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Martedì, 10 Luglio 2018 23:14 IP: 62.170.75.133 Scrivi un commento Invia una E-mail

PER “LE MANETTE – Dramma in tre atti” di Teocrito Di Giorgio

È molto difficile fare e parlare di cultura al giorno d’oggi perché si rischia di non essere capiti o, peggio ancora, di essere derisi. Esistono tuttavia ancora baluardi, che si pongono autenticamene e caparbiamente e, aggiungerei, instancabilmente il proposito di portare avanti questa missione impossibile in un’epoca nichilista come la nostra.

Certamente uno di questi baluardi è costituito dalla Libreria Editrice Urso di Avola, che non ha mai smesso un solo attimo di organizzare eventi culturali – aperti a tutti e senza onere per alcuno –, capaci di restituire la perduta identità della nostra città.

È risaputo che il patrimonio culturale di una comunità, piccola o grande che sia non ha importanza, esprime il significato della nostra identità: chi siamo, possiamo capirlo soltanto se non trascuriamo la conoscenza del nostro patrimonio cultuale e la sua tutela.

E d’altronde, un motivo ci sarà stato se anche i padri costituenti hanno avvertito l’esigenza di consacrare all’art. 9 della Costituzione, quindi tra i principi fondamentali (che non possono essere oggetto di modifica alcuna), il riconoscimento e la tutela del patrimonio culturale e paesaggistico.

Tutelare il patrimonio culturale significa, nella sostanza, custodirlo per le generazioni future perché queste possano apprendere della loro origine e capire ciò che sono.

Ciò dovrebbe essere compito di ognuno di noi – e principalmente delle istituzioni preposte e degli amministratori locali – fare in modo che la conoscenza delle opere, degli autori, dei monumenti, del patrimonio culturale nel suo complesso, che ha segnato la nostra comunità non venga dimenticato o ignorato.

Uno degli ultimi lavori edito dalla Libreria Editrice Urso di Avola si indirizza proprio in questo senso con la pubblicazione del dramma teatrale “Le Manette” di Teocrito Di Giorgio, a cura dell’avvocatessa Maria Suma, che ne ha appunto curato la pubblicazione e la prefazione al testo.

Teocrito di Giorgio era un figlio della nostra città di Avola, avvocato e giurista, personaggio poliedrico, come lo definisce la stessa Maria Suma, per essere stato poeta, scrittore, musicista ed altro ancora.

Ma Di Giorgio è pressoché sconosciuto ad Avola nonostante due precedenti pubblicazioni: il racconto “Per un pugno di case” dello stesso Di Giorgio, edito da Trevi; e la biografia “Teocrito Di Giorgio. Poeta, scrittore, traduttore” di Salvatore Salemi, pure edito dalla Libreria Editrice Urso di Avola.

Maria Suma non si è limitata a pubblicare l’opera teatrale “Le manette”, ma ha svolto una ben più approfondita e scrupolosa ricerca sulla persona del Di Giorgio, ricerca che tuttavia non trova spazio nella presente pubblicazione ma che ci auguriamo venga restituita alla collettività in una prossima pubblicazione.

L’opera teatrale “Le manette” è stata presentata sabato 7 luglio 2018, nel cortile di quella che fu l’abitazione di Teocrito, ora abitata dal figlio Enzo, alla presenza della stessa curatrice avvocatessa Maria Suma, che, dopo aver tracciato la biografia dello stesso Teocrito, ha spiegato magistralmente il senso dell’opera, nonché alla presenza dell’editore Ciccio Urso e di un numero considerevole di partecipanti.

Già dalla presentazione di Maria Suma ho avuto la sensazione che l’opera si innestasse nel solo culturale inaugurato dal grande drammaturgo siciliano quale è stato Luigi Pirandello; la conferma ne è poi venuta dalla lettura del testo.

Senza voler svelarne l’intero contenuto, anche per rispetto di chi volesse leggere il testo, cosa che personalmente invito a fare sin da subito, si tratta della storia possiamo dire di un “dissidio” tra due giudici, i quali discutono attorno alla responsabilità penale di un giovane avvocato accusato di appropriazione indebita, ed uno dei due, di stampo colpevolista e tutto “sicuro di sé”, è persuaso che alla condanna di un individuo possa pervenirsi attraverso l’applicazione dei principi di diritto; e l’altro, invece, ritiene che debba tenersi conto della persona incriminata, del suo essere persona e quindi decidere della sua colpevolezza tenendo bene a mente la dimensione umana, esistenziale oserei dire.

L’epilogo è drammatico non solo per l’esito del dissidio, che non sto qui a rivelare, ma soprattutto per le forti implicazioni giuridiche-esistenziali, se così posso dire, e al tempo stesso filosofiche che a mio parere sembrano scaturire dall’opera.

Uno dei due protagonisti, il giudice Clemente, paradigmatico il nome scelto dall’autore – come afferma la stessa Maria Suma –, si pone un problema di coscienza: come può un giudice condannare un suo simile pur sapendolo innocente? In altri termini, come può un giudice condannare un uomo solo sulla base dei principi del diritto, nonostante i fatti storicamente accaduti depongono a favore della innocenza dell’incolpato?

La coscienza, ritengo, sia un po’ la questione nodale di tutta l’opera, ossia quella componente del nostro “Io” che ci interroga incessantemente e ci pone di fronte alle nostre responsabilità. Chi non ricorda, per citare un’opera letteraria di conoscenza planetaria quale è “Delitto e castigo” di Dostoevskij, dove il giovane Raskòl'nikov, dopo essere stato devastato dai morsi della coscienza, decide di confessare l’atroce crimine e di assoggettarsi alla relativa pena?

