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Venerdì, 7 Maggio 2010 17:02 IP: 93-46-17-93.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento

Raffaele La Capria
Trascrizione dell'intervento tenuto a Napoli
presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
in occasione della presentazione del romanzo
GILBERTE di Ignazio Apolloni
edito dalla Editrice Novecento

Io e Ignazio Apolloni ci conosciamo poco in realtà, questa sera è una delle poche volte in cui ci siamo incontrati, un'altra volta è stata a Palermo fuggevolmente. Il nostro era un rapporto soltanto epistolare dove lui, con l'ironia che gli appartiene, tante volte ha commentato alcune cose mie che aveva letto, e così ha sollecitato la mia curiosità. Io mi sono interessato a quello che faceva proprio perché è completamente diverso da me. Lui ha tutto l'estro, la genialità, la complicazione e direi anche la pazzia della gente siciliana, mentre invece io sono un napoletano, nato sotto la costellazione di Benedetto Croce, con forti tendenze illuministiche, quindi razionale. Lui è un irrazionale, per lui tutto ciò che è irrazionale è fondamentale, ciò che è razionale invece è da capovolgere. E forse non ha tutti i torti se vediamo che il mondo va più sulla strada dell'irrazionale che sulla strada delle cose razionali. È razionale quello che sta succedendo in Iugoslavia? È una cosa del tutto irrazionale, però accade; e purtroppo è questo il destino dell'uomo, di sapere come le cose dovrebbero essere e invece comportarsi in maniera contraria. Questo è l'Irrazionale, per me. Tutti sanno, per esempio, che la guerra è terribile però tutti fanno le guerre da sempre, da quando c'è la storia. Io però non ritengo superiore chi è razionale, penso che c'è una lotta continua tra i due estremi, da sempre, e ciò fa parte del mondo umano. Apolloni ed io pensiamo cose diverse sulla letteratura, sulla bellezza e soprattutto sul fare artistico, su come si scrivono i romanzi. Siamo diversi, e che male c'è? Però nonostante tutte le nostre diversità io credo che ci sia tra me e lui quella curiosità per ciò che è diverso da sé, che può rendere vivo uno scambio di idee e interessante un rapporto. Se due sono d'accordo su tutto non hanno niente da dirsi, mentre invece due che sono in disaccordo su tutto, come me e Apolloni, hanno molto da dirsi. Apolloni è uno scrittore di favole, di strane favole alla rovescia che non sembrano le più adatte da far leggere ai bambini, ma frantumate come sono e spesso legate a significati metaforici troppo ardui per una mente infantile, sono destinate ai grandi. È un autore che ama moltissimo l'artificio letterario e costruisce complicati enigmi narrativi, come avete sentito stasera dalle bellissime spiegazioni che hanno fatto del suo libro i relatori che mi hanno preceduto, D'Ambrosio e Fracchiolla. Lui costruisce enigmi narrativi complicati che per descriverli ci vuole un po' di tempo, e si nasconde sempre dietro inaccessibili e misteriosissimi labirinti mentali. Tutti i siciliani sono un po' così, ma lui in ciò rivela proprio di essere un figlio della sua terra ed è questo pure che lo rende interessante, perché non è che gli scrittori nascono così per caso e come le bolle di sapone. Nascono per delle ragioni ataviche, storiche, antropologiche in un determinato ambiente culturale; i siciliani con i bizantini, e gli arabi hanno una cultura dietro le spalle che è un po' un arabesco, proprio come è un arabesco questo romanzo di Apolloni intitolato "Gilberte". Lui è un romanziere che non ama le storie e non ama i personaggi, non ama le forme concluse del romanzo. L'avete sentito - è stato spiegato talmente bene che è inutile insistere su questo aspetto - lui è un affabulatore inarrestabile. Senza nessuna voglia di denigrarlo dico che è uno che si gioca la chiacchiera, così si dice a Napoli di uno che è abile con le parole. È uno scrittore, come è stato detto, che non ama il centro ma l'eccentricità e dunque la frantumazione, il non-sense, la digressione e così via. Insomma lo avete capito già, lui è uno scrittore sperimentale nel senso più vero della parola perché può dire di sé quel che diceva il nostro Giambattista Vico "conosco facendo" anzi nel caso suo sarebbe meglio dire "mi conosco facendo". Cioè man mano che lui scrive, si