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Corrado Tiralongo
SPAZIO A CURA DELLA
LIBRERIA EDITRICE URSO

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Targa

Questa la targa in memoria di Corrado Tiralongo
che troveremo allocata nella sua abitazione di Via Giusti ad Avola,
inaugurata sabato sera 22 marzo alle 21,45 circa

 

Corrado Tiralongo, Fissazzioni - Poesie dialettali , 2001, 8°, pp. 112, Euro  8,00 – ISBN 978-88-6954-255-8acquista

Avola 9 marzo 2013, Salone Comunale di Corso Garibaldi,
all'incontro promosso dall'ANPI di Avola contro ogni tipo di violenza,
con la partecipazione di numerose associazioni locali,
Nina Coletta recita una sua poesia intitolata "La donna che conosco".
La poetessa Nina dà omaggio al poeta avolese Corrado Tiralongo
per averla incoraggiata a praticare la via della poesia.

attestazione
PUISIARI

Se nunn avissi comu puitari
e mèttiri n carta chiddu ca sentu,
forra cosa ri ittarisi a mmari
puru ca iu a li voti ammentu.

C'è na manera cciù megghiu ri chista
- ri lu nsemi ri sona e ri palori -
ca t'accarizza u cori a prima vista,
ca porta suffirenza, ma nun lori?

Quannu ncucciari pozzu quattru versi,
ca sono sfocu a lu me turmentu,
su' li me jorna ca nu cuntu persi.

È râ campata lu megghiu momentu,
quannu râ vita la tila tu tessi
e li penzera nun li jetti ô ventu.

CORRADO TIRALONGO, "Fissazioni"


poesia

O Cicciu!!!

"Ebbreu erranti" ti ciamai aeri!
M'addugnu ora ca, ppi fari sordi,
zoccheddarè tu ti strummenti arreri...
ma la cuscenza poi ti rimordi...

Allura vo' rrivi fina nta Spagna
ccô cavaddu rô santu puvireddu...
u celu raccussì nun si varagna,
ca tutti cosi tu metti a munseddu.

Nun po' fari 'n corpu ccà e 'n corpu ddà!
Ha sapiri ccu ccu è ca vo' stari
'sennu ri na parti, senza nenti "ma..."!

Ca la cuscenza nun l'ha scuncicari!
Ri traversu, c'amara mia si sta!
A Maronna, cchi vôi ca pô far
i?

Corrado Tiralongo

 

Copertina "Fissazzioni"CorradoLe «Fissazzioni» dialettali del poeta Corrado Tiralongo
Le «Fissazzioni» del poeta avolese Corrado Tiralongo, questo il titolo della sua ultima raccolta di liriche, sono un ecoscandaglio dell'animo umano. Un radar che sonda le profondità del tessuto di esperienze vissute tra saggezza, slanci amorosi, amicizia e solidarietà. «Lu picca», «L'amuri 'ppi ll'autri» e la bellezza femminile, quel dono che la natura ha concesso all'uomo, sono i capisaldi della poesia di Tiralongo che affonda le sue radici nelle tradizioni e nella saggezza popolare. Ci si può, anzi, ci si deve contentare di poco, questo emerge dalle poesie in dialetto avolese di Tiralongo. Anche una vita percorsa già per la maggior parte della sua lunghezza, può essere rischiarata dalla bellezza femminile, una scintilla che ha il merito di far rinascere la primavera.
Tiralongo, nell'antico vernacolo della città, svela ai lettori, ma soprattutto alla incontentabilità ed alla frenesia dei ragazzi, la scoperta interiore di una vita sana, seppur giocata tra opposte e poco controllabili istanze giovanili: «E' lu picca che porta godimentu, mittennu fora liggi lu turmentu».
Una «voce dentro» guida la penna dell'autore alla ricerca di un significato: il senso che si deve attribuire alle cose della vita e la loro importanza, poiché troppo spesso ci si affanna per un nonnulla. Leggendo questi sonetti, abilmente dipanati nel complesso dialetto locale, ci si trova, inevitabilmente, a «riequilibrare» la realtà che ci circonda, attribuendo il giusto peso al mondo esterno ed a quanto vi accade. Non poteva mancare l'apprezzamento vero delle gioie familiari, in riferimento soprattutto alla propria compagna, sempre in grado di infondergli sicurezza ad ogni passo di quella battaglia che è l'esistenza umana. Il critico Salvatore Salemi, nel commentare l'intero volume delle poesie di Tiralongo, edito dal vulcanico Ciccio Urso, ha focalizzato l'attenzione proprio sul dialetto, che risulta essere «con un lessico a volte un po' aspro, ma sempre spontaneo e comunicativo». In questo modo, dice il critico, è stato possibile preservare la lingua parlata e la identità popolare che ne sta alla base. Questo fatto rappresenta un importante punto fermo per i giovani che comunicano un dialetto in qualche modo «contaminato dall'esterno» e che iniziano a dimenticare le radici popolari, oltre alla «vera integrità sintattica e lessicale della lingua materna».


