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 Mercoledì, 2 Maggio 2012 01:06 IP: 2.192.242.244
POETA PRESENTA POETA: Mary Di Martino per
“Le nostre esistenze” di Sonja Alia
“Cerco l’infinito” di Lucia Bonanni
“Vibrazioni sconosciute” di Cettina Lascia Cirinnà
(Libreria Editrice Urso, Avola 2012)
“La poesia è un vomere che ara
e rivolge il tempo,
portando alla superficie
i suoi strati più profondi e fertili;
la sua terra nera torna alla luce.”
(Mandel'ŝtam)
La loro fioritura - un candido sbocciare in filari che dipingono incantevoli vie di fuga verso il cielo, là dove le nuvole cambiano continuamente forme e direzione, come i pensieri, come le sensazioni - è uno dei più poetici annunci di primavera che la natura siciliana sappia regalare allo sguardo... Ebbene, è proprio pensando ad essi, ai mandorli della mia terra, che mi sovviene un paragone con la variegata “esplosione” di poesie fiorite, da nord a sud, di questa bellissima primavera letteraria avolese, di quel dì di marzo, all’interno della splendida cornice in cui si è attuata e conclusa l’edizione 2011/2012 del Concorso: “Libri di-versi in diversi libri”.
Nelle eleganti e policromatiche vesti grafiche della Libreria Editrice Urso, i numerosi libri di poesie presentati in concorso sono stati scelti e pensati come tanti diversi tasselli di un grande mosaico emozionale sapientemente confezionato, come una mappa esauriente, un sistema aperto in uno spazio in cui sono venute a convergere le specifiche individualità degli scrittori emergenti e di talento, ognuno con le loro interiorità ed esperienze di vita, con le loro virtuosità poetiche e scritture differenziate. Ma uniti tutti dall’affinità delle loro anime e dal comune amore per la Poesia, intesa, secondo la concezione di Paul Celan, e che io condivido, come “luogo utopico”, ma pur sempre realissimo, di un possibile incontro con l’altro. Luogo che il poeta rumeno identifica con il “meridiano” (titolo omonimo della sua nota opera), figura immaginaria, metaforica, geografica, segno convenzionale e criterio di orientamento nello spazio e nel tempo. Una linea immateriale, ma allo stesso tempo terrestre, reale che indica una direzione attraverso svariati territori biografici e concettuali, su cui ogni individuo, (ogni poeta), ha la possibilità di tracciare il proprio cammino verso l’altro o ciò che è “altro”, dilatare lo sguardo al di là dei confini nazionali, scorgere connessioni nuove, congiungendo voci associate e fuse, provenienti da spazi, tempi, e lingue diverse.
Un pensiero, questo, capace - come afferma Mandel’štam ne “La parola e la cultura” - di muovere e rivoltare le zolle della cultura, avvalendosi di un “vomere” altrui, la poesia, appunto. Tendenza, a me pare, riscontrabile anche in quella che è stata l’anima del Concorso letterario organizzato da Ciccio Urso, per quel gesto di “meridiano” scambio empatico tra un poeta e l’altro che ha caratterizzato l’intero evento letterario, per quel mettersi in comunicazione, in simbiosi con l’interlocutore che diventa elemento dell’Io, fino ad esserne parte costitutiva. E', infatti, nello scambio, nel continuo confronto con il mondo circostante, che l’anima umana prende anche coscienza della sua complessità e ricchezza.
Questa, si può dire, l’essenza che sostanzia tre silloges d’esordio, fattemi dono dalle stesse autrici mie amiche, che, grazie all’irripetibile individualità di ognuna, concorrono a formare una koinè tutta al femminile, creativa e coinvolgente insieme. Si tratta de “Le nostre esistenze”, “Cerco l’infinito”, “Vibrazioni sconosciute” (Libreria Editrice Urso), rispettivamente di Sonja Alia, Lucia Bonanni e Cettina Lascia Cirinnà, tre donne diverse per personalità, ma accomunate da un’intelligenza marcata mista ad una estrema sensibilità.
