PERIPATETICI DI ELORO  
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12) Nino Muccio  Maschio
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Sabato, 24 Febbraio 2007 17:37 IP: 151.76.151.179 Scrivi un commento

IL CAVALIERE ERRANTE

Un primitivo non riesce a supporre una realt‡ diversa da quella naturale; egli vede le cose della realt‡ naturale cosÏ come esse sono, cogliendone líessenza, cioË il senso del loro essere. Eí attraverso líente, termine impiegato per indicare ogni determinazione della realt‡, che ciÚ che determina líente come ente, si concede al primitivo, vale a dire che Ë líessere che si d‡.
Se non trova un primitivo a cui darsi, líessere non si d‡: líassenza del primitivo Ë causa dellíassenza dellíessere. Il primitivo comprende il proprio essere in base allíente a cui si rapporta, il quale dovr‡ mostrarsi da se stesso e in se stesso.
Quando il primitivo Ë assente, líessere avverte la necessit‡ di non darsi, ovvero si nega.
Nellíatto di darsi al primitivo attraverso le cose, líessere coglie la pienezza del suo senso, cioË il senso del suo esser cosÏ: Ë perchÈ in quanto essere si offre al primitivo.
Ma in quanti modi líessere si d‡?
Se líessere si d‡ in molti modi, vuol dire che questa essenza Ë mutevole. Dove sta il carattere di immutabilit‡ dellíessere se líessenza Ë mutevole?
Se líessere si d‡ in un solo modo, potrebbe, per una volta sola, il primitivo, non interessarsi a esso, non curarsene. In questo caso crolla líimmutabilit‡ dellíessere, cioË dellíessere che sempre Ë in quanto si d‡.
Ma líessere non puÚ non essere immutabile.
Líessere che muta, a limite, potrebbe diventare líessere che non Ë: ciÚ andrebbe a confutare il tutto.
Confermando la sua immutabilit‡, attraverso le cose della realt‡ líessere si d‡ sempre al primitivo.
Il senso dellíessere, tuttavia, puÚ risultare mutevole essendo connaturato ad una presenza che se rimane inaccettata dal primitivo si rivela infondata: il primitivo riconosce líessere ma puÚ non rispettare la necessit‡ che esso ha di darsi (uníofferta si puÚ anche rifiutare). Egli decide se accettare o meno la presenza di un essere bisognoso di darsi: consiste in ciÚ la mutevolezza del senso dellíessere che appartiene alle cose, nella finitezza delle cose mutevoli
Appartiene allíinfinito ciÚ che Ë immutabile: líessere che si d‡ Ë immutabile. La consapevolezza della sua immutabilit‡ lo rende tranquillo e assolutamente fiducioso in se stesso: sa quel che fa. Non occorre che altri gli spianino la strada. Nessuno meglio di lui sa dove mettere i piedi: Ë pratico del cammino. Lo osserveremo attentamente quando avremo la fortuna di imbatterci in esso. Ma sar‡ possibile avvicinarlo? O tutto questo Ë precluso agli umani? Non esistono ragioni tanto buone da giustificare un dialogo possibile con líessere, cioË con líeterno. Tanto vale far finta di niente, anzi Ë pi? conveniente sopprimerlo, non prima di averlo catturato. Per ridurlo a cosa del mondo.
Sembra uníidea folle e assurda, eppure il pensiero lo ha pensato: il pensiero pensa di ridurre líessere come uno schiavo in catene per poter dominare il mondo.
Il dominio sul mondo, solo líessere lo puÚ esercitare.
Líessere, che Ë nel mondo per una sua volont‡ (necessit‡) di dominio, non puÚ essere dominato.
Il pensiero non puÚ dominare líessere: ciÚ che appartiene agli umani nulla puÚ contro líeterno.
Líessere che Ë nel mondo, cioË líessere che esiste, nega il pensiero.
