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Ciccio, libraio editore

libreriaQuel luogo nel cuore di Avola, posto a mezzogiorno, fra uno snodo non interrotto di strade, dove Mazzini e Garibaldi padri del Risorgimento italiano si abbracciano nelle vie che li ricordano...

Se Alessandro Manzoni fosse vissuto in quest'epoca, dopo un'escursione ad Avola, probabilmente avrebbe così iniziato il suo capolavoro letterario, mutando i nomi dei protagonisti da Renzo e Lucia in Ciccio e Liliana, rappresentandoli in una storia di vita ordinaria nel Novecento in versione di fine millennio.

Diversi dal romanzo di manzoniana memoria personaggi, episodi, trame, ma uguale il tema: l'amore per la vita, bene supremo da conquistare, qui per il tramite della letteratura, perciò del libro.

Nasce così, più per gioco (ch'è la cosa più seria della vita) e per scommessa, che per intenzione di lunga durata, l'idea della Libreria, ponendo radici in un luogo fisso ad una attività che Ciccio Urso già svolgeva in forma itinerante. Con alle spalle una esperienza politica di sessantottino convinto - squattrinato ma onesto, reduce da numerosi lunghi viaggi nel mondo (vizi entrambi rimasti tali) - e la duplice passione, ch'è amore, per Liliana e per il libro: la prima conquistata impalmandola, l'altro legato a sé in via definitiva con l'apertura di quel buco, posto a Capo Sud d'Europa, perciò la libreria ultima (uscendo) o prima (entrando) nell'antico continente. Non più di venti metri quadri, dove i libri trovano allocazione da terra al tetto, negli scaffali, nella vetrina e anche accalcati fra loro e in piccoli mucchi negli angoli e financo agganciati con chiodo e fil di ferro nella parte interna della vecchia porta a due ante (qui detta alla "palermitana") che un lucchetto in precarie condizioni di funzionamento tenta di preservare da intrusioni notturne. Poi c'è lo scagno, ossia un tavolinetto che non si vede più essendo stracolmo di libri, riviste, giornali, penne, gomme, computer, stampante, annunci vari, messaggi d'amici, aforismi captati parlando, raccolti da Ciccio che li trascrive, scritti recenti d'autori locali pubblicati, anche sulla Rivista dal colore grigio verde, "Gli Oratori del Giorno", fondata nel 1927 da Titta Madìa sr che lui agita, mostrandola ai presenti ed alla cui forma grafica si è ispirato per creare la collana editoriale di monografie "I quaderni dell'Orso". Dietro quella pila di libri che giace sopra (ma anche sotto) la scrivania s'affaccia sorridente e sornione lui, Ciccio, il libraio, che nel frattempo ha esteso il vizio, diventando anche editore, piccolo ma non minore.
ciccioRuota la testa enorme ornata dalla folta chioma e incorniciata da un paio di grandi occhiali che si muovono in saliscendi via via che arriccia il naso per una delle sue consuete risate e, con voce squillante e dal tono fra serio e faceto, apre le due lunghe braccia, per dirigere come un maestro di musica quella orchestra che gli sta davanti.
Tre persone - è il massimo che lo spazio concede - si dimenano fra un libro, una rivista, una "quisquilia", ammirando con occhio carezzevole e fugace quella bella fanciulla che telefona al moroso, mentre gli altri aspettano pazientemente sul marciapiede davanti alla porta il loro turno per entrare nel palcoscenico e svolgere il ruolo di solisti, o primi attori, contentandosi intanto di esercitare il ruolo di comparse.
Spesso i primi attori si attardano a non lasciar la scena ad uno ad uno, preferendo andar via tutti insieme, come avveniva negli anni Trenta e Quaranta ai frequentatori notturni del palco della musica (usato nelle sere d'estate come una sorta di circolo ricreativo all'aperto), per evitare che chi resta cominci a sparlare di chi è appena andato via. Capita nel frattempo di veder apparire Liliana, nascosta fra i libri a cagione della sua esilità, intervenire nel di scor­so, o di assistere ad una incursione di Marco, futura speranza editoriale, il quale reclama un gelato a Ciccio che lo rabbonisce «Ti fa male». Tra un discorso, una battuta e l'altra, un "personaggio" e l'altro che si alternano nella recita («È la casa che li porta».... direbbe un amico d'antica memoria ora scomparso), si svolge il teatro della vita di paese, nel Sud della Sicilia, giardino del mondo. E si scrive la storia, quella con la esse minuscola fatta di piccoli episodi ed eventi del quotidiano, che probabilmente è più importante di quell'altra con la consonante maiuscola che narra dei grandi eventi e che forse più interessa pochi uomini.
In fondo il presente non esiste. Mentre si scrive, si parla, si legge, il presente è già passato. Ricordare dunque per riessere, perciò rivivere, ecco il problema. Per dirla con Eduardo De Filippo «ha dda passà 'a nuttata».
Il tempo scorre piacevolmente nella Libreria Urso, dove si esercita in permanenza la sagra del libro, unico vero protagonista di questo teatro che è anche il centro e il cuore del mondo e dell'uomo e lo aiuta appunto a vivere.
Quel buco o «covo» come affettuosamente lo chiama l'altro Urso, Alessandro, avolese da trent'anni emigrato in Canada ma col cuore qui, si appresta a festeggiare le nozze d'argento col libro e l'editoria e rammenta i quattro lustri già passati con una dedica su papiro a firma degli amici che Ciccio tiene alle spalle sopra la testa come una corona. Accanto alla quale è fissata anche una maschera teatrale in miniatura, per ricordare a ciascuno il suo ruolo nella recita del teatro della vita, e un palloncino pronto, all'occorrenza, ad essere gonfiato e immediatamente subito sgonfiato all'orecchio di qualcuno che tenta di sollevarsi da terra...
Ma in quel luogo si va anche per acquistare libri, e se ne trovano di ogni genere e specie: antichi e moderni, di tutti gli editori, italiani ed esteri, oltre quelli da lui editi, ovviamente, e, se si cerca un libro che non c'è, Ciccio assicura che si può avere in meno di una settimana, sempreché gli si lasci un acconto, altrimenti finisce come lo Zufolo di Giufà.
Quando vado fuori, una delle prime cose di cui vado in cerca è la libreria; ma posso dire che solo la famosa libreria parigina "Shakespeare and Company" - fondata nel 1901 da Silvia Beach, frequentata da gente famosa e no, di tutto il mondo, e ora gestita da George Whitmam, che con Urso, pur nella differenza di età, ha molti tratti in comune in quanto a disponibilità umana, simpatia, occhio esperto e vigile, bontà d'animo -, mi procura lo stesso fascino di questo buco.
E sarà quest'angolo di vita e di cultura, dove gli incontri sono ancora l'unica possibilità che resta in provincia per cogliere le tensioni del mondo, a rappresentare nel terzo millennio che avanza, ancora più e meglio di oggi, la storia e la civiltà di un piccolo paese dal nome sdrucciolo, posto ai piedi degli Iblei, in terra di Sicilia, luogo di questo pianeta.

 

Giovanni Stella
a pag. 535 di Una vita - Opere 1989-2003

Riceviamo con particolarissima emozione queste parole dall'AMICO Tonino...

