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Corrado Stajano, Patrie smarrite
Noto, Cremona e le insensatezze della storia nell'ultimo racconto di Corrado Stajano
da IL CORRIERE DELLA SERA 21 settembre 2001
<Pietroburgo! Ho ancora gli indirizzi, RintraccerÚ cosÏ le voci dei cadaveri>. Sono versi di Osip Mandelístam, il poeta russo morto in un lager staliniano. Appartengono a una poesia, Leningrado, scritta nel dicembre 1930, di cui si ricorda Corrado Stajano, nel suo nuovo libro Patrie smarrite (Garzanti, pagg. 189). E questi due versi potrebbero esserne la migliore epigrafe. Gli "indirizzi" di Stajano sono quelli di Noto e Cremona, suoi luoghi díorigine, i paesaggi dellíanima, le "patrie smarrite" che occupano le due sezioni del libro. Sezioni ben saldate da un filo comune: la dolorosa memoria personale che diventa memoria pubblica, storia del Novecento italiano. Nel ricercare i propri fantasmi (quello paterno in Sicilia, quello materno nella Bassa padana), Stajano ritrova brandelli di storia collettiva. E si accorge che al dolore della ricerca familiare si aggiunge una sorpresa ancora pi? straziante: la consapevolezza di non appartenere nÈ al Sud nÈ al Nord. Di sentirsi un estraneo ovunque. Illudendosi sempre che la vita sia altrove.
Ma andiamo con calma. Nella prima parte líio narrante torna a Noto nel tentativo di vendere le terre del padre, "stoppie, ulivi, mandorli e grotte dellíet‡ del bronzo". Forse le vender‡, forse no. Ma non Ë questo che importa. CiÚ che conta Ë che quel ritorno, tra líagosto e il settembre 1998, scatena nella coscienza dellíautore il desiderio di una ricerca puntuale e quasi ossessiva di tutti i segni e gli indizi lasciati dal passato nei suoi tanti nodi ancora irrisolti. E il fulcro del racconto, attraverso ricordi personali, referti, memoriali, testimonianze dirette, documenti inediti, diventa cosÏ la ricostruzione rigorosa dello sbarco anglo-americano sulle coste orientali dellíisola, nel luglio 1943. Momento cruciale in cui una intera collettivit‡ rivela il proprio carattere, attraverso le parole, i gesti, i silenzi, le collusioni, gli eroismi, le piccole e grandi vilt‡. La narrazione, scandita in forma di diario, ha un montaggio calibratissimo che alterna il racconto presente, con i materiali díarchivio rinvenuti nel corso della quÍte (i diari personali di un canonico e di un bibliotecario, i bollettini di guerra, i notiziari di Radio Londra, le cronache dei giornali, eccetera) e testimonianze ancora pi? antiche consegnate in varie forme alla storia (le fonti archeologiche, i brani di Tucidide dedicati alla battaglia dellíAsinaro tra siracusani, spartani e ateniesi; il testamento di un conte locale del Settecento; altro ancora). Si ha la sensazione, nel procedere del diario, di un presente compresso e vertiginoso, un presente invaso da un passato prossimo e un passato remoto che in fondo gli somigliano. Un procedere pendolare per digressioni e incastri, in cui quando meno te líaspetti possono comparire Vittorini, Goethe, Mann, Borgese, De Roberto, Antonello da Messina per offrire segnali, possibili bagliori tra le ombre del tempo. Ma possono fare da guida anche personaggi meno illustri, come il comandante Mimmo o Michele Luminati, professore di storia del diritto allíUniversit‡ di Zurigo, che attratto dal fascino di Noto combatte da "straniero" la sua battaglia civile contro il degrado del paesaggio e delle coscienze, contro líindifferenza e líambiguit‡ dei cittadini. E poi cíË il paesaggio, le meraviglie e le offese: le spiagge rossastre, i colori, gli odori di gelsomino e di ricotta, il tufo, i profili cadenti delle architetture barocche. Tutto ciÚ che seduce e respinge. Come il carattere eterno dei siciliani ("la nostra razza non Ë degenerata, Ë sempre la stessa", dice il principe Consalvo nei VicerË), pronti a salutare il nemico come un salvatore, cosÏ certi della loro superiorit‡ per diritto di nascita, insofferenti, passivi, sconfitti.
Le brume della Bassa, visitate tra il gennaio e il febbraio 1999, sembrano nascondere, allí"ambiguo figlio di un quasi emigrante che sente nel profondo il conflitto tra il Nord e il Sud e la difficolt‡ di comporre le due anime", un paesaggio interiore speculare. L‡ il capriccio voluttuoso del ghirigoro barocco, qui la linearit‡ geometrica del romanico. L‡ il caos violento, qui il placido Po e la pianura cantata da Virgilio. L‡ una fantasia esasperata e irrazionale, qui ordine e concretezza illuminista. Ma non saranno due facce inconciliabili della stessa, italica, medaglia? Patrie perdute dal narratore o piuttosto patrie che si sono smarrite da sÈ? La parabola di Farinacci, il ras di Cremona sotto il fascismo, Ë esemplare. Nel vivisezionare (anche qui attraverso un immenso materiale documentario edito e inedito, fotografico, epistolare) la sua protervia, la sua resistibile ascesa e la sua caduta, Stajano cerca in realt‡ di interpretare come sia stato possibile che una popolazione di antica cultura e di tradizioni democratiche abbia consentito e anzi favorito, con divisioni, furbizie, losche complicit‡, líimporsi dellíuomo nero, accettando di farsi cavia della violenza. A dare risposte e a formulare infinite altre domande, concorrono, come nella prima parte, il saggista, lo storico accanito e soprattutto lo scrittore civile alle prese con un bricolage di informazioni, note, carte, ritagli, ricordi intimi, ma capace di servirsene per dipingere tutte le sfumature di una tragedia non privata bensÏ collettiva, non siciliana o cremonese bensÏ italiana. E lo fa con uno stile pacato spesso acceso da flash improvvisi del pensiero, da visioni, da accostamenti imprevisti, da accelerazioni del ritmo, da fughe in avanti e ritorni, che lasciano in sospeso e poi riprendono personaggi maggiori e minori (memorabile il ritratto della coppia Ausenda-Amigoni, antifascisti pronti al tradimento).
Ritorno: quanto dolore nei ricordi che affiorano, contro ogni volont‡, nel ritorno alla casa dellíinfanzia e dellíadolescenza, la casa materna, con i suoi oggetti da svendere, con i mobili da imballare, le pareti da liberare, le vecchie carte salvate dallo sfaldarsi lento della famiglia. Quanto dolore nel ritrovare per caso, dentro una cassaforte, la pistola díordinanza del padre. Epifanie, tracce di una felicit‡ perduta, "voci di cadaveri", piccole coincidenze privatissime, che trovano un loro senso solo nelle insensatezze della nostra Storia. Che hanno ora trovato, con Patrie smarrite, il loro grande romanzo.
Paolo Di Stefano
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