Roberto RubinoRoberto Rubino

Corrado Tiralongo, Fissazzioni - Poesie dialettali , 2001, 8°, pp. 112, Euro  8,00 – ISBN 978-88-6954-255-8acquista

Sono convinto che molti lettori, tra quanti si ritroveranno fra le mani questo libro di poesie, crederanno che si tratti della prima raccolta di versi di Corrado Tiralongo, così appartata è stata finora l'attività poetica di quest'ultimo. Invero, un primo volume di liriche in vernacolo avolese è già stato da lui pubblicato nel 1994 col titolo Lu me passatempu; ma la modesta tiratura delle copie, destinate esclusivamente a parenti e ad amici, ne ha limitato la divulgazione e conseguentemente impedito a tanti di conoscere un poeta che attraverso i suoi versi esprime l'anima del popolo avolese. Penso, pertanto, che queste Fissazioni - raccolta di liriche composte tra il 1994 e i primi mesi del duemila - possano finalmente rappresentare l'occasione opportuna per attribuire all'autore il giusto riconoscimento che merita da tempo.
Ma perché intitolare Fissazioni questo secondo volume di poesie? Credo che il titolo si ricolleghi, per quanto non possa sembrare a prima vista, a quello del primo libro, Lu me passatempu, nel senso che l'interesse per la poesia, se prima ha costituito per l'autore un modo per trascorrere piacevolmente il tempo libero che gli si offriva tra gli impegni di lavoro, è diventato una vera e propria passione che prende interamente l'anima, dopo che egli ha raggiunto l'età del pensionamento, quando la disponibilità quotidiana di molte ore libere può invogliare alla meditazione, al riesame della propria vita, all'esplorazione delle pieghe più recondite dell'anima: attività, queste, che dispongono alla poesia.
Per Tiralongo, dunque, la poesia è anzitutto un passatempo, volendo assumere questo termine nella sua accezione più nobile di mezzo di sana ricreazione dell'anima; dice infatti l'autore in La me jurnata ri penzionatu: «Se a li voti a tristizza m'aspetta, / trovu na pinna ccu m pezzu ri carta / e scrivu zoccu mi veni ntâ testa: / stu passatempu a mmia m'abbasta!». Ma poesia per lui significa soprattutto ritrovare la gioia di vivere, sentir rinascere la fiducia nella vita attraverso il libero e sincero sfogo del cuore: «Quannu chiddu ca provi lassi sciri, / quannu sfucari ti lassi lu cori, / ntempu ri nenti passa la tristizza, / coccuccosa r'aruci t'accarizza, / la notti si fa ghiornu e c'è lu suli, / l'annoju ca scumpari è lu signali, / ntâ vita la firucia ti rinasci / e ri lu scuru fittu ti nni nesci» (L'arti puetica). Poesia è, ancora, meditare sulla propria vita, ricostruirla per comprenderne il senso: «E' ra campata lu megghiu mumentu / quannu ra vita la tila tu tessi / e li pinzera nun li jetti o ventu» (Puisiari). Proprio perché la meditazione poetica non consente di buttare al vento i pensieri, il tempo dedicato a comporre versi costituisce per l'autore un gran guadagno: «Quannu 'ncucciari pozzu quattru versi / ca sunu sfocu a lu me turmentu, / su' li me jorna ca nun cuntu persi» (Puisiari).
Spontanea e facile si può definire la poesia di Tiralongo, per il fatto che si fonda su una cerchia di sentimenti e affetti sinceri, che sono evocati mediante un linguaggio semplice e chiaro, che esclude ogni complicazione espressiva, attraverso la trattazione di temi tipici ricorrenti più volte nel libro: la descrizione dell'incantevole spettacolo della natura, l'elogio della vita semplice e del buon tempo passato, il vagheggiamento della bellezza femminile, l'esaltazione dei valori dell'onestà e dell'amicizia, il senso della precarietà del vivere e della morte sempre incombente.
D'altra parte il concetto di facilità, riferito alla lirica di Tiralongo, non va inteso nel senso di poesia sciatta, scontata e senza cuore; ché anzi alla base dell'ispirazione dell'autore sta, anche se non sembrerebbe, una visione drammatica dell'esistenza, la quale è concepita come un dibattersi tra i poli opposti della vita e della morte.