La società scopre la coscienza attraverso l’opera di Freud, il quale la descrive attraverso le tre topiche dell’Io, dell’Es e del Super-Io, assegnando a ciascuna di esse una ben precisa funzione.

La letteratura fa sua questa ricostruzione e l’opera di Pirandello partorisce capolavori quali “Uno, Nessuno e Centomila”, e “Il fu Mattia Pascal”, per citarne alcuni.

Teocrito Di Giorgio è, a tutti gli effetti, un pirandelliano perché, attraverso il giudice Clemente del dramma “Le manette”, pone sul tappeto una questione fondamentale: la coscienza.

Ma l’opera contiene anche altri significati.

Se dobbiamo paragonare Di Giorgio alla figura di Pirandello, non possiamo trascurare l’epoca in cui i due vissero e produssero le loro opere letterarie.

L’epoca è il 900, e il Romanticismo, quale movimento culturale che poneva alla base del suo pensiero lo spirito, aveva lasciato il posto al Positivismo, quale movimento culturale che pone a base del suo ideale il progresso scientifico.

Ma siamo anche nell’epoca del “Nichilismo”, come profetizzata da Friedrich Nietzsche, nella quale tuttora viviamo, che si caratterizza per la totale mancanza di valori a cui l’uomo possa ancorarsi, manca, in altri termini, una risposta, che sia una, al “perché”.

Siamo nell’epoca della alienazione dell’uomo, il quale è diventato merce di scambio in un processo consumistico e capitalistico nel quale egli assume valore solo nella misura in cui è in grado di vendere la sua forza lavoro.

I tre maestri del sospetto, Marx, Freud e Nietzsche, hanno sviscerato, ognuno secondi i rispettivi ambiti, molto bene la condizione in cui versava (e tuttora versa) l’uomo moderno.

Dalla fallacia dell’esistenza umana ne nasce uno spaesamento dell’uomo, una frammentazione dell’Io, perché egli non riesce a capacitarsi del fatto che le sue certezze, proprio come il giudice colpevolista del dramma “Le manette”, non possono essere definite tali; non riesce a trovare una risposta al “perché”.

Ecco, io credo che l’opera “Le manette” di Teocrito Di Giorgio, curata da Maria Suma, voglia dirci soprattutto di questo spaesamento dell’uomo, di questa forma crudele di nichilismo alla quale come farmaco sembra esserci solo la pazzia.

Una considerazione finale va fatta anche alle accezioni giuridiche che l’opera importa.

Vi è un moto di coscienza da parte dell’autore, ma vi è anche una esigenza di verità.

Di quale verità?

Nel libro “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, Ponzio Pilato, nell’interrogare Gesù, gli chiede: “E perché tu, vagabondo, nel bazar sobillavi il popolo raccontando della verità, di cui non hai idea? Che cos’è questa verità?” … Oh dèi! Gli pongo domande inutili ai fini del processo … la mia ragione non mi obbedisce più … La verità è innanzitutto nel fatto che ti duole il capo, e ti duole tanto forte da suggerirti vili pensieri di morte. Tu non solo non hai la forza di parlare con me, ma ti è persino difficile guardarmi. E ora io involontariamente sono il tuo torturatore, e questo mi addolora”.

La verità cui tende il processo, e in particolar modo il processo penale, è una verità processuale alla quale si accede attraverso lo svolgimento del processo secondo le norme che lo disciplinano: il giusto processo, come mirabilmente affermato in sede di presentazione la curatrice avvocatessa Maria Suma.

Al processo non interessa la verità storica, ossia la verità scaturita dai fatti fenomenologicamente verificatisi; quei fatti, perché possano dirsi a fondamento della responsabilità penale del soggetto imputato, debbono cristallizzarsi davanti agli occhi di un soggetto terzo ed imparziale, quale è il giudice, che dovrà poi in relazione alla loro sussistenza o insussistenza giudicare, quindi condannare o assolvere.

Capite allora quale compito immane spetta al giudice, quello di trovarsi di fronte a fatti anche di una certa crudeltà e tuttavia assumere decisioni prescindendo dagli stessi qualora non risultassero provati secondo le norme.

Come dire che forse sono le norme le sole portatrici di verità, di tante verità o di nessuna verità.

Come vedete, siamo a Pirandello o, se preferite, a Teocrito Di Giorgio.

Infine, desidero esprimere il mio ringraziamento a Maria Suma per avermi fatto conoscere quest’opera di Teocrito di Giorgio, a me sconosciuta, e per l’eccellente lavoro di ricerca svolto, che, come innanzi già detto, ci auguriamo possa trovare in tempi brevi la necessaria pubblicazione a beneficio della collettività.

Un ringraziamento lo devo anche a Ciccio Urso per la sua instancabile attività culturale che quotidianamente svolge in favore della collettività avolese, sebbene questa non ne dimostri riconoscenza.

Un particolare omaggio voglio indirizzarlo alla bella Liliana che, con la sua dolcezza, è riuscita ancora una volta a solleticare le corde del cuore con le sue canzoni ed in particolare con il brano “Salve sono la Giustizia” dei Nomadi, a me totalmente sconosciuto.

Come vedete, non si smette mai di imparare.

Ecco, questa potrebbe essere la verità!

Avola, 8 luglio 2018

Leonardo Miucci
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