Peripatetici
di Eloro |
I PERIPATETICI DI ELORO PASSATE PAROLA - CONDIVIDETE
DOMENICA 11 GENNAIO 1693
Liliana Calabrese canta «'A ME' TERRA» di Corrado Morale 11 gennaio 2015 – Avola Antica - Chiesetta dell’Eremo della Madonna delle Grazie
Domenica come quella domenica di 322 anni prima, ci siamo incontrati per parlare del terremoto del 1693.
Nella ripresa video di Ciccio Urso ci troviamo all'interno della Chiesetta gentilmente concessa dal parroco don Giuseppe Di Rosa, che tutte le domeniche alle 12,00 vi celebra la messa.
Organizzatori dell'incontro a 322 anni dal terremoto del 1693 il gruppo "I peripatetici di Eloro" e il Centro "Don Luigi Sturzo", nelle persone che li dirigono, Francesco Urso e Veruccio Ferro.
Il prof. Paolo Magro ci intrattiene in forma non solo dotta ma anche divertente su aspetti di Avola Antica prima e dopo il terremoto del 1693, e tra un discorso e l’altro Liliana Calabrese ci canta una canzone. In questa circostanza lei ripropone una poesia del poeta e scrittore avolese Corrado Morale dal titolo «'A ME' TERRA», a cui lei ha dato questa musica che ascoltate.
|
||
Breve riflessione che vorrei fare dopo la passeggiata di domenica scorsa (13 ottobre 2013) a proposito di “speranza” un termine sui cui si è discusso durante il cammino dei “Peripatetici di Eloro”. Norberto Bobbio filosofo del diritto e della politica, ma anche uomo di cultura e "filosofo civile" parlava assai più volentieri di futuro che di speranza. «La speranza è una virtù teologica – scriveva in De Senectute – Quando Kant afferma che uno dei tre grandi problemi della filosofia è "che cosa debbo sperare", si riferisce con questa domanda al problema religioso. Le virtù del laico sono altre: il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione, il non prevaricare, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui, virtù mondane e civili. Virtù e valori non facili da spendere oggi sul mercato delle idee, dove ben altro successo riscuotono gli appelli a visioni del mondo che promettono improbabili forme di salvezza…». La SPERANZA induce al disimpegno nell'attesa che si realizzi quanto... sperato, HA UNA CONNOTAZIONE D'IMMOBLISMO CONSERVATORE, FA RIFERIMENTO AD UN FIDEISMO RASSICURANTE. Paolo Pantano |
||
|
|
|
|
|
|
I
"PERIPATETICI DI ELORO" © Foto Francesco Urso
Bibliografia della giornata |
I
PERIPATETICI DI ELORO
Incontro del 15/02/2004 di ORAZIO PARISI La Verità: o noi siamo in essa da sempre o non la troveremo mai. Il Grillo dell8/12/1997 riporta unintervista a Emanuele Severino su Che cosè la verità?. Alla domanda Qual è il rapporto tra luomo e la verità. Luomo alla ricerca delle verità, come deve cercarla?, Severino risponde: Cè un modo di pensare la verità che non potrà mai condurre alla verità. Si dice che luomo cerca la verità: si pensa che la verità sia altrove, perché se la cerchiamo non è qui con noi. Allora ci mettiamo in cammino per cercarla. Questa è limmagine che lei ha enunciato chiaramente: questa è limmagine di tutta la tradizione occidentale, anche scientifica. Laggiù cè la verità, e noi ci diamo da fare per raggiungerla. Magari possiamo, a questo proposito, usare una metafora evangelica, molto bella: ci mettiamo a bussare alla porta della verità. Proviamo a riflettere su ciò che implica questa immagine del cammino che si deve percorrere per raggiungere la verità. Se io domando: questo cammino, che deve arrivare alla casa della verità, questo cammino è compiuto nella verità? Può essere compiuto questo cammino nella verità, se ci mettiamo, se partiamo dal principio che la verità sia laggiù, chiusa in una casa? Se la verità è chiusa là, il cammino percorso è nella non verità. Allora se bussiamo alla porta non ci sarà aperto. Questo che cosa vuol dire? Che se noi ci mettiamo nella prospettiva dominante, in cui la verità è qualche cosa che va ricercato, accostato, a cui ci si debba avvicinare, noi non la troveremo mai. Lalternativa è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo. Nellaltro modo il discorso è chiuso, e non arriveremo mai ad una verità lontana. Il Mare Jonio davanti al Lido di Noto ha riempito di buoni auspici il nostro primo incontro per un cammino intorno a Eloro. Ma, di questa piccola città fondata dai Siracusani allincirca nel VII sec. a. C. in prossimità della foce del Tellaro, è limmaginazione più che la realtà a donarci solo deboli segni non ancora del tutto corrosi dalla furia della caducità. Ci siamo incamminati, dunque, per stradine circondate ai lati da cancelli, da ville e da piccoli giardini, ora di limoni, ora daranci e mandarini. Più in là ancora, alberi dulivi secolari e qualche roseto poco generoso si affacciano, insieme a qualche cane-schiavo