definisce, sa chi è, si scopre, lui insomma si conosce scrivendo i suoi libri autoreferenziali ed avvolgenti, omninglobanti come questo metaromanzo intitolato Gilberte che se dovessi riassumere e dire in due parole di che si tratta mi troverei in forte imbarazzo perché è difficile sintetizzarlo. Diciamo che si tratta di un viaggio, di un viaggio in cui ricorre in varie accezioni e con vari cognomi - il nome di Gilberte; così come con varie accezioni cioè con vari cognomi ricorrono e vengono menzionati molte celebrità, attori cinematografici, scrittori ecc... Diciamo ancora che questa Gilberte viene continuamente inseguita in varie città del mondo e in vari continenti da un io narrante di professione fotografo oppure che ha per alter ego un fotografo di professione; un fotografo che usa macchine le più insolite, come l'io narrante usa stili e tecniche sempre diversi per narrare episodi, anch'essi apparentemente sempre diversi e staccati l'uno dall'altro, uniti soltanto dall'intenzione dell'autore che dichiara - divagando da un argomento all'altro - che l'organicità di un'opera nasce appunto dalle intuizioni dell'autore, il risultato soltanto, dal caso. Questa è una definizione che dà lo stesso Apolloni ed è, secondo me, perfetta per indicare il suo modo di scrivere.
Con i paradossi Ignazio Apolloni è di casa, lui sostiene sempre cose paradossali, anche quando scrive una lettera. Sostiene, ad esempio, che si può criticare un libro senza averlo letto e forse non sa che qui fu preceduto da Emilio Cecchi che alla domanda di uno scrittore: "Maestro, cosa pensa del mio ultimo libro?" rispose: "Non l'ho letto; ma non mi piace". Sostiene Apolloni che tutto ciò che è regola, tutto ciò che è ordine anche del pensiero e della fantasia va rovesciato: e figuriamoci come ci resto io che sono invece un sostenitore del senso comune e lo ritengo in questo periodo in cui assistiamo al prevalere di tanti assiomatici concettualismi un prezioso strumento di interpretazione del mondo. Così come ho scritto nel mio libro La mosca nella bottiglia che è appunto un elogio del senso comune. Quindi lui è proprio tutto il contrario del senso comune eppure noi due ci parliamo e discutiamo dei nostri libri. Mi sembra così di avere sottolineato a sufficienza le differenze, direi anche le incompatibilità tra me e Apolloni nel campo letterario. Però questa differenza, come dicevo, mi offre una buona occasione di guardare con occhio estraniato, perciò credo abbastanza oggettivo al suo lavoro di scrittore e al suo continuo work in progress. Così quando ho ricevuto in lettura quest'ultima sua opera Gilberte, questo romanzo sui generis così lontano dal senso comune, ho visto nella sua costruzione, nella sua concezione, nel suo stesso picarismo intellettuale, nella sua erranza concettuale, il riflesso di tutta la personalità, l'esuberanza, e come ho detto prima la pazzia e l'estro del suo autore, e anche della Sicilia da cui proviene. Non sono qui per darne un giudizio, l'ho detto prima, non vorrei dare un giudizio critico ma solo portare una testimonianza e per ciò dirò che Gilberte mi pare uno di quei libri monstre che finiscono per possedere il loro autore avvolgendolo nelle loro spire e fagocitandolo, vampirizzandolo. È la creatura che possiede il suo creatore: questo succede in letteratura, e molti capolavori sono stati concepiti così. Joyce ne sa qualcosa, Finnegans Wake è un romanzo che possiede alla fine il suo autore; e Musil non fu posseduto da "L'uomo senza qualità"? Io non voglio dire con questo che Gilberte può essere paragonato a questi capolavori, io parlo di una tipologia, di un certo tipo di romanzo che si trasforma per il suo autore in una specie di incubo dal quale bisogna uscire in qualche modo tentando tutte le possibili strategie. Credo anche che un altro siciliano, l'autore di Horcynus Orca, il messinese Stefano D'Arrigo si sia trovato in una situazione simile, cioè con un libro che lo possedeva e con cui doveva fare i conti, come si fanno i conti, appunto, con Horcynus Orca. Dunque romanzo monstre, vischioso, che cresce per accumulo, ma anche romanzo che nega il romanzo tradizionale, e qui abbiamo il nouveau roman come ha spiegato il prof. Fracchiolla e come si desume anche da quanto è stato detto dal prof. D'Ambrosio.
