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da LA SICILIA
martedì 30 ottobre 2001
pag. 20

IL «MALE DI VIVERE» di Maurizio Santoro
Nel suo «Esodo» anche la tragedia afghana

di Simona Rossitto (iscritta alla nostra Mailing List)

"Chi mangia non è detto per questo un "mangiatore", chi dorme non si chiama un "dormitore": io dipingo, ma non mi definisco per questo un pittore. Perché dipingo come respiro, mangio, dormo, vivo".

Maurizio Santoro, 40 anni, una massa di capelli scuri, grandi occhiali e fisico asciutto, è un pittore-architetto di origini avolesi, con alle spalle anni di formazione all'Accademia di Firenze. In occasione della sua recente partecipazione alla mostra di Siracusa dal titolo "Al di là del tempo e dello spazio" che si è tenuta la settimana scorsa alla Mediterranea Art Gallery di via Dione, parla del suo modo di sentire l'arte, delle sue inquietudini, del suo "male di vivere". Ma anche delle tensioni che dopo l'attentato al cuore del mondo occidentale dell'11 settembre scorso, attraversano la nostra società. Tra le sue ultime iniziative, anche un segnalibro, testimonianza di pace, che raffigura un suo quadro e che è in distribuzione presso una nota casa editrice avolese.

"Scegliere la pittura come scopo della mia vita non è stato facile: dipingere per me - spiega Santoro - non è un hobby, ma un mezzo per esprimere la mia presenza nel quotidiano. E tutto ciò comporta rinunce e sacrifici. Con un grande privilegio: un modo di essere e di fare non meccanicistico, che è necessariamente razionale e funzionale, come nella progettazione di un edificio, ma allo stesso tempo spontaneo e istintivo, autentico e completo, come solo attraverso questa forma d'arte può accadere".

"I critici - continua il pittore avolese - mi hanno accusato di essere un solitario, di non partecipare mai alle iniziative comuni. Per questo ho accettato di portare tre dei miei quadri ("Tautologia di una bambola", "Giocoliere d'acqua" e "Venditore di palloncini") alla collettiva che ha visto a confronto venticinque artisti provenienti dalle province di Catania e Siracusa. E' stato un modo per testimoniare il valore dell'arte oggi. Un modo per andare avanti: l'arte come risposta all'orrore. La bellezza contro la guerra e la paura. Arte e bellezza troppo spesso dimenticati dai media e dalla gente".

Recente è anche l'adesione, con il suo quadro "Esodo", all'iniziativa della Libreria Editrice Urso di pubblicare dei segnalibri con quadri e testimonianze che simboleggiano il desiderio di pace: "Questo è il momento storico per non tacere - spiega Santoro -, per ribadire la funzione sociale dell'arte e il compito dell'artista".

Chi vuole, tra le centinaia di figure sulle sponde di una lunga strada che si perde verso l'ignoto tratteggiate in "Esodo", potrà leggervi l'eco della grande fuga degli afghani da Kabul e Kandahar per la paura dell'attacco anglo-americano. "Ma - assicura - anche se traggo spunti dal presente, non mi sono direttamente ispirato alla tragedia di quel popolo. Tant'è vero che "Esodo" è stato terminato in aprile, prima dunque degli attentati alle Torri Gemelle di New York".

Sul retro del segnalibro c'è un racconto breve di Carmela Monteleone dal titolo "Questa assurda guerra": un messaggio che la scrittrice avolese dedica alle piccole vittime dell'orrore degli uomini, quei bambini troppo spesso dimenticati.

"L'arte, in ogni sua forma, è l'unica possibilità di riscatto - spiega il maestro avolese - perché propone un repertorio di valori e immagini che attinge al profondo dell'anima, dove le ragioni della mente coabitano con quelle del cuore. La pittura in particolare può contenere sentimenti, sogni, visioni di libertà. Nella pittura ci sono valori e realtà difficili da spiegare a parole, ma facili da intuire attraverso un'attenta visione e fruizione dell'opera. Perciò - conclude Santoro - è l'espressione più autentica della libertà interiore dell'uomo. Libertà chetutti cerchiamo e che erroneamente crediamo di trovare grazie ai beni materiali.".

Se l'artista-Santoro è sereno e cosciente della funzione dell'arte nella società, anche nei momenti più bui della sua storia, lo è meno l'uomo-Santoro che lamenta la difficoltà di chi ha abbracciato la pittura e ne ha fatto ragione di vita. Si definisce uno che non si piega alle leggi del mercato, che non dipinge per vendere, ma per esprimere le sue pulsioni emotive. L'auto-emarginazione non è dunque una scelta, ma una necessità dello stile di vita e della coerenza che lo caratterizzano: "L'artista - dice - non è felice, ma cosciente della propria condizione, dei limiti dell'uomo come della grandezza dell'universo, secondo un modo di sentire e di essere consapevole amplificato rispetto a quelli comuni".

Simona Rossitto

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