col suo rabbioso latrato, da decrepiti muri a secco o da angusti muri in cemento sormontati da reti di filo spinato. Insomma, uno tra i più squallidi spettacoli del privato ha contaminato in forma ibrida il nostro sentimento di apertura con cui la talassocrazia jonica aveva inaugurato il nostro cammino. E tuttavia, il nostro incedere diveniva sempre più gioioso e sicuro, man mano che il discorso su Mito e Logos, su Dóxa ed Epistéme, su Alétheia, Unità e Totalità, e ancora sui fisici jonici ed Eraclito, sugli orfici pitagorici e Parmenide si faceva sempre più avvolgente. Al punto che, per un momento, tutti abbiamo creduto di percorrere la hierà hodós, la sacra via che rivela il cammino di Peithò (della Persuasione) verso la verità, caro a Parmenide. Lillusione svaniva allimprovviso, allorquando ci siamo trovati dinanzi alla nostra prima aporia: la strada sbarrata dagli scavi della nuova autostrada. Cosa fare? Qualcuno a quel punto suggerisce di tornare indietro per timore di perderci. Ma ci siamo subito ricordati dellinsegnamento di Anassimandro (il quale, dinanzi allaporia dellacqua come arché di tutte le cose, cambia strada e disvela lápeiron infinito e indeterminato) e abbiamo imboccato una nuova, sconosciuta, via. La quale, nonostante lenantiodromia dei sentimenti contrari, si rivela essere la strada giusta, portandoci dopo un po nel punto da dove siamo partiti (la strada giusta, dunque, è solo quella che ci riporta alla nostra condizione originaria). Giunti così alle nostre macchine, ci siamo salutati con un arrivederci al prossimo incontro. Cosa è rimasto di questa prima esperienza? E rimasta certamente una bella sensazione; attraversata magari da significati molteplici, da visioni diverse, da differenti emozioni, ma permeata, nel suo complesso, da un comune senso di soddisfazione. Si è voluto intraprendere, non soltanto un cammino di conoscenza, ma anche un percorso di amicizia fuori dai luoghi di routine a cui il quotidiano ci costringe, senza per questo prefigurare necessariamente impossibili vie di fuga. Si è rimasti ben ancorati ai propri luoghi di origine, ma cercando di dare ad essi nuovi significati, odori, sentimenti. A cominciare proprio dal sentimento di amicizia. Non guasta, al riguardo, per quanto possa sembrare banale, sottolineare il fatto che la nostra amicizia è della stessa natura astratta della filosofia (che, tutti sappiamo, significa proprio amore del sapere). Perché essa non ha, come appunto la filosofia, alcuno scopo pratico, utilitaristico, e per questo somiglia molto alla nietzschiana amicizia dionisiaca. La quale, ammettiamo, è magari di natura egoistica, ma sicuramente liberata dallinvidia, dalla gelosia e dal risentimento propri della cosiddetta amicizia altruistica (ma anche possessiva) che i più conoscono e praticano. Io non vi insegno il prossimo - scrive Nietzsche in Così parlò Zaratustra - ma lamico che crea, che sempre ha da donare un mondo compiuto. Sappiamo molto bene che questo tipo di amicizia è, come si dice, unamicizia impossibile. Ciò che però qui ci preme sottolineare è che, come ha scritto Alfredo Fallica, Giulio Cesare non sarebbe stato pugnalato dai suoi amici, che prima lo ammirarono, poi lo invidiarono e infine lo odiarono e lo uccisero, se questi fossero stati amici dionisiaci. Se, pertanto, non possiamo pienamente essere amici dionisiaci, niente e nessuno cimpedisce tuttavia di aspirare a divenirvi. Ed è quanto stiamo tentando noi con questa nuova esperienza; noi, malati della Follia del nostro Presente, che pensa di scoprire la verità, prescindendo dalla menzogna. La menzogna, ci ha ricordato Nietzsche, è lArte e lArte è necessaria alla vita. La conoscenza è favorevole alla vita, giacché serve da cautela e mezzo per la sua preservazione. Ma il modo in cui avviene la conoscenza scientifica è letale, perché la letalità inerisce alla rigidezza, la rigidezza allastrazione e lastrazione alla conoscenza scientifica. Da solo, questo genere di conoscenza non può bastare. Perché valga la pena di vivere, abbiamo ancora bisogno dellincanto della poesia, ossia di altre forme più libere, differenti, di conoscenza (Ignacio Gomez de Liano). ESSI CERCAVANO LA FILOSOFIA DEL MATTINO! Il 15 febbraio erano presenti: Michele Urso, Peppe Di Pietro, Giovanna, Leonardo Miucci, Marcello Giurastante, Liliana Calabrese, Salvatore Elera, Paolo Cusi, Enzo Genesio, Orazio Parisi. Camminando, accompagnavano i seguenti libri: Savater, Le domande della filosofia Savarino, La filosofia antica Galimberti, I paesaggi dell'anima Gomez de Liano, Sul fondamento Russell, Storia della filosofia occidentale - Filosofia greca Abbagnano-Fornero, Fare filosofia, vol. 1 |
|
|