Da dove viene la mafia
(www.laltrasicilia.org) - Ci siamo ritrovati, negli ultimi giorni, ad una recrudescenza dell'arma mediatica che lo stato italiano usa per giustificare agli occhi del mondo l'oppressione delle regioni del sud.
Credere infatti che le campagne denigrative contro siciliani, calabresi, napoletani, etc... abbiano un origine per cosÏ dire "spontanea" Ë da ingenui ed anche un po' da fessi.
Come l'Italia esporta nel mondo le immagini delle campagne toscane, dei vicoli veneziani, del colosseo romano, investendo sul ritorno di immagine, cosÏ ha esportato una certa idea di meridionale, investendo in un ritorno di immagine che le ha permesso di avere mano libera prima nel genocidio dei meridionali, poi nella loro schiavizzazione, ed ora nella loro totale emarginazione economica.
Ovviamente il meccanismo deve essere oliato, cosÏ come di tanto in tanto ci fanno rivedere il bel barbone di Osama Bin Laden, come ogni tanto ricominciano a parlare dei Ceceni (che a seconda dei rapporti con Putin diventano terroristi o vittime) o dei Curdi turchi (idem che i Ceceni), ogni tanto all'opinione pubblica internazionale deve essere raccontata qualche bella storiella sulla mafia per fare spaventare i bambini prima di addormentarsi.
Il massimo della goduria per il regime Ë poi quando all'estero prendono la palla al balzo e approfittano della situazione per scaricare nello stesso piatto su cui (dopo averci mangiato) sputano i tosco-padani le loro immondizie. Ed allora: levata di scudi generale, censura assoluta, teste che rotolano quando da qualche parte sibila la notizia che l'ETA si sarebbe trasferita in Nord-Italia, spettacolarizzazione e scuola di ricamo sulle immense stronzate scritte riguardo al traffico di droga in Spagna (iniziato dai fuoriusciti corleonesi scappati dalla Sicilia) o a quello di armi in Germania (gestito dai calabresi).
Su queste ed altre ridicole campagne promozionali ci siamo soffermati altre volte, e non crediamo si debba ora andare a scavare sotto tanto per confutarle.
Possiamo solo riproporre agli autori ed a coloro che qui da noi ancora credono che tutto quello che viene da nord sia oro colato (inclusi i giornalisti dei giornali locali che riprendono le notizie appoggiandole) il consiglio gi‡ dato da Pulvirenti, noto imprenditore catanese: "Cambiate Spacciatore".
Certo a considerare l'enorme mole di libri ed articoli, servizi giornalistici, film e sceneggiati che la riguardano, sembra che qui l'unico problema sia la mafia. Eppure sappiamo che non Ë cosÏ: ci sono i neonati malformi di Gela ed Augusta, ci sono le aziende che magari non hanno mai pagato una lira di pizzo ma sono strangolate dalla burocrazia, ci sono migliaia e migliaia di famiglie che vivono in baraccopoli che sembrano essere la periferia di una qualunque citt‡ africana. Insomma ci sono tutti i problemi di un pezzo di terzo (se non quarto) mondo. PerÚ si parla solo di mafia, citando connessioni e trame degne di un film di James Bond, cosÏ simili ai film di Scorsese da far venire il dubbio su chi avesse copiato: Scorsese dalla realt‡ per i suoi copioni, o i saputelli nostrani da Scorsese?
Spulciando su internet si puÚ leggere di connessioni con Gorbaciov, con Osama Bin Laden, con il traffico di Plutonio, con il Vaticano. Abbiamo addirittura trovato uno che diceva che la Sicilia sarebbe dovuta essere parte del famoso "Axis of Evil" di George Bush (Te li immagini gli americani a bombardare se stessi?).
Per chi vorrebbe una immagine migliore della sua Sicilia non mancano le occasioni per scoraggiarsi, riprendere le valige e tornare a masticare il pane amaro dell'emigrazione.
Eppure ogni tanto qualche spunto degno di nota lo si puÚ anche trovare. Sul domenicale del 12 novembre de Il Sole 24 Ore Diego Gambetta, professore di sociologia ad Oxford, traccia un interessante parallelo tra la Russia post-sovietica e la Sicilia di met‡ ottocento.
