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 Giovedì, 9 Febbraio 2006 03:58 Host: host139-154.pool80104.interbusiness.it
Simonetta Agnello Hornby, La mennulara, Milano 2002, pp. 209, euro 14.00
CíË un bel romanzo da qualche settimana negli scaffali delle librerie italiane: si tratta de La mennulara di Simonetta Agnello Hornby, palermitana trapiantata a Londra, dove esercita la professione di avvocato in quel di Brixton. Eí una bella storia quella che narra questo romanzo, una storia ambientata in un paese della nostra isola nella prima met‡ del secolo scorso. Diciamo subito perÚ che affermare che si tratta di un bel romanzo non significa sostenere anche che sia un capolavoro: Ë uníopera prima ed Ë, complessivamente, un lavoro di buona fattura anche se non del tutto privo di ingenuit‡. La storia narra retrospettivamente, con intelligente coralit‡ e plurivocit‡ e con una buona capacit‡ di dar vita a personaggi credibili, la vicenda di una donna, Maria Rosaria Inzerillo detta La mennulara (voce dialettale che sta per raccoglitrice di mandorle), che da serva (da criata, in dialetto) rivela, prima e dopo la sua morte, prodigiose doti di amministratrice del patrimonio di terre e ricchezze della famiglia Alfallipe (piccola nobilt‡ di paese, gente inetta e comunque culturalmente inadeguata a reagire alle spinte della societ‡ industriale che sta irresistibilmente affermandosi sulla civilt‡ contadina), nonchÈ una ferma, rigorosa e quasi feroce, capacit‡ di far rispettare la propria dignit‡ di donna. Il tutto intrecciato ad una storia di violenza e di mafia (una mafia allíantica perÚ, ammesso sia mai esistita, fatta díuomini díonore per davveroÖ) e ad una segreta storia díamore vista da una prospettiva femminile, motivi che rendono davvero avvincente la lettura del romanzo. Particolarmente gradevole Ë poi il tono complessivo di leggera ed affettuosa ironia che líautrice non abbandona quasi mai, e giustamente, nel corso dellíintera narrazione. Un tono di diffusa leggerezza che si nota persino nellíimpianto linguistico e sintattico della scrittura che presenta solo un leggero velo regionalistico (nella costruzione dei periodi ad esempio, oppure usando magari al posto di anche), ma non cade mai nel macchiettistico.
Cosa non convince allora? Non convince la continua sequela di allusioni, situazioni e suggestioni provenienti, evidentemente, dalla letteratura siciliana (anche -ne siamo convinti- malgrado la volont‡ stessa dellíautrice) che invadono letteralmente la narrazione (pagina per pagina, se non riga per riga) e rendono il romanzo prima ancora che líopera prima della Agnello Hornby, una delle tante opere della letteratura siciliana: insomma, nihil sub sole novum , purtroppo. E niente nascer‡ di nuovo e artisticamente necessario fino a quando si continuer‡ a pensare alla Sicilia, quella antica e quella díoggi, fondamentalmente come ad uno splendido topos letterario. Ci sembrano magistrali le pagine che narrano dellíamore, segreto, severo, violento e dignitoso, della Mennulara per il suo padroncino; tutto il resto perÚ lo hanno raccontato gi‡ Verga, De Roberto, Sciascia, e poi Brancati, Ercole Patti, Bufalino, oggi Vincenzo Consolo ed ancora tanti altri.
Non Ë vietato scrivere della Sicilia, ci mancherebbe, ed anzi Ë sempre auspicabile che la letteratura si sforzi di usare la storia o le tante storie (nobili o miserrime, maschili o femminili) di questa terra per capire come va il mondo e cosíË líuomo; ma o si trova una chiave che ne renda necessaria la scrittura o si incorre immancabilmente, e persino fatta salva líassoluta onest‡ dellíautore, nel pericolo del gi‡ scritto, gi‡ letto, gi‡ detto. Diversamente, non cíË davvero ironia che tenga.
Paolo Randazzo
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