DESCRIZIONE DELLA VITA
VISSUTA DALLA NASCITA
pagine 11-12-13-14 di Memoriale di un siciliano emigrato a Milano
Nacqui in una casa tipo monocellulare, composta da un locale di abitazione per contadini, che si puo' ritenere costruita nell’Ottocento, periodo in cui nacque Roccaro Corrado capostipite della mia famiglia, di origine contadinoa, il quale ebbe tre figli, due femmine ed un maschio.
Detta abitazione da tempi remoti era gravata da censo a favore della «baronia» Alessi, che poi, non essendo stato pagato il censo per un ventennio, ando' in prescrizione.
Tale situazione venne alla luce in seguito alla vendita che mia madre, Roccaro Giovanna, effettuo' in mio favore, misera casa demolita nel 1964 per una futura ricostruzione.
L’abitazione comprendeva un locale di mq 22, donata dal padre, originariamente aggregata ad una casa bicellulare che il padre divise in due abitazioni unicellulari, una delle quali cedette a mia madre Roccaro Giovanna, in seguito al matrimonio con mio padre, Zuppardo Giuseppe. Strutturalmente detta casa fu costruita con muri portanti in muratura di pietrame con impasto di calce e gerra, che veniva estratta da scavi vicinali, e che, tutti i muratori ritenevano di uso pubblico; la sottocopertura era di canne con soprastante tegole, l’interno aveva un soppalco in legno, che occupava circa la meta' della parte abitativa, accessibile, con scala in legno. In un angolo esisteva la cosiddetta «tannura» (cucina), in parte rivestita con piastrelle colorate; sotto la cosiddetta tannura era stato ricavato un buco, collegato ad un pozzo nero, per la mancanza di rete idrica e fognaria L’abitazione conteneva un letto matrimoniale costituito da due cavalletti in ferro con sovrastante tavole per supporto dei materassi imbottiti con paglia o crine. La necessita' di disporre di un altro letto per mio fratello, di otto anni, venne risolta con l’allestimento di un posto a ridosso dell’altra parete, diviso dal letto matrimoniale dal cosiddetto canterano, contenente lenzuola e vestiario. Una porta con «purteddu» (sportello), che rimaneva sempre aperto per l’aerazione dovuto alla mancanza di una finestra.
Io sottoscritto, neonato, dormivo nella cosiddetta «naca» (culla), fissata su anelli e posta al disopra del letto matrimoniale, nel caso di mia sveglia notturna o allattamento, e cio' rendeva comodo non alzarsi dal letto. In mancanza di un cesso per le urine e la defecazione, i bisogni venivano effettuati in un cosiddetto «rinale» o «cantaro», svuotati nel buco sottostante la detta «tannura». Mia madre aveva una gabbia per le galline che di giorno collocava fuori in strada, mentre di notte la riponeva nella casa di abitazione.
Mio padre lavorava nelle campagne ove venivano sostituiti i vecchi mandorleti, i quali, dopo cinquant’anni non erano piu' produttivi; quindi dal legname si otteneva il carbone per usi domestici. Tale attivita' richiedeva un maestria, con sacrifici diurni e notturni, per controllare eventuali incendi che comportavano la perdita del carbone, che a quell’epoca rappresentava la materia prima per cucinare, anche perche' il gas era sconosciuto. Malauguratamente in quel periodo scoppio' la guerra mondiale, ove mio padre, Zuppardo Giuseppe, in servizio militare partecipo' e dove, in seguito ad un attacco contro gli Austriaci nell’anno 1918 fu colpito da una granata sul monte S. Michele, che ne causo' la morte immediata. Notizia confermata da un commilitone amico e concittadino, di nome Fratantonio, che partecipava alla grande guerra e, a suo dire, mio padre, gli morì fra le sue braccia, con il risultato che mia madre rimase vedova con un figlio di sette mesi e un altro di otto anni.
Tale situazione ebbe come conseguenza che mia madre, successivamente, ebbe una crisi mentale, per la quale fu ricoverata a Messina in ospedale.
Detta notizia anticipa l’epoca della mia infanzia, necessaria per descrivere la mia vita vissuta da neonato e adulto dal 1916 al 1940, anno in cui fui costretto ad emigrare.
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