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Leonardo Miucci  |
leon.miucci@alice.it |
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Alcune considerazioni (molto approssimative)
a riguardo della poesia e dell’utilizzo dei social network
Rispondo, così, indirettamente ed in modo involontario all’amico Orazio Parisi che credo, malgrado la mia assoluta latitanza e lontananza da Facebook, di potere definire tale.
Non sono un poeta. Ma chi può definirsi tale? Chi lo fa si autodefinisce e chi definisce altri poeta commette un’impostura al quadrato.
Il poeta gode di una lente di ingrandimento, gli riesce di “vedere” una realtà che ad una mente distratta non riesce di vedere. A quella realtà egli applica un linguaggio, un registro direbbero gli addetti ai lavori, che si fa carico del significato di quella realtà. Se tutti vedono un sole lucente in una giornata di primavera, o il mare azzurro nelle giornate d’estate, o tutti sentono il vento che “accarezza le foglie”, o le pietre che con il loro toccarsi “esprimono musica”, e se poi tutti così vedendo e sentendo, si cimentano a poetare pretendendo di fare passare quel linguaggio per poesia, dove in realtà di poesia c’è veramente poco, direi quasi niente, tutto allora sembra affettazione di banalità mista a stupidità. Tutti sono cantori della realtà. Nessuno è cantore della realtà. Tutti sono poeti. Nessuno è poeta.
Amo ricordare, a proposito della poesia e dei poeti, un aneddoto, per la verità già ricordato in altre circostanze ma qui ora s’impone ulteriormente, e un’affermazione fatta qualche tempo fa da un mio amico. L’aneddoto è legato alla figura di Antonio Caldarella al quale una volta chiesi chi fosse per lui il poeta. Mi rispose dicendomi che il poeta è colui che presa una mozzarella tra le dita ne fa uscire il latte. Il succo. D’altronde chi saprebbe rendere poetica una sgualcita lista della spesa? L’essenziale. Il tutto o il niente, o ciò che la contingenza ti dà, come luogo o come arnesi, non ha alcuna importanza, fosse anche un pezzo di carta raccattato da terra sul quale scrivere poche, essenziali e subitanee – ma immortali – parole prima che accada l’irreparabile, probabilmente nello stretto di una trincea, con la morte che ti aspetta al guado. Vi sembra che noi oggi siamo essenziali? Facebook ha i caratteri dell’essenzialità? E poi, ci siamo dimenticati della morte, non c’è più niente che incombe sul nostro stupido vivere; solo la stupidità che incombe sulla stupidità; la morbosità di un apparire a tutti i costi, senza pudore. Il pudore ha molta attinenza con la poesia.
L’affermazione invece proviene, come dicevo, da un mio amico (del quale, caro Orazio, non farò il nome neanche sotto tortura) il quale una volta mi disse (e lo disse anche in un contesto pubblico) che ogni volta che pensa alla poesia e più precisamente ai poeti gli viene in mente il piccolo “Useppe” (il bambino del grandioso romanzo La Storia di E. Morante) che “pensava” le poesie nella sua testa e lì, e solo lì, le elaborava senza alcun bisogno di dirle. Il silenzio, dunque. Il non detto. Pensate veramente che oggi esista il silenzio? E poi dove? Su Facebook?
Il poeta non ama mostrarsi, normalmente egli rifugge dagli schiamazzi e, soprattutto, il poeta non dice mai di essere poeta. La poesia accade e lui, il poeta, non conosce il perché di questo accadimento. Ma il poeta sa di tutto il resto, conosce gli altri accadimenti, la sua lente di ingrandimento gli permette una visione a trecentosessanta gradi; nulla gli sfugge. Potrebbe avere diritto di parlare di ogni cosa, soprattutto di ciò che ci e gli accade attorno dove i più sembrano invece ipnotizzati e i poeti che si dichiarano tali preferiscono parlare del cielo stellato, del mare azzurro e di altre sciocchezze che, in quanto provengono dal moto del cuore, risultano di un più facile chiacchiericcio. Tuttavia egli preferisce far parlare il silenzio.
Non si dovrebbe parlare dei poeti, essi non hanno bisogno di latori.