Leggere i loro versi è stato come trovarmi di fronte a un potente afrodisiaco per l’anima, a un caleidoscopio di indescrivibili emozioni! Mi sono entrati subito nel cuore perché parlano sommessamente e semplicemente di ciò che sentiamo…
Da essi emergono tutte le peculiarità artistiche e culturali di ognuna, sottolineate in tutto il loro incisivo spessore. In particolare, si percepisce un sottile filo di senso, quasi invisibile, che lega non solo ogni parola all’altra, ma un mondo interiore all’altro, quasi a tracciare, pur con le differenze significative delle espressioni poetiche e della metrica, uno stile compositivo che riesce, con effetti e declinazioni assai diversi e personali, a coinvolgere chi legge come trascinato da una scia di vento, che ti prende e poi ti lascia andare, in una sarabanda semantica di visioni oniriche e reali... “Offrire una poesia, e la propria apertura ad esplorarla insieme, è dichiarare la propria disponibilità ad accompagnare l'altro nel suo sentire nascosto e pudico.”
Far correre la mente sulle parole di queste poetesse è come passeggiare su un arcobaleno, volare tra le galassie, navigare tra le stelle, vivere per un po' abbracciati alle loro anime così calde e radiose, così pulite, sottili, palpitanti… e così morbidamente femminili! Questo è il sussulto inebriante che a me ha offerto la loro poesia: tutto il canto dell’universo dentro di me, per quel valore supremo dell’immaginazione che diventa conoscenza, grazie al lavoro dell’artista che la rende eterna, in quanto “quel che l’Immaginazione coglie come cosa bella, quella deve essere la Verità.” (J. Keats).
“Entrare" come per magia nelle intenzioni che hanno scaturito la nascita di quelle parole è come scoperchiare ciò che non è esplicito, estrarre dalla polvere che ha ricoperto le pagine ricordi, sensazioni, turbamenti… Mi è sembrato quasi di vivere la stessa emozione d'un archeologo che scava nella terra, nel passato, nell'oscurità del tempo, per riportare alla luce ciò che era sepolto, sedimentato, dimenticato, celato sotto un sottile velo di terra. Per tirar fuori anche un solo bagliore, dove non si credeva di poterlo trovare…, un bagliore che renda giustizia a emozioni taciute e, forse, mai condivise, affinché riconduca al messaggio autentico di amore per la vita e possa creare empatia. Sì, proprio quell’empatia, di cui ho fatto cenno sopra, grazie alla quale, proprio in virtù di quel vecchio principio ermetico che da sempre conferma che “siamo tutti costantemente in contatto”, un “io” insieme agli altri “io” sarà capace di tessere questo grande arazzo che è il mondo, pieno di strappi, sì, ma non ancora troppo tardi per immaginarlo come il migliore dei mondi possibili.
E queste poesie, oltretutto simili a pregevoli e precise miniature di Holbein, sono la dimostrazione di quanto ciò si possa realizzare, nel loro tentativo di valutare il senso della vita e di raggiungere, in un mondo caratterizzato da miseria e sofferenza, qualcosa di permanente da conservare nel tempo.
In questo processo di analisi e di immedesimazione, nel quale “ è me che vengo a cercare... perché è in te che sono.” (A. Anzellotti), le voci delle tre poetesse diventano un tutt’uno con la bellezza del pensiero e la forza magica e trasformativa della loro poesia. Forza incantatoria che, attraverso il gioco delle parole, muta con meraviglia e lirismo nascosto forma, colore, sostanza a seconda delle sfumature che vuole comunicare ed imprimere al messaggio. Non sono più il pensiero e l’emozione a venire trasmessi per mezzo del linguaggio, ma è il linguaggio stesso a generare un suggestivo spazio semiotico, in cui il lettore diventa interprete attivo e creatore di senso.
