Una medaglia fra le dita, di Franco Sangregorio |
11-06-2006 inserito da ciccio; categoria AVOLESI. ![]() ![]() Un giorno, chiamato ad aiutare i miei genitori a mettere in ordine una stanza non abitualmente usata, rovistando tra cianfrusaglie e vecchie foto di famiglia ormai consumate dal tempo, mi ritrovai in mano una croce di guerra dïargento relativa alla prima grande guerra. Mia madre accortasi, continuando il suo da fare e quasi ignorando la cosa, mi affermÚ che era appartenuta al mio nonno paterno. In verit‡ mi dispiacque molto questa sua indifferenza, a prescindere dal fatto che un oggetto cosÏ importante, almeno in questo modo credo di averlo sempre considerato, non si trova tanto facilmente. Ma rimasto ammirato e inorgoglito da quella medaglia, cominciai a pensare a quale evento potesse essere stato attribuito tale importante riconoscimento. Non so perchÈ, ma subito mi venne alla mente una storia triste raccontatami proprio dal nonno. Un omone di un metro e ottanta, robusto e forte quanto basta per incutere un minimo di soggezione a chiunque gli fosse stato di fronte, si poneva agli altri, come era suo solito fare, seduto con la spalliera della sedia appoggiata allo stomaco. Ricordo un particolare di lui e di quella sua storia. Nonostante fosse un poï burbero, non raccontava come fanno in genere la maggior parte degli uomini un poï avanti con gli anni, quella esperienza passata, con un pizzico di spavalderia, ma stranamente con tono malinconico. Niente e nessuna parola detta con orgoglio che facesse riferimento alla fierezza di chi ha combattuto per la sua terra. "A terra Ë ri tutti, diceva, e i finaiti si fanu lïommini pÏ farisi cuerri scunciuruti (La terra Ë di tutti e i confini se li fanno gli uomini per farsi stupide guerre). Durante un assalto, uno dei tanti, ripetuti decine di volte in uno spazio di terra lungo non pi? di duecento metri, molti dei miei compagni caddero falciati dal fuoco della mitraglia. Io ero il tiratore scelto e quindi dovevo rimanere assieme agli altri cecchini in trincea per coprire lïavanzata e lïeventuale ritirata degli altri. Una misera possibilit‡ di vivere pi? a lungo mentre tutti gli altri morivano". E di questo pensiero si era convinto fermamente. "Fu lïultimo assalto, poi il freddo e la neve. Non pi? il suono audace della mitraglia ma quello di colpi solitari, come se la morte ricordasse sempre la sua presenza. Ci f? ïnsilenziu - ripeteva - si sintiinu parrari sulu li Strechi. In questo modo tutti i Siciliani al fronte chiamavano gli Austriaci. Mentre imbruniva, sentimmo lamentare. Era uno dei nostri. Disorientati ci guardammo tutti con veloci sguardi dïintesa per decidere chi andare a prenderlo. Cïera ancora un poï di luce e troppa era la paura di essere colpiti dai cecchini. Chiusi gli occhi, un pensiero veloce a mia madre e dïistinto uscii senza arma allo scoperto. Correvo avanti non sapendo in che direzione andare e sperando che quella voce lamentasse ancora la sua posizione. Cominciarono a fischiare i colpi e subito capii che forse era vicina la fine. Disperato, trovai per caso, correndo in mezzo ai corpi inermi dei compagni caduti, quello ferito. Lo misi sulle mie spalle e cominciai a retrocedere". Con gli occhi che non riuscivano a contenere un grande imbarazzo e quasi impaurito di essere giudicato, mi disse: "Mu misi ïncoddu, e ïdu mischinu ca ciccaia aiutu, ammentri ca curria, mïarriparaia i spaddi ïra motti.ï (Me lo misi addosso, e quel povero uomo bisognoso dïaiuto, mentre correvo, mi copriva le spalle da morte sicura). Riuscimmo a salvarci. I compagni fecero il resto per soccorrere lïaltro. Stremato dalla stanchezza e dal terrore, non dissi mai a nessuno quello che provai e in silenzio rimasi per lungo tempo a riflettere su quello che avevo fatto e in che modo lo avevo fatto". Ogni volta che mio nonno mi raccontava questa storia, non dimenticava mai di sottolineare sempre con imbarazzante sincerit‡, quella sua fragilit‡ che forse lo ha accompagnato per tutta la vita. Venni a sapere da mio padre che in quellïazione aveva salvato un ufficiale maggiore. E di questo, non ne aveva mai parlato e tenuto conto. Un atto di eroismo vissuto sempre con amarezza, solo perchÈ umana era stata la sua paura di morire. Del resto, se tutto ciÚ non fosse stato nobile, oggi non avrei la sua medaglia fra le dita. | Invia ad un Amico | 514 letture |