Ci fu un tempo in cui il pensiero dominÚ líessere.
Era il tempo in cui il pensiero non pensava.
Nel primitivo il pensiero pensa solo ciÚ che puÚ essere pensato. Líaltro dal solo ciÚ che puÚ essere pensato Ë il non pensato del pensiero del primitivo. Al di fuori dellíessere, il primitivo non pensa perchÈ il suo pensiero non sente la necessit‡ di pensare.
Il primitivo che sta nel mondo non pensa, perchÈ il mondo gli Ë ìfamiliareî. Per entrare in possesso delle cose del mondo, il primitivo non ha bisogno di pensare.
Ogni proiezione ontologica che ricade sul primitivo pone in essere una familiarit‡ che egli sa apprezzare. Al punto di poter dire che líessere Ë ciÚ che rende il mondo ìfamiliareî, ovvero che la familiarit‡ Ë la mutevolezza del senso dellíessere.
Il pensiero, in quanto altro dallíessere, Ë ciÚ che rende ostile il mondo agli umani.
Un mondo segnato da una costitutiva assenza dellíessere, non puÚ che essere ostile: gli umani hanno deciso di stare in un mondo ìostileî, dove líessere si fa vedere solo a distanza. Per essi, ciÚ che conta Ë un pensiero che pensa il mondo. Un mondo debole, da essere facilmente dominato.
Ma ci puÚ essere familiare un mondo che a tutti i costi si vuole dominare?
Se il mondo ci Ë familiare, ci appartiene. Eí nostro, perchÈ noi siamo stati gettati in esso.
Nel mondo familiare agli uomini non ha senso líedificazione del dominio.
La volont‡ di dominio appartiene al mondo ostile che gli uomini hanno pensato.
Líimpossibilit‡ del dominio apre al pensiero una prospettiva che Ë capace di far vedere le cose prive di sostanza, negandone la loro pienezza ontologica.
La prospettiva del pensiero Ë un niente su cui non val la pena di esercitare alcuna funzione di dominio. Tuttavia, su quel niente pensato come altro dallíessere puÚ essere conveniente progettare il dominio. Il mutevole senso dellíessere puÚ scongiurare il pericolo di un mondo dominato dal pensiero, cioË di un mondo ostile agli uomini.
Líostilit‡ del mondo Ë uníostilit‡ gnoseologica. Dice Eraclito: île molte cognizioni non insegnano a pensareî. Infatti, il senso dellíostilit‡ del mondo Ë il senso del disorientamento di chi lo abita: líincapacit‡ di codesti abitatori a conoscerlo fino in fondo.
La ìfamiliarit‡î, cioË la mutevolezza del senso dellíessere, puÚ salvare il mondo dalla ìostilit‡î, cioË da una realt‡ in cui si nega la pienezza ontologica delle cose del mondo.
Ma qui sta il punto. Nel considerare la familiarit‡ come un processo in cui la fusione fra essere e mondo si compie in senso ontologico. Questo Ë líevento decisivo: da tale evento dipende la sorte degli uomini.
Nellíevento, fatto che accade, si compie il divenire: líandare e tornare dallíessere al nulla.
Se il fatto accade, viene compreso: il divenire del fatto rende possibile la sua comprensione.
Líistanza che pone il divenire, cioË líaccadere del fatto, Ë chiara: il divenire in quanto accadere va compreso ma alla maniera dellíessere che si nega, cioË alle condizioni che questo essere si lascia imporre. Al di fuori di queste condizioni, solo il nulla Ë disposto a comprendere líaccadere del fatto. CíË una via díuscita rappresentata dallíente metafisico pronto a correre in aiuto del fatto desideroso di essere compreso. Ma puÚ la comprensione metafisica consentire líinterpretazione dellíevento in quanto fatto che diviene? Siamo al limite, la metafisica finisce qua e assieme ad essa le avventure di un cavaliere errante, oltrechË pazzo.

