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Tonino Solarino  |
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Un’ora di religione sull’islam?
Ciclicamente sulla stampa è fonte di aspre polemiche l’ora di religione nella scuola pubblica. L’ultima polemica è nata da una affermazione del presidente della camera Fini che si è detto favorevole all’ora di islam nella scuola.
Ho letto sui giornali dichiarazioni contrastanti sulla possibilità o meno di inserire nella scuola un’ora di religione sull’Islam e dichiarazioni di politici che si dividono sul no e sul si.
I sì sono motivati dalla consapevolezza che quella cattolica non può essere l’unica religione di Stato e con la necessità di portare avanti una riflessione coerente sulla libertà religiosa e sulla laicità.
I no sono motivati da una parte dalla consapevolezza della confusione che ne verrebbe fuori se ogni minoranza religiosa dovesse pretendere di avere lo stesso spazio nella scuola pubblica della maggioranza cattolica e dall’altra con la difesa dell’identità cristiana del popolo italiano.
Nel dibattito, i giornali anticlericali hanno gioco facile nel fare emergere una Chiesa con atteggiamenti difensivi, portatrice di interessi di parte e di privilegi, ostacolo alla piena espressione della libertà religiosa.
Chiaramente sono “politicamente corrette” le motivazioni sulla necessità di difendere l’identità culturale della nostra Italia e sui diritti della maggioranza, ma non possono essere queste le motivazioni importanti per il popolo cristiano.
Questa motivazione è debole e non reggerà le sfide del futuro multiculturale e multireligioso. Questa motivazione è perdente e non regge in altre realtà dove l’identità cristiana risulta meno evidente e dove i cristiani siamo una minoranza.
Tra l’altro quella di far conoscere l’identità culturale della nostra Italia dovrebbe essere già una preoccupazione dei docenti di storia, di storia dell’arte, di filosofia, di letteratura dotati di sufficiente e onesta professionalità (e purtroppo tanti o perché ideologizzati o perché incolti non vi provvedono sufficientemente).
Ritengo che la grande preoccupazione formativa che deve accompagnare la Chiesa e la funzione di stimolo che essa deve esercitare nei confronti della politica debba essere quella di custodire nella scuola laica le domande sul senso della vita, sul dolore, sulla morte, sulla dignità dell’uomo, su ciò che è bello, giusto, buono e il confronto con le risposte che sono state elaborate nei secoli. Millenni di ricerca sapienziale che non possono essere dispersi e che la scuola ha il dovere di custodire e di far conoscere.
In un contesto mondiale dove la scuola si caratterizza come luogo di addestramento, di formazione meramente tecnica c’è la necessità che essa non dimentichi di essere luogo di educazione relazionale, emotiva, interiore, spirituale. C’è la necessità che la scuola recuperi la sua capacità di promuovere le diverse intelligenze: razionale, relazionale, emotiva, ermeneutica. Questa mi sembra la preoccupazione fondamentale che dovrebbe animare i responsabili delle chiese e che rischia di passare in secondo piano nel conflitto sull’ora di religione e sulla libertà. D’altra parte la preoccupazione dei vescovi più volte rivolta agli insegnanti di non trasformare l’ora di religione in un’ora di catechismo è espressione di questa sensibilità. Quando penso, poi, che l’insegnamento della religione è facoltativa, per cercare di salvaguardare il rispetto delle libertà individuale, penso al grave rischio di meta-comunicare che essa è secondaria e in fondo meno importante rispetto agli altri insegnamenti.
Per testimoniare con forza questa prospettiva non bisogna attardarsi in altri conflitti, ma avere il coraggio di rinunciare a quelli che oggi sembrano, ai più, privilegi, E’ questo conflitto che sta producendo danni e che indeboliscono la possibilità che la riflessione sull’uomo e su Dio trovi accoglienza senza pregiudizi.
Penso che sarebbe una grande lezione di laicità, di ecumenismo, di minorità se proprio i vescovi chiedessero che a scuola gli studenti potessero ascoltare ciò che l’ebraismo, il buddismo, l’islam, il cristianesimo hanno da dire sull’uomo, sui rapporti umani, sul mistero, sul dolore, sulla morte…
Sempre in questa ottica penso che favoriremmo un arricchimento culturale se chiedessimo che le lauree in scienze religiose non fossero solo una prerogativa delle nostre facoltà teologiche, ma che in vista dell’inserimento nel mondo della scuola potessero essere rilasciate dalle università pubbliche o dalle Università di altre religioni che rispettassero gli standard accademici concordati .
Questa è la sfida a cui ci chiama il presente e a cui ci chiamerà sempre più il futuro.
E’ la sfida dell’accoglienza, del dialogo con le altre religioni, del dialogo con i non credenti. E’ la sfida ai laicismi e ai clericalismi, in un contesto globalizzato, dove alla Chiesa cattolica (universale) si chiede di essere maestra di tutti e si chiede profezia.
E’ la sfida per permettere alle maggioranze e alle minoranze di sentirsi rispettate.
E’ la sfida per non svuotare la scuola della sua identità, della sua doppia funzione di custode della sapienza e di promotrice delle competenze.
Ragusa 18-ottobre 2009
Tonino Solarino
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