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pagina collegata: Laura Spazzacampagna

DUE DESTINI
di Laura Spazzacampagna

 Perché siamo due destini che si uniscono

stretti in un istante solo
che segnano un percorso profondissimo
dentro di loro
superando quegli ostacoli
che la vita non insegna
solo per cercare di essere più veri
per guardare ancora fuori
per non sentirsi soli.”

  Tiromancino

Potrà sembrare strano premettere il testo di una canzone d’amore dovendo parlare di quanto sta accadendo in Cisgiordania ed Israele in questi giorni pazzeschi, drammatici; il motivo di tale scelta, affatto casuale, è costituito dal semplice dato di realtà che due persone a me care sono lì. E per mio puro e semplice egoismo non è lì anche il mio compagno, che volentierissimamente sarebbe andato al seguito della Carovana per la Pace che ha, sola in queste ore, rappresentato l’ultimo ponte di solidarietà con il popolo palestinese. Si tratta, per chi non lo sapesse – possibilità che contemplo per via del silenzio dei media su tale iniziativa – di una delegazione di 600 persone di cui circa la metà italiani, che comprende pacifisti e disobbedienti provenienti da diverse nazioni europee. Per quanto riguarda la composizione del gruppo dei connazionali, si segnala la presenza di deputati verdi e di Rifondazione Comunista,nonché rappresentati di diverse realtà legate ai centri sociali, a Rifondazione, ai Verdi, ai “Beati i costruttori di pace” – è lì anche Don Albino Bizzotto – a gruppi musicali quali ad esempio i 99 Posse: tutti accomunati dal desiderio di promuovere azioni di disobbedienza non violenta (manifestazioni di piazza in diverse città e campi, sit-in, animazioni) nel duplice tentativo di portare maggiore attenzione sugli eventi recenti di devastazione e sui potenziali di pace presenti nei territori in guerra e di affiancare fisicamente il popolo palestinese rimasto solo in un tragico isolamento dovuto alla campagna militare e mediatica di Sharon.

 

Le due persone che sono partite con la Carovana mercoledì 27 marzo pomeriggio sono Valerio, il fratello minore del mio compagno, e Fabio, il trentenne assessore alle Politiche Sociali del Municipio X del Comune di Roma presso cui lavoro.  

Ho visto Valerio il giorno prima della partenza; è passato da casa del fratello dove io mi trovavo bloccata da un feroce mal di testa. Ha inserito una nuova scheda per il telefonino, mi ha pregata di ricordarmi di non dire niente alla madre che avrei visto qualche giorno dopo, e mi ha spiegato che le chiamate al suo cellulare sarebbero state comunque a suo carico per la tratta fuori dal confine, e pertanto sarebbe stato il caso di limitarle alle emergenze. Ho scritto su dettatura il numero su un foglietto di carta. Ci siamo salutati in maniera blanda. Visto che mi aveva detto che era reduce da una conferenza stampa ripresa dal TG2 sulla Carovana della Pace, ho guardato assieme al fratello tutti i telegiornali della sera, senza però ravvisarne traccia. Il mercoledì è trascorso senza quasi pensieri, con leggerezza, ma già il giovedì, nel verificare che nessun giornale che solitamente pubblicizzava l’iniziativa dava notizie, con il mio compagno, Nicola, cominciavamo a preoccuparci di una sorta di invisibilità che non garantiva la riuscita dell’azione. Nicola chiamava quindi la redazione di Liberazione, da cui lo rassicuravano del fatto che non avevano avuto ancora notizie dalla Carovana per il numero in edicola, ma avrebbero provveduto ampiamente nei giorni a venire. Ed in effetti il venerdì, parallelamente alle notizie gravissime riguardanti l’accerchiamento di Arafat a Ramallah, finalmente il Manifesto e Liberazione iniziavano a dare notizie adeguate. Nel frattempo tramite il sito www.altremappe.org avevamo modo di aggiornarci passo dopo passo; una radio locale di Roma, Radio Città Aperta, che è in contatto telefonico con alcuni dei giovani presenti nei territori occupati oltre che con il sito di cui sopra, ci teneva compagnia in ogni lungo o breve percorso in automobile. Dal sito apprendevamo sabato che il punto di incontro per manifestare a Roma era davanti alla sede ONU prospicente Piazza Venezia. E così la domenica di Pasqua, trascorsa come se nulla fosse in casa, verso sera prendeva per noi, una comune coppia che si aggira per la città con sguardo sperduto, un’aria surreale: ci avvicinavamo alla tenda deserta nel giardinetto antistante la sede ONU, guardavamo le luci azzurre delle volanti che si muovevano a scatti, nervosamente, nel centro storico, ci incamminavamo verso il Parlamento per vedere se una rappresentanza fosse rimasta a fare una veglia lì davanti, e poi verso un’edicola. Lì Nicola comprava il numero di Liberazione del giorno stesso e in quinta pagina, aspettando nell’atrio di un cinema l’apertura della sala per vedere l’ultima trasposizione di Sciascia, mi cade l’occhio sulla frase: “…mentre uno dei pacifisti italiani che si trovano a Ramallah, Fabio Galati assessore del X Municipio di Roma, ci spiega al telefono come nell’edificio della leadership palestinese si trovi anche una pacifista irlandese di cui nessuno fino a questo momento ha avuto notizia…”.

