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nuovoPrima parte audio dell'evento "Poeti e scrittori del Val di Noto a confronto". In questa registrazione gli interventi di Salvatore Di Pietro, Cettina Lascia Cirinnà, di Corrado Bonfanti Sindaco di Noto, Fulvio Maiello, Roberta Coffa, Gioacchino Scorsonelli, Mia Vinci, Liliana Calabrese e Salvatore Di Pietro in conclusione.
Francesco Urso raccorda, come coordinatore, i vari interventi.

nuovoSeconda parte audio dell'evento "Poeti e scrittori del Val di Noto a confronto". In questa registrazione gli interventi di Cettina Lascia Cirinnà, Salvatore Figura, Gabriele Bosco, Gioacchino Scorsonelli, Salvatore Salemi, Benito Marziano e ancora in conclusione Salvatore Figura, Gabriele Bosco e Cettina Lascia Cirinnà.
Francesco Urso raccorda, come coordinatore, i vari interventi.

nuovoTerza e ultima parte audio dell'evento "Poeti e scrittori del Val di Noto a confronto". In questa registrazione gli interventi di Salvatore Figura, Gabriele Bosco, Cettina Lascia Cirinnà, Fulvio Maiello, Mary Di Martino, Marco Urso, Sebastiano Burgaretta, e ancora in conclusione Cettina, Roberta Coffa, Mia Vinci, Liliana.
Francesco Urso raccorda, come coordinatore, i vari interventi.

 

 

Nell’ambito dell’estate netina 2011 si è svolto, nella serata del giorno 26 agosto, un incontro di poeti e scrittori del Val di Noto. L’evento, caratterizzato dall’assenza della grande editoria ha evidenziato il grave degrado culturale del paese dove non è possibile pubblicare lavori di poesia o narrativa se non si è omologati al cartello monopolistico guidato dalla Mondadori. Anche se un autore, non asservito alla politica editoriale del monopolio, riesce a pubblicare a proprie spese qualche centinaio di copie di una sua opera, trova un ulteriore ostacolo nelle librerie, anch’esse asservite, che o rifiutano o nascondono le poche copie consegnate sottraendole così alla diffusione. E’ stato rilevato un calo di interesse dei lettori per le opere letterarie e si sono accorte del fenomeno anche i gestori dell’editoria nazionale che, come rimedio al calo delle vendite, non hanno trovato di meglio che estendere i punti vendita dei libri anche presso la grande distribuzione. Il risultato è che ora i libri sono esposti assieme ai formaggi, prosciutti e detersivi e i librai saranno presto inutili. Non parliamo della considerazione in cui le Case editrici tengono gli autori.
Alla fine tutti gli autori presenti si sono trovati concordi sulla necessità di difendere la libertà di espressione artistica, non potendo accettare di ricevere da un anonimo ufficio marketing della casa editrice, chiunque essa sia, l’imput su cosa, quando e come scrivere.
In una calda serata dell’agosto netino poeti e scrittori del Val di Noto scelgono di ribellarsi e viene lanciata la proposta di costituire

Il Gruppo degli arrabbiati

Perché da una timida fiammella di rivolta civile possa, un domani, divampare l’incendio che servirà a riscattare la cultura nel nostro paese. A tal fine rivolgiamo l’invito a poeti e scrittori, non solo siciliani, che vogliano portare il loro contributo ad aderire all’iniziativa. A tal fine preghiamo di volere segnalare i propri dati identificativi, se poeti o scrittori e il proprio indirizzo e-mail al sito della Libreria editrice Urso di Avola, una delle poche se non l’unica ancora indipendente.
www.libreriaeditriceurso.com - info@libreriaeditriceurso.com

La mobilitazione che ci auguriamo di realizzare non ha alcun fine né economico né di bassa politica ma vuole soltanto risvegliare nell’animo di quei pochissimi autori, specie di quelli che attualmente si stanno prostituendo alle regole del denaro, un moto di orgoglio ricordando loro che da sempre la competizione tra il denaro e la parola ha visto sempre il trionfo di quest’ultima. Siete, pertanto, tutti invitati a dare la vostra adesione perché è arrivato il tempo dell’azione.
Tra le azioni da intraprendere da subito ci sono:

