Tre poeti nostrani e la loro
Musa
nelle piccole cose di ogni giorno
di Paola Liotta
Parlare di
poesia, scriverne, addirittura commentarla, se non definirla, in maniera
univoca e perentoria, mi chiedo, nel ritrovarmi con tre libri di poesie a vista
sullo scrittoio, e' mai possibile? Soprattutto, quali i significati, in cosa,
l'utile? Nel caso di chi, dopo averne tanto, sempre letta, sostenendo di
prediligere la narrazione in prosa, le si e' arreso come ad una inclinazione che apra la porta a piu' mondi, e non soltanto quelli di
montaliana memoria - nel mio caso, percio' - , ci si rende conto di quanto in
effetti cio' dipenda soprattutto dal tipo di poesia ovvero dalle poesie in
questione.
In essenza, pur
senza potere ne' volere inquadrarla in una categoria o fisionomia predefinita,
la poesia non puo' che rispondere a istanze tali che, adombrate e tradotte in
sillabe e ritmi e rime, si attinga almeno un barlume di quell'Altrove cui
approdare per intessere la sua luce con le tenebre dell'immortalita'. Fare
poesia ovvero ''andiamo a cercare l'Altrove" per dirla alla Pessoa: perche'
"Li' si incominciano a vedere le cose, / le favole narrate sono dolci come
quelle non raccontate,/ la' le canzoni reali-sognate
sono cantate/ da labbra che si possono contemplare".
Tre opere,
tutte di recente pubblicazione, percio', tra tanti romanzi e saggi e altra prosa
piu' o meno quotidiana, nell'ordine casuale dei miei recenti (e convulsi) tempi
di lettura, mi riportano a tu per tu con il senso stesso del poetare, che e' poi
divertimento e svago, riappropriazione del proprio paradiso perduto e
promettente rincorsa dello spirito verso nuovi lidi. |