Il fiato si ferma: il nome di un compagno di lotte di Valerio compare poche righe dopo, e, incrociando lo sguardo di Nicola, capisco che lui ha sospettato da sempre che i nostri cari si trovassero a Ramallah. Fino a quel momento ascoltavo ogni notizia provando ad immaginare come fosse la situazione in ogni campo, in ogni territorio; ora avevo davanti agli occhi le immagini drammatiche trasmesse dai telegiornali di Ramallah accerchiata dai Tank israeliani. E’ stato quindi il gruppo di Fabio a rifornire Arafat di nuove cariche per i cellulari e di medicinali per i feriti.

Nel vicino ospedale si trova invece la Eurodeputata di Rifondazione Comunista Morgantini. Da lei e da molti testimoni si hanno fin troppo confermate notizie di corpi di poliziotti palestinesi giustiziati con un colpo alla nuca. Almeno trenta fino ad oggi. E poi irruzioni nelle case, intimidazioni a donne e bambini. E poi gruppi di pacifisti francesi che si sono fatti arrestare con infermieri palestinesi affinché non accadesse che venissero giustiziati anche loro impunemente. E poi la presenza dei pacifisti anche nei campi più a rischio di rappresaglie israeliane, ad esempio quello da cui veniva la sedicenne che ha realizzato il sanguinosissimo attentato al supermercato venerdì scorso…

 

Infine oggi, lunedì di Pasqua, apriamo con Nicola il sito di “Altremappe” e constatiamo che il nome e cognome del fratello spicca nella delegazione che è appena entrata a Ramallah per “dare il cambio” a quanti erano vissuti in questi giorni lì; e lì resteranno finché non arriveranno degli osservatori internazionali che svolgano mediazione e controllo su quanto sta accadendo.

 

La mente va alle immagini trasmesse sabato sera di giovani israeliani che, da diversi giorni, non fanno che ballare e ballare con musica a tutto volume sulla spiaggia di Tel Aviv. Credo che questo atto di alienazione trasmetta quel senso di vuoto, di orrore e di impotenza che è proprio di chi non ce la fa più a sperare. Ariel Sharon ha richiamato alle armi ventimila riservisti per completare nei 10 giorni consentiti dagli USA l’azione di smantellamento dell’Intifada; gli obiettori vengono reclusi. Il cosiddetto terrorismo, da Sharon costantemente posto a motivazione di quest’azione di guerra per richiamare un vasto consenso internazionale, è frutto in realtà dell’irrigidimento delle politiche di non dialogo attuate finora. Questi pazzi, pazzi giovani e adulti che sono partiti dalle loro comode case di Parigi, Roma, Berlino,  Dublino, hanno compiuto un gesto di speranza che mai nessuno ha avuto il coraggio di realizzare prima di oggi.  Un gesto che può essere letto come “di parte” da chi decide di dar credito alle parole di Sharon, certo: ma chi altri avrebbe affrontato simili rischi pur di portare un segno di pace tangibile, concreta? Chi altri non avrebbe ripreso il primo aereo in partenza da Tel Aviv?

E così, mentre i giornalisti sono invitati ad andarsene dai territori occupati, mentre l’ANP è messa in ginocchio, mentre i fedeli di tutto il mondo pregano sugli inginocchiatoi delle chiese, questa preghiera di fede concreta in un mondo migliore è realizzata dai quei seicento corpi circa che si aggirano tra feriti, uomini armati, donne e bambini dagli occhi neri.  E non solo costituiscono coi loro corpi preghiera: sono anche ponte con le nostre case, con la mia casa, ed ora anche con la vostra. Ci ricordano che siamo, come dice la canzone, destini che si uniscono, che si intrecciano, che cercano soluzioni possibili anche laddove la situazione apparirebbe assolutamente disperata ed irreversibile. Rileggo, nella speranza di farle diventare mie, le parole di Giovanni Russo Spena da Gerusalemme la domenica di Pasqua: “A noi pare che occorra reindagare il concetto di pace per non giungere alla disperante conclusione che uno stato di guerra permanente non può che trovare l’opposizione avventurista armata, il suicidio individuale e collettivo, oppure l’abbandono della speranza della trasformazione e dell’identità nazionale dei popoli.” E, più sotto: “Sembriamo matti a dirlo oggi, pensando al presidente Arafat chiuso in quella stanza: ma noi tutti qui continuiamo a credere che rinizia subito il percorso per arrivare alla costruzione di due stati per due popoli. Oggi vi è un popolo in più che soffre ma si ribella e uno stato in meno.” (da Liberazione del 31.03.2002)