Una denuncia: Denunciamo la inattendibilità di tutti i concorsi letterari a carattere nazionale per la scarsa trasparenza e la possibilità di partecipazione riservata ai soliti noti.                                                      
Un rifiuto: Rifiutiamo le recensioni e i giudizi dei critici letterari perché, essendo i medesimi sul libro paga di riviste, giornali e tv, che notoriamente utilizzano le sovvenzioni della legge dell’editoria per scopi privati, non possono essere ritenuti obiettivi.
Una richiesta: Invochiamo dalla politica una legge editoriale che combatta i monopoli e i conflitti di interesse e garantisca a tutti i cittadini la libera espressione del pensiero.
La cultura non garantisce la ricchezza ma rende la nostra vita degna d’essere vissuta.

fotoFulvio Maiell

LIBRI E POLITICA COMMERCIALE

Caro Ciccio e amici tutti,

 

il problema sollevato da Fulvio Maiello, e da altri ripreso, merita un approfondimento maggiore. Sì, è vero che le grandi case editrici pensano solo agli incassi e i loro critici sono degli scribacchini prezzolati. È vero pure che i concorsi letterari sono delle truffe legalizzate soprattutto quando si esige una cosiddetta tassa di segreteria o per la lettura della opere che nessuno sfoglierà; e poi, ha senso un concorso in cui non esistono dei criteri certi e oggettivi di valutazione? È altresì vero che i libri vengono venduti sugli scaffali dei supermercati o dei centri commerciali e che fanno bella mostra di sé tra dischi, detersivi e cocomeri. Siamo in mano a degli imbonitori culturali il cui unico interesse è quello di fare cassa e di lucrare su opere insignificanti paludate da giudizi critici inconsistenti. E quel che fa più rabbia è che la cosiddetta stampa locale tace su tutto ciò che vera cultura del luogo produce e dà, invece, ampio spazio a un libro banale presentato magari  in un contesto scenico accattivante a un pubblico non di potenziali lettori, ma di persone invitate per far numero e accrescere così la sontuosità e l’importanza dell’evento. E sì, la presentazione di un libro viene considerata come un evento! Nessuno pensa alla fatica dell’autore che, parola dopo parola e pagina dopo pagina, ha dato corpo alle sue idee e alla sua visione del mondo o delle cose. Un libro, come qualsivoglia opera dell’arte umana, rappresenta l’esito finale del lungo travaglio dell’autore che rifugge ogni tentativo di classificazione critica, di commercializzazione e di confronto concorsuale. Ogni autore è un essere unico e irripetibile e le sue opere sono, come lui, uniche e irripetibili, non confrontabili, né monetizzabili. Chi scrive o si dedica a qualunque opera artistica o non divulgativa lo fa in primo luogo per se stesso e non per avere gloria o riconoscimenti.

 

RaccontiCon queste poche e povere righe ho voluto contribuire al dibattito in corso e allego, per chi non l’avesse letto, un estratto del mio racconto breve tratto da La valle dell’ozio che ha per argomento tale tema.

 

L’otium e il negotium

 

Per chi come lui è amante della lettura, e fa del leggere, non un piacevole intrattenimento, ma un’abitudine radicata, una libreria rappresenta il porto d’approdo dopo lo stanco navigare tra i flutti perigliosi e tempestosi della futile e inutile quotidianità.

