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Lucia Bonanni  |
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POETA PRESENTA POETA
Lucia Bonanni per “LE NOSTRE ESISTENZE” di Sonja Alia Terminello
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/e questa siepe che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, ( G. Leopardi, “L’infinito”) e dietro a quella siepe che esclude lo sguardo, ma non l’immaginazione e la fluidità di scrittura, ci sono “Le nostre esistenze”, ravvisabili altresì in quella forza centrifuga e in quella centripeta che al contempo la mano esercita su certe acque lattescenti di uno stagno immaginario; legge fisica di cerchi concentrici che si staglia sulla prima di copertina e diviene così immagine di un canzoniere i cui componimenti si susseguono secondo precisi criteri e legati fra loro da un refrain che evoca assenze e lontananze ed “aria lontana di memorie”(op. cit.) insieme a quella nostalgia mai sublimata e quella tristezza mai disciolta “nel tempo fluente” (ibidem).
“A volte si è tristi, a volte… A volte si è paghi, a volte… per un senso non svelato …per un senso ritrovato” (ibidem) e “tra odore di resina e mirto” (ibidem) “ risponde/ al pianto il canto/(del silenzio)/ che il pianto australe/ non impaura”. ( G. D’annunzio, “La pioggia nel pineto”)
Nell’opera di quest’autrice al registro linguistico assai colloquiale e spesso narrativo fa riscontro una sintassi essenziale, scarna e lineare, una sintassi che mai si addentra nel labirinto di una paratassi articolata in concatenazioni e legami complessi. Un costrutto, questo, che permette a chi legge di poter carpire con facilità i messaggi segreti e quelli palesi che ciascun componimento va ad enunciare e caratteristica e stile di scrittura diviene l’uso di versi brevi, formati anche da un solo vocabolo, da un solo elemento grammaticale, versi che talvolta diventano versi lunghi quasi a voler porre una cesura alla climax dei pensieri come pure a quella accumulazione di parole, allineate ordinatamente per dare risalto all’espressione concettuale e a quella ritmica che talvolta si fa incalzante. Espressione che denota, sì, un impianto stilistico analogico e simbolista, con belle metafore e similitudini, ma che si assimila al primo periodo della poesia ermetica e che denota anche un impianto ritmico, punteggiato qua e là da rime irrelate e rime perfette, e che per questo è da ricondursi alla poesia ermetica di un Caproni, di un A. Gatto, di un Betocchi, di un Bigonciari, di un Sinisgalli, di un Luzi, e non ultime a quelle forme intimistiche e contenutistiche di pascoliana memoria.
Anche gli spazi bianchi, usati con maestria dall’autrice, e disposti tra un verso e l’altro ed una strofa e l’altra, non sono qui mero artificio di modernità o semplice artificio di scrittura, bensì risultano essere finalizzati ad una pausa più lunga per motivare l’attesa in chi legge e conferire una più costante riflessione. Così le parole indefinito, infranto, ricordi sbiaditi, identità, ombra… si fanno testimoni di quel “male di vivere” che la poetessa, trafitta da “un raggio accecante di sole” (ibidem) vorrebbe fugare prima che sia “subito sera”, quella stessa sera “laudata (per quel suo) viso di perla/ e (per i suoi) grandi umidi occhi ove si tace/l’acqua del cielo” (G. D’annunzio, “La sera fiesolana”).
Nei propri versi la poetessa vorrebbe poter afferrare quel tempo passato di cui solo ha ricordo di “suoni lontani” (ibidem) e trasportarlo nel presente in cui “una brezza leggera e danzante” (ibidem) possa di nuovo riempire la mente.
Di grande impatto e coinvolgimento emotivo le letture dei versi che l’autrice enuncia e propone anche per quel desiderio di pace mai svelato “per il comune senso del pudore”, ma che tra una sillaba e l’altra si affaccia in attesa di essere colto come esile fiore di campo, desiderio che si fa temerario quando vuol donare “cieli azzurri e orizzonti tersi” (ibidem) e si rammarica perché solo la vita a questa sua creatura ha “saputo dare” (ibidem).
Questa che l’autrice crea è poesia del cuore e “la poesia del cuore non è che illusione di speranze e di ricordi” (ibidem), lirica pura in cui il tratto che fa da collante all’intera silloge è l’amore, l’amore denso di malinconia e rimpianto, di desiderio di quiete e, forse, di un ovattato senso di rassegnazione, l’amore filiale e quello di donna e di madre, l’amore verso gli ambienti e gli aspetti della natura in cui sempre compare quel senso di fondo “sempre uguale nel tempo” (ibidem), l’amore che sempre conduce a far pace col dubbio e col più acuto dolore perché ne “Le nostre esistenze” “non varrà/domani/ ciò che stasera sarà”.
Lucia Bonanni
San Piero a Sieve
7 aprile 2012
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