Laura Spazzacampagna


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Da Laura Spazzacampagna
iscritta alla Mailing List (e nostra "inviata" a Roma...)
riceviamo questa straordinaria testimonianza
sulla manifestazione dei No Global di sabato 10 novembre 2001

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"NOT IN MY NAME"

You may say I’m dreamer
but I’m not the only one"

John Lennon

Eravamo tanti, sì. Abbiamo attraversato, chi in silenzio, chi passeggiando con un amico, chi ballando, chi cantando, chi gridando, chi portando uno striscione, il cuore della città sede di quelle istituzioni che la guerra l’hanno votata quasi unanimemente. Eravamo noi quella marea sconfinata di non unanimi. Noi quelli che si addolorano di ogni guerra e di ogni morte, qualunque nome porti, qualunque lingua parli. Eravamo noi che in cuore nostro abbiamo scelto la via della pace, e che questa pace, ancora una volta, dopo Genova, dopo la Perugia-Assisi, l’abbiamo rappresentata con la nostra mite presenza. Noi che ancora crediamo che "un mondo diverso è possibile".
Vorrei dire non i numeri, che pure sì, eravamo davvero in tanti. Ma vorrei dire i nomi, le storie, i motivi che ci hanno condotti, ognuno per proprie vie, a condividere un momento così speciale. Vorrei raccontare un clima, una gioia di trovarsi e di contarsi. Quando il mondo ha scelto una sua drammatica direzione che si configura come una via senza ritorno, come una spirale inarrestabile di odio contro odio, di essere umano contro essere umano, di rabbia contro rabbia, ci si sente soli e a volte sconfortati. Quello che ho visto sono stati suoni e danze, colori e volti che, con discrezione, trasgressione, ironia, allegria o drammaticità, hanno scelto di rappresentare questo universo silenzioso che siamo noi sognatori. Si sono levate le canzoni di John Lennon mischiate a quelle dei gruppi posse mischiate ai canti curdi mischiate alle canzoni palestinesi mischiate a tamburi di pace. Si sono intrecciati i destini, su queste strade romane, di giovani, anziani, donne, uomini e bambini, di politici, operai, insegnanti, impiegati, e di gente del Nord e del Sud d’Italia e del mondo. C’è stato qualche raggio di sole, ma soprattutto una leggera pioggia. C’era in una piazza non lontana la rappresentanza di un’altra Italia e di un altro mondo, che non ci comprende e non ci riconosce. Ma la massa umana scivolava e scivolava inarrestabile, come se nulla fosse.
Vorrei trovare le parole per dirlo, per dire che non è vero, non è niente vero quel che si azzarda su di noi, popolo infame e senza patria che, secondo loro, l’altra Italia, non esprime a sufficienza il proprio dissenso nei confronti degli attentatori dell’11 novembre. Noi, i traditori della patria, noi che combattiamo senza armi, oggi, in piazza, ma ogni giorno nella nostra vita. Noi vorremmo cominciare a spiegare le ragioni di questo dissenso che potrà sembrare insano e inconsapevole. Noi che ogni giorno, invece, ci sforziamo di cercare una coerenza quotidiana tra il pensare in modo aperto a tutto il mondo, a tutte le culture, a tutte le povertà, e l’agire concreto. Noi che ci interroghiamo sui consumi che facciamo, che cerchiamo di comprare cibi e vestiti che non provengano da realtà di sfruttamento, noi che cerchiamo di parlare con chi è diverso da noi anziché bollarlo a priori, noi che vorremmo costruire un futuro che non sia necessariamente un gioco al massacro. Noi che cerchiamo non il torto o la ragione, ma la verità che sottende le scelte politiche dominanti, non il buono e il cattivo, ma il perché della rabbia e della violenza. Noi che alla violenza abbiamo detto e continueremo a dire no, in ogni sua forma. Noi che sceglieremo, da ora in poi, la forma di lotta della disobbedienza civile. Noi che vorremmo meno forza ai cannoni e ai fucili, e più forza alla cooperazione internazionale e alla solidarietà. Noi, sì, i pazzi sognatori che rendono instabile la società italiana di fronte ad un mondo compatto contro il nemico; noi, sì, che alla figura del nemico non crediamo a priori, noi che non cadiamo nella trappola dell’"occhio per occhio".
Noi eravamo davvero un po’ come tutti voi, oggi, con gli stessi identici problemi di salario, figli, mogli e mariti, di nonni e di nipoti, di affitto, tasse, bollette e rincaro della benzina. Noi, allo stesso modo. Ma l’avere ugualmente paura per il futuro e per la sopravvivenza non ci ha ancora costretti a rinunciare alla speranza. Perché non osare sperare nel genere umano? Perché non puntare sulla giustizia mondiale e non di un Paese solo contro un gruppo solo di terroristi? Noi vogliamo ancora credere, e l’abbiamo condiviso oggi con gioia e disperazione. Per questo su tanti corpi oggi era affisso un cartello che recitava "Not in my name". Perché se guerra deve essere, non sia nel nostro nome.
Un camion dei centri sociali autogestiti romani mandava musica altissima molto vitale e ritmata. Su questa base, il dj parlava, e con frasi rappresentava emozioni, paure, forza, energia. Ripeteva, mentre scendeva la sera e ci si avvicinava al Circo Massimo: "Questa notte la passeremo insieme, uniti, disperati e consapevoli. Insieme." Sotto, un fiume di ragazzi, ma non solo, continuava a ballare e a sorridere, mani e sguardi si intrecciavano, capelli si muovevano nell’aria, e guardare tutta quella vita giovane e già tradita da un progetto miliardario di guerra che mortificherà necessariamente la loro aspettativa di giustizia sociale, di istruzione, di lavoro, di casa, muoveva un sentimento struggente nel cuore. Pochi metri più avanti, sul Colle Aventino, una sequela di fiaccole era disposta in modo da formare le parole: "No war" che brillavano sole e fiere. Ecco, per quei giovani innamorati della vita e danzanti, per i bambini che stanno nascendo e che sono appena nati, qui e in qualunque luogo del mondo, non abbiamo altro dovere che rispondere come quelle fiaccole accese nella notte e nella pioggia.