Entrarono e, immediatamente, rimasero sbigottiti dalla spropositata estensione del locale. Si trattava di un negozio di almeno trecento metri quadrati. Le luci multicolori mettevano in risalto le ultime pubblicazioni. Lui cominciò il tour culturale attraverso le innumerevoli copertine esposte come su uno scaffale da supermercato, con relativi prezzi e  sconti,  e subito si reso conto che in quella libreria c’era tutto, di tutto un po’, ma in effetti non c’era nulla, niente che potesse interessarlo. Copertine variamente colorate, titoli altisonanti, innumerevoli pagine che avevano il precipuo scopo di intrattenere il probabile, o improbabile, lettore con vacue sciocchezze insaporite di fragorose espressioni verbali che, a loro volta, avevano il preminente compito di non dire assolutamente nulla. Una libreria per i lettori del nulla che si abbandonano a frivole elucubrazioni, leggendo magari la trama dell’ultimo romanzo alla moda in qualche rivista, per poter dire che leggono, che sono a conoscenza di tutto e sono soprattutto delle persone colte. Ma la cultura non è né la vana ostentazione del sapere fine a se stesso né il cibreo parolaio, fatto di significanti senza significato, che ritiene di poter contribuire a chiarire le più svariate questioni di lana caprina. La cultura è ben altro, vola più in alto fino a raggiungere le alte mete della conoscenza per poi ridiscendere e affermare che chi pensa e conosce è ed esiste. Inoltre l’uomo, che fa della cultura il suo modo di esistere, non rimane isolato in se stesso, è naturale che si apra agli altri e faccia di sé, come scriveva Albert Camus, l’homme solitarie qui devient solidaire, ovvero l’uomo solitario che diventa solidale.

Sua moglie, anche lei del tutto disinteressata alle banalità messe in bella mostra, comprò un piccolo manuale di giardinaggio, quasi un obolo doveroso da versare nelle casse della splendida magnificenza della cultura, mentre lui diede un’occhiata alle pubblicazioni economiche inerenti gli autori francesi e inglesi. Nessun titolo attrasse la sua curiosità, si trattava di libri noti che aveva già letto e che possedeva. E sì, perché per leggere un libro era necessario che fosse suo, non riusciva a leggere un libro passatogli da qualche altra persona o preso in prestito dalla biblioteca comunale. Conservava da sempre l’abitudine, leggendo, di sottolineare le frasi salienti che lo attiravano, di appuntarle in un notes e poi trascriverle al computer. La qual cosa era abbastanza agevole visto lo spazio esiguo del suo studio che gli permetteva di tenere i libri a portata di mano, in modo da poter rileggere tutto ciò che aveva evidenziato a una prima lettura.

Uscirono stanchi, ma soprattutto annoiati, dalla libreria e decisero di fare un giro nel centro storico della città vecchia.

Immediatamente la sua attenzione fu attirata da un negozietto quasi mimetizzato tra le brutture degli edifici dissestati, quasi in disfacimento e sicuramente poco curati. Un’insegna scolorita lo incuriosì: Leggenda.

Invitò sua moglie ad avvicinarci alla vetrina e subito si resero conto che i libri esposti, pur nella luce  crepuscolare del pomeriggio che scemava per lasciar posto alla sera, sembravano brillare di un chiarore proprio. Si trattava di testi scritti da autori del luogo che mettevano in risalto il dialetto e la cultura calabrese; c’era persino la traduzione della Divina Commedia di Dante Alighieri o Allighieri.

Attratti da tanto ben di Dio, non si accorsero neppure che la porta, con un cigolio incredibile, si aprì e un signore anziano li invitò a entrare. Lo seguirono, imitando quasi il suo andamento claudicante - visto che si sosteneva appoggiandosi ad una stampella - ed entrarono nel suo regno.

Descriverne l’interno è un compito immane in quanto il negozietto, di un’ampiezza ridicola, forse tre metri per tre, era un insieme di mensole e scaffali ricolmi di libri e pubblicazioni varie. Ci si muoveva a stento nella semioscurità del locale; pur tuttavia, con grande fatica, riuscirono a sedersi davanti a un tavolo, anch’esso ricolmo di libri. Dall’altra parte stava un uomo, come detto prima, anziano. I radi capelli imbiancati conferivano al suo volto la parvenza di un santo pronto a benedirli, mentre i suoi occhi vispi, di un colore indefinibile, descrivevano loro il precoce invecchiamento della sua vita travagliata tra la solitudine impostagli dagli uomini e dal mondo e la compagnia offertagli dai libri.

