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...O pellegrini che pensosi andate
BRESCIA sabato 3 novembre 2012
ASSIEME POETI, SCRITTORI, PELLEGRINI E AMICI DELLA LIBRERIA EDITRICE URSO

logo“Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso valli immensamente aperte. Volava senza fine sull’ali distese, leggera come una barca sul mare. Le altissime colonne della Verna si levavano a picco, tutt’intorno racchiuse dalla foresta cupa” è quanto si legge nelle belle pagine dei “Canti Orfici” in cui Dino Campana ricorda il pellegrinaggio al santuario della Verna nel settembre del 1910.
Le parole del poeta offrono evidenti richiami all’agiografia francescana e quel piccolo volatile dal piumaggio color nocciola chiaro rimanda al “caro santo italiano” che nella solitudine mistica modula il “Cantico” a lode e gloria dell’«Altissimo, onnipotente, bon Signore».
Salire a La Verna è come salire verso il cielo, è inseguire una visione onirica, strutturata nel tempo, è dare corpo a quella dimensione logofantastica dove l’anima si mette in cammino e va oltre i limiti del possibile; sostare negli ambienti della Verna è il sogno visibile per poter attraversare le latitudini del nostro essere e giungere nelle regioni più ascose del nostro sentire.
Erano tanti, forse, troppi anni che non tornavo quassù. In questa occasione, giunta quasi per caso, mi sono affidata alle cure, alla simpatia e alla benevola accoglienza dei cari amici Liliana e Francesco Urso, sempre pronti a varcare la soglia dell’oggi e intraprendere cammini di conoscenza e suadente umanità.
Tutto ha concorso affinché il sostanziale significato del nostro andare fosse più amabile e convincente possibile e quel “Laudato si’, mi Signore, per frate Vento,/e per Aere e Nubilo e onne tempo” è stato il paesaggio che ci ha accolti nel religioso spirito francescano e ha lasciato tracce indelebili nel sentimento e nel pensiero. Le emozioni vere, il sentirsi partecipi, il condividere i passi e i silenzi e la stessa frugalità del pasto, ci hanno fatto sentire in un “simposio di anime” sempre alla ricerca di un barbaglio di luce e mai “sazie/di sapere/ i perché della vita”. In quel “corridoio alitato dal gelo degli antri, (che) si veste tutto della leggenda francescana” sono rimasta nella penombra a leggere i racconti degli affreschi mentre loro due scendevano “nel vivo sasso” a visitare il riparo del santo, incoronati dal loro sogno e dal loro senso di libera pace. E mentre una musica dolce si insinuava tra le pieghe del ricordo, ecco spuntare i colori giulivi di un arco-iris a rischiarare i toni cupi dell’aria e a guidare verso altri luoghi della cultura francescana, trasfigurata nelle pareti affrescate e tangibile in nuovi incontri di anime sempre desiderose di accogliere e incontrare altra gente.
logoUltreia suseia, “O pellegrini che pensosi andate” è il saluto che mentalmente rivolgo ai pellegrini convenuti qualche giorno dopo a Brescia insieme a scrittori e poeti per l’annuale incontro di “Avola in laboratorio”. Visi già conosciuti si accompagnano alle tonalità di accenti ancora non ascoltati e “in tutti noi (vedo) un raccoglimento inconscio, una serenità (che) addolcisce i tratti del volto”. La quieta semplicità dei racconti dei pellegrini si leva in alto come una striscia di sole e le immagini si susseguono in una poesia senza fine mentre le motivazioni, i bisogni, i desideri, le virtù, le partenze e i ritorni si fanno medium di viva spiritualità tra i camminanti e i poeti per momenti di intensa empatia e condivisione contemplativa.
La poesia è ovunque… e mentre la bellezza della narrazione si muta in presenza finita, l’ascoltatore attento si spinge più in là di chi racconta il proprio vissuto e la contaminazione logica tra poesia e cammino diviene pura realtà perché la poiesi vive in un saluto cortese e si cela dietro una lacrima che bagna il sorriso.
Il dono della poesia è proprio dei pellegrini come dei poeti, sia gli uni che gli altri guardano il mondo con occhi diversi e la meta che vanno cercando, si trova al di là dello spazio e del tempo, è l’ignoto temuto e il sogno velato del nuovo, è il volere uno stile di vita in cui ciascuno può riconoscere la propria impronta di uomo, è l’acqua chiara “dove il cuore logopellegrino/troverà un giorno/finalmente pace”(Cettina). “Chi rimane/fermo in/un posto/non conoscerà/la vita” (Ada) e durante il cammino come nel percorso poetico, la meta da raggiungere può essere ravvisata in una spiga dorata, raccolta per via o nella “sera (che) si veste di velluto”, nell’arsura stemperata presso rivi gorgoglianti o nel vento caldo che secca i pensieri.
Soltanto nella forma fisica sta la differenza tra la meta cercata dai poeti e quella voluta dai pellegrini, la sua entità fa parte della sfera affettiva e nel quotidiano deriva sempre da un bisogno interiore, da un canto modulato sulle corde del cuore e dal desidero di mettersi in gioco e confrontarsi con noi stessi e con la realtà circostante. La vera meta da raggiungere è sempre quella dove si innalza “la fortezza dello spirito” e il bisogno di girovagare per valli verdeggianti o negli anfratti della mente mai si veste di vana luce; so che tutto questo richiama la partenza e il ritorno, una partenza colma di speranze ed un ritorno carico di struggente nostalgia.
Una domanda non ha trovato il suono nelle mie parole mentre ascoltavo attenta il logoragionare dei pellegrini… ma più che una domanda voleva essere un ritrovare in loro lo stesso stato d’animo che giorni prima avevo avvertito dopo il mio ritorno alla Verna… era una sensazione che non sapevo spiegarmi, un sentimento altalenante tra un profondo struggimento ed una pena nascosta, tra la nostalgia della lontananza e il desiderio di tornare, ma anche di andare su tracciati sconosciuti. E in questo evento così tanto atteso l’ampiezza del senso poetico si è sublimato in una biografia celebrativa che ha abbracciato e completato l’immaginario di un convivio di pace ricevuta e donata. I temi ricorrenti nei vari racconti dei pellegrini sono gli elementi caratterizzanti del viaggio eterno, iniziatici e di purificazione, i luoghi in relazione al viaggio, gli scorci dei paesaggi, il canto, l’evasione, il presagio del domani, la libertà, la scoperta di sé e del mondo, il ricordo, l’oblio, il dolore, la poesia, temi che appartengono anche alle varie prospettive di vita che ciascuno percorre mentalmente o nella realtà vissuta.
“La strada per la grandezza passa attraverso il silenzio” così dalla voce dei pellegrini come da quella dei poeti emerge sempre la connaturata necessità di poter attingere ad un “silenzio di perla” per raccogliere un fiore effimero tra le erbe del prato o per sfogliare i grani del destino tra le dita del tempo. “Vado sognando cammini… Dove il cammino andrà?/Vado cantando, viandante, nel bel mezzo del sentiero…” ed anche l’esperienza della solitudine, che risulta essere la meno sociale e la più sociale delle esperienze, è intesa quale perseverante attributo che induce a scavare fino in fondo al nostro essere per annullare le scorie del vivere e innestare nuovi germogli di vita. “Perché chiamare cammini/i solchi del destino? Viandante , non c’è cammino. Sono due tipi di coscienza: luce una, pazienza l’altra”.

LUCIA BONANNI

IN RILIEVO:

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