Laura Spazzacampagna
10 novembre 2001


QUANDO LA PAROLA ‘PACE’ DIVENTA AZIONE
di Laura Spazzacampagna
Parlare di ciò che è accaduto oggi in Italia e nel mondo credo sia impresa non tanto facile. Perché oggi si è realizzata una trasformazione delle dinamiche di potere a livello mondiale. Ovvero da una globalizzazione del potere dei vertici, dei pochi, oggi abbiamo assistito ad una manifestazione consensuale su di uno stesso tema da parte di 110 milioni di persone in tutto il mondo. La tanto auspicata globalizzazione dei diritti ha una sua data di nascita: sicuramente oggi. “Sicuramente” perché non si è trattato di un Social Forum europeo o mondiale, di un evento partecipato quindi da un insieme di gruppi definiti; la moltitudine che ha attraversato la città di Roma, ad esempio, era composta in maniera assolutamente trasversale dalle più svariate fasce della popolazione. Persino un evento come la marcia per la pace Perugia-Assisi si costituisce come un momento di aggregazione con una sua connotazione. Quello che con i miei occhi ho visto oggi ha invece a che vedere con una dimensione nuova, diversa: si può parlare di attivazione dei diritti, del recupero della voce della sovranità popolare nel suo libero esercizio, ma nello stesso tempo di una nuova forma di partecipazione ai processi di sviluppo mondiali.a Roma
110 milioni in tutto il mondo, a sentire la CNN; a Roma, almeno 650 mila per la Questura, 3-4 milioni per gli organizzatori, 5 milioni per un giornalista che dissente con orgoglio da tali manifestazioni, Giuliano Ferrara. Quello che è accaduto oggi nella capitale è difficile da far visualizzare. I telegiornali hanno sì mostrato alcune riprese dall’alto, ma senza cogliere quell’effetto d’insieme che ad altezza d’uomo, per la disagevolezza nell’avanzare del corteo, si coglieva immediatamente. Proviamo ad immaginare il percorso che si sarebbe dovuto sviluppare in linea circolare da una partenza ad un arrivo; ebbene, tale percorso si prefigurava come un cerchio di un paio di chilometri e mezzo di diametro. Proviamo poi a visualizzare all’interno di tale cerchio un reticolo di vie. Ecco, tutto questo reticolo, come pure il tracciato esterno, ovvero la via principale del corteo, oggi a Roma era interamente IL corteo , nel senso che per una ovvia necessità di deflusso, data l’impossibilità a procedere nell’unica direttrice prevista, si sono gradualmente saturate anche tutte le possibili strade e stradine alternative. Credo che mai Roma abbia assistito ad un simile evento. Un’altra riflessione nasce dall’evidente divario tra la accurata omissione della pubblicizzazione di tale giornata da parte dei media e la copiosità del risultato. Ma è qui che le forme di comunicazione più solide e più antiche della nostra società hanno agito ed influenzato arrivando a scavalcare quelle ufficiali, e ribaltando così i rapporti di potere il cui primato sembrava fino ad oggi appartenere a quello mediatico. Da un lato, la rete informatica ha agito con velocità e chiarezza, libera da bavagli e costrizioni; dall’altro, all’opposto, un’influenza immensa è stata quella di un potere arcaico, quello religioso, che, schierandosi, ha aperto le porte della