Ciccio, libraio editore,
attento e distratto, interessato e non, dolce e scorbutico. Ciccio è tutto e il contrario di tutto, ma un solo aggettivo penso lo rappresenti in modo univoco. Un aggettivo che non ha né sinonimi né contrari. Ciccio è un "Amico".
Con tutta la stima che ho, un suo amico e collega di tante venture e sventure,


                                       Antonino Masini

 

una vitaGiovanni Stella, Una vita - Opere 1989-2003 (poesie, racconti, elzeviri), Editrice Urso, Avola, 2003, pagg. XXVIII+1260, € 22,00 acquistaAcquista
Giovanni Stella - Una vita RECENSIONE di Sergio Sciacca (da "LA SICILIA" )
Questo libro è la vita dell'Autore (nato ad Avola nel 1948, stimato commercialista, autore di parecchi volumi di liriche e prose, sodale di parecchi nomi di punta delle lettere italiane): non nel senso che la contenga tutta (che altro si aspettano i lettori amanti del bello stile che gli ha fatto onore), ma nel senso che ne racchiude i tratti più rilevanti, vitali.In primo luogo versi con cui osserva gli incontri e gli affetti in stile diretto, senza compiacimenti retorici ("Mi sono chiesto se sei durata più a lungo tu o il sigaro che fumavo..."; "Eri e sei l'altra parte di me: / non per questo era facile la convivenza. Tutt'altro..."), ma con una sensibilità al fluire di sentimenti ("La figlia dei figli dei fiori / mi ha portato nell'altra punta / nell'isola delle cento e più sirene..."; "Croci - tante - nel terreno abbandonato,/ camposanto di soldati /che vissero quattro lustri soltanto/ e ora giacciono..."). Poi gli elzeviri, cronache di incontri di cultura, dallo stile terso, come oggi è difficile trovare. In fondo un fascicolo di mimi, epigrammi in prosa, brevi ritratti di macchiette tradizionali, colti con il sapore della parlata dialettale, con la beffa salace del vernacolo, da assaporare, come il vino buono, nel ricordo di vendemmie antiche. Un libro da leggere a lungo - con le sue 1300 pagine: una vita di scrittore poetico, destinata a chi sa sentire la poesia della vita.

Ho letto qualche giorno fa di certe esternazioni che purtroppo confermano lo stato di degradazione inarrestabile dell'intendimento di Oriana Fallaci. Ho scritto qualche considerazione, che vi mando volentieri, anche per contribuire un poco al vostro lavoro in difesa di valori che spesso vengono trascurati o dimenticati dai più.
Cari saluti.Donato

Valori a senso unico
(Considerazioni su Oriana Fallaci)

FallaciForse i tempi di Panagulis, quando Oriana Fallaci tuonava e vibrava contro il militarismo e l’autoritarismo dei colonnelli greci, e quando sembrava che persino amare non potesse farlo che all’unisono con un’imprescindibile fede nel diritto, di uno come di tutti, all’esistenza, alla libertà, alla dignità, sono finiti. Con gli anni sembra essersi appannata la bella tensione etico-politica che ci aveva fatto conoscere una Fallaci nemica integerrima di ogni forma di violenza e d prevaricazione, e ci sembra, da un po’ di tempo a questa parte, che tanta lucidità stia cominciando a lasciare il campo ad una scelta di campo che dei ragionamenti lucidi non sa più che fare e che ha tutta l’aria di una deriva settari dell’intelletto pur splendido di una grande giornalista e di una grande scrittice. Anche la Fallaci, duole dirlo, sembra vittima di quello che sembra essere diventato un desolante cliché: quello che vuole ostinatamente vedere Israele solo come una vittima della storia, e che vuole invece chiudere gli occhi ogni volta che Israele si presenta alla storia come oppressore.
Perché è storia del nostro tempo, di un secolo appena concluso, come e a spese di chi gli Ebrei hanno realizzato uno Stato là dove ne esisteva già uno, con migliaia di abitanti scacciati da un giorno all’altro dalle loro case, e villaggi interi rasi al suolo se non rientravano nei piani regolatori del nascente Stato. Nel 1948 Israele nasceva, cacciava dalle proprie terre i Palestinesi, cominciava a coltivare le terre da quelli dissodate e rese produttive, e cominciava a tessere la sua rete espansionistica all’ombra delle armi americane. Il sogno di Israele, si è sempre saputo apertamente, è quello di espandersi indefinitamente a spese dei paesi arabi; fin dove, non è lecito saperlo. Ma le colonizzazioni continue, in barba a tutti gli accordi internazionali e a tutte le risoluzioni dell’ONU che le hanno più volte ed espressamente condannate, sono continuati e continuano tuttora, con una indicazione chiara di quanto pacifismo e quanta volontà di pace alberghi nel cuore dei dirigenti israeliani.
La Fallaci, in altri tempi grande estimatrice di Arafat, sapeva tutto questo, perché conosce la storia, al punto di averla un giorno intervistata. E sa anche che l’unico progetto politico che Sharon è stato mai capace di concepire è quello di stabilire un predominio assoluto del suo stato nella regione, cancellando anche solo il nome di un’identità nazionale palestinese, e relegando se possibile questo popolo martoriato da cinquant'anni in qualche ripostiglio o bugigattolo della storia, cioè a vivere in enclaves sordide o ghetti nei quali nascere e morire senza uscire mai da un livello di vita definibile al massimo come miserabile, e permanendo ad oltranza, çà va sans dire, sotto il più rigido e soffocante controllo militare israeliano, avvertibile già fin dietro la porta di casa. Il popolo uscito dai ghetti, e nei ghetti spesso massacrato, vuole oggi chiudere in altri ghetti un altro popolo, col quale dovrebbe convivere in pace.Denunciare questi intenti e questi comportamenti è scandaloso, secondo l’invelenita Oriana, perché si cade immediatamente, secondo lei, nell’accusa di fascismo e perché no, giacché ci siamo, di antisemitismo aggravato da dimenticanza della storia.
Come a dire che era giusto indignarsi e rattristarsi dei ghetti in cui gli Ebrei erano ridotti a vivere, era giusto denunciare le malversazioni e le discriminazioni cui questo popolo veniva sottoposto nei vari paesi del mondo, ma non è più giusto indignarsi di questi stessi comportamenti odiosi se sono proprio loro, le vittime di ieri, gli Ebrei di oggi, a perpetrarli contro un popolo che odiano perché lo temono in quanto desideroso giustamente di recuperare
le proprie case e le proprie terre perdute.
In pratica, secondo la Fallaci, e secondo quasi tutti i dirigenti israeliani, un popolo che ha subito lo sterminio, cioè l’orrore della storia, ha ormai acquisito il diritto eterno a perpetrare verso altri popoli ogni tipo d’ingiustizia, il diritto di prendere quello che vuole come e quando vuole, il diritto di rendersi a sua volta autore di nuove forme di discriminazione e di razzismo e di usare verso popoli vicini, con cui dovrebbe cercare una forma di convivenza pacifica, comportamenti sistematicamente improntati al disprezzo, alla violenza, alla sopraffazione.
La Fallaci si scandalizza che ci siano tante manifestazioni di solidarietà verso il popolo palestinese, si scandalizza che qualcuno possa giustificare le azioni dei kamikaze, per aberranti e condannabili che siano, e che autorità politiche e morali si esprimano, nel mondo intero, a sostegno di un popolo martoriato, che vive da cinquant’anni in campi profughi e nel quale si nasce, si invecchia e si muore fra le tele di una tenda. La casa, per moltissimi palestinesi, è un lusso che non hanno mai conosciuto. Denunciare la prepotenza israeliana è vergognoso, secondo la nostra scrittrice, e giù con tutte le accuse possibili contro chi non si schiera apertamente a favore del militarismo del Signor Sharon. La Francia, e non i pochi fanatici che se ne rendono autori, sarebbe colpevole degli attentati alle sinagoghe. La televisione italiana peccherebbe di parzialità piangendo solo i morti palestinesi, la stampa lamenterebbe l’occupazione di Betlemme tacendo dei terroristi che vi trovano rifugio, e lo stesso giornale vaticano si permetterebbe di condannare il massacro quotidiano commesso dall’esercito israeliano, dimenticando lo sterminio già subito dagli stessi Ebrei (quello sterminio che li assolverebbe dunque oggi a-priori, sempre secondo la nostra, da qualunque crimine e da qualunque malefatta).
Denunciare la violenza israeliana oggi sarebbe un nuovo fascismo, e non importa se quella denuncia viene spesso dalle forze più progressiste o eticamente più impegnate nella difesa della pace e del diritto di tutti a vivere in pace. Oriana Fallaci rifiuta l’etichetta di guerrafondaia, pur mostrando a chiare lettere, con le sue prese di posizione, che il suo spirito libertario ha preso la strada di una tristissima involuzione che la porterà presto a condividere le posizioni più unilaterali e reazionarie, finendo probabilmente presto nel militare proprio in quel bigottismo fascista di cui oggi accusa chi, al contrario di lei, conserva la lucidità dei priopri giudizi. Io preferisco riaffermare, di fronte alla crisi che vive oggi il Medio Oriente, quegli stessi valori, uguaglianza, diritto alla vita, alla dignità, alla libertà e all’indipendenza, che da sempre non possono accompagnarsi al sopruso e alla discriminazione, alla violenza e al razzismo, e ribadisco che questi valori non possono valere per uno più che per un altro, e che non possono essere usati a senso unico, perché perderebbero con ciò la loro universalità e la loro stessa credibilità. Questi valori ci fecero condannare nella maniera più chiara e ferma il nazismo e lo sterminio del popolo ebreo, e questi stessi valori ci devono oggi far condannare il governo israeliano che si sta macchiando di comportamente estremamente odiosi e criminali verso il popolo palestinese. Se il mondo intero, dall‚ONU in giù, condanna l’arroganza del governo d’Israele, ad Oriana Fallaci non importa, perché sembra aver sposato ormai irreversibilmente la causa militarista del Signor Sharon. Equilibrio ed imparzialità di giudizio le sembrano evidentemente parole senza senso, e la Fallaci pare essere ormai approdata alla stessa riva di quelli che chi non la pensa come me è brutto, cattivo e comunista. Mi ricorda qualcuno...
Donato Giaffreda e-mail
Caro Francesco
davvero non mi è possibile leggere sconcezze politico-ideologiche come quella che mi è pervenuta, senza intervenire nel dibattito ( spero sia possibile e spero non sia un discorso a senso unico) . Starei volentieri in silenzio se non fosse per la considerazione che la lettera da te pubblicata va in giro e, in qualche modo, forma opinione. Ti prego caldamente di voler pubblicare l'intervento che allego, l'ultimo di una infinita serie...la verità è difficile da trovare, ma lì dove si adoperano toni oracolari- propri del nuovo antisemitismo- occorre quantomeno testimoniare almeno l'esistenza di " fatti", sui quali si può avere opinione diversa, che sono accadimenti, realtà, appunto "fatti" e non menzogne
grazie
Elio Tocco  
 