Il motivo della morte ricorre abbastanza frequentemente in questo libro, com'è vero che il senso della precarietà dell'esistenza terrena non può non essere avvertito con particolare immediatezza da un uomo ormai vicino ai settant'anni; il pensiero della morte addirittura domina nella sua mente: «Picchì ogni pizzuddu penzu a morti / e ammentri mi sentu beddu forti? / Picchì, macari ca sugnu cuntentu, / a morti la penzu ogni mmumentu? / Picchì m'agghiu fissatu ccu 'ta cosa, / ca la menti si stanca e n arriposa?» (Depressioni). Ma la morte non è causa di paura per il poeta, che è sempre pronto ad affrontarla con coraggio, consapevole del fatto che prima o poi è necessario tirarsi fuori dalla vita: «Quannu la morti veni, puru ora!, / 'ncontru ci ha ghiri, ccu bbona manera. / E ccu tranquillità ti ciami fora» (Senza trimaredda).
Proprio dal presentimento della morte deriva al poeta un forte bisogno di rivalutare la vita e di godere intensamente i momenti di gioia che essa può concedergli. Quella che Tiralongo cerca è tuttavia una gioia moderata, a raggiungere la quale non è necessario accampare eccessive pretese; ecco perché egli puï trovarla anche nelle cose apparentemente poco significanti. Ad essere beati, dunque, basta poco, proprio come avviene agli uccellini, che sono assunti dal poeta a modello del suo ideale di modesta felicità: «Miati, taliu li passaredda, / ca vanu ciccannu na muddichedda. [.....] Forsi li voli cció bbeni u Signuri / ca ccu lu picca si sanu attruvari» (La me jurnata ri pinziunatu). Perciò gli è possibile ritrovare il piacere di vivere semplicemente in qualche incantevole aspetto della natura, ad esempio nello spettacolo gratuito del sole che sorge: «Cchi spittaculu gratissi ti runa / lu suli, quannu spunta la matina! / U rrussu, ca nto mentri si fa giallu, / è megghiu ri n disignu 'i Raffaellu: / pari ca parra e dintra t'arristora / mentri ca iddu sta niscennu fora (U suli); oppure in qualche ora di pace che gli concede la campagna: «Cchi paci, cchi ristoru m'accumpagna / quannu m'attrovu nti la me campagna! / I passaredda volunu fistanti / ciccannu muddicheddi ri ruspanti;/ e mancu li cicali su' stancanti, / ri la matina a sira virrigghianti, / cco fari zichi-zichi supr'aliva, / siccomu ca l'estati forra sova» (Carpe diem).
Ma il dono più grande che la vita possa offrire all'uomo è forse la contemplazione della bellezza femminile, al cui incanto non può sfuggire neppure chi, come il poeta, è in procinto di varcare la soglia della vecchiaia; sembra anzi che alla bellezza della donna sia specialmente sensibile proprio l'uomo ormai vecchio il quale, pago di poterla solo contemplare, può rivivere i sogni e le speranze della sua giovinezza e trovare un conforto ai suoi giorni, che altrimenti trascorrerebbero monotoni e senza senso. Sono numerose in questo volume le liriche di blank amoroso, le quali si presentano spesso nella forma del sonetto che, ripreso dalla tradizione dotta, il poeta riesce a maneggiare con abilità, pur nell'uso del dialetto; ed esse testimoniano appunto i diversi e graditi effetti che la vista di una bella donna può produrre nell'animo sensibile di un uomo attempato. Il vagheggiamento della bellezza femminile fa dimenticare al poeta il peso dei suoi anni, com'egli dice in Bbabbasunazzu: «E se ri facci la 'ncontru ppâ via, / lestu mi scordu ca cci agghiu n'etati», o in modo ancor pió esplicito in A nuddu fazzu mali: «Va bbeni ca l'annati sunu tanti, / ma quannu la viru, certi mumenti, / mi paru rriturnatu a li vint'anni / e mi scordu ca sugnu bbeddu ranni»; può anche produrre l'effetto di sentirsi pensati da Dio: «Piaci sempri, macari ca scura, / gudiris'i bbiddizzi ra natura. / E lu vecciu, ccu ll'occi risulenti, / ri lu Signuri pinzatu si senti» (Signura mia). In una lirica la bellezza femminile che si offre alla vista del poeta ä addirittura considerata benedizione divina: «Nenti ri megghiu cci attrovu nta vita: / ä lu Signuri ca mi bbinirici. / E' Iddu stissu câ gioia m'invita!»(Occi bbeddi).
Non c'è allora da meravigliarsi se un uomo attempato, incantato dalla bellezza di una donna, possa, anche se platonicamente, innamorarsi e sentirsi perciò rinascere a nuova vita: «E se, nto mentri, na cotta cci nesci, / è troppu bellu, la vita rinasci, / scumpari lu mmernu, lu cori spera. / Macari pi ppicca, è primavera!».
