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Francesco Urso  |
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Demetrio Duccio, Filosofia del camminare, 2005, 8?, pp. 296, Euro 14,00
La strada ci cura perchÈ ci allontana da noi stessi
A pagina 31, 32 e 33 di Demetrio Duccio, Filosofia del camminare
Nessun luogo cosÏ composito, esposto, infido come la strada parrebbe poter essere fonte di cura, di raccoglimento e financo di consolazione. Eppure, Ë oltre il recinto, oltre le stanze, oltre il giardino, oltre il cortile che, mettendoci in cammino (e non solo metaforicamente), possiamo capire di pi? quel che siamo e vogliamo, che chiediamo a noi stessi. In una filosofia poetica, in una religiosit‡ personale paganeggiante e per questo guardata oggi ancora con sospetto, che si esprime nell'acuto, talvolta quasi doloroso, desiderio di sentirsi esistere sempre, e sempre di pi?, nella lucidit‡ della mente che cammina anche nei sogni, nel sonno, nei dormiveglia, nell'abbandono controllato dei sensi. Senza ricercare quella felicit‡ d'accatto, offerta come un prodotto di consumo, che non sia la gioia transeunte di aver raccolto un pi? intenso modo di percepire le forme plurime dell'esistenza. Un po' pi? di prima, sempre pi? avidamente di quel che si Ë saputo cogliere nei cammini precedenti.
La strada, che Ë viale, vicolo, piazza e poi sentiero, traccia, argine, Ë quindi una "strana" manifestazione dell'occuparsi di se stessi. Non perchÈ i muscoli si allenino, non perchÈ si scoprano cose gustose o si facciano incontri proficui e interessanti. Per l'esatto contrario:
-perchÈ i tessuti, sollecitati dal passo, restino senza uno sforzo cercato quel che sono, in base all'et‡ che ci Ë data;
- perchÈ le cose che si incontrano, osservandole da vicino, non saranno pi? le stesse nel momento in cui ne scriviamo, ne disegnamo - pur approssimativamente - i contorni;
- perchÈ non vogliamo proprio incontrare nessuno, in questi pur brevi spostamenti.
Senza alcuna tappa da raggiungere a ogni costo prima della sera; senza alcuna cima da scalare per essere fotografati in vetta o per farlo da soli in autoscatto; senza alcun abbigliamento da camminatori o emblemi peregrinanti. Semmai, lungo i loro percorsi meno battuti, parallelamente, a queste vie della fede, cercando nella dimenticanza delle selve una magione templare, un ostello verso gli imbarchi di Gerusalemme divenuto pieve o casale. La cura consister‡ cosÏ non nel dimenticare, nell'assentarsi da se stessi, nello "spaesarsi". Forse, all'apparenza, anche questo. Soprattutto nel concentrarsi di pi? su quel che non siamo, che ci viene a trovare perchÈ gli siamo andati incontro. Senza un tendersi la mano, un salutarsi, un informarsi reciproco. Dar altro valore alle cose, anche alle pi? consuete - in senso lato e multiforme - questo ci cura poichÈ non Ë rilassamento. » curiosit‡ avida. Siamo curati da un rinnovato, smodato, desiderio di distanziamento da noi stessi. Un camminare cosÏ, pi? che in altri modi di andare via, non morde, assaggia e poi riabbandona le cose. In una fretta ingrata e ingenerosa, scacciandole via. Ci consente semmai di assimilarle adagio, di ritrovarle, di sostare accanto a quelle che non c'erano il giorno prima, girandovi intorno. Ad attendere le altre che potranno esserci la mattina dopo o che avevamo trascurato. Tutto ciÚ Ë lezione esistenziale, consiglio morale. Se ci rasserena, sar‡ comunque pensosit‡.
...Il piacere del camminare meditando, per gustare quel che sentieri e strade secondarie riservano a chi pratichi l'arte dell'attenzione.
Peppe Santoro Giovedì, 18 Maggio 2006 19:31 Host: host136-156.pool80104.interbusiness.it
Un bel libro di un autore che apprezzo molto sopratutto per le indicazioni su come risolvere da sÈ i lievi problemi psicologici che possono capitare nella vita; ho apprezzato molto il libro anche come podista.
Buona lettura.
Peppe
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