Con “La favola del figlio cambiato” Pirandello ritorna a quello che è un asse fondamentale della sua produzione a partire dai tardi anni Venti, l'orizzonte dei "miti", come Pirandello stesso li chiama. La “Favola” come sorta di ricapitolazione sintetica della tematica dei primi due miti (“La nuova colonia” e “Lazzaro”) e come ponte di passaggio all'ultimo, incompiuto mito dei “Giganti della montagna” (in cui la “Favola” risulta propriamente incorporata). Nello spazio edenico della Villa della Scalogna, animata da una comunità "pitagorica" di sette misteriosi abitanti (il sette è ovviamente simbolo della perfezione divina), giunge un giorno un gruppo di attori, tragicamente dilacerati nell'incertezza se accettare l'integrazione in quello spazio magico e autosufficiente, isolato dal mondo, o se continuare nella loro missione di redimere l'universo "basso" degli umani e degli spettatori. Una forte componente biografica (l'amore per la sua attrice Marta Abba) permea i “Giganti” e, più in generale, l'intera produzione dell'ultimo Pirandello. Come conferma, in maniera clamorosa, “Quando si è qualcuno”, tardo testo ingiustamente sconosciuto (e ancora più ingiustamente quasi mai rappresentato), che racconta l'amore straziante (e represso) di un uomo anziano per una giovane e affascinante creatura.
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