----- Original Message -----
From: Yosef Tiles <mailto:info@ddimension.it>  
To: Direttore La Stampa <mailto:marcello.sorgi@lastampa.it>  
Sent: Saturday, June 08, 2002 9:36 PM
Subject: La frittata ribaltata della Spinelli

Egregio direttore,
la lega araba sta usando una tecnica propagandistica chiamata in inglese "turnspeak", che possiamo tradurre come "ribaltare la frittata", che funziona cosi':quando attacchi qualcuno devi ribaltare le cose di 180 gradi e sostenere con forza che e' lui che ti attacca.
Siccome la verita' e' esattamente l'opposto dell'informazione disseminata, diventa psicologicamente difficile opporsi, creando una confusione.
La tecnica di ribaltare la frittata crea una sensazione per cui ci si sente schiacciati da un eccessiva informazione, creando una coperta di "rumori bianchi" che rendono molto difficile risalire ai fatti.
 Questa tecnica e' stata "inventata" e perfezionata dai nazisti dopo aver conquistato la Cecoslovachia.
Joan Peters, ex consigliere della Casa Bianca per il medio oriente, scrive:
"il termine venne usato per la prima volta dai giornalisti, per descrivere la propaganda tedesca dopo aver invaso la Cecoslovacchia." Per ottenere la simpatia per quell'atto, i tedeschi hanno praticato quello che da allora e' noto come turnspeak, o la frittata ribaltata.
Hanno ribaltato la colpa dell'invasione sui Cecoslovacchi stessi, accusandoli di lavorare per far precipitare la regione in una guerra totale. In altre parole,  secondo le notizie diffuse dai nazisti,i cechi erano disposti a gettare tutta l'Europa in guerra nel tentativo di difendere la loro terra.
Come ha reagito l'Europa a questa bugia? Ci ha creduto. I leader mondiali decisero che bisognava fare qualcosa per preservare la pace ad ogni costo.
 
Lo scrittore William Shirer, giornalista in Europa in quel periodo, cristallizzo' la verita' quando scrisse: " la condizione della minoranza tedesca in Cecoslovacchia e' un puro pretesto [...] per cucinare uno stufato nella terra che Hitler desiderava, indebolendola, confondendo ed imbrogliando gli amici dei cecoslovacchi, nascondendo il vero scopo di Hitler, che era di distruggere lo stato cecoslovacco ed accaparrarsi il suo territorio.." (1)
 
Il fatto che la  macchina propagandista araba,impegnata per l'annientamento di Israele, sta diffondendo da anni  la "nozione" che gli ebrei sono "nazisti" non e' senza motivo.
Gli arabi cercano di nascondere le loro strette relazioni con i nazisti. Durante la seconda guerra mondiale i piu' noti leader mussulmani tra cui Haj Amin Al Husseini lavoravano per i nazisti e incitavano all'intifada contro gli inglesi. Haj Amin Al Husseini era il gran mufti di Gerusalemme, oltre ad essere lo zio di Arafat e la sua guida spirituale.
Gli arabi, specialmente l'Iraq si schierarono dalla parte dei nazisti. Nel maggio del 1941 Al Husseini emise una fatwa: "appello per la guerra santa contro l'Inghilterra". Il mufti ha largamente diffuso questa fatwa in Iraq, fomentando la rivolta pro-nazista. il mufti ha ordinato anche agli arabi americani di schierarsi dalla parte dei nazisti.
Il vero nome di Yasser Arafat e' Abd Al-Rahman Abd Al-Rauf Arafat Al-Qud Al-Husseini, lui lo ha accorciato per oscurare la sua stretta parentela con il noto mufti nazista di Gerusalemme. (2)
 
Saddam Hussein e' cresciuto nella casa di suo zio che si chiamava Khayrallah Tulfah, che era uno dei leader della rivolta pro-nazista in iraq nel maggio del '41.
Entrambi, Arafat e Saddam Hussein, furono notevolmente influenzati dal mufti durante il periodo passato al Cairo negli anni '50.
Mettiamo a confronto la tecnica della frittata ribaltata che abbonda oggi nei media. in un classico esempio un servizio di notizie occidentali riporta: "i coloni girano per la Cisgiordania armati sparando a casaccio sui civili palestinesi" e poi in un altro articolo scrive: "loro (i coloni) entrano in prigione attraverso una porta ed escono da un'altra."
Un altro esempio ancora piu' lampante e' l'affermazione di Arafat che Israele e' quello che blocca il processo di pace. La tecnica della frittata ribaltata ha come leitmotif:
 
"Israele e' aggressivo ed espansionista"
 
"Israele non rispetta le decisioni dell' ONU"
 