Gli chiese immediatamente come facesse a vivere e a passare il suo tempo in quel luogo angusto, o quantomeno poco spazioso. Le parole della risposta che ottenne lo lasciarono di stucco:

Sicuramente la vita merita di essere vissuta, altrimenti non avrebbe senso continuare a dibattersi in un limbo di pulsazioni estenuanti, mai proficue o determinanti, e senza un fine ben prefissato. La vita va vissuta vivendo il tempo che passa e non passando il tempo nell’attesa di un evento che sia in grado di attenuare la noia mentale a cui fatalmente ci abbandoniamo.

Notando il suo sbigottimento, forse per farlo sentire più a suo agio, chiese loro da dove venivano e, sentendo che erano siciliani e in modo particolare netini, frugò tra i libri e i fogli che ingombravano il suo tavolo-altare e tirò fuori un librettino impolverato a cui mancavano soltanto le ragnatele. Sfogliandolo delicatamente e con devozione, così come un prete sfoglia il messale, mostrò loro una poesia su Noto, o meglio sul moscato di Noto, scritta da un autore che non conosceva. Lo invitò a leggerla e subito dopo gli disse che lui, attraverso i libri e la lettura, conosceva il mondo, pur se claudicante e restando rinchiuso nel suo negozio.

Ancora una volta rimase stupito dal suo modo di parlare e di porsi nei confronti dei suoi interlocutori.

Ci fu un attimo di silenzio e ne approfittò per alzarsi e dare un’occhiata ai libri sistemati sugli scaffali. Non fece in tempo a leggere alcun titolo che subito fu richiamato dal libraio che lo esortò a non perdere tempo a cercare qualcosa di interessante. Mentre parlava, continuava a rovistare tra le sue carte ed infine gli porse un certo numero di fogli fotocopiati che recavano i versi di autori a lui totalmente sconosciuti. Con una voce improntata a una certa bonarietà, quasi con paziente indulgenza, gli disse che era inutile cercare tra i libri esposti le pagine più belle da leggere, era un lavoro insignificante, o quanto meno superfluo, in quanto l’aveva già fatto lui, e le pagine che gli offriva rappresentavano il florilegio o, ancor meglio, la crestomazia del pensiero poetico dell’uomo.

Non poteva non accettare, per cui allungò la mano per ricevere quel dono inaspettato e gli chiese quanto doveva pagare per le fotocopie.

Non l’avesse mai fatto, l’uomo, con uno scatto improvviso, si alzò dalla sedia e, con voce indignata, esclamò:
Non sono un commerciante, sono un libraio!

In tutta fretta prese i fogli, lo ringraziò e invitò sua moglie ad andar via.

Uscirono che fuori era già buio e, nella luce fioca emanata dai pochi e radi lampioni sparsi per la piazza, si rese conto che non aveva capito nulla della vita.

Era bastato un semplice incontro, magari imprevisto e del tutto casuale, con una persona del tutto sconosciuta, ma pregna di buoni propositi, per fargli capire che la vita non è l’esistenza volta al guadagno e al profitto, ma l’accettazione dell’essere così come siamo, piuttosto che il cercare di ottenere l’avere che non possediamo e di cui non potremo mai essere padroni.

 

 

 

                                                                                                         

notoAlla cortese att.ne
della Libreria Editrice Urso

In linea di condivisione e partecipazione di idee e di pensiero a quanto afferma Fulvio Maiello nella nota "Il gruppo degli arrabbiati", inserita ed inviata nell' ultima mail della Libreria lascio qui i miei dati personali, sperando di aver colto il msg insito nello scritto...