E su questa superficie di senso e di segni, così finemente increspata, s’innesta la silloge poetica “Le nostre esistenze” di Sonja Alia, una raccolta variegata di stati d’animo stilati con l’inchiostro dell’emozione sul cuscino di versi e strofe che incantano per la loro sottile e leggera eleganza architettonica, in cui l’uso degli spazi bianchi e l’assenza della punteggiatura vogliono esprimere la volontà di un monologo tutto interiore, pause di silenzio che sono propri dello spirito e della mente.
Quelli della Alia sono versi che, come quei candidi fiori di mandorlo o come i petali dei fiori di ciliegio, profumano di delicato sentimento d’amore, di speranza e attesa, di “… un’attesa / che muti il silenzio in concerto / di suoni e rumori / che / riempiano l’aria ed il cuore / di nuove / e / di antiche parole”. E si tramutano in un’elegia teneramente proustiana del tempo perduto, in quanto “corrono gli istanti della vita… trasformando i palpiti del cuore in schegge di ricordi da assemblare con stupore…”.
Sono parole - note su quel pentagramma che è il foglio di carta della nostra vita, su cui la nostra poetessa compone ed imprime pensieri ed immagini che si fondono in una sinfonia dolce e malinconica, dove indelebili ritagli di felicità e dolore, memoria affettiva, sussurri di ricordi e sensazioni sono gli arpeggi delicati di una partitura impaginata con il filo rosso dell’Amore. Attraverso questa silloge, che ha una propria luce, è possibile respirare il sentire sincero e introspettivo dell’autrice avolese, entrare con sorprendente naturalezza tra le righe dei suoi versi, ricavandone tenue sfumature e un universo di sentimenti condivisi.
In Sonja l’uso vibrante della parola, condensata in immagini e metafore, e avvitata alla forza interiore, si converte in densità di pensiero, in emozioni… quelle stesse emozioni che battono nel suo cuore. Un cuore che “… fa pace col dubbio e il dolore… ”, e nel quale “… si avverte / profondo / il mistero della vita che nasce / ma che niente conosce… “, un cuore, comunque, “… sempre assetato d’arsura d’amore”, e dove l’anima, l’intima vita dell’essere sensibile vissuta con coscienza vigile e attenta, si rivela in termini rari e profondi.
La sua poesia, misticamente bella come l’Ave Maria di Schubert, calibrata sugli affetti familiari, sui rapporti umani, ma anche volta alla sensibilità per l’aspetto metafisico della vita, è essenzialmente ricerca, meditazione nelle parti più fragili del nostro essere. Quasi viaggio in “questo universo / d’incontri / di fatti / che / ignari se realtà o parvenza / noi vivi chiamiamo esistenza”, e dove “siamo pugni di anime / proiettate nell’indefinito / come lo sono le stelle / nel buio infinito” e “le nostre esistenze / (sono) identità / che / scivolano / ogni giorno / fluttuanti e diverse…”.
La silloge “Cerco l’infinito”, di Lucia Bonanni, è la poesia stessa… Quella poesia che, secondo il parere dell’autrice, “fra tutte le arti è la più genuina, per quel suo sgorgare repentino dall’animo”, attraverso il “muto fragore” delle parole “che tra le righe / frantumano pensieri… le simmetrie / di luce che tra le sillabe / prendono colore… / e… che sulla pagina intonsa / un frusciare d’ali / lascia di seta…”.
Indizi, questi, di una poesia ialina che predispone l’animo al sublime, alla chiarità di montaliana memoria e, al contempo, manifesta una sua profonda autenticità, una labirintica forza dettata, come lei stessa nota, dal “desiderio sempre inquieto di concretizzare le idee... di condividere le pene di molti e dare poesia agli uomini… “Ehi, tu…, uomo / del terzo millennio, / imbevuto di bit, giga e ciberspazi / e da mille fronzoli / attratto, / che dinanzi alla mia penna / con fare allucinato / passi distratto… / allenta un momento il passo…”.