Potrebbe sembrare eccessiva tale insistenza sul tema della donna e dell'amore da parte di un poeta quasi settantenne, ma questi sa giustificarsi dicendo che «l'amuri veru, l'amuri giganti, / n-eternu campa, è sempri prisenti», tanto che «puru ca vecciu cco tempu ti fai, / l'amuri - è veru - nun mori mai!». Del resto, l'autore è uomo abbastanza saggio ed equilibrato per non avvertire spesso una voce interiore che lo induce a raffrenare le scorribande di una fantasia che tende a mantenersi ancora viva e giovanile, coltivando dolci sogni d'amore: «Na vuci ri rintra sentu ca rici: / "Vatinni n campagna, ammenzu la paci; / zzappa la terra, addeva na rrosa, / rónit'i fari, cummina occuccosa. / Allura viri ca canci pinzeri, / a fissazzioni nta nenti scumpari: / t'attrovi cuätu e mmancu cci criri, / cca testa nte spaddi, senza patiri"» (Fissazzioni ri menti).
Quella "vuci ri rintra" è la stessa voce che riconduce la sua mente e i suoi pensieri al casto amore coniugale e a quella creatura, la moglie, che gli è compagna fedele nella vita e gli infonde sicurezza: «Quannu la me ronna cci agghiu vicinu, / mi cuntu patruni ro me ristinu: / avennu ar idda, mi sentu cció forti, / ri nenti mi scantu, mancu ra morti!»(Nun la canciu!). Perciò egli sente il bisogno e il dovere di esaltarne le doti di donna, di moglie e di madre: «Facci r'allegracori, sempri pronta,/ cci ha ddatu sutta a ogni travagghiu, / lassannu ri matri la megghiu mpronta. / Cchi fimmina rrara, ronna ri vagghia,/ s'ha difinnutu sfidannu malanni: / a vita sova, na vera battagghia!»('A megghiu fimmina ro munnu).
Le liriche d'amore di questo volume sono, a mio avviso, quelle che meglio rivelano la sincerità del poeta, il quale non trova alcuna remora a disvelarsi al lettore non solo con i suoi pregi e le sue virtù, ma anche con i suoi difetti e le sue debolezze. Questa sincerità, poi, è espressione di un animo fondamentalmente onesto, che tale si manifesta, in modo particolare, in altre significative liriche, nelle quali si esaltano importanti valori umani: l'onestà, l'amicizia e la solidarietà fra gli uomini, l'esser contenti del poco che la vita concede. Proprio la capacità di accontentarsi del poco e del necessario che si possiede rappresenta, a ben vedere, una di quelle doti umane che stanno alla base dell'onesto agire; ed ecco allora che per Tiralongo "lu picca" che è fonte di godimento è consapevolmente sentito come qualcosa di prezioso: «Dda cosa prizziusa ca lu Signuri / vosi fari ppi tutti li criaturi / è lu picca, ca porta a godimentu, / mittennu fora liggi lu turmentu. / E' ddocu lu segretu ri la vita!» (Lu picca). Per tale motivo il poeta non si perita a levare la sua voce per stigmatizzare l'incontentabilità e la sfrenatezza dei giovani d'oggi, che vogliono tutto e subito: «Ora su' tutti pari senz'affruntu: / tuttu cci attocca e si cci ha ddari cuntu. / Se mancu l'accuntenti, sunu guai! / Tuttu vonu, macari ca nun l'hai!»(Semu a lu sfasciu).
Tale atteggiamento critico nei riguardi della gioventù "del tutto e subito" non va tuttavia inteso come incapacità, da parte di Tiralongo, di comprendere il mondo giovanile, verso il quale anzi egli mostra vera sensibilità e ne conosce i bisogni, al punto da contestare in una lirica dal blank molto significativo l'ideale oraziano del "carpe diem", perché in contrasto, a parer suo, con quella che sarebbe la naturale disposizione dei giovani a proiettarsi nel futuro: «Ma s'o picciottu cci nej u rumani, / raveru la campata cci cummeni? / Lèvicci chissu a unu ri vint'anni: / sulu sfirucia ri ntornu cci spanni! / Cci mori la spiranza nta li manu, / u sangu si lu inci ri vilenu, / a gioia ri la vita cci l'ammazzi, / a pazzia sicuru tu l'avvezzi» (U rumani è giuvini).
L'onestà e la saggezza di Tiralongo si rivelano principalmente nelle liriche in cui egli, forte della sua esperienza di uomo, esprime il suo ideale di vita, che pone a fondamento dei rapporti tra gli uomini l'amicizia, la solidarietà, il senso della fratellanza: in una sola parola, l'amore, il cui bisogno nasce dalla necessità di far fronte alla sofferenza, al dolore, che sono realtà ineluttabili della nostra vita: «Se c'è na cosa ca ni pò salvari / è lu duluri, ca nun n'ha mmancari: / lu soffriri ti runa n'agguantata / e ntornu ti fa ddari na taliata;/ a parti bbona allura s'arrusbigghia / e l'amuri ppi ll'autri ti pigghia» (Parenti).
"L'amuri ppi ll'autri": è questo il nobile messaggio di Tiralongo che ci è dato di ritrovare fra i versi di questo libro; ed è, sul piano etico, il punto più elevato, l'apice della sua poesia.