Una precisazione: a quelle due o tre persone che hanno avuto le palle di non aderire a Facebook, ti prego, caro Orazio, di aggiungerne sicuramente altre due.
3 febbraio 2011
Leonardo Miucci
Orazio Parisi Venerdì, 11 Febbraio 2011 16:45 Host: 93-46-43-203.ip106.fastwebnet.it
All'amico Leonardo Miucci
pubblicata da Orazio Parisi il giorno venerdì 11 febbraio 2011 alle ore 10.53
Caro Leonardo, innanzitutto mi fa un gran piacere risentirti dopo tutti questi mesi di lontananza. E non solo da Facebook. Ma, è ovvio, questo non è un rimprovero. Ognuno di noi ha i suoi impegni, le sue preferenze, le sue inclinazioni. Tutte cose, queste, su cui non si può assolutamente metter lingua.
Mi fa piacere che hai trovato il tempo di parlare anche tu di poesia. Ogni tanto fa bene staccare la spina dal tran tran del vivere quotidiano. Per rigenerare lo spirito, si dice in questi casi. Ma, cos'è lo spirito? Come vedi, ai tuoi "interrogativi" sul senso della poesia se ne possono aggiungere degli altri ad libitum. Il rischio, tuttavia, è quello di cadere nel disprezzo. E di allontanarci così dal senso della poesia.
Ma, cos'è il senso della poesia? Innanzitutto, direi, è appunto quello di allontanare l'uomo dal disprezzo. Non per altro, per non rischiare di cadere nell'anatema di Lautréamont:
"Vecchio oceano, le tue acque sono amare. E' esattamente il medesimo gusto del fiele distillato dalla critica sulle belle arti, sulle scienze, su tutto. Se qualcuno ha del genio, lo fanno passare per un idiota; se qualcun altro è bello di corpo, diviene un gobbo orrendo. Certo, l'uomo deve davvero sentir con forza la sua imperfezione, di cui i tre quarti d'altronde non son dovuti che a lui stesso, per criticarla così! Ti saluto, vecchio oceano!" (Lautréamont, da "I canti di Maldoror", [9]).
La poesia è poi una parola semplice; se vuoi, magari ingenua. Non si cura di sapere come accade di norma, se nel silenzio della testa di Useppe o nel frastuono dei social network. Ma, nonostante questa sua natura semplice, come diceva Aldo Pecora all'Unità, vuole essere contaminante. Per allargare le opportunità, nel mondo che brulica di disprezzo, di felicità possibili.
Se non ti dispiace, vorrei farti leggere una poesia che io, che non sono poeta!, ho scritto proprio in questi giorni:
"Quant'è cruda, e insulsa e vuota,
la realtà,
senza la metafora.
Mi stacco dal computer,
per odorare il senso nudo
del vivere.
"Nulla di buono hanno gli eccessi",
esclama con disgusto Maldoror.
Il senso dell'immaginazione
reclama la sua natura,
per quanto l'artifizio la sovrasterà.
L'odore antico, tuttavia,
sopravviverà nella metafora".
La poesia, senza dubbio, vuole essere contaminante. E, nonostante ciò, conservare al contempo il senso del pudore. Su questo, sì, hai perfettamente ragione. La poesia pura non esiste. Persino Ezra Pound, il fondatore della fanopea, credette che la poesia moderna dovesse affondare le sue radici nella lotta spietata all'usura, che a sua volta affonda le sue radici nel corrotto sistema monetario e finanziario statale. Serve in questo caso distinguere tra il vero poeta e il falso poeta, così come si distingue tra moneta vera e moneta falsa. Ma, non c'è bisogno di strillare istericamente contro le monete false, perché si corre in questo caso il rischio opposto, di non saper più riconoscere quelle buone. Così come, d'altronde, non serve fare gli eroi contro i social network, perché non dobbiamo mai dimenticare, come ci ha ricordato dalle pagine di "Le scienze" di questo mese Tim Berners-Lee, il fondatore del World Wide Web, che la Rete siamo noi.
Comunque, Leonardo, grazie per aver sollevato questi problemi, che, come la tua consaputa sensibilità ci dimostra, non sono secondari rispetto a ciò che accade oggi nel mondo, e in particolare nel nostro Paese, dove la superficialità e l'indifferenza stanno generando mostri. Di molto peggiori dei falsi poeti.