Tentativo il suo che si concretizza nella poesia, al fine di raggiungere qualcosa di permanente, non effimero, di recuperare i valori dell’esistenza contro la civiltà del rumore e del fatuo, attraverso il dono di “quel caleidoscopio di emozioni”, proprio perché di quel “soffio vitale e trasparente non si può fare a meno…” Verità riecheggiante “nella riposata stanza” (G. Pascoli) della Poesia, appunto, che consente di penetrare nella melodia segreta delle sfere celesti e di dare, secondo la convinzione di Wordsworth, “un’ancora di stabilità” alla vita, “essendo la sola possibilità di compensazione di un vuoto abissale.” (S. Raffo).
La poesia della Bonanni, pregna di un’innegabile fermezza morale, e insieme, fusa nelle passioni e nei sentimenti che ha come sottofondo il rumore della vita, viaggia nei versi come un fiume in piena… Avvolge e coinvolge per la forza icastica ed il mistero rivelatore della parola, in un cercarsi e un cercare continui, in un divenire cosmico, non rassegnato, dove si cercano le proprie radici e le proprie ragioni di vita. Da essa traspare un’anima profonda e sensibile: quella della persona che sa, conosce la fragilità della vita, le condizioni sociali, i disvalori e cerca, nell’inconscia speranza, di comunicare agli altri il proprio amore e trovare oltre la parola il centro, l’equilibrio dell’anima.
I versi di Lucia sono intessuti di corpose ghirlande di aggettivi, simboli, metafore, talora fuori dal tempo reale, che si incrociano, si rincorrono e rilanciano un linguaggio innovativo di forte impatto emotivo, grazie a quelle “intermittenze del cuore” – per dirla con Proust – che ci riportano alla memoria eventi o persone rimaste in ombra e che servono per ritrovare se stessi, o magari, per reintegrare “vuoti” del proprio vissuto.
E su questa superficie cromatica, nutrendosi di quella libertà sintattica che coincide con la libertà dello spirito, i suoi versi si pongono quasi come un “parlar cantando”, respirano un’aria nuova, riescono ad illustrare, evocare nel bianco di una pagina, nel mistero e nei riflessi intensi di poche parole, tutta un’umanità con i suoi stati d’animo e le sue emozioni più recondite: il mondo degli affetti, dei ricordi, quello dei bambini, degli umili e indifesi… “Quel globo… / quel pianeta / da dita sorretto di quanti / in misteri di cosmica affinità / un futuro migliore sperano ancora…”.
Non sono però quasi mai quadri reali, definiti nei suoi contorni, quelli che i suoi versi tratteggiano con tanto scrupolo. Caratterizzate da azzurrità e luce, le parole di Lucia Bonanni sembrano dissolversi e ricomporsi, quasi in una sorta di confusa dissonante orchestrina, per quell’intrecciarsi di trascendente e contingente, per quell’avanzare lentamente in un “altrove” più evanescente e sognato, dove c’è un’attenzione, una premura tipica di quell’ansia che consente alla poesia il “volo dell’albatro”, secondo la struggente immagine di Baudelaire. “Volo” che è anche tensione interiore che vibra con le correnti del nostro cuore, anelito, sete di ricerca di libertà e d’infinito che prende l’anima e la trascina in un viaggio affascinante, senza alcuna limitazione di tempo e di spazio…
“Per andare dove amico?” – chiederebbe J. Kerouc, “On the road” – “Non lo so, ma dobbiamo andare e non fermarci mai, finché non arriviamo”. E per Lucia “quella dell’Infinito / è una sete che non si placa /e un vagabondare che non si arresta… desiderio di eternità… ombra che insegue (o) / tra dolci rime e colori sognanti…”, o “meta… nel sito sconfinato della (mia) memoria / così falsa e così vera”, che diventa “un ponte levatoio” tra “contrappunti di tinte e teorie di pensieri”, al confine tra sogno e realtà.