Mi capita spesso, quando vado a Firenze, di passare da via San Gallo dove un tempo c'era la storica libreria Le Monnier e vedere che oggi è stata fagocitata ed inglobata da quella grande editoria di potere chiamata Mondadori... e non entrare e non soffermarmi più come una volta tra gli scaffali, le pile di libri o presso il bancone di legno... anche a ragionare col personale... come non mi è più possibile aggirarmi nei corridoi della Marzocco con quel suo bel leone rampante o del Marzocchino, libreria specializzata in editoria per ragazzi e in quella per insegnanti, situate entranbe lì in via Martelli nel cuore della Fi antica e adesso soppiantate da "altri" esercizi commerciali...come non mi piace più sedermi ad un tavolo all' interno del locale "Le giubbe rosse", sorseggiando come una volta del the e sfogliare qualche pagina di libro proprio lì dove un tempo si riunivano i nomi che hanno fatto la storia della letteratura italiana, fondando anche riviste culturali di pregio e lo stesso D. Campana cercava disperatamente di vendere i suoi "Canti Orfici".
La Giunti, altra casa editrice fiorentina, resiste e tiene il passo... ma anch'essa pian piano per evitare un lento soffocamento, ha dovuto allinearsi a certe velleità ed esporre sulle mensole delle sue librerie anche edizioni "da cassetta"...!
Tutto banalizzato... tutto anonimo... tutto reso commerciale... tutto soggiogato alla logica del denaro e non della cultura.
Firenze con la ZTL nel centro storico è magnifica... è il salotto buono della città... ma l'egemonia di certe logiche assurde ha fatto dello stesso centro storico un luogo per soli turisti... un luogo non più vissuto e vivibile neanche dai cittadini o per chi vi si reca ogni giorno per lavoro... e dei viali di circonvallazione città dei luoghi caotici per il traffico che si è ancor più appesantito e male si riesce a smaltire... Però anche se "vuolsi così colà dove si puote...", occorre invece domandare... chiedere a gran voce di salvaguardare quei piccoli tesori editoriali che delle loro pubblicazione fanno fiore all'occhiello del diritto alla cultura per ogni cittadino... come è nel caso della vostra Libreria che è perno culturale della città e promotrice di tante idee per gli stessi cittadini.
un caro saluto e cordialità


Lucia Bonanni

Editoria e cultura

 