In realtà il 14/5/1948 quando Israele dichiaro' la sua indipendenza venne invaso da un'alleanza formata da Egitto, LIbano, Iraq, Syria, Giordania e Sudan. La loro motivazione dichiarata fu quella di cancellare lo stato di Israele in violazione a tutti i trattati internazionali, e della dichirazione dell ONU del 1947 che ha sancito la divisione di quel fazzoletto di terra in due stati.
La verita' invece e':
"l'islam militante e' quello intollerante, aggressivo ed espansionista ( dal1948 ad oggi- dove tutte le guerre in atto vedono come causa il terrorismo mussulmano; Afganistan, India, MO)"
 
Le frasi ripetute da quelli che usano la frittata ribaltata, i media arabi e molti media occidentali da loro finanziati e controllati, sono:

1-"le violazioni dei diritti dell'uomo attuate da Israele sono le peggiori del mondo"
 
2-"gli israeliani occupando i territori si comportano da barbari"
  la verita' e':In Israele vige una legislazione democratica di tipo occidentale con una corte suprema che vigila su tutto, mentre "le violazioni dei diritti umani negli stati arabi sono tra le peggiori del mondo"(esecuzioni sommarie di pacifisti , chiamati collaborazionisti, dalle bande di "poliziotti" di Arraffa-t, senza processo, o  a volte  interrompendo un "regolare " processo, appesi poi a gambe in su sui tralicci ,  in piazza a Ramallah, o legati  dietro alle macchine e trascinati per le strade come trofei, donne senza  diritti, alla merce' di uomini che difendono l'onore della famiglia...)
 
 
3-"gli israeliani usano metodi peggiori dei nazisti"
mentre:
"alcuni stati arabi si comportano come dei barbari nei confronti di minoranze (curdi in Iraq, copti in Egitto, Bahai in Iran...), donne (e' permesso uccidere in difesa dell'onore della famiglia), e persino  verso i criminali (taglio della mano, decapitazione)"
 
4-"gli israeliani sono nazisti"
La verita'e':
 
"molti leader arabi erano dei simpatizzanti del regime nazista o collaboratori ed ancora oggi- uno dei best sellers piu' venduti nel mondo arabo e' il libro Mein Kampf"
 
5-"l'olocausto palestinese"
 
La verita': l'olocausto e' stato lo sterminio di massa di 6.000.000 di ebrei.
 Quello che i palestinesi cercano di far passare per un loro olocausto e' l'esilio di 600 000 profughi per una guerra scatenata da loro nel 1948, che oggi sonodiventati  4.000.000 che pretendono di tornare  in Israele, e quindi parlare di olocausto palestinese  e' il colmo della fritata ribaltata.
 
6-"il governo israeliano e' una banda di ladri"
 La verita':
"l'autorità palestinese e' una banda di ladri(delle enormi quantita' di denaro elargite dall'Onu, dall'Ue e dagli stati arabi al popolo palestinese praticamente non e' arrivato niente. Quello che non serviva al terrorismo, finiva in paradisi fiscali. Persino in Bank Leumi di Tel Aviv c'e un conto di 600 milioni di $ che spetterebbe  ai palestinesi ma di cui hanno  la firma solo Arrffa-t e il suo amico e consigliere economico e padrone del casino'- Rashid.)(" con tutti questi soldi,non e' stato costruito un ospedale, non e' stato creato un posto di lavoro, non e' stata creata una fabbrica che non fosse di bombe o di cinture esplosive")
 
7-"Israele sta avvelenando i pozzi di acqua palestinesi"
Invece,
"sono i palestinesi che in diverse occasioni hanno cercato di avvelenare le fonti idriche israeliane"(durante gli anni 90, con i virus della polio modificato a Haderah, e durante questa guerra fu avvelenato il condotto che porta acqua  dal nord a tutta Israele, vicino a Taibeh.)
 
8-"Israele e' uno stato terrorista"
La verita':
"l'autorita' palestinese e' un entita' terroristica"( dimostrato da tutti i documenti sequestrati in cui e' Arrafa-t in persona che autorizza i pagamenti ai terroristi, tutti suoi dipendenti.)
 
9-"Israele non vuole la pace"
La verita':
"Arafat non vuole la pace"( ha rigettato tutte le offerte! d'altronde, qualsiasi stato con  la pur minima parvenza  democratica- rischia di limitare il suo potere assoluto che dura dal 1965)
 
10-"Israele rifiuta le proposte di pace arabe"
 La verita':
 Gli ultimi furono i sauditi, che da un lato fanno proposte  di pace, ma nello stesso giorno organizzano un teleton televisivo in cui  raccolgono  milioni di $ per quelli che fanno degli attenati suicidi in Israele. Che pace vogliono allora?
 
11-"Sharon e' un criminale di guerra"
La verita': Sharon e' stato prosciolto da tutte le accuse il tal senso rivoltegli ed anzi, ha vinto una causa  negli USA contro il TIMES   che cercava di attribuirlgli delle colpe simili.
Invece,
"arafat e' un criminale di guerra" , ma forse e' prima un terrorista e un criminale comune. E' lui l'uomo che ha inventato  il rapimento degli aerei, e' lui che ha ordinato la strage di Maalot, e' lui che ha ordinato  il massacro degli atleti Israeliani alle olimpiadi di Monaco, e' lui che ha ordinato telefonicamente  l'uccisione dei due diplomatici  americani e  un belga rapiti nel 1973 a Khartum in Sudan, di cui sia la CIA sia i servizi segreti rumeni hanno la registrazione  telefonica, come scritto nel libro di Ian Pacepa, ex capo dei servizi segreti rumeni sotto Ceaucescu...  e'  stato Arraffa-t che ha ordinato la strage agli aeroporti di Roma e Vienna nel Dicembre 1985,  17 morti e 85 feriti a Fiumicino,lista molto parziale...)
 
 
12-"bisogna togliere il premio nobel a Peres"
 
Invece: "il premio nobel per la pace dovrebbe essere tolto ad Arafat"( E' lui che ha violato gli accordi per il premio che gli e' stato assegnato. Infatti- lo spirito di Oslo era- si rinuncia a qualsiasi violenza e tutti i problemi si devono risolvere sul tavolo delle trattative.Arraffa-t ha scelto invece il terrorismo al tavolo delle trattative...)
13-"Israele commette crimini di guerra"
 Invece:
"Arraffa-t ed altri stati arabi commettono regolarmente dei crimini di guerra", basta pensare su quello che hanno fatto gli iracheni ai curdi o al Kuwait, quello che hanno fatto gli iraniani ai Bahai..quello che fanno i polizzioti del ANP  ai cosiddetti collaborazionisti...
 
14-"israele spara a casaccio sui palestinesi"
Invece:
Sono i terroristi al servizio di Arraffa-t che girano armati  per i terrirtori,e sparano sulle macchine civili o sulla gente a casaccio nei centri commerciali.
 
15-"la stampa israeliana e' totalmente asservita al governo"
La verita':In Israele esiste una stampa libera come in qualsiasi democrazia occidentale, che spesso e' ipercritica verso il governo, mentre chi  osa criticare Arraffa-t,  viene eliminato come e' succeso al direttore della TV palestinese, e come hanno tentato di fare al giornalista arabo  con cittadinanaza israeliana- Yusuf Samir, rapito e torturato dalla "polizia" di Arraffa-t di Betlemme, perche osava criticare il Rais.
D'altronde, nei media arabi, anche dei paesi considerati moderati come Egitto, non si stampa niente prima di aver avuto un nulla osta dalle autorita'!
 
 
16-"i luoghi santi mussulmani sono minacciati da Israele"
 La verita':
"sono i luoghi santi ebraici minacciati dai mussulmani (tomba di Giuseppe a Nablus,  Sinagoga di Gerico- entrambe bruciate.)"
 