partecipazione degli innumerevoli cattolici italiani. E poi ancora l’informazione informale, il volontariato, l’associazionismo, come nuovi vettori di parola e consapevolezza. Sono questi ultimi che hanno portato in piazza nomadi ed extracomunitari in numero mai visto; ma addirittura come forze organizzate. Non si era mai visto un furgone dipinto dall’etnia zingara dei Rom; né era mai capitata una sinergia che mettesse accanto, ad un solo stabile di distanza, le finestre spalancate di un palazzo occupato da cui si affacciavano, salutando animosamente, immigrati, e quelle di un Istituto di religiose, che si a Romaschernivano coprendosi dietro una bandiera della pace. Ma, oltre a questi estremi, è stato un fiorire di adesioni spontanee ed individuali frammiste al consueto susseguirsi di striscioni. Per cui coppie di anziani si tenevano per mano accanto a vigili urbani in divisa, gruppi di madri e bambini avevano organizzato uno striscione-gioco per far divertire i propri figli nel lungo tragitto, gli studenti si erano mascherati e i turisti si mescolavano nella folla con i loro cartelli in inglese o francese con estrema naturalezza. E se la manifestazione avrebbe dovuto iniziare alle 14, già dal primo mattino la città era pervasa da tanti piccoli cortei formali ed informali che si spostavano dalla periferia verso il centro, mantenendo così quella contiguità col fuso orario dal più vicino al più lontano; nella notte infatti le manifestazioni sono iniziate nelle città australiane, con lo slogan “Non una goccia di sangue per una goccia di petrolio”, passando poi al Giappone – 6 mila persone hanno manifestato nella sola Tokyo – e alle altre capitali asiatiche. E quando anche le reti televisive nazionali che avevano rifiutato la diretta dell’evento hanno cominciato a raccogliere testimonianze sia di quanto stava accadendo a Roma, sia nel mondo, fino a mandare in onda un fiume di servizi, si è verificata la prima vittoria mediatica: che tutta l’Italia ha potuto ascoltare l’intervista a degli americani veri, in carne ed ossa – non quindi frutto di propaganda politica - che, durante il corteo di New York, hanno espresso con estrema serenità e determinazione il loro dissenso per una guerra che loro stessi non sentono a loro difesa.
Oggi è avvenuta un’evoluzione nella società occidentale. Chissà come si saranno sentiti gli iraniani che hanno potuto vedere alla televisione questo spettacolo assolutamente inedito. Chissà se anche loro hanno provato questo stesso stupore. Chissà, soprattutto, se tutto ciò può davvero essere per loro sostegno e punto di forza per l’avvio di un percorso di libertà. Se è vero che il rimprovero più frequente mosso ai pacifisti dalle destre è di non portare nessuna proposta alternativa alla guerra, forse la risposta oggi è stata nella stessa volontà di democrazia così chiaramente e diffusamente espressa. Che sia questa partecipazione attiva e condivisa di oggi l’unica vera, potente alternativa alla guerra, per noi è oramai una certezza.
Laura Spazzacampagna

Autismo
Una breve cronaca appena romanzata... come l’anno scorso.
Un mio personale regalo per gli amici
che anche nel periodo natalizio
hanno voglia di leggere.

