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Giovanni Stella  |
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Mary Di Martino
Musica dell’anima
Libreria editrice Urso, Avola 2011, pp. 70, € 12,00
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Secondo alcuni fu Giuseppe Ungaretti, secondo altri (fra questi Fabrizio De André, l’indimenticato poeta e cantore) fu Benedetto Croce a dire che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie. Dopo lo fanno solo i poeti e i cretini.
Mary Di Martino fa parte della schiera dei poeti.
La sua silloge d’esordio, fattami dono della prima copia dall’editore Ciccio Urso al momento dell’uscita del libro – circostanza che evoca né più né meno la nascenza di una creatura – Musica dell’anima, ha come sottotitolo “Luogo e scrigno dell’Umanità”.
Pretenziosa, in verità, la titolazione ma a ben leggere essa deriva dalla forte carica emotiva che l’autrice ha riversato sulle pagine bianche annerendole di versi, delicati e incisivi ad un tempo.
Mary Di Martino è nata a Toronto (Canada), ma vive da illo-tempore, sposata con due figli, a Pachino (Siracusa), Capo Sud d’Europa, terra famosa per il pomodoro ciliegino e per i vini in purezza, ma anche stupendo angolo dove due mari, tempestosi come innamorati, si incrociano. Terra che come porta chiude e apre da e verso l’antico continente, oggi fatto oggetto di speranza di vita e di lavoro di gente che, disperata, fugge dal mondo arabo (punta di un iceberg, portante l’intera Africa che bussa alle porte del Pianeta…).
Il luogo d’origine e quello di vita dell’autrice, così profondamente diversi, hanno probabilmente inciso nella sua formazione e personalità.
Appassionata da sempre di musica, arte nobile e leggera per eccellenza, ora si è scoperta anche votata alla poesia che del suono è l’altra faccia della medaglia, la parola scolpita.
E lo spartito musicale sottostante il titolo che fa da copertina al volume ne da contezza.
Le ventotto poesie di cui si compone la silloge hanno, fra il titolo e il testo, una foto, ognuna delle quali meritevole (come del resto ogni poesia) di una notazione che segue la gioia degli occhi e ne permea la visione.
Dall’alta montagna innevata, baciata dal lago dove si specchia la vetta imbiancata, ai secolari alberi spogli dal freddo d’inverno ricoperti solo dal candore che soffice ammanta la via. Dall’orologio da taschino aperto fra le nuvole a un ruscello che scivola fra fiori e piante naturali. Da petali a uno spicchio di luna che fa luce nel buio della notte. Da uccelli che volano all’alba su un mare fermo a un fiore aperto. Da una visione di natura dedicata a papà (alla cui memoria peraltro è dedicato il libro) a fermagli di fiori in primavera. Da un campanile circondato d’alberi, che maestoso s’erge su una montagna, al tondo lunare che s’intravede fra oscure nuvole. Da una sfera di cristallo tenuta da mani delicate, a un cielo stellato di mezzagosto.
Dal pianeta terra cinturato di note a mani d’uomo che si tengono intrecciate. Da un arcobaleno simbolo di sereno in arrivo, a tre rose sbocciate, cuore della madre. Da una foto di Tolstoj seduto, al terremoto che ha devastato l’Aquila in Abruzzo.
Infine, una lente d’ingrandimento, che a forma di cuore si specchia in uno spartito musicale, precede una lettera ai figli – messaggio d’amore – , che conclude il libro unitamente a una canzone (su un motivo di Bruno Lauzi) titolata “Per non dimenticare”.
Ecco, anche se Ronsard aveva avvertito che “il ricordante e il ricordato hanno ambedue la memoria di un giorno”, qui l’autrice, urla un messaggio forte che sfida il tempo e gli uomini perché il sacrificio dei giusti eroi, Falcone e Borsellino, “uomini veri e coraggiosi”, resti scolpito come sulla roccia a futura memoria.
Sono versi, quelli della Di Martino, che non soltanto accarezzano l’anima, come la musica ma la colpiscono profondamente come le note quando penetrano a fondo e ne lasciano traccia sensibile.
Nell’Inno alla natura questa è “splendida …/figlia unigenita, /madre gloriosa e redentrice …/pace sognata /e mai negata …/ promessa di una /quiete agognata”. Qui la natura non è soltanto un dono prezioso ma anche un “inno d’Amore” per raggiungere la quiete, desiderio e sogno di ogni essere umano.
Poi, come nelle favole, “C’era una volta … e mai più” … “il mondo magico /giocoso” del “tempo di sogni e balocchi” che ciascuno di noi ha vissuto e con nostalgia ricorda: L’innocenza perduta.
“Principio senza fine, ora amico, /ora nemico, il tempo, ci coglie /ci sorprende furtivo nel momento /presente, con lo struggente /ricordo delle azioni passate, /dominate dall’ansia profonda /dei giorni a venire”.
In questa folgorazione c’è il viatico di ogni essere umano che i versi de il Tempo scandiscono come un orologio preciso.
Come non ricordare allora in proposito Eugenio Montale “ … Così il tempo inesorabile scorre /e improvviso d’un balzo s’arresta”.
C’è la Voce del silenzio che è “Amore senza fine”. C’è il Sogno d’infanzia, quando “… bambina stavo a /guardare dalla finestra, tutta sola …”.
Notturno è un “canto nostalgico/ soffusa e seducente melodia”. Alito di vita chiarisce che la “Vita …/ (è) perenne chiaroscuro, /eterna e dominante /verità …”. Al Papà dice che “sei stato, sei e sarai, /per sempre, perno e /forza insondabile /della mia esistenza”. Allo Zahir (pensiero ricorrente, di derivazione araba), ad Amnesty International e alla Madre sono dedicati versi che non si possono non leggere e apprezzare.
Il resto lo diranno e lo penseranno i lettori ai quali si suggerisce la lettura di queste poesie intrise di musica.
<b>Giovanni Stella
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