17-"gli israeliani trasformano moschee e chiese in sinagoghe"
"In realta' sono le sinagoghe e le chiese che vengono trasformate in moschee"(  I mussulmani costruiscono regolarmente le loro mosche sopra i luoghi santi degli altri. a Gerusalemme hanno costriuto una moschea che sovrasta il santo sepolcro e pretendono di fare altretanto a Nazareth)
 
 18-"gli ebrei vogliono distruggere la moschea di Al Aqsa"
Invece,  e'  il Wakf  mussulmano che sta distruggendo i reperti archeologici nel monte dei templi, per eliminare le prove dell' legame storico tra gli ebrei e la loro terra."
 
 
19-"gli arabi non godono di nessun diritto in Israele"
Frase riportata vergognosamente da diversi media italiani, l'ultimo il settimanale   oggi,
mentre "Gli arabi israeliani sono gli unici che godono di diritti civili in uno stato democratico e di un livello di vita superiore ai loro fratelli residenti al di fuori di Israele"
 
20-"i cristiani non godono di nessun diritto in Israele"
Frase completamente falsa come sa qualunque cristiano che e' andato in Israele.
 
21-"i villaggi arabi sono circondati da recinti di filo spinato, come prigioni"
La verita':
"sono gli insediamenti israeliani quelli circondati da filo spinato per difendersi dagli attentati"
 
22-"i palestinesi vivono nella regione da migliaia di anni"
 e anche: "le pretese dei legami storici e religiosi degli ebrei con la terra  e con Gerusalemme non sono compatibili con i fatti della storia.."
La verita':
"Sono gli ebrei che hanno vissuto in questa terra da migliaia di anni, mentre le pretese dei palestinesi sui loro legami storici e religiosi con la terra sono dei falsi storici" (come  testimoniano i viaggiatori nel 18 e 19 secolo tra cui  i cristiani Mark Twain,Chateaubriand e persino Carlo Marx e come testimoniano i censimenti dell' impero ottomano del 1870 e 1905 che dimostrano che gli ebrei erano sempre la maggiranza a Gerusalemme.)
 
23-"i media israeliani incitano all'odio religioso verso i mussulmani"
La verita':
"sono i media arabi che incitano all'odio religioso verso gli ebrei"( basta vedere le TV palestinesi o quella dei Hezbollah, quella egiziana Iqra, la TV Sauduita, Shariya, ANN, Iraq TV,  non serve capire la loro lingua per vedere l'incitamento incessante all' odio e alla guerra santa!)
 
24- Gli israeliani terrorizzano le citta' palestinesi.
La verita':
"E'  l'ala armata dell' ANP, brigata dei martiri di Al Aqza,  che semina il terrore nelle citta' israeliane" ( sono gli uomini di Arraffa-t, che hanno rivendicato la maggior parte degli attentati suicidi in Israele, a Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa, Netanya, Hadera, Rishon Le-Zion, Petah- Tikva, Beer-Sheva...)
 
 
25-"sono gli ebrei che bloccano la democratizzazione degli stati arabi"
La verita':
"Sono i leader arabi quelli che bloccano la democrazia nei loro stati"(infatti- noi  non ricordiamo nessun leader arabo che sia stato sostituito perdendo delle elezioni.  Il modo di sostituire i leader nel mondo arabo e' con un colpo di stato militare o degli estremisti religiosi.)ed ogni volta che si profila  un ombra di soluzione al conflitto tra arabi e israeliani, viene scatenata un ondata terroristica per minare l'accordo e per evitare una soluzione che puo' portare ad una parvenza di democrazia, recepita come la vera minaccia dai dittatori arabi.
 
 
26-"i terroristi palestinesi sono dei martiri"
Mentre
 i veri martiri sono le vittime del terrorismo palestinese.
 
 
Arriviamo al dunque  direttore.
 Che i media arabi e altri occidentali al loro servizio diffondano le notizie con la tecnica della frittata ribaltata, e' "normale".
 Che lo faccia un giornale rispettabile come La Stampa, attraverso gli editoriali di Barbara Spinelli, e' degradante per il giornale stesso e per i suoi lettori.
 
Si potrebbe sospettare che la Spinelli sia ignorante e scriva di argomenti che non conosce.
 Anche se cosi' fosse , ormai avrebbe dovuto imparare, visto che le abbiamo mandato  tantissimi documenti, a partire dalle foto del Mufti con Hitler, della sua corrispondenza con Himmler, in cui da' dei suggerimenti pratici per  rendere piu' efficace la "soluzione finale" e sollecita l'invio degli ebrei ungheresi ad Auschwitz.
 
 Possiamo sospettare che pur avendoli ricevuti, la Spinelli  non li abbia letti,  ed e' ancora piu' grave.
 
Perche' nei suoi editoriali, la Spinelli continua a propinare ai lettori de La Stampa proprio la frittata ribaltata?
 Perche' questa  scelta editoriale?
 Invitiamo la Stampa ad aprire un dibatitto democratico e siamo pronti ad affrontare la Spinelli su qualsiasi  terreno, per dimostrare che quello che scrive e' una frittata ribaltata e strinata.
Daremo la massima diffusione a questa lettera, che speriamo serva ad aprire un dibattito basato sui fatti e non sui pregiudizi.
 Speriamo che  questa  scelta editoriale infelice, non abbia come unico obiettivo di portare a La Stampa  dei sostegni economici da parte dei soci arabi della Fiat, perche' in quel caso, e' tutto tempo sprecato, e questa lettera sara' cestinata per poter continuare a servire ai lettori le frittate strinate e ribaltate della Spinelli..
 Cordialmente
dr Cludia Collina
 dr Yosef Tiles
 
1."From Time Immemorial" by Joan Peters, 1984
2.The Mufti of Jerusalem, Haj Amin al-Husseini was later the notorious Nazi who mixed Nazi propaganda and Islam.  He was wanted for war crimes in Bosnia by Yugoslavia.  His mix of militant propagandizing Islam was an inspiration for both Yasser Arafat and Saddam Husein: He was also a close relative of Yasser Arafat and grandfather of the current Temple Mount Mufti. "Arafat's actual name was Abd al-Rahman abd al-Bauf Arafat al-Qud al-Husseini. He shortened it to obscure his kinship with the notorious Nazi and ex-Mufti of Jerusalem, Haj Muhammed Amin al-Husseini." Howard M. Sachar, A HISTORY OF ISRAEL (New York: Knopf, 1976).  The Bet Agron International Center in Jerusalem interviewed Arafat's brother and sister, who described the Mufti as a cousin (family member) with tremendous influence on young Yassir after the Mufti returned from Berlin to Cairo. Yasser Arafat himself keeps his exact lineage and birthplace secret.  Saddam Hussein was raised in the house of his uncle Khayrallah Tulfah, who was a leader in the Mufti's pro-Nazi coup in Iraq in May 1941.


