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Laura Spazzacampagna  |
la.spazzy@libero.it |
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(Roma, Indignados – Day)
Tracciamo una linea. E’ urgente

Se non fosse che sono stata lì, direi che si tratta di un film. Di una specie di un film dell’orrore. No, orrore è una parola che rimanda ad uno stato d’animo suscitato da qualcosa di grande. Qui non si trattava di questo. Si trattava di violenza senza senso. E questo non genera orrore, genera una sorta di straniamento. Sì, forse “straniamento” è la parola adatta.
Straniato era il corteo davanti al montare delle azioni di distruzione che andavano aumentando, suscitando le reazioni delle Forze dell’Ordine. Straniata era la città, in parte assente, in parte nascosta dietro angoli di strade e dietro persiane socchiuse. L’effetto è stato di deserto. Come ogni situazione di violenza sull’ambiente, l’effetto è la perdita delle risorse vitali. E così in questo caso ciò che si è perso è stato l’aspetto umano, la valenza rivendicativa legata a delle vite reali di persone vere, ad un disagio legato ad una quotidianità fatta di famiglia, lavoro, e, perché no, anche solitudine. Questa immagine straniata delle piazze e delle strade da cui sono diventate improvvisamente assenti quelle vite reali, quelle stesse strade e piazze riempite delle sterili rivendicazioni alla sterile rabbia di qualche centinaio di persone non di certo animate da spirito di condivisione di un disagio quotidiano e di una sofferenza, non di certo motivate da uno spirito di rivendicazione messo in condivisione, questa immagine riempirà da domani telegiornali e prime pagine dei giornali, lasciando lo stupore attonito di quanti c’erano e non c’erano. Il dolore che nasce da questo effetto di straniazione, è quello di un esproprio da un diritto del vivere civile che è quello di manifestare il proprio disagio e la propria volontà e libertà di pensiero; è il dolore di centinaia, e centinaia, e centinaia di persone che sono dovute andare altrove, non a manifestare, alcuni a casa delusi, altri in altri punti di ritrovo per ragionare e rielaborare l’espropriazione vissuta di un momento di vita vera strappato alla vita vera.
Quanti erano? “Loro” poco più di cinquecento; “noi” a migliaia. E’ questo il dolore della straniazione. Può una parte decidere per il tutto? Rinominarlo? Ribadire modalità e posizioni contro quelle migliaia? E’ insopprimibile il bisogno di dire no, di dire basta.
Eppure non è possibile neanche accogliere il commento di chi vuole quei facinorosi in carcere. Quegli stessi facinorosi con cui tanti giovani manifestanti hanno tentato di avere uno scambio dialettico, foss’altro che per dire: noi soffriamo questa società quanto e più di voi, ma non per questo reagiamo come voi: perché E’ INUTILE. L’inutilità come sensazione successiva all’evento di distruzione è diffusa. Nei commenti di chi se ne va a casa deluso; nei commenti dei giovani che ambivano a far valere le proprie sacrosante rivendicazioni per un sacrosanto diritto al futuro; nei commenti degli osservatori, politici come di commento giornalistico. Tanta era l’aspettativa per riprendere in mano la rotta di un’Italia che voleva segnare la direzione verso il diritto nel senso più esteso del termine, quanta è stata la delusione davanti al potenziale che ci si trovava davanti.
Perché dico che non è il carcere, l’isolamento e la segregazione degli elementi di disturbo, che hanno avviato le azioni violente? Perché l’effetto che hanno provocato è lo stesso effetto di cui sono stati nutriti dalla violenza sistematica di una politica verso le reti di relazione e di solidarietà sociale che erano stati posti in essere in una società un tempo democratica. Così, come il processo dall’alto è stato quello di annientare il diritto dell’anziano e del bambino alle cure gratuite, di annientare le reti di comunicazione e di relazione a favore di un mondo fatto di relazioni virtuali, in cui ci si proietta in un altrove mediatico senza più aver contatto con la propria dimensione umana interiore e circostante, di annientare il diritto al lavoro, alla salute, alla socialità, alla cultura, all’istruzione, in tutto il mondo della base di movimenti violenti viene riprodotto lo stesso schema “de socializzante”. Qualunque sia il volto che si vuole mettere davanti alla violenza, la distruzione portata dall’annientamento dell’azione solidale di protesta non violenta parla da sé. Ed isolare questi facinorosi non porta che a ribadire la loro motivazione a manifestare in modo violento contro un potere violento. Solo il dialogo e la relazione può aiutare ad invertire questa rotta di straniamento, di isolamento, di fallimento, di delusione. Non è possibile perdere ancora, non in questo, non da qui, da questo giorno che avrebbe dovuto essere di protesta gioiosa.
Stabilire un limite, con un servizio d’ordine, è stabilire una linea di rifiuto di qualcosa. Di un qualcosa che per oggi ha provocato una sconfitta.
C’è molto da fare, tutti i giorni, parlando sui mezzi pubblici col vicino di posto, facendo la fila alla cassa la supermercato o la spesa in un mercato rionale. C’è molto da fare affinché si ritorni indietro, affinché questo un domani diventi solo un brutto ricordo. Tracciamo una linea, allora: non tra i facinorosi e gli altri manifestanti, ma tra il dialogo e la chiusura al dialogo; tra cosa crea rete, rapporti, forza, e cosa distrugge tutto questo.