Mi dispiacerebbe concludere questa nota introduttiva senza esprimere qualche considerazione sugli aspetti formali della presente opera, a cominciare dalla lingua, che colpisce immediatamente il lettore per la sua freschezza e spontaneità. Infatti, lo strumento linguistico di cui si serve l'autore è il vernacolo avolese, che egli utilizza nei suoi tratti caratteristici di lingua parlata, rifiutandosi di apportarvi artifici stilistici vari e di inserirvi termini spuri, che ne altererebbero l'aspetto originario e l'identità popolare. Così il linguaggio poetico delle diverse liriche riesce immediato ed estemporaneo, al punto da presentare un lessico a volte un po' aspro, che richiederebbe di essere digrossato; ma in compenso ha il pregio di essere molto spontaneo e particolarmente comunicativo, e per tale ragione puï essere considerato come un riflesso della schiettezza che contraddistingue Tiralongo, un poeta che non trova alcuna remora ed esitazione a rivelare i propri sentimenti senza veli e senza fronzoli.
Inoltre, ad un lettore attento non dovrebbe sfuggire come l'uso rigoroso del "verace" vernacolo avolese, congiunto all'esperienza di vita e alla saggezza del poeta, determini spesso la creazione di frasi che definirei sentenziose, dalla coloritura linguistica e dalla pregnanza espressiva proprie di certi antichi proverbi popolari; a riprova di questa mia notazione, mi piace riportare alcune tra tali espressioni significative: "Seddu cco picca cci campi cuntenti, / raveru si' riccu, senza ca stenti" (Lu picca); "U suffriri è comu malatia / ca t'arrinforza ddopu c'ha' patutu;/ e cció sicuru ti senti ccu ttia, / na vota c'ha' scuttatu lu dduvutu" (Luntananza); "Ccuppuru forra a megghiu re staciuni / chidda c'arriva quannu unu ä vecciu, / picchç manca lu fumu e lu tizzuni / e cciói nun n'adduma mancu u micciu" (Rulura).
In base alle suesposte considerazioni, credo che mi sia lecito concludere, dicendo che questo volume di Corrado Tiralongo, oltre ad essere, quanto al blank, la testimonianza sincera delle vicende di un'anima, costituisce un documento molto significativo sotto il profilo linguistico. Voglio sottolineare quest'ultima mia asserzione soprattutto in considerazione del fatto che le nuove generazioni avolesi, che parlano, spesso inconsapevolmente, un vernacolo spurio e inautentico, potrebbero riscoprire, mediante i versi di questo libro, quella che è la loro vera lingua materna nella sua integrità sintattica e lessicale, vale a dire nella sua originaria e inalterata identità.


