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Sebastiano Burgaretta  |
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 Venerdì, 10 Marzo 2006 06:00 Host: host245-154.pool80104.interbusiness.it
Salvatore Di Pietro, I perchÈ del nostro dialetto..., Libreria Editrice Urso, Avola 2006, Euro 18,00
DIALETTO; LINGUA VIVA
Queste pagine, certamente non esaustive, sono state scritte da un dilettante, ma di un dilettante nel senso etimologico del termine, cioË di una persona che ha osservato e studiato per diletto il suo dialetto e la gente che lo parla. Con questa clausola, che intelligentemente si libra tra il sussiego e lïautoironia, Salvatore Di Pietro congeda il suo corposo studio I perchÈ del nostro dialetto. Storia linguistica e sociale della Sicilia, edito dalla Libreria Editrice Urso di Avola. Eï unïaffermazione che fa onore alla modestia dellïautore e allïamore che egli, con questa articolata ricerca, dimostra di coltivare verso la sua terra e le persone che lïabitano. Non a caso il sottotitolo rende assai bene lo spirito e il registro che animano e guidano le linee generali di questo prezioso strumento, finalizzato a una conoscenza critica del nostro dialetto e a un approfondimento consapevole e articolato del rapporto che ogni uomo dovrebbe avere con la propria lingua di appartenenza, se vuole mantenere salde le radici della propria identit‡ storico-memoriale e promuovere la propria crescita socio-culturale, senza svendere sÈ stesso e il proprio portato antropologico-culturale al facile e allettante supermercato della globalizzazione indiscriminata e omologante.
Effettivamente il risultato dellïampio studio di Di Pietro si configura con i caratteri propri di una ricerca sociale e di costume, oltre che linguistica, della Sicilia e, in particolare, delle citt‡ sorelle di Avola e Noto. Ne sono prova evidente, confermata peraltro nel corso della ricerca tutta, le notizie ragionate, e spesso anche comparate, relative agli effetti che nel tessuto linguistico della Sicilia hanno prodotto fenomeni sociali di grande rilevanza, come lïemigrazione e la mafia con il loro corredo socio-antropologico e, di conseguenza, anche linguistico, talora persino con la creazione di veri e propri gerghi settoriali, quali, ad esempio, u brucculinu e u baccagghju.
Secondo lïaffermazione dello stesso Di Pietro, questo suo studio appartiene alla categoria del < prima che sia troppo tardi>, stante lïeutanasia linguistica che a suo dire viene indotta nella nostra societ‡ negli ultimi anni da quanti tendono a italianizzare la loro parlata. E quindi Ë un contributo di amore per uno strumento linguistico che Ë al tempo stesso strumento di cultura e di civilt‡, anche se probabilmente un timore come il suo puÚ apparire eccessivo e in contraddizione con quanto egli stesso afferma, quando poco prima puntualizza, a ragione, che il nostro dialetto, come del resto qualsiasi altro dialetto, essendo una lingua viva e usata soprattutto nella comunicazione orale, ha subito delle continue metamorfosi. Ed Ë nella natura stessa delle lingue proprie della comunicazione orale il dover subire continue trasformazioni, integrazioni e sostituzioni, esattamente come in un corpo vivo che rinnova le sue cellule pur nel mantenimento della matrice genetica di fondo. Per questo io sarei, al riguardo, meno pessimista, nulla togliendo al rimpianto e alla nostalgia per quanto si va tralasciando e/o perdendo, ma nondimeno con la fiducia nella vitalit‡ di un volto sempre nuovo di un corpo antico. Del resto simili considerazioni sono state sempre fatte nella storia del nostro dialetto, lungo il corso dei secoli, ad opera di studiosi e cultori. In quanto corpo vivo una lingua non puÚ non trasformarsi evolvendosi. Tanto per restare in Sicilia, se si va a leggere, per esempio, un testo siciliano di et‡ medievale, allorchÈ cioË il nostro dialetto aveva dignit‡ e ruolo di lingua ufficiale, ci si accorge di esser quasi davanti a un altro idioma, talmente variegato Ë lïesito dellïevoluzione plurisecolare subita dal corpo vivo della lingua siciliana, che ai nostri giorni, per motivi di ordine storico e culturale, viene ascritta allïordine dei dialetti.
Come corpo vivo il siciliano emerge anche dallïattenta ricerca e dalla metodica osservazione che sulla nostra lingua madre ha condotto Salvatore Di Pietro; un corpo vivo che parla della gente che lo adotta e tratta del cammino storico-culturale che questa gente ha compiuto e ancora compie. Un supplemento di analisi, che si aggiunge ad arricchire il lavoro, Ë fornito dalla storia personale e dalla condizione peculiare di vita dellïautore, che Ë nativo di Avola, dovïË vissuto per i primi venticinque anni di vita, e abita a Noto da ventisei anni. Gode perciÚ del privilegio di conoscere bene i sottodialetti delle due citt‡ e di poterne fare, nel contesto della sua metodica analisi, uno studio comparato, che rileva, con puntualit‡ e lodevole acribia, somiglianze e differenze che i cittadini dei due centri conoscono ma sulle quali magari non si sono mai sentiti spinti a indagare, per individuarne le ragioni storico-culturali.Di Dietro guida il lettore anche in questa direzione in tutta quella parte, assai ragguardevole, dello studio dedicata agli aspetti morfologici e sintattici dei due sottodialetti fratelli di Avola e Noto.
Ne viene fuori un ricco documento linguistico ragionato che Ë una vera e propria grammatica viva, la quale, come giustamente afferma lïautore, non Ë una rassegna di regole, ma il risultato dellïindagine sistematica dei meccanismi che determinano i fatti linguistici e che, generalizzandosi, trovano applicazione pratica nelle strutture delle frasi. Ed Ë anche un documento di alto valore culturale che, in virt? della condizione esistenziale, per cosÏ dire, ancipite dellïautore e dellïesito cui per ciÚ stesso questi Ë pervenuto con questo lavoro, avvicina una volta di pi? le due citt‡ sorelle. Un documento, dunque, che, anche per questa ulteriore ragione, oltre che per quelle intrinseche, non dovrebbe mancare nelle case degli avolesi e dei notigiani pi? attenti e aperti alla vita e al destino dellïuomo. Un documento che conserver‡ nel tempo il suo valore e del quale perciÚ il lettore farebbe bene a ringraziare, riconoscente, autore ed editore, con lïauspicio che ci siano tra noi, e sempre pi? numerosi, dilettanti come Salvatore Di Pietro.
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