientifico continua a sorprendere ancora oggi, cogliendo somiglianze e differenze e registrando minutamente tutti gli esemplari della flora avolese con una pazienza certosina paragonabile solo a quella di un altro grande siciliano di due secoli più antico di lui: Giovanni Batista Hodierna, da Ragusa. Anticipando il metodo positivo, senza cadere nel positivismo, il Bianca ormai non potrà più essere superato da alcuno nella conoscenza delle oltre 800 varietà di mandorlo, delle proprietà del carrubbo e di tante altre piante e fiori di quel territorio che egli ha trasformato, genialmente, in una sorta di laboratorio naturale. La sua mentalità, sottile e analitica, rimane però sempre tendente alla sintesi. Di qui le connessioni continue tra l'oggetto della botanica con le condizioni sociali, economiche, politiche in cui esso viene delimitato, osservato, utilizzato. Botanica e antropologia culturale Non è casuale la su collaborazione con i fondatori siciliani dell'antropologia culturale nella forma, ancora embrionale, di demopsicologia:Pitrè, Marino, Guastella Il Bianca però si muove con ben altra finezza umana e con una esperienza scientifica non facilmente raggiungibile. Egli sembra fiutare nell'aria e collegare in sintesi felice tutte le novità anche filosofiche e letterarie. Quando, per esempio, descrive in poche battute la diversificazione delle classi sociali della città di Avola col tracciato genetico dei conflitti relativi, si ha l'impressione di avere a che fare, finalmente, con un sociologo capace di obiettività scientifica e morale insieme, non condizionata comunque da pregiudizi ideologici scorretti. Questa castità intellettuale guida fino in fondo tutti i suoi atteggiamenti, tutte le sue prese di posizione. Cattolico e carbonaro Come Silvio Pellico, ma con un orizzonte ben più ampio e articolato di interessi, egli riesce a essere tranquillamente cattolico e carbonaro, fedele al Papa e avversario dei tiranni, critico dell'Inquisizione e cantore purissimo delle verità di fede, sempre umile, sempre sobrio, allergico al successo e agli onori. Invitato da due Università italiane a ricoprire l'insegnamento della botanica, si rifiuta per modestia e per non sottrarre tempo allo studio. Pregato dal Gubernale di fare un profilo di se stesso per essere inserito in un Dizionario degli uomini illustri, si mostra infastidito e finalmente, per non sembrare scortese, si limita a fornire un breve elenco dei suoi lavori, non senza avere premesso che egli crede di essere nessuno, non ha lauree, non ha titoli, ha studiato da solo quel «poco» che è riuscito a sapere. Viene spontaneo domandarsi se questo silenzio, pieno di mistero e di rispetto, che aleggia ancora dopo tanti anni sui suoi luoghi e sulle sue memorie, non sia stato voluto deliberatamente da lui. Per continare a darci esemplo di serietà umana e di dignità cristiana. Antonio Brancaforte |
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