Fausto Politino


La madre si era presentata qualche giorno dopo l’incontro ufficiale. Con la determinazione e la convinzione di chi è abituata a lottare contro le norme, le procedure, l’incomprensione. Voleva chiarimenti. Non aveva ancora deciso dove scrivere il figlio, certificato come diversamente abile. Lavorava a tempo pieno, chiedeva certezze: il ragazzo doveva essere accolto in una struttura pubblica, anche alla Media, perché aveva sempre frequentato la scuola. Non credeva nelle associazioni specializzate e riconosciute. Per lei erano state un fallimento. L’imitazione dei compagni aggressivi lo facevano regredire. La diagnosi di autismo non era una condanna a morte. Consulti esterni l’avevano rassicurata. Suo figlio non ha deficit cognitivi gravi. E poi c’è un approccio didattico collaudato, la comunicazione facilitata. Si utilizza il computer, si stabilisce un naturale leggero graduale contatto fisico guidandogli il dito e prima o dopo riesce a scrivere, a farsi capire, a riassumere, ad imparare la storia e la geografia. Bisognava soltanto non accettare passivamente la disabilità. Intervenendo a livello cognitivo positivamente, ci sarebbero state ricadute importanti negli altri sistemi: comportamentale motivazionale emozionale. Bastava poi rifarsi al concetto di Vygotskij, alla sua teoria della zona di sviluppo prossimale: fra il livello che il soggetto manifesta e quello potenziale c’è un divario che si può colmare con l’aiuto dell’adulto specializzato. Ad una condizione, ribadisce la madre, che non deve essere lasciato solo.
Inizia l’anno scolastico. Il ragazzo arriva. La madre lo accompagna in classe. Lo affida al gruppo. Passano pochissimi istanti. Si alza dal banco. Gira le spalle alla cattedra e inizia a sfogliare in modo frenetico il primo libro che gli capita. Lo lascia cadere. Si batte la testa con le mani. Emette suoni come mugolii acuti intensi disperati. Snello agile salta dalla finestra con estrema facilità. Improvvisamente. Il panico serpeggia. Facce attonite s’incrociano. Lo spazio che circonda la scuola è molto ampio. Arriva davanti alla fossa del salto in lungo. Si ferma di colpo. Affonda le mani nella terra e la fa scorrere come l’acqua di una fontana. Esce dalla fossa, sposta la terra e forma dei mucchietti. Li disfa. Torna indietro e ricomincia. Continua così per ore. Coazione a ripetere, ritualismi autoappaganti? Devono essere interrotti, rinforzati? In che modo? Se cerchiamo di riportarlo nella classe attrezzata, con il famoso computer e le altrettanto famose scansioni scritte della giornata, si agita grida si morde le mani sfugge a qualsiasi presa. Nessuno ha mai visto niente del genere. Nessuno ci ha informati. Passa una settimana. L’ultimo sole estivo lo attrae. Sfugge al controllo, sale sul cubo in cemento che ricopre la caldaia e si spoglia. E’ tranquillo, si muove rapido dentro il perimetro. I suoi occhi non guardano quelli che sotto si agitano. Fa caldo fuori stagione. Si toglie ciò che indossa. Sta bene. Perché gli altri gridano? E’ questo quello che pensa?
Qualcuno ci dirà come entrare in contatto ammesso che sia possibile? Come capire quando ha fame quando deve andare in bagno quando vuole stare da solo quando vuole stare in gruppo quando è stanco quando vuole uscire quando vuole ascoltare quando vuole correre quando vuole essere accarezzato quando sì vuol dire no?
Fausto Politino


A Comiso, in provincia di Ragusa,
in questa Sicilia provincia d'Europa
In un giorno di fine d'anno siamo andati (Giovanni Stella, Leonardo Miucci io e Liliana) a rendere omaggio a Gesualdo Bufalino nella sua dimora estrema. Un rito che di tanto in tanto ripetiamo volentieri, per onorare la memoria dell'uomo e la presenza tangibile della sua opera.
A sera ad Avola antica, nella sua collina, nel presepe vivente abbiamo scambiato un abbraccio caloroso con Nunzio Bruno, artista egocentrico e poliedrico nonché originale etno-antropologo.
Quella che segue è la sintesi poetica della giornata.
Francesco Urso
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Ignoto futuro

La casa di ferro
scivolava lesta
fra le colline iblee,
e la macchia mediterranea
evocava negli amici di sempre
ricordi ellenici,
mentre l’amico novello
osservava incredulo e ammirato.
Ancora un anno se ne andava…
Nella piazza del borgo
la chiesa s’imponeva sontuosa
alla vista, e il circolo che ospitò
l’illustre figlio aveva sbarrate
le porte agli avventori.
Così ci riferì l’uomo senza nome
che fornì lieto lume agli ospiti.
Nella dimora estrema
rendemmo omaggio a don Gesualdo
che dorme il sonno dei savi,
del cui nettare, giorno dopo giorno,
ci nutriamo, come di miele estremo.
Silente fu il ritorno
come i giorni del passato.
Nel buio della sera
nel monte degli avi
raggiungemmo Nunzio,
custode di memoria
che ci donò il calore
del suo abbraccio,
a conforto del freddo Natale.
Uomini e donne sul colle
animavano un presepe vivente,
richiamo di un rito millenario,
ignota la sua durata futura.