Dai voltafrittate alla Disinformazione
di Donato Giaffreda

Ho letto l'amena difesa d'ufficio della politica israeliana fatta dai dottori Collina e Tiles, e resto alquanto perplesso sulla loro fiducia che ci sia qualcuno disposto ad avallare le loro farneticazioni. Accusano la stampa internazionale, e l'opinione pubblica, di prestarsi al gioco della frittata rivoltata, e dopo, con numerose considerazioni, ne danno l'esempio più lampante, mostrando apertamente di essere maestri del gioco al punto che potrebbero aprire un ristorante di sole frittate, tale da far una concorrenza spietata alla famosa Mère Poulard del Mont Saint-Michel, la bontà delle cui omelettes è famosa nel mondo. Quella che i due dottori in questione fanno, per usare termini più consoni, non è che la vecchia buona "disinformazione", che da sempre risponde alla tecnica di mescolare informazioni false alle vere, distorcendo dati storici e dando degli avvenimenti di cui si parla una visione completamente parziale, ma così convinta da ingenerare nei lettori dubbi e perplessità. Ma bisogna, oggi, veramente non avere più il senso della vergogna per far passare gli invasori del 1948 per vittime, e coloro che furono cacciati dai loro villaggi, dalle loro case, dai loro campi, per aggressori. Gli Israeliani di oggi, che all'ombra delle armi americane non smettono di voler allargare i confini del loro stato, di impadronirsi di sempre nuovi pezzi di territorio arabo creando sempre nuovi insediamenti di coloni, sono dunque le vittime del terrorismo arabo. Un popolo che da cinquant'anni vive nelle tende, e che fronteggia l'arroganza israeliana e il suo esercito con le pietre e senza delle reali forze armate, è dunque il popolo aggressore e terrorista. Cari dottori Collina e Tiles, vi hanno dato l'incarico di condurre una campagna di stampa, a mezzo "disinformazione" programmatica e sistematica, onde recuperare qualche consenso in favore di Israele, la cui politica ingiusta e il cui militarismo sono noti a tutto il mondo e indicati e condannati a chiare lettere da molti governi e da numerose Risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma per credere alla vostra versione distorta del problema mediorientale, bisognerebbe che il mondo intero si addormentasse e si risvegliasse popolato di allocchi e di poveri di spirito, bisognerebbe che tutti i libri di storia sparissero e che sparissero anche i giornali, i giornalisti e le televisioni, che bene o male una certa informazione riescono sempre a darla. Dovrete anche dimostrare che le Nazioni Unite sono controllate dal potere arabo, e come mai non c'è una sola risoluzione che imponga ai Palestinesi di cessare la loro lotta o di restituire territori occupati. Chi ha occupato territori altrui? E chi deve restituirli? Come mai fino all'ultimo giorno dell'amministrazione Clinton erano in corso trattative e invece da quando in Israele è Primo Ministro il Signor Sharon è cominciata la guerra? Quali sono i reali progetti di pace di Sharon? Quali sono, semplicemente, i suoi "reali progetti"?Che zone e che ruolo prevedono per il popolo palestinese? Nella vostra lettera avete confermato, tra l'altro, ciò che avevo fatto notare nel mio articolo su Oriana Fallaci. Anche secondo voi, poiché c'è stato un Olocausto, quello che ha visto come vittime gli Ebrei, per una distorta e bizzarra nemesi, la storia dovrebbe a vostro parere da allora in poi assolvere a-priori ogni comportamento, anche i più ingiusti, anche i più criminali, messo in atto dallo Stato d'Israele. Come dire, quando le vittime diventano i nuovi oppressori, non è più giusto indignarsi, perché hanno acquisito il diritto di tormentare indisturbati chiunque. Questa è la lezione d'imparzialità che vorreste trasmettere, questa è la vostra 'obiettiva' lettura dei fatti, che vorrebbe gettare solo fumo su un problema che è noto e chiaro a tutti quelli che vogliono capire e che conoscono un po' di storia del nostro tempo. Valori a senso unico, appunto, come dicevo nel mio articolo. Un cordiale buon lavoro.

Donato Giaffreda e-mail


Da: "Elio tocco" <etocco@imsu.it>
Data: Fri, 14 Jun 2002 08:00:05 +0200
A: <info@libreriaeditriceurso.com>,
Oggetto: Donato Giaffreda
farebbe forse bene, pur nel suo farneticante odio antiebraico, a leggere, lui ed i moltissimi conformisti-orfani-di-Stalin, a leggere con attenzione questo bell'intervento di Adriano Sofri che allego e che ti prego di pubblicare, perchè non sia dell'odio e della menzogna l'ultima parola
grazie
Elio Tocco


Da la Repubblica, 6/4/2002, pagina 1 e 17.

Il dovere di amare lo Stato di Israele
di ADRIANO SOFRI

Cari congressisti di Rifondazione, perché lo Stato di Israele non è amato da tante persone di sinistra? Infatti Israele non è amato, ed è spesso odiato. Ora bisogna chiederselo daccapo. Fra le cose abiette che non avremmo più creduto possibili nell’arco della nostra vita, restava la più abietta: la minaccia rinnovata dell’antisemitismo in Europa e della distruzione di Israele. Sono l’ordine del giorno. Nei giorni scorsi c’era stata a Roma una grande manifestazione di solidarietà con la Palestina: mentre si svolgeva –ordinatamente, e con troppe parole d’ordine avventate- i giovani e le persone del ghetto vigilavano sul loro quartiere. (Vent’anni fa un corteo sindacale di sinistra aveva depositato, per solidarietà coi palestinesi, una bara davanti alla sinagoga romana). L’altro giorno, qualche centinaio di romani ebrei ha creduto di venire a protestare malamente in favore di Israele sotto la direzione romana del vostro partito. Sono episodi amarissimi. Esasperati? Non so. La domanda comunque resta: perché Israele non è amato?

La nefanda dittatura che si impadronì dell’Europa nei primi decenni del secolo scorso (scorso?) e precipitò nell’abisso della guerra, ebbe il proposito supremo di sterminare gli ebrei. La sinistra uscita da quell’abisso fece del ripudio di quella infamia, anche con una vasta misura di autoinganno, la propria bandiera più nobile. L’Urss, nei cui capi l’inganno fu molto più vasto e deliberato, rivendicò quella bandiera. Riconobbe per prima lo Stato di Israele. Durò poco. La vena antisemita che era durata dentro il potere sovietico emerse, mascherandosi appena dietro la lotta contro il “cosmopolitismo” e contro il “sionismo”, tramutato in sinonimo di complotto imperialista ebraico. Intanto gli ebrei scampati alla Shoah tornavano stentatamente in patria, se ce l’avevano ancora, a tacere la loro vicissitudine e a fare la fila per i posti rubati, oppure partivano per il mondo, oppure andavano rischiosamente in Israele, in cerca di una patria per sé, e di un destino che non li lasciasse più inermi all’annientamento. In credito irrisarcibile con l’Europa tutta, contrassero un debito con la popolazione araba di Palestina. Quel debito si è trascinato fin qui, anzi ingigantito dagli interessi passivi di più di mezzo secolo, con una responsabilità spartita fra i due popoli nemici su una sola terra, e assai più grave nei regimi arabi della regione. L’Europa, e le stesse sue sinistre, assecondarono in fretta l’amputazione della vita, la cultura, lo stile ebraico, e la usarono per autoassolversi, per ridurre il rapporto con l’ebraismo a quello con Israele, e alla distinzione di comodo fra antisemitismo e antisionismo. Dopo esser stato il luogo della speranza per la miglior sinistra europea, socialista e laica e cooperativa e pionieristica, Israele diventò rapidamente la bestia nera della sinistra maggioritaria, la testa di ponte dell’imperialismo americano nel mondo arabo, il nemico tracotante e militarista delle indipendenze nazionali, incarnate dalle teocrazie islamiste o dai socialismi nazionali arabi. I quali, esenti dall’antisemitismo classico (frutto deforme e squisito dell’Europa cristiana, della somiglianza e dell’invidia) e semiti a loro volta, per il niente che vale una simile formula, seppero suscitare dalle proprie viscere un odio implacabile e fantastico per il “sionismo”, e un desiderio furioso di distruzione di Israele. Nella “sinistra” di quei regimi furono accolti alla rinfusa marxismi-leninismi e culti nazisti, Protocolli di Sion e teorie sulla satanica cospirazione giudaica.