Quanto scrive Fulvio Maiello in “Gli arrabbiati” è, a mio credere, un ottimo spunto per aprire un dibattito che possa mettere a confronto queste due questioni, editoria e cultura, che sembrerebbero costituire un binomio inscindibile, ma che sono, in realtà, due questioni affatto diverse.
E così le pone, in fondo, anche Maiello, pur se, a me pare, oscuri un po’ la primarietà della cultura rispetto all’editoria, ponendo su questa più aspettative di quelle che può darci, anche se c’è del vero nelle colpe che imputa agli editori.
L’amico Fulvio sembra non tener conto del tempo che viviamo, tempo dominato dal mercato, divenuto una sorta di moloch universale (a altri piacerà meglio globale), a cui tutto va sacrificato. Viviamo, oggi, in una società mercantile alla quale uniformiamo la nostra mentalità, la nostra cultura, la nostra logica, il modo di vivere, i rapporti umani, ogni nostra manifestazione vitale.
Ora, a questa ‘Weltanschauung’ non possiamo pretendere, per quanto augurabile, che potesse sfuggire l’editoria, nei cui fini neanche lontanamente rientra quello di promozione culturale del popolo. L’editore è un imprenditore che deve fare affari e denaro. Niente di più! Un’azienda editoriale non pubblica libri perché la gente possa arricchire la propria cultura, emanciparsi culturalmente sempre più, ma perché possa nutrirsi del nutrimento che loro vogliono fornire, in ossequio alla concezione di vita che deve essere mantenuta: il dominio della finanza e del mercato sul mondo intero, e un potere politico asservito a tale dominio.
 Non per niente è dominante nelle grandi aziende editoriali la figura dell’editor, esperto non culturale, ma di mercato, il quale studia i sondaggi d’opinione attraverso i quali prima vengono convinti i potenziali lettori a farsi piacere ciò che a loro conviene che piaccia (persuasione occulta, la chiamò Marcuse), e, poi, su quei sondaggi modellano i libri che decidono di pubblicare, soltanto perché meglio si prestano ai loro stravolgimenti  con quelle operazioni dette di editing, consistenti in tagli modifiche aggiunte fino a farne ciò che loro hanno voluto che il lettore vuole.
E l’editore fa i suoi affari, che è ciò che veramente gli interessa. Egli è, in pratica, perfettamente conforme agli ideali di questa società.
Mi sembra altrettanto vero (risulta anche a me), ma anche più assurdo, invece, l’altro argomento contro il quale Maiello sfoga la sua “rabbia”. Mi riferisco a quello dei librai che non accettano per la vendita libri stampati dai piccoli editori o in proprio dagli autori, e se li accettano, chissà per quale ‘magnanimità’, li tengono per un po’ di tempo nascosti e poi li restituiscono, rifiutandosi, persino, di venderli a qualche ‘aspirante’ acquirente che glieli chiede. Ciò che appare incomprensibile, irrazionale, per non dire stupido, fuori della loro stessa logica di librai, che stanno lì per vendere libri e, quali che essi siano, vendendoli, accrescerebbero comunque i loro introiti. 
Pertanto, il problema è molto più arduo e più ampio di come prospettato da Fulvio Maiello, e necessita che si punti sull’altro corno della questione: sulla cultura, cioè, e non sulla ‘cultura negata’ di questa nostra società e di questo nostro tempo dominati dalla sottocultura del denaro, dell’arricchimento, della sovrapproduzione, di tutti quei disvalori, ci ricorda Lucia Bonanni nel suo intervento, ai quali, ancor più i giovani vengono indotti, gabellandoli, magari, come i nuovi valori del postmoderno. Viene così a essere eclissata la vera cultura, che è conoscenza del lungo cammino dell’uomo; che è promozione di ricchezza interiore; che è acquisto della capacità di godere del bello; che dà sentimenti elevati. Cultura che non interessa più il mondo mercantile del produrre vendere arricchirsi; né i traffichini della politica, che  per mandato di quel mondo, amministrano la cosa pubblica.
Lamenta, l’amica Anna Maria Folchini Stabile l’assenza, oggi, di quei libri per ragazzi che educarono le nostre generazioni ai buoni sentimenti, agli ideali di apertura e rispetto dell’altro, a sentire ciò che l’altro ha da dirci (questo, in fondo, è, anche, la cultura); a vedere nell’altro un nostro eguale, quale che sia il colore della sua pelle o il suo modo di vivere. Sì, hai ragione, cara amica, ma in questa sottocultura dominante non c’è spazio per questi valori e per quei libri che tu ricordi, e che hanno fatto di noi quel che siamo. Perché tutti siamo il prodotto di ciò di cui ci nutriamo. E noi siamo il prodotto di quell’humus nel quale vivemmo. E qual è quello dove oggi si vive? Quale può essere l’humus culturale in un paese dove ci sono governanti che considerano la prima istituzione culturale, la scuola, soltanto come causa di spesa passiva e improduttiva, perciò si riduce costantemente il numero degli insegnanti, si chiudono scuole e classi; dove si sopprimono (allo scopo c’è pronto un decreto), istituzioni di riconosciuto prestigio internazionale come l’Accademia della Crusca, e l’Accademia dei Lincei; dove diminuiscono le pubblicazioni.
E, ancora, un paese dove le biblioteche comunali, gli stessi musei, le pinacoteche, i teatri, gli auditorium  continuano ad avere una funzione marginale per la diffusione della cultura, mentre potrebbero e dovrebbero essere centri propulsori di cultura attiva; potrebbero e dovrebbero diventare laboratori culturali e artistici, aperti a molteplici iniziative di incontri culturali su iniziativa di queste stesse istituzioni o di iniziativa di associazioni o gruppi di liberi cittadini.
Ritengo questi modi, né tutti, né i soli, ovviamente, atti a promuovere una politica di espansione  culturale intesa, anche, a elevare gli interessi e i ‘gusti’ letterari e artistici, e a spingere in avanti tutta la società determinando, in definitiva, anche l’evoluzione dell’editoria verso una diversa politica editoriale.
In carenza di queste condizioni, a me pare, che quanti siamo consumatori e amanti di cultura non possiamo far altro che autoinvestirci di una funzione vicaria delle istituzioni pubbliche culturali più o meno assenti, e farci, oltre che fruitori, anche, ‘propagandisti’ e organizzatori di eventi culturali.         
Al di là di questo non saprei cos’altro proporre.         
 
 

Urso-Avola

 

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