Giovanni Stella
Avola 29 dicembre 2002

foto di Francesco Urso






opere attualmente in commercio di Giovanni Stella:
Le Sirene e l'Isola
Amici cari
Il rigattiere e l'avventore
Lapilli


Da: "Sara Marilena Monti"
Data: Thu, 2 Jan 2003 12:49:54 +0300
A: <info@libreriaeditriceurso.com> <mailto:info@libreriaeditriceurso.com>
Oggetto: R: Ignoto futuro, di Giovanni Stella IL 29 dello stesso mese e dello stesso anno, io ero a Modica a visitare , nel vento freddo del mattino, tra scale e vicoli, austere chiese e splendidi palazzi, la casa natale di Salvatore Quasimodo. I passi. Tanti per giungervi. Alcuni ignoravano dove fosse, la casa del poeta. Timidi, rari passanti della domenica mattina, mi smarrivano tra informazioni errate mentre cresceva in me la smania di giungere. Gentili indicavano altre strade, altre scale...
E mentre mi chiedevo come si possa fare ad ignorare la casa del poeta e il poeta stesso, percorrevo silenzio e vento, trasognata dall'emozione di quei luoghi che dovettero colpire, e per sempre, l'animo di quel bambino, "trafiggerlo" come il raggio di sole...
Infine giunsi:tante, troppe, le emozioni che ancora tengo strette nel cuore, inespresse. Come in un Natale eguale e diverso ho guardato il letto nel quale venne al mondo, nella modesta casa, il poeta che molto diede sollievo alla mia adolescenza, ai giorni di dolore, alla malinconia, alla nostalgia. Il premio Nobel per la letteratura, la lapide sotto il ridente balconcino, il suo scrittoio, la penna, l'ultima Olivetti con la quale scrisse, i suoi libri, delle frasi appuntate a mano...
Vorrei dire che, ancora una volta turista della mia Isola, ho sentito la meraviglia di un miracolo in più, in quest'altra Bethlemme, nella natività in un letto povero, di un poeta. La nascita del poeta è miracolo che appartiene al mondo di cui l'umanità intera beneficia.
Mi pare molto bello che Voi, amici cari, siate stati a Comiso dal grande Bufalino. Lo stesso giorno dello stesso mese, dello stesso anno. Pellegrinaggi altri, riti altri, ma anch'essi consacrati al senso più alto dell'appartenenza alla vita.
vi abbraccio,
Marilena Monti
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Io non credo alla poesia come ''consolazione'', ma come moto a operare in una certa direzione in seno alla vita, cioè ''dentro'' l'uomo. Il poeta non può consolare nessuno, non può ''abituare'' l'uomo all'idea della morte, non può diminuire la sua sofferenza fisica, non può promettere un eden, né un inferno più mite... Oggi poi, dopo due guerre nelle quali l'''eroe'' è diventato un numero sterminato di morti, l'impegno del poeta è ancora più grave, perché deve rifare l'uomo, quest'uomo disperso sulla terra, del quale conosce i più oscuri pensieri, quest'uomo che giustifica il male come una necessità, un bisogno al quale non ci si può sottrarre... Rifare l'uomo, è questo il problema capitale. Per quelli che credono alla poesia come ad un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle speculazioni è finito. Rifare l'uomo, questo è l'impegno.
Salvatore Quasimodo
in ''La Fiera Letteraria, giugno 1947

21 marzo 2003
Giornata mondiale della poesia

promossa dall'UNESCO



poesiaAlle associazioni, circoli, riviste letterarie, gruppi o singoli che intendono organizzare (come già fu fatto, con notevole creatività, nel 2002) manifestazioni per questa ricorrenza (fissata emblematicamente per il 21 marzo, ma che può svolgersi nella settimana fra il 16 e il 23), lanciamo un appello affinché si porti la poesia fuori dagli spazi ad essa tradizionalmente deputati stimolando poeti ed operatori culturali ad organizzarsi per letture, distribuzione di testi (in forma di volantinaggio) o altri modi che creativamente si possono inventare, in luoghi aperti, dove ci sia una cospicua affluenza di persone (ad esempio mercati, supermercati, piazze, metropolitane, stazioni, o fuori dalle scuole, dalle fabbriche, dagli uffici ecc.).
Allo stesso tempo facciamo appello agli insegnanti perché promuovano particolari iniziative nelle scuole, stimolando ad esempio gli studenti a proporre testi da leggere collettivamente, o invitando, quando possibile, i poeti stessi nelle aule.
Per la migliore riuscita di quanto proposto è importante costituire un coordinamento tra le varie città o situazioni, sia per lo scambio di idee che per ottenere il massimo della risonanza a livello nazionale. Pertanto chiediamo a tutti gli interessati di mettersi in contatto con noi (scrivendoci all'indirizzo sottostante), anche con suggerimenti, idee, dubbi, domande, e di diffondere questo invito a quanti si ritiene possano aderire.
PRIMA Carovana nazionale di Poesia e Musica
PER LA VITA, LA PACE, LA BELLEZZA, IL GIOCO, IL RISPETTO…
PER TUTTO CIÒ CHE LA GUERRA IMPLICITAMENTE NEGA