Avola, giugno 2001
Salvatore Salemi

Nota biografica sull'autore
Corrado Tiralongo è nato ad Avola nel 1932. Dopo una breve esperienza di lavoro, durata tre anni, in qualità di ufficiale postale, ha lavorato per oltre trentacinque anni presso le Ferrovie dello Stato come segretario amministrativo.
Vissuto per motivi di lavoro lontano da Avola per oltre vent'anni, vi è tornato nel 1975.
Attorniato dalle sue tre figlie e da cinque nipotini, godendo della serena compagnia della moglie, che gli è stata accanto da oltre quarant'anni, Tiralongo è vissuto dedicando molto tempo alla lettura e alle composizioni poetiche, soprattutto dopo il suo collocamento a riposo.
Nel 1994 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, in vernacolo e in lingua italiana, col titolo “Lu me passatempu” e nel 2001 “Fissazioni – Poesie dialettali” con la nostra Libreria Editrice Urso (“Araba Fenice” 17)…
Ha ottenuto due riconoscimenti per composizioni poetiche in dialetto siciliano:
- Premio "Il Circolo - Città di Avola", 1994: 5° posto;
- Premio "Pino Motta", 1995: 2° posto ex aequo.
È venuto a mancare il 21/11/2008

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Viru ca mi cci attrovu veramenti
a manciàrimi, ccu... fami, na pizza
ogni quattru mèrcuri, cca prisenti
ccu tanti amici, e vinu na... stizza!

Sèntiri parrari a chiddi cciù sperti
ccu picca règuli, allegramenti,
na simpatia eni, c'addiverti
comu se tutti fòrrumu parenti...

A frinisia ppi ll'autru misi
prestu ti pigghia, ca mancu t'adduni,
e li rinoccia tì senti cciù tisi...

Si viri ca ti 'ncucci ccu pirsuni,
c'auricci ccu tutti teni appisi.
Sulu raccussì nesci ri l'agnuni!...

Corrado Tiralongo
Avola 26.03.03

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