L'articolo in realt‡ ci sembra forzatamente confuso, poichË associa un evento instantaneo ed epocale come il crollo del comunismo, ad una poco chiara "caduta del feudalesimo" nella prima met‡ dell'ottocento in Sicilia. In una terra dove rapporti di tipo feudale sono sopravvissuti sino almeno alla seconda guerra mondiale, parlare di "caduta" del feudalesimo limitata al periodo 1800-1850 mi sembra un poco forzoso. Semmai si potrebbe parlare di un lento declino. (*)
Piega poi il ragionamento ai propri bisogni confondendo il pre ed il post collocandoli ambedue oltre l'evento nel caso della Russia, ed ambedue prima dell'evento nel caso della Sicilia, cioË prima del tramonto definitivo del feudalesimo.
Correggendo queste distorsioni temporali si puÚ trovare una soluzione. Partiamo dalla Russia.
Non vi Ë dubbio che l'esplosione del fenomeno mafioso sia da collocare oltre la caduta del regime comunista, ma visto che di regimi ne cadono continuamente nel mondo e non sempre come conseguenza ci si ritrova tale fenomeno, i pressupposti devono essere collocati prima della caduta, nei rapporti corrotti instauratisi all'interno di una macchina burocratica che non premiava le capacit‡ dei singoli. I "boss" infatti sono spesso provenienti dagli apparati burocratici sovietici.
Sistemata la parte russa, passiamo a quella siciliana. Se il feudalesimo originava da qualche parte corruzione, questa doveva essere nell'amministrazione dei feudi, affidati ad avidi signorotti locali da una classe nobiliare sempre lontana ed impegnata nei complicati riti sociali delle citt‡. Il disgregarsi di questo sistema, ha liberato tali signorotti dall'asservimento ai baroni e li ha proiettati verso il potere, aiutati da una conoscenza del territorio "palmo a palmo" e da campieri privi di scrupoli.
Quello che ci manca Ë l'evento che ha fatto crollare definitivamente il sistema. Tra ottocento e novecento l'unico evento in Sicilia assimilabile al crollo del muro Ë la caduta dei Borbone, con i nuovi padroni che per assicurarsi fedelt‡ mettono al potere i Sedara (quante verit‡ ci ha detto Tomasi di Lampedusa...), avidi di denaro e senza scrupoli e quindi facilmente ricattabili.
Come sapevano, i tosco-padani, di potersi fidare di tale classe? Forse ne avevano avuto esperienza diretta in situazioni simili. Gambetta ci dice che "sul mercato non furono solo la terra ed i suoi prodotti, ma gli stessi bravi (tra virgolette, ndr), che un tempo agivano sotto il controllo monopolistico dei baroni". Anche qui un errore: i "bravi" sarebbero da identificare con i campieri, al servizio del "Don Rodrigo" di turno (il signorotto), e non con il signorotto stesso.
Ma allora... vuoi vedere che la soluzione l'abbiamo avuta tutti sotto i nostri occhi, sui banchi di scuola, e non ce ne siamo nemmeno accorti?
Post Scriptum: l'autore dell'articolo contenente la frase circa la pertinenza dell'inserimento della Sicilia nell' "asse del male" si chiama Diego Gambetta e l'articolo Ë pubblicato sul Boston Review (http://bostonreview.net/BR29.2/gambetta.html). E' lo stesso Gambetta o un omonimo? Certo se fosse lo stesso ci sarebbe da ridere: il Professor Gambetta ha infatti ricevuto nel 2003 il premio "Paolo Borsellino", assegnatogli dall'Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento. Complimenti.
(*) L'articolo contiene altri spunti interessanti: pone innanzitutto un orizzonte temporale congruente alla messa in posa delle radici del fenomeno mafioso, senza pi? richiamare fantomatiche radici arabe. Esclude poi l'elemento genetico associando il popolo russo a quello siciliano. Invoca cioË le condizioni ambientali come prevalenti su quelle culturali, sconfessando praticamente il 90% della pubblicistica anti-meridionale tosco-padana.
L'Altra Sicilia-Antudo
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