La Carovana di poesia e musica vuole interpretare la giornata mondiale della poesia in modo dinamico e libero, scegliendo di anno in anno un tema, un percorso, sul quale il nostro sguardo e il nostro linguaggio abbiano la necessità di esprimersi.
Quest’anno il progetto prevede varie tappe che collegano in una grande manifestazione nazionale artisti e intellettuali che, nella libera espressione di ognuno, si ritrovano uniti nel rifiuto della guerra e del terrorismo, e nella ricerca della pace, prioritaria a ogni logica di prevaricazione e di scontro.
Le tante adesioni date alla Carovana da parte di Associazioni, Organizzazioni, Istituti di cultura, Istituzioni e singole personalità, danno impulso a una Rete di relazioni fondate sulla cultura del rispetto dell’altro da sé, della gioia dell’essere, del gioco, dello scambio tra le pluralità che sono nel mondo e in ciascuno di noi.
Coordinamento nazionale
Anna Santoro, Araba Felice (Napoli) info@arabafelice.it
Maria Jatosti (Roma) fpme@libero.it
Adam Vaccaro, Milanocosa (Milano) info@milanocosa.it


Collaborazioni (Istituzioni, Istituti di cultura…): Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli; Assessorato alla Cultura del Comune di Sasso Marconi; Assessorato alla Cultura del Comune di Modena; Assessorato alla Cultura del Comune di Forlì; Assessorato alla cultura della Provincia di Bologna; Arci Roma; Biblioteca Alessandrina Università degli Studi di Roma; Dialogue Among Civilizations Through Poetry; Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Napoli); Fondazione Mudima (Milano); Sindacato Nazionale Scrittori (Sez. Lazio); Sindacato Nazionale Scrittori (Sez. Toscana); Sindacato Nazionale Scrittori (Sez. Lombardia)

Rete di Siti e Riviste
: airporthouse.org; arabafelice.it; bollettario.it; bookeditore.it; dialoguepoetry.org; Diario di poesia; digilander.libero.it/xlisabeth; fuoricentroscampia.it; laprimaweb.it; levocidellaluna.it; libreriadonna.com; milanocosa.it; nonsoloparole.com; nuoviautori.org; paginedilunapiena.supereva.it; paroladidonna.net; poesia.vulgo.net; Rassegna Siti Culturali; writers.it; Karenina.it; transference.f2.com; vibrisse.bollettino.it; libreriaeditriceurso.com;

Almanacco del Ramo d'Oro (Trieste); Bollettario (Modena); Esperienze Letterarie (Roma); Il gabellino, (Arezzo); Il Giuoco d’assalto (Bologna); Il Paese delle donne (Roma); Il verri (Milano); La clessidra (Novi Ligure - Alessandria); Riv. FOLIVM (Roma); La Mosca (Milano); L’area di Broca (Firenze); La Terra del fuoco (Napoli); Lettera internazionale (Roma); Le Voci della Luna (Sasso M. – Bologna); L’ortica (Forlì); Il Manifesto (Roma); Prospektiva (Roma); Periferie (Roma); Testuale (Milano); Versodove (Bologna)
Scuole che ad oggi aderiscono e che parteciperanno attivamente (letture e musiche da parte di studenti e studentesse): I.T.C. Diaz (Napoli); I.P. Isabella D’Este (Napoli); I.T. Elena di Savoia (Napoli); L.C. Pansini (Napoli); L.S.P.P. Pimentel (Napoli); L.Pol. Scampia; L.S. Severi + 38° Distretto (Castellammare); L.C. Vico (Napoli); L.S. Vittorini (Napoli)…

Chiunque voglia aderire può farlo tramite noi, inviandoci un messaggio in qualsiasi forma.
Coordineremo le possibili iniziative e le comunicheremo al Coordinamento nazionale.
Sollecitiamo la vostra adesione!

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