A presto. Orazio.
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Giovanni Stella Martedì, 15 Febbraio 2011 16:41 Host: 93-46-17-93.ip105.fastwebnet.it
Poesia e poeti
Ciccio Urso mi chiede di intervenire nel piacevole dibattito istauratosi tra amici sulla poesia e sul poeta.
Si è scritto e si è detto tanto del perchè della poesia e di chi è il poeta. Aggiungere qualcosa di nuovo è difficile se non impossibile.
Ricordo che Eugenio Montale nel ricevere a Stoccolma avanti Re Gustavo di Svezia il premio Nobel pronunciò il suo discorso nel quale disse, fra l'altro. “... io sono qui per aver scritto poesia, un prodotto assolutamente inutile, quasi mai nocivo ...”.
Dal canto suo Salvatore Quasimodo, nostro conterraneo, insignito anche lui del Nobel scrisse vari discorsi sulla poesia e sulla sua attualità assumendo che “Poesia è libertà e verità ... e non modulazioni astratte del sentimento”.
Giuseppe Ungaretti – che non ebbe il massimo riconoscimento letterario del quale furono insigniti invece i primi due – una sera a Roma uscendo dalla trattoria Cesaretto, passeggiando per le vie del centro con Corrado Sofia per smaltire il Chianti, col quale avevano abbondantemente innaffiato il pasto, urlava a squarciagola di essere il più grande poeta d'Europa. Alle suppliche di Sofia di tacere per evitare di svegliare la gente replicava “Lascia che lo sentano”.
La poesia è un'arte come le altre: pittura, musica, scultura, e via dicendo e assolve alla funzione che ha ogni manifestazione dell'arte.
Il poeta è un'artista e come tale è un uomo che a differenza di altri riesce a far affiorare in superficie quanto, viceversa, resterebbe sommerso nei suoi fondali.
Perciò comunica ed esteriorizza ciò che nel suo profondo alberga e da esso promana: le sofferenze, i dolori, le gioie, gli amori ... e quant'altro la vita e la storia regalano quotidianamente. Granelli di stati d'animo, momenti di confronto con se stesso.
E lo fa con l'uso della parola, ma di una parola sensibile, che confina con la musica, perciò poesia, musica della parola.
Ma quei versi gli si appartengono fin quando restano nel ventre del vulcano, ché una volta spifferati sono lapilli che se sparsi sono di tout le monde, quindi dei lettori che ne trarranno il senso che vorranno.
Perciò Bufalino scrisse che “Simile a un colombo viaggiatore/ il poeta porta sotto l'ala/ un messaggio che ignora”.
E Fernando Pessoa mirabilmente comunica: “Il poeta è un fingitore/ finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente”.
Abbiamo ricordato qualche giorno fa il secondo anniversario della prematura scomparsa dell'amico Antonio Caldarella, artista poliedrico ed anche poeta.
Nessuno quanto Lui sapeva quanto fosse vera la definifione di Pessoa. Aggredito dal male inclemente pativa le atrocità del dolore, che pur tuttavia era stimolo alla produzione artistica, lasciando a noi e alle future generazioni il frutto della sua creatività.
La perenne attualità della poesia e del poeta portò Salvatore Addamo a dire che “Solo un poeta potrà dichiarare estinta l'era dei poeti”.
Uno dei temi più trattati dall'arte in genere, dalla poesia in particolare, è l'amore.
In un momento di felice creatività l'artista Mario Zuppardo ha realizzato un carboncino – poi ripreso in chiave policroma – che nella sua estrema semplicità dei tratti ha sintetizzato il senso degli Innamorati: un uomo e una donna seduti sulla spiaggia, lei lo abbraccia da dietro, il loro sguardo proiettato verso l'infinito.
Ciccio mi ha chiesto poco fa di scrivere queste brevi righe sull'argomento. E così, a caldo, ho obbedito.
È il 14 febbraio. Una festa inutile. Gli innamorati sono sempre in festa.