E in tali dimensioni e luoghi della mente, quando non si sa più dove finisce la realtà e comincia il sogno, tra l’interno e l’esterno, tra l’io e il mondo, tra i flussi inquieti e i riflussi arcani dell’anima si trova a cercare risposte anche Cettina Lascia Cirinnà, con la sua silloge poetica “Vibrazioni sconosciute”.
Vibrazioni, le sue, che si trasformano in versi intrisi di delicato sentimento, e questi in suoni, in cui la parola, come una corda di violino, non perde la sua essenza, ma viene investita di nuova energia. Sono parole che riescono a rubare l’impressione del momento, versi dallo slancio luminoso e fulmineo che si tramutano in schizzi colorati su una tela, la tela della vita. E come un “fascio di luce” illuminano i pensieri, “i petali puri e vergini di pensieri” che “affiorano dalla sabbia rovente / per dischiudersi / al chiarore della luna / e offrirsi così / senza reticenza alcuna / alle gioie dell’amore.”
Con accorata musicale limpidezza – quella stessa musicale limpidezza che connota gran parte delle malinconiche e struggenti melodie di Debussy – la poetessa scrive il suo sentimento scavando nell’alveo del tempo, “di un tempo presente / per sempre passato”, che delinea il carattere intenso e lacerante con cui affiorano “sopra un tavolino sgangherato / di memorie lontane…” affetti familiari, luoghi, persone e ricordi “stipati nella memoria / archiviati per stagione, per mesi, / per sospiri…”, in quella “scatola... colma di ninnoli e di foto / di un tempo / che non tornerà / mai più.”
I versi di Cettina si dispiegano come un vortice di sensazioni ed emozioni frammiste ai ricordi, come una spirale ascensionale che ci sorprende, ci fa gioire o soffrire, perdere la misura del tempo, ma senza mai farci perdere il filo della speranza! “Nel cerchio dell’esistenza / pareti bianche / si infrangono / ed io paziente / aspetto un fiore delicato / far capolino /da un terreno / avido /di speranze.”
Nella mente di Cettina rivivono situazioni e visioni trapuntate di nostalgica intimità, in un’evasione dell’Anima che “si dondola indifesa / tra i laghi e il mare / e raccoglie i cocci / di un cuore in eterno affanno.” E nel suo “acquario dell’Anima… / nuotano in ogni direzione (....) vestiti, oggetti regalati, fermacapelli, nastri colorati, bracciali, collanine…” che “in silenzio aspettano / di rivivere nei ricordi / di un passato recente…” Tutti tasselli colorati di un mosaico infinito nascosto “nei materassi della memoria”. In quella “memoria di corpi astratti” che “ riempie la mente,” e “svilita aspetta il domani /… diverso dall’oggi”, in un “divenire (che) si fa mistero e avvolge stanze vuote di vita.” Pensieri e vita, concetti e immagini si intrecciano, si accavallano come il susseguirsi delle onde marine! Le atmosfere sono allusive e sognanti, le rievocazioni, dai contorni indefiniti, sono rese con un commosso realismo descrittivo, dalle quali si possono scorgere lampi eterni con cui si “insaporiscono” i giorni della nostra vita.
Nella poesia della nostra autrice tutto può essere una “porta” che si apre; basta una lieve pressione e qualcosa può accadere! Può aprirsi “ uno spiraglio / di vita vissuta…”, attraverso cui “ombre e luci si rincorrono… / gioie e dolori si alternano…”; si possono aprire “orizzonti… sul mare infinito”, “strade senza margini / confini aperti all’infinito / senza steccati…” dove “i pensieri / corrono liberi / senza costrizioni.” E' l’afflato, la grazia spirituale che si manifesta, la porta dell’anima… la sola in grado di esplorare la vastità del cuore, poiché solo nell’immensità del cuore si trova l’accesso alla bellezza di tutte le cose, e la Poesia - come ce lo dimostrano Cettina, Lucia e Sonja - è la più bella risposta al richiamo dell’Anima… e alla sua eterna Bellezza.
Pachino, 11/04/2012 Mary Di Martino
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