Però io qui vorrei proporre dei riferimenti un po' diversi dopo aver detto che questi che finora sono stati rapportati al nouveau roman descrivono bene il carattere del libro. C'è un dato del nouveau roman che è proprio quello del romanzo dello sguardo cioè delle cose che cadono sotto lo sguardo, delle cose nude, esattamente come lo sguardo le coglie, chiuse in sé stesse e non interpretate ma solo viste, la pura visibilità; e questo successe quando cominciarono a tentennare le interpretazioni del mondo, le ideologie ecc: e quindi la filosofia fenomenologica, cioè quella che il mondo non lo interpreta ma lo descrive e che ebbe un forte influsso in quegli anni. Io penso che nouveau roman, l'idea di scrivere soltanto di ciò che si può constatare non di ciò che si può interpretare, fosse anche un modo di entrare in quel mondo di idee che circolavano allora. Ecco, tutto ciò che fa pensare ancora, e infatti i romanzi di Robbe Grillet lo sono, a romanzi un po' secchi, un po' magri, non a dei romanzi fluviali come quello di Apolloni.
Quello di Apolloni è una affabulazione fluviale con gorghi, con cateratte, vortici, insomma è come un'acqua che scorre, un'acqua trascinante di parole che corre in tutte le direzioni verso una foce che non si sa bene quale sia: però forse è la narratività stessa quella corsa dell'acqua di questo romanzo fluviale che è Gilberte. Nel mio libro Letteratura e salti mortali io affermo che i più grandi romanzi del '900 rispetto a quelli dell'800 sono dei romanzi non riusciti. In che senso? non per difetto dei loro autori, ma per costituzione, per necessità epocale, per fedeltà allo spirito e alle contraddizioni del tempo. E sono stati classificati così perché sono tutti in qualche modo dei romanzi di cui il dato principale è che non sono completi come un romanzo di Stendhal oppure di Tolstoi o come un racconto di Cechov. Tra le caratteristiche di questi libri non riusciti c'è da un lato l'incompletezza, cioè sono dei romanzi non compiuti, romanzi virtuali che il lettore deve completare con la sua collaborazione. Questa incompiutezza a volte è tale per scarsità, cioè si tratta di romanzi magri che non danno nessun appiglio, come per esempio i libri di Bataille; invece certe altre volte sono incompiuti per prolissità. Come per esempio Sade. Sade è un romanziere prolisso, ha scritto dei romanzi non riusciti che però sono importanti. Io non li amo, però sono importanti per definire lo spirito della nostra epoca.
Il libro non riuscito tipico del '900 è quello che lascia sempre le cose e il significato in sospeso perché nel nostro universo mentale, in questo universo del 900, non ci sono delle conclusioni che si possano trarre, siamo tutti "tra color che son sospesi". Ecco, allora che anche quando è sovrabbondante, un romanzo non riuscito - e "Gilberte" appartiene a questa categoria - non dice mai tutto quello che potrebbe dire. La scrittura appare solo come la parte visibile di un iceberg concettuale che sta sotto, invisibile, e che lo sostiene. E infatti tutto ciò che abbiamo sentito prima, quando è stato descritto il libro, è la parte sommersa dell'iceberg, che è stata spiegata molto bene e che ci fa capire meglio le ragioni di questo libro. La parte invisibile dell'iceberg, questa parte concettuale, è caratteristica di tutti i libri del '900 e di tutti i libri non riusciti di cui parlavo prima.