Immagini di un cavaliere errante

Nel piccolo borgo, ad eccezione della morte, tutto quel che accade Ë gi‡ accaduto. Il morire non Ë un evento del presente, Ë un evento che non Ë mai presente.
La morte Ë un evento che non cíË, nÈ ci puÚ essere. Non ha nulla da togliere a nessuno: sono gi‡ tutti morti da un pezzo. Compreso il vecchio che dorme, o fa finta di dormire, seduto davanti al piccolo bar della borgata, come fa da sempre, da una vita si potrebbe dire.
Se anche li aprisse gli occhi, una sola cosa gli andrebbe di fare: guardare il mare.
ì O guardo te, o guardo il mareî, dice al fotografo che gli ha fatto scoppiare un palloncino di carta allíaltezza di un orecchio.
Non cíË altro da fare, ora. E lui quello fa: o dorme o guarda il mare. Smettendo di fissare il cielo: de-siderando, appunto. Con lo sguardo proiettato nella dimensione orizzontale del mondo, su ciÚ che sta in basso.
A meno che non ci sia qualcuno con cui parlare. Con la gente che vive nella borgata non cíË molto da dire; per tutti costoro la vita scorre sempre alla stessa maniera.
Oggi fra gli avventori del bar Ë capitato il fotografo. Eí uno giovane che se ne va sempre in giro con la macchinetta fotografica appesa al collo. Ma non si Ë trovato lÏ per caso. CíË venuto apposta ad interrogare il vecchio che trascorre le sue giornate a sorvegliare líorizzonte.
ìNe sono sbarcati molti ieri notte?î
Il vecchio non Ë di molte parole e affetta líaria con un largo gesto della mano. Sembra che non abbia nientíaltro da fare, ma Ë gi‡ qualcosa se cíË il mare da guardare. Attenzione: il mare, senza andare oltre; oltre il mare Ë il cielo e lui non alza mai gli occhi verso líalto, perchÈ Ë in basso che bisogna guardare se non si vuol far morire líunica prospettiva del desiderio: la speranza. Non si spera in ciÚ che non si desidera.
Ma in cosa ha sperato il vecchio per tutto questo tempo? Che il giovane fotografo si presentasse a lui a chiedergli quali novit‡ era in grado di dargli. In attesa di poter raccontare una o millanta storie, il vecchio passa il tempo a dormire: desidera un mondo che non cíË e non riesce a pensarsi diverso dallíessere che esso stesso Ë. Nel tempo in cui nulla Ë accaduto, solo i desideri accadranno. E i desideri sono storie da raccontare.
Il mondo che il vecchio desidera Ë un mondo letterario che non dipende dal mondo reale. Eí il mondo di Don Chisciotte, eroe del desiderio costretto a tribolare per una imperfetta percezione del reale. Il cavaliere errante finisce tristemente le sue avventure quando altri pensano di regolare e nel contempo educare i desideri da cui si sente incessantemente scosso, anche se lo fanno con saggezza e moderazione. Ma il giovane fotografo possiede un dispositivo perfettamente capace di scoprire ciÚ che sfugge e si nasconde dietro líincarnato del viso. La macchina fotografica, come la spada dellíhidalgo, difende la verit‡ di un volto, nellíimpossibilit‡ di comprenderlo attraverso la maschera quale finzione che sfocia nellíenigma. Ma difende anche il soggetto che non cíË qui esposto, ma star‡, forse, altrove, certo non nel mondo.
Il vecchio licenzia il giovane fotografo invitandolo ad andare, come se avesse una missione da compiere, delle urgenze da sbrigare. CíË da scattare foto, ma i volti che incontra per strada non gli interessano. Eí grazie a Raffaele che puÚ scampare alle ire di un fidanzato geloso. Ma quanto ha dovuto correre per evitare che quello gli rompesse la macchina in testa. Per sua fortuna ogni Don Chisciotte ha il suo Sancho Panza. E quello di Sebastiano, il giovane fotografo, si chiama Raffaele. Un tipo mezzo scemo che se ne va sempre in giro portando in spalla una enorme radio a transistor che tiene sempre accesa. Non Ë la prima volta che Raffaele evita guai al suo amico fotografo, facendosi trovare sempre al posto giusto nel momento giusto. Ed Ë sempre lui a suggerire a Sebastiano le coordinate del viaggio.
Una linea che separa acqua e terra Ë líitinerario; la strada da percorrere non Ë agevole: nella consistenza silicea della sabbia si va avanti a fatica.
Ma Ë lÏ che Sebastiano trover‡ le sue avventure.
Nino Muccio

23 febbraio 2007
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