In Sicilia i defunti portano giochi e dolcetti ai bimbi come se fossero tanti Babbi Natale
Ossa, tibie e pupi di zucchero
di Finetta Guerrera
(in Tuttolibri, La Stampa, 27 ottobre 2001)
Nel resto del mondo a portare i regali ai bambini sono Babbo Natale, la Befana o al massimo Santa Claus. In Sicilia invece, dove, al di fuori degli stereotipi, il lutto è sempre stato di casa e l'idea della morte naturale come l'avvicendarsi delle stagioni o del giorno alla notte, i regali non possono che portarli loro, i morti.
Nessuna meraviglia perciò che nel secondo giorno di novembre, commemorazione dei defunti in ogni città o paesino della Sicilia si faccia paradossalmente gran festa: scuole chiuse per almeno due giorni, grandi luminarie, bancarelle ovunque stracolme di giocattoli e, in qualche caso come a Palermo e a Catania, una grandiosa "Fiera dei morti" piazzata al centro della città, che dura almeno una settimana e funziona dall'alba a notte inoltrata. Nonostante il traffico deviato, gli ingorghi dovuti all'afflusso di visitatori, i posteggi improvvisati e affollati nessuno, che non sia malato o peggio moribondo può esimersi dall'andare a farvi un giretto esplorativo.
Lo scopo dichiarato - ma nella fiera si vende di tutto dai tegami alle mutande - è quello di comprare i giocattoli ai bambini, quei regali che il giorno dei defunti saranno abilmente nascosti in casa per essere poi dai bimbi trionfalmente trovati, in una sorta di caccia al tesoro. I morti insomma ritornano, anche se per un giorno, fra i vivi. Arrivano di notte - è la leggenda - ed entrano nelle case dove vissero deponendo di nascosto dolciumi e regali. E i bambini, forse, ci credono. Questi dolci che variano da parte a parte della Sicilia sono, nel Palermitano, prevalentemente pupi di zucchero alti almeno un palmo, calzati, vestiti e colorati in tinte atroci: "Chi ti lassaru i morti?" ancora si chiede da quelle parti. "Un pupu cu l'anchi torti, un pupo con le gambe storte" è la risposta canzonatoria. Ma che cosa è il pupo, se non la raffigurazione zuccherina del "morto di famiglia"? Ma nessuno in fondo ci pensa, tanto meno i bambini che svegliandosi eccitati ne vanno in cerca, riecheggiando inconsapevolmente il tragitto che gli adulti compiono recandosi al cimitero.
Nella Sicilia orientale invece dolci immancabili sono "l'ossa 'i mortu": macabri dolcetti a forma di teschio o tibia o femore o falange di pasta bianca che subito si sfarina sotto i denti, proprio come ossa calcinate, il tutto deposto su uno strato croccante di pasta marroncina, la bara.
E' il cibo che "lasciano" i morti assieme ai doni, ma è anche cibo "da" morto. Che allude ad un impensabile banchetto con i resti del defunto o ad un convivio spettrale in cui morti e vivi si nutrono del medesimo cibo. E' infatti credenza antichissima - nell'antica Grecia o in Egitto - che i morti, per scongiurare una seconda e definitiva morte, abbiano bisogno di cibo.
Ecco che allora la pasticceria siciliana appronta, in quei giorni, una serie sontuosa di frutti di pasta di mandorla - la cosiddetta "pasta reale" - connessi al luttuoso evento o all'auspicata rinascita: e ogni vetrina si fa vanto di esibire ceste di vimini traboccanti di lucidi dolci in forma di mandorla che per la sua precoce fioritura allude alla resurrezione, o di melagrana spaccata e rosseggiante simbolo di fecondità per l'abbondanza dei suoi chicchi, o di fava e di fico dalle forti valenze sessuali.
Dolci stucchevoli che, a pranzo concluso, appaiono su tutte le mense in quel festoso giorno di lutto mentre i bambini fremono per alzarsi perché di là ci sono i nuovi giochi quelli "lasciati" dai morti.
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