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Leonardo Miucci Giovedì, 17 Febbraio 2011 23:53 Host: 93-46-26-22.ip105.fastwebnet.it
Tra la vita e la morte la poesia ed un pizzico di pudore
di Leonardo Miucci
Far parlare l’inconscio è l’unica cosa che ultimamente desidero fare più di ogni altra. L’inconscio è il carico di pulsioni che il soggetto si porta dietro sin dalla sua infanzia o dalla sua nascita. È un carico di pulsioni che prima o poi affiora , che esige e pretende di affiorare. Si crede, e a mio avviso a ragione, che nell’inconscio risieda la verità, una verità che pretende di farsi vedere e con la quale il soggetto in quanto persona è chiamato prima o poi a fare i conti. La verità, in questo caso, è fatta di desideri, non importa di quali desideri si tratti, ma pur sempre desideri. Il più delle volte sono desideri indicibili che in quanto tali subiscono la censura dell’Io; l’unica strada che hanno per sfuggire alla censura dell’Io, è quella dei sogni.
Il sogno, quella dimensione senza spazio-tempo dove i desideri dell’inconscio possono emergere e dire ciò che hanno da dire; una realtà deformata nelle immagini che alla nostra mente, abituata com’è agli schemi mentali, non riesce di decifrare. Secondo la psicoanalisi i sogni soddisfano desideri rimossi, attraverso quelle immagini che la nostra mente vede deformate, forse perché al di fuori dello spazio-tempo; e lo fa forse per via di un’esigenza di camuffamento, volendo dribblare le censure dell’Io ed è così che quelle immagini noi le vediamo deformate e quindi a volte quasi impossibile da decifrare se non attraverso un processo ermeneutico che solo agli addetti ai lavori riesce. Immagini deformate come metafore. Là dove c’è la metafora, là c’è la poesia. Ciò che la nostra anima (in senso lato, mi si passi il termine) ha da dire, lo vuole dire in silenzio, quasi con timore, e lo fa ricorrendo alla metafora, ma non la metafora artefatta, costruita dalla mente, bensì quella che nasce dall’inconscio, dalla nostra profondità, dalle nostre verità più indicibili.
Inconscio. Metafora. Pudore. Poesia. Verità.
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Quando ero bambino ricordo che in occasione della ricorrenza del 2 novembre, la sera prima mia madre preparava la tavola mettendoci sopra due zuppiere di acqua e quattro fette di pane, perché, ci diceva, durante quella notte i nonni morti sarebbero venuti a farci visita e siccome venivano da molto lontano era giusto fargli trovare qualcosa da mangiare. Loro, poi, avrebbero lasciato dei regali, perlopiù dolci, a noi bambini. Ricordo mia madre con quale cura e amore preparava la tavola, le leggevamo in volto un senso di persuasione che non dava spazi a dubbi; non potevamo non crederle, anche se la paura in noi era tanta.
Quanta poesia in quei gesti! Quanto silenzio in quelle parole! Quanto pudore!
Superata quella notte, noi bambini potevamo poi parlare della morte con una certa tranquillità, come se qualcosa di esorcizzante avesse investito la nostra anima.
Qualche giorno fa mia figlia, come sicuramente sarà capitato ad ogni genitore, mi ha fatto una domanda a proposito della morte (anni prima anche mio figlio mi fece domande a riguardo: deve essere un vizio di famiglia). Le dissi candidamente che della morte nessuno poteva dirle niente se non che essa accade e quando accade nessuno può farci niente. Pianse tanto perché non riusciva ad accettare il fatto di non poter rivedere mai più le persone a lei care, anche se non le avevo mai precisato quest’ultimo aspetto. Non ne parlò più. Dovetti poi, intimamente, rimproverami di non essere stato capace di “usare” la metafora, o la poesia, come aveva fatto mia madre che, contrariamente a me, non solo non era (è) una donna munita degli strumenti della tecnica ma non era (è) neanche scolarizzata.
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Avanzo un’equazione, forse una sintesi, anche se non vedo né la tesi né l’antitesi: inconscio-desideri-verità uguale a poesia-arte-letteratura.
Esercitare praticamente l’arte poetica sembra facile attesa la disponibilità dei mezzi tecnologici. Mi chiedo però: se ipotizziamo esistente il filo conduttore tra l’inconscio e la poesia, quanti oggi sanno fare emergere il soggetto dell’inconscio che della poesia sembra essere il naturale precursore?
Leonardo Miucci
Avola, 13-2-2011
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