Autore, consapevole, di una parte di usurpazione della terra in cui si era insediato - in nome magari di retaggi millenari importanti per il sentimento dei loro credenti, ma irrilevanti per la sostanza del diritto e della convivenza- Israele era uno Stato democratico e laico, con liberi partiti, elezioni, mezzi di comunicazione, opinione pubblica e costume civile, a cominciare dalla libertà delle donne. Una minuscola isola democratica in un’enorme regione variamente retta, e con sanguinari conflitti interni, ma univocamente dispotica. La natura democratica di Israele lo mutò, agli occhi di una nostra sinistra autoritaria e nemica della “democrazia formale”, in un avamposto imperialista; e trasfigurò i suoi nemici in combattenti per il socialismo o comunque per l’antimperialismo. Israele non era amato. Un altro retaggio della discendenza dalla Shoah, l’abnegazione e il valore combattente, il mito di David, passò presto agli occhi di tanta sinistra per arroganza e brutalità militarista. Nel 1967 (anch’io cedevo allora a questo fraintendimento) l’Israele dei kibbutzim si rovesciò definitivamente agli occhi della sinistra nell’Israele bellicoso ed espansionista. Così i caratteri che Israele mutuava tormentosamente dalla memoria della Shoah diventavano le ragioni peculiari dell’avversione della nostra sinistra, quando non dell’odio, per Israele. Di Israele non succedeva solo che lo si confondesse con “gli ebrei”, ma anche che si confondesse Stato e governo: confusione impensabile per altri stati democratici. Confusione secondaria quando la sopravvivenza di Israele sembrò meno minacciata, e micidiale quando, come oggi di nuovo, l’ostilità a Israele tornava a investire non un suo governo e una sua politica, ma la sua esistenza di Stato.

Voi cari congressisti, non pensate di aver visto riaccendersi nei dirigenti e nelle folle palestinesi la persuasione di poter mirare alla eliminazione di Israele dalla carta geografica del Vicino oriente? Di “buttare a mare gli ebrei”? Quel desiderio era caduto, benché non del tutto, benché non per tutti, benché a malincuore, fra i firmatari dell’accordo di Oslo. In larga parte della nostra sinistra non sento il riconoscimento di questa terribile retrocessione. Considero la politica del governo israeliano accecata e sciagurata. Essa sta macchiando con atti criminali l’invasione di territori in cui già ordinariamente la gente palestinese viene umiliata ed esasperata. Mi sarei augurato e mi auguro il coraggio di ritirarsi unilateralmente dai territori occupati e di avviare lo smantellamento delle colonie. Chi ha la provvisoria superiorità delle armi non deve affidarsi alle armi. (Altre condizioni – il “ritorno dei profughi” – sono viceversa mere mascherature del programma di estinzione di Israele). E’ comunque un fatto che oggi, nella nostra sinistra, la solidarietà con la Palestina e la critica del governo di Israele non mostrano di sentire il pericolo rinnovato, reale e incombente, che al contrario i cittadini ebrei israeliani sentono così cupamente. Questo enorme cambiamento si traduce nella sequela degli attentatori suicidi – enorme mutazione umana, che solo la paura e la stupidità possono indurci a pensare come esotica e impensabile altrove, compresi i nostri spensierati paesi e i nostri ragazzi -. Esso surclassa rivolte delle pietre e lotte armate tradizionali e digiuni mortali, riequilibra il conto delle vittime, frustra dialogo e repressione. (Dissuadete con la morte, o la pena di morte, la ragazza che va a farsi esplodere in un bar di ragazzi nemici). Mai Israele – lo Stato di Israele, il paese di Israele – è stato debole e vulnerabile come oggi, quando sembra dispiegare la più schiacciante e odiosa superiorità militare, e si mostra al mondo, senza riuscire ad accorgersene e a capacitarsene, come un Golia brutale contro il David palestinese.

Nel linguaggio comune di tanta sinistra, nei cortei di solidarietà con la Palestina, o fra i dirigenti politici e fra i maestri di opinione, si impiegano correntemente nei confronti di Israele parole come “nazisti”, come “genocidio”. Saramago ha speso la parola: “Auschwitz”. La Chiesa cattolica ha speso la parola: “sterminio” (voce dal sen fuggita?). Questo è, prima che spaventosamente sbagliato, disperantemente triste. Uno sbaglio come questo non sarebbe possibile senza una forte dose di ignoranza e di smemoratezza, ma ancor meno senza una fortissima dose di odio per Israele. Il mondo è cambiato davvero dopo l’11 settembre, e anche un po’ prima. Un po’ prima a Durban un consesso che aspirava a rappresentare il mondo, il sussiego delle sue istituzioni ufficiali e la nobiltà dei suoi volontari, avrebbe dichiarato Israele “razzista”, senza il dissenso americano, e nella viltà degli europei. L’11 settembre è stata notificata una guerra universale che agli Stati Uniti rinfacciava come colpa prima una complicità con Israele. C’è una sordida somiglianza fra l’interpretazione invalsa senz’altro nell’intero mondo islamico sull’11 settembre come attentato sionista (gli ebrei che non si presentarono alle Torri quella mattina…!) e l’udienza, marginale ma comunque madornale, che l’interpretazione complottista dell’11 settembre ha trovato nelle sinistre italiane ed europee, giovani e ingenue e anziane e smaliziate.

Quando David Pearl, giornalista americano, è stato rapito e ammazzato in Pakistan, gli assassini si sono premurati di far sapere che aveva un padre ebreo, e non se ne vergognava – come col vecchio Leon Klinghoffer, l’unico ammazzato dell’Achille Lauro. Ora si bruciano sinagoghe, si violano cimiteri: è odioso, ma non è il punto. Razzisti farabutti o ottusi non erano mancati neanche per un momento. Quello che è mancato, e manca fatalmente oggi, è l’attaccamento a Israele. Il sentimento che quanto di meglio noi abbiamo ereditato, e per cui non dobbiamo pagare una tassa di successione – se non altro per il luogo e l’anno in cui ci è avvenuto di nascere – è legato, come una mano all’aquilone, a quel cuore dell’Europa scampato ed espulso all’Europa che è Israele. Non possiamo confidare nell’Europa e tanto meno amarla se non amiamo lo Stato di Israele (in nessun altro caso userei un’espressione come “amare uno Stato”) e il suo popolo misto, coraggioso e spaventato. Il suo popolo, non soltanto le minoranze ammirevoli, i pacifisti che fraternizzano con gli arabi di Israele e di Palestina, i riservisti renitenti, le donne che difendono la vita e un’altra idea di coraggio, gli intellettuali che onorano la verità e non la sottomettono a una nazione. Il suo popolo, indotto oggi a non vedere via d’uscita, e a stringersi nella trincea cui la forza una minaccia mortale. Senza di che, temo che non si possa nemmeno amare la Palestina e la sua gente, umiliata, coraggiosa e spaventata. Salvo che si faccia dell’amore per gli uni un grato pretesto per continuare ad odiare gli altri, senza ammetterlo neanche con se stessi. Stralunata distorsione è quella che esige dagli ebrei europei una speciale responsabilità morale. Io parlo del debito speciale di amore per Israele che compete a noi, europei non ebrei.