Lo scompenso tra la realizzazione e la concettualizzazione nascosta è appunto la caratteristica più notevole dei romanzi non riusciti del '900. A volte questi romanzi di cui parlavo, questi romanzi non riusciti per essere capiti hanno bisogno di un commento che appunto ne riveli la parte nascosta. Bisogna, insomma, certe volte capirli prima di leggerli. Per esempio i libri di Bataille prima li devi capire e poi li devi leggere. E un po' anche i libri di Apolloni sono così, li devi capire prima; devi capire come si muove questo scrittore, solo così diventa leggibile, se no ti sembra di entrare in un universo in cui le cose stanno tutte sottosopra, come in Alice nel paese delle meraviglie.
Infine nei libri che dico io, il dominio della forma, della struttura, è assolutamente prevalente. Perché? ma perché la forma e la struttura del libro dicono ancora più di quanto non possono dire le parole stesse esplicitamente.
Faulkner, sosteneva che per lui l'unico metro per valutare un libro e per giudicarlo "era il rischio e l'importanza del fallimento". Cioè quanto più un libro rischia di fallire tanto il libro era più bello e più importante. Quindi questa, secondo me, è una regola che si può applicare a tutto il '900 e si può applicare anche ai rischi che corre questo libro Gilberte perché più rischia di fallire più importante diventa l'impresa di scriverlo. Questi elementi di cui ho discorso si trovano per me anche in Gilberte.
Ora concludo. Ho fatto una ipotesi di classificazione di questo libro per inserirlo in un certo ambito e ho detto che può essere inserito nell'ambito dei libri non riusciti del '900, dei libri valutabili attraverso il rischio che corrono di fallire, attraverso il rischio del fallimento. Però vorrei fare anche un altro possibile riferimento e mi rifaccio a un libro molto importante nella letteratura e che ha avuto un'interferenza notevole fra gli scrittori di oggi, parlo del libro di Sterne, Tristram Shandy. È un libro scritto alla fine del '700 da Sterne che era un genio della digressione, ed è un libro fatto tutto di digressioni: dopo di lui gli scrittori hanno capito che si poteva anche scrivere un libro senza raccontare una storia filata ma una storia di episodi scollegati purché racchiusi in una cornice. E penso anche agli scrittori che sono venuti dopo, per esempio a Dos Passos e al suo 42° Parallelo o a New York, e a tanti altri scrittori polifonici, che hanno usato più voci per raccontare una storia, e non un'unica voce, la voce dell'io narrante. Ma ancora più ho pensato - sempre riferendomi a questo libro - a due libri che hanno avuto molta influenza su di me come lettore quando ero ragazzo, uno è Le onde di Virginia Woolf, che sono proprio le onde della narrazione, sono tante pagine di narrazione intorno a personaggi un po' vaghi che non raccontano proprio delle storie, sono come degli episodi che sempre uguali si rincorrono come le onde e vanno tutte a morire, come le onde, sulla spiaggia ripetendo sempre lo stesso movimento e la stessa musica. Oppure un altro libro sempre di Virginia Woolf che ebbe pure molta influenza su di me quando ero ragazzo Orlando. Orlando è un altro tipo, è una figura come Gilberte, corre però attraverso i secoli: c'è stato anche un film dove si vedeva questo Orlando che è un personaggio che si trasformava attraverso i secoli; era sempre lui però. Nel '300 era in un modo, nel '400 si manifestava in un altro, nel '600 in un altro ancora. Ora non mi ricordo più il film come si chiamava ma insomma così come Orlando attraversa i secoli anche Gilberte attraversa mutando e trasformandosi continuamente, paesi, continenti, epoche della storia. Se tutti questi riferimenti che io ho fatto a questi libri dovessero essere definiti e sintetizzati con una sola parola, io direi che tutti questi sono libri di metamorfosi proprio nel senso del libro di Ovidio, nel senso di Ovidio. Ovidio è il nume tutelare dei libri di metamorfosi e Gilberte è un libro di metamorfosi.
Questa è la mia definizione e chiuso.
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