Ma tracciamo una linea. E’ urgente.
Laura Spazzacampagna
Renato Lunedì, 17 Ottobre 2011 17:47 Host: 93-46-33-191.ip105.fastwebnet.it
Cara Laura,
sono Renato, 65 anni quasi, moglie e due figlie laureate, per trent'anni emigrante ora felice pensionato. Pacifico ma non pacifista. La violenza non mi piace ma mi rendo conto che fino a quando esistono i violenti si può reagire solo con la violenza.
Non sono riuscito a completare la lettura del tuo scritto.
Non offenderti ma se io fossi stato un responsabile del forum, tale scritto non lo avrei mai pubblicato.
Non si può e non si dovrebbe, per lo meno le persone intelligenti non dovrebbero, a mio avviso ben inteso, giustificare quello che è successo a Roma. Appoggio totalmente le ragioni della protesta, quella tranquilla, serena, oserei dire gioiosa. Come si potrei non appoggiarle? sono anche le mie ragioni!
Quello che, mi permetto di dire, tu non hai assolutamente capito, non voglio pensare di peggio, è che quelle alcune centinaia di teppisti se ne fregano altamente delle ragioni per le quali si manifesta. Sono presenti ovunque e per qualsiasi ragione anche assolutamente futile quale un fischio in più di un arbitro durante una partita. La loro testa è piena di violenza il loro corpo di sostanze "strane" probabilmente. Loro con predeterminazione hanno rubato a centinaia di migliaia di altre persone, non solo giovani, il diritto di manifestare, colpendo anche i manifestanti veri pur di farsi avanti. Per nascondere la loro intenzione si sono avvolti nella bandiera della pace per poi tentare di uccidere. Sì Uccidere!......o farsi uccidere.
Ora tu mi parli: "Perché dico che non è il carcere, l’isolamento e la segregazione degli elementi di disturbo, che hanno avviato le azioni violente? Perché l’effetto che hanno provocato è lo stesso effetto di cui sono stati nutriti dalla violenza sistematica di una politica verso le reti di relazione e di solidarietà sociale che erano stati posti in essere in una società un tempo democratica". Fine citazione
No cara Laura, questa gente non ha nulla a che vedere con quello che tu dici, sono delinquenti della peggior specie, per le loro teste bacate parole come politica, relazione e solidarietà sociale ecc. sono senza significato, o addirittura ridicole.
Ritengo la nostra società, che è anche mia e tua una società altamente democratica pur se non perfetta, e mi offendo quando qualcuno sostiene il contrario.
In una società non democratica episodi come quelli di ieri sono finiti in stragi. Siria. Ti basta?
Il semplice fatto che quello che è successo ieri sia potuto succedere dimostra senza ombra di dubbio la nostra democraticità. Su questo non ci piove.
Tornando a quei delinquenti che tu vuoi, nemmeno poco velatamente giustificare, io e la stragrande maggioranza degli italiani, diciamo: carcere ma carcere duro e lungo poi prima di poter rientrare nella società, quella vera, non la loro, un paio d'anno di lavori socialmente utili, anche in certi paesi detti sottosviluppati dopo aver pagato i danni causati ben inteso.
Io no ho i tuoi mezzi per poter esprimere il mio pensiero, così come tu hai fatto con il tuo, confido pertanto nella tua ospitalità.
Ciao Renato
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Alessandro Ricci Lunedì, 17 Ottobre 2011 17:51 Host: 93-46-33-191.ip105.fastwebnet.it
Cara Laura,
ho letto con emozione crescente le tue parole. Devo dire che, se condivise dal 90 % dei cosiddetti "indignati" (come sono certo che siano ), possono rappresentare la base per la crescita della consapevolezza del movimento nella sua forza. Quando scrivi: "Tracciamo una linea, allora: non tra i facinorosi e gli altri manifestanti, ma tra il dialogo e la chiusura al dialogo; tra cosa crea rete, rapporti, forza, e cosa distrugge tutto questo". Dici esattamente quello che è l'obiettivo fondamentale che il movimento deve porsi per crescere. Ancora una volta si è ripetuto lo schema di Napoli e Genova nel 2008 così bene descritto da Cossiga in un'intervista a la Repubblica in quello stesso anno: "Un'efficace politica dell'ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti [...] l'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita [...] io aspetterei ancora un po' e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di Bella ciao, devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti. (dalla lettera aperta alle forze dell'ordine dell'8 novembre 2008; citato in "I consigli di Cossiga", "la Repubblica", 8 novembre 2008)
Sapere e ricordare questo è importante per non farsi imprigionare nei fatti narrati dagli altri e per costruire modi e contenuti che inceppino questa macchina oscena.Forse così si può iniziare a tracciare quella linea, ma non basta. Fondamentale è che dopo Roma il movimento non si chiuda, non si faccia intimidire e rafforzi ed estenda la sua rete sociale con il confronto ed il dialogo. E pensi ad una qualche forma di organizzazione che sia il corpo vivo e riconoscibile del movimento. Un abbraccio, cara Laura
Alessandro
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