Gentile Signor Elio Tocco,
invio alla rivista di Urso, e anche a Lei, la mia risposta, per ringraziarla della lettera di Sofri, che ho letto con molto interesse, e per precisare il mio punto di vista sullo Stato d'Israele. C'è qualcosa che non capisco, nel mondo della cultura, della politica, e del giornalismo, ed è che su certi temi, se non si è allineati con una certa opinione ufficiale, conformistica, doverosa, direi quasi da etica ufficiale, si finisce immediatamente con l'essere bollati per quanto di peggio possa esserci nella scala dei disvalori umani. Come dire che a volte non ci sono scelte, che non è concessa l'alternativa di vedute, e che o si pensa in un certo modo o si passa nel campo della negatività assoluta. Mi scusi, ma le sembra normale che chi non si allinea pedissequamente alla politica liquidazionista di Sharon venga immediatamente bollato di nutrire un "farneticante odio antiebraico", e di essere un "conformista orfano di Stalin"? Qui c'è un'equazione perversa che si cerca di far passare come una verità teologale e che invece non è che una propaggine della propaganda che emana ogni giorno dalla bocca stessa del primo ministro israeliano. L'equazione è: contrario alla politica israeliana = antisemita mosso da odio antiebraico. Ma mi chiedo io, non è forse possibile essere contro Sharon, contro la sua politica mirante a distruggere l'identità palestinese, e amare nello stesso tempo gli Israeliani e voler tutelare lo Stato d'Israele? Perché se non ci si allinea con Sharon si diventa razzisti, antisemiti, e si passa per gente che accusa Israele di un nuovo nazismo? Non le sembra che sia questo, il vero conformismo richiesto sul problema mediorientale, e che si rischi l'isterismo accusando tutti quelli che sostengono le ragioni palestinesi di antisemitismo e di veterocomunismo? Sinceramente, non mi sembra di aver mai odiato lo Stato d'Israele o i suoi abitanti, né il prendere a cuore il problema nazionale palestinese ha mai voluto dire per me desiderare la liquidazione dello Stato Ebraico e una nuova dispersione dei suoi abitanti nelle diverse contrade del pianeta. Quello che ho sempre contestato ( in conversazioni private, naturalmente, perché non sono un personaggio pubblico ) è la 'politica' israeliana nei riguardi delle popolazioni arabe circostanti e dei Palestinesi in particolare, e dunque i dirigenti d'Israele e l'impostazione che hanno sempre dato al problema dei rapporti col mondo arabo. Che ci sia una parte del mondo arabo che ancora non digerisce la presenza dello Stato d'Israele è vero, ed è vero che ci sono ancora forze che vorrebbero sparisse dalla carta geografica (ma Israele, non vorrebbe che sparissero i Palestinesi?...). Ma alcuni decenni sono trascorsi dalla nascita di questo Stato, e quella che era una totale incompatibilità credo vada via via attenuandosi in favore di una mutua accettazione di coesistenza fondata su confini sicuri e sicuro riconoscimento da parte dell'altro. Credo che le forze moderate siano maggioritarie nel mondo arabo, e credo che le loro richieste, appoggiate da numerose risoluzioni dell'ONU, avrebbero dovuto riscuotere più seria considerazione, proprio perché non andassero a radicarsi maggiormente le altre forze, quelle che rifiutano il dialogo e che non concepiscono altra politica con lo Stato d'Israele che quella dello scontro frontale e della totale incompatibilità. La domanda è: i dirigenti israeliani hanno mai desiderato realmente una coesistenza pacifica con i Palestinesi? E questo non tanto nei primi tempi, quando la tensione esistente rendeva questa ipotesi semplicemente illusoria, ma piuttosto da dieci o vent'anni a questa parte, quando le nuove generazioni di entrambe le comunità hanno cominciano ad essere meno infestate dall'odio e ad essere animate unicamente da un grande e disperato bisogno di sicurezza e di pace. La domanda attuale, urgente e angosciosa, è: può un progetto di pace essere messo in opera sotto il governo del Signor Sharon? Possono l'apertura di spirito e lo spirito di tolleranza necessari alla soluzione di questo problema gravissimo e quasi cronico essere individuati in una personalità come quella di Sharon, che da trent'anni non mostra di poter concepire, nei confronti del popolo palestinese, che un solo sentimento e un solo progetto, quelli della liquidazione o, al massimo, della emarginazione? Ogni volta che Sharon si riavvicina al potere ricominciano a muoversi i carri armati, ricominciano le stragi, lo stato di guerra torna ad insediarsi sovrano. Queste sono mie farneticazioni o dati di fatto? Ai tempi di Barak non eravamo a questo punto, e ai tempi dell'amministrazione Clinton, allorché fino al suo ultimo giorno si cercò una soluzione, non si era in stato di guerra. Mi sembra che proprio con Sharon tornino sempre, puntualmente, a regnare sovrani l'odio, la discriminazione e, inevitabilmente, lo stato di guerra. Quando Sofri chiede l'amore per lo Stato d'Israele, io mi chiedo chi scriverà una lettera a Sharon e alla stampa israeliana chiedendo l'amore per il popolo palestinese. Non è la stessa cosa, certo, non c'è stato uno sterminio dei Palestinesi da parte dei Nazisti, ma non è necessario aspettare, mi dico, che Sharon abbia ammazzato 6 milioni di Palestinesi per cominciare ad amarli e a desiderare che i loro bambini crescano in case e non più in tende e che giochino con pistole giocattolo e non con pistole vere. Credo che in Israele desiderino amore ma non siano molto pronti a darne, almeno a guardare certi loro dirigenti, che vorrebbero l'amore, la fiducia, l'approvazione della comunità internazionale in modo del tutto gratuito, non facendo assolutamente niente per meritarli, volendo cioè anche carta bianca su qualunque tipo di politica il loro appena mascherato desiderio espansionistico li porti a seconda del momento ad adottare. Io penso che gli stessi Israeliani siano molto mal serviti dai loro dirigenti, e che spesso la loro reale caratura di libertà e democrazia sia stata inquinata, avvelenata, obnubilata, dall'oppressiva politica di certi dirigenti che, scegliendo la mano forte, lo scontro, l'odio, e lo stato di tensione permanente, costringono il paese a vivere rinchiuso in se stesso e gli impediscono di stabilire altri rapporti, e anche solo di concepire la possibilità di nuovi contatti e di un nuovo equilibrio, fondato sul mutuo riconoscimento, con le popolazioni circostanti. Quanto alla politica attuale di Sharon anche Sofri parla chiaro, ad un certo punto della sua lettera, ed è implicitamente d'accordo sul fatto che oggi sia oggettivamente difficile, molto difficile amare lo Stato d'Israele. Credo appunto che la sua lettera dica questo, che verso uno Stato che ha diritto di esistere non bisogna smettere di avere sentimenti positivi solo perché si rende autore di una politica odiosa, e che dunque si può, o si deve, scindere le due cose, ed è lecito criticare a voce alta una politica criminale senza per questo smettere di affermare il sostegno all'esistenza dello Stato che la commette, anche perché uno Stato non può essere identificato con certi suoi dirigenti (esattamente come io non identifico l'Italia con Berlusconi, tanto per intenderci). Quando Sofri considera la politica del governo israeliano accecata e sciagurata, e si augura che decida di ritirarsi da solo dai territori occupati, non dice niente di diverso da quello che dico io, ma non viene in mente a nessuno di considerarlo un pazzo farneticante mosso da odio antisemita! Sarà perché poi ha aggiunto un corollario importante, quello dell'amore doveroso per Israele. Ma l'amore, aggiungo io monotonamente, è come certi valori, e non funziona mai a senso unico. Cordiali saluti.

D.G.

ConflittoGiovanni Codovini, Storia del conflitto arabo israeliano palestinese. Tra dialoghi di pace e monologhi di guerra, 2002, 8°, pp.390, € 19,90

Una chiara e obiettiva ricostruzione delle vicende storico-politiche, sociali, economiche, religiose e culturali che hanno scosso la Palestina dalla fine del XIX secolo ai nostri giorni. Da una parte la tormentata nascita dello Stato di Israele, preceduta dal diffondersi dell'ideale sionista e dai pioneristici insediamenti dei coloni nella terra dei propri antenati; dall'altra, l'affermarsi di un nazionalismo arabo e di una coscienza politica palestinese, fino alla fondazione dello Stato palestinese e ai conflitti che ne sono seguiti. Un ricco apparato documentario - per esempio con tutti i testi dei trattati di pace dei quali si è persa memoria; inoltre schede e tabelle informative fanno di questo libro uno strumento indispensabile per comprendere una delle aree più 'calde' del mondo e per avere sotto mano tutti gli elementi per ricostruire le posizioni delle varie parti in causa.
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