17-06-2008 inserito da ciccio; categoria I nostri opinionisti.
Siamo ad oltre un anno dalla morte di Carmela Monteleone.
Il 17 maggio 2008 ci siamo occupati di lei come Libreria Editrice Urso in un memorabile incontro di Libravola tenuto nel Salone municipale di Avola. A lei dedicheremo di sicuro ancora altri momenti in futuro, com'Ë giusto e come merita.
Ringraziamo Orazio Parisi per averci trasmesso questa sua riflessione sulla vita e l'opera della scrittrice e poetessa avolese morta anzitempo.

CORSO GARIBALDI 41 50 anni ancora
giusto il tempoper risistemare pazientemente
le ideeÖ i pensieriÖ le emozioniÖ
di quei giorni trascorsi serenamente.
50 anni ancora
giusto il tempo
per crescere e imparare a capire
il significato dei giorni andati.
50 anni ancora
giusto il tempo
per prendere in mano la penna
e iniziare a scrivere
di quella libreria dove costantemente,
si riunivano a qualunque ora del giorno
tutti coloro che avevano appreso un segreto:
imparare a gustare meglio la vitaÖ
assaporandola dalle parole di ogni libro.
50 anni ancora
giusto il tempo per capireÖ
Öse fra quelle persone vi siaÖ
un
PrÈvert, un Rimbaud, un Verlaine,
uno
Shelley, uno Joyce, una Saffo, un Neruda,
un
Lorca, un Hikmet, un Elitis, un IbsenÖ
50 anni ancora
giusto il tempo per invecchiare
...io...
...loro...
e se il destino vorr‡
sederci a un tavolino in un bar
come
solevano fare i poeti francesi
e iniziare a scrivere,
tutti insieme
ripercorrendo quei giorni,
la storia andata
ma mai perdutaÖ
Ödi quella libreriaÖ
...del suo filosofo...
...di noi...
50 anni ancora
giusto il tempo
per prepararci a raccontare
a chi ancora dovr‡ aprire gli occhi...
...a questo mondo...
il segreto per saperlo gustare
50 anni ancora
giusto il tempo
di sperare che menti migliori di noi
ci sostituiscano portando avanti
tutto ciÚ che Ë stato creato...
...allíinfinitoÖ
Carmela Monteleone
Avola 16 Febbraio 1996
Un breve pensiero rivolto a Carmela Monteleone
Roberto Rubino, nella presentazione al libro di Carmela Monteleone ìSchegge... di un copione ingabbiatoî (Libreria Editrice Urso, Avola 2005), scrive: "Carmela fornisce l'unica chiave di lettura gestibile in un'esistenza sempre pi? complessa da decifrare: accettarsi". L'unica chiave di lettura! Sembra non possa essercene un'altra. O un'altra ancora...
Carmela Monteleone Ë stata una donna difficile e sfortunata. Difficile, perchÈ il suo carattere scontroso, nonostante avesse, paradossalmente, non pochi momenti di rara empatia, la allontanava dagli altri; e, probabilmente, gli altri (gli altri! Non conoscenti; neppure amici: semplicemente, gli altri), forse perchÈ riusciva loro facile mascherarsi dietro questa sua evidente scontrosit‡, spesso non erano capaci di scorgere, oltre l'apparenza, il vero volto di Carmela; per la verit‡, non troppo velato, se Rubino lo scrive chiaramente: scrittrice-poetessa. A uno sguardo attento, pi? umano, Carmela infatti lasciava cadere come per magia quell'aria abitualmente distaccata, mugugnante, riottosa e si mostrava in tutta la particolare dolcezza, generosit‡ d'animo e profonda sensibilit‡ di chi Ë poeta.
Sfortunata, perchÈ Carmela ñ nonostante i suoi versi gridassero: "la morte della mia animaî, ìUscire di scena. » il solo mezzo per trovare la giusta regia", "Una ragazza grida aiuto / e solo il padre morto / riesce a sentirla / e a piangere per lei", ìNel teatro della mia mesta vita / non riesco a gestire il dramma / che popola l'immenso tendoneî - era molto attaccata alla vita; ai suoi sapori, per quanto li sentisse aspri; ai suoi odori, anche quando le davano nausea; alle sue luci, seppure fosse costretta spesso nelle ombre della casa, dell'ospedale... della solitudine. ìValerio / amico mio...", scrive nell'ultimo componimento della prima raccolta, "[...] Tu che leggi il dolore nei miei occhi, mi dici: / qualunque cosa possa renderti felice / io sono disposto a farla. / Mi regali un po' di fortuna?î.
Seppure vivesse quotidianamente il suo dramma esistenziale, Carmela non smetteva di cercare il sorriso - dei nipoti, del fratello, della gente -, di volere la felicit‡, anche se fosse stato solo un attimo di felicit‡, come scrive Dostoevskij ne ìLa notte bianca" (Ë forse poco, sia pure nell'intera vita d'un uomo!?): "La vita mi fa credito / regalandomi giornate in cui sorrido, / cuori pieni di gioia, / [...] ... e sono felice di tutto ciÚ... / E passeggio per strada con una forza di vivere / che va oltre ogni limite della mia malattia.".
Tuttavia, se ci si fermasse a questa sola chiave di lettura ñ pur riconoscendole una indiscutibile validit‡ ñ si rischierebbe di permanere al di qua di quella complessit‡, a cui accenna Rubino, che non scaturisce solamente, e io credo principalmente, dalle condizioni esistenziali toccate a Carmela. Certamente, tutti gli uomini avvertono la necessit‡ d'una consolazione! Ma, la necessit‡ di per sÈ non consola affatto. E infatti, Carmela non ci ha voluto lasciare i suoi tormenti. Rubino, dopotutto, di questo Ë perfettamente consapevole, e lo scrive: "L'autrice dispone abilmente le tessere del mosaico della vita [...] C'Ë un progetto di fondo, razionale, inequivocabile...".
E tuttavia Carmela, voglio dire all'amico Rubino, non usa la sua abilit‡, nÈ crea un progetto inequivocabile per appellarsi, come lui dice, a un "mondo illusorio", invocando la consolazione che blocchi la "caduta libera di chi soffre". Dopotutto, se si riconosce cosÏ apertamente l'abilit‡ e il progetto inequivocabile di Carmela, non dovrebbe essere affatto difficile riconoscere che Carmela, come scrittrice e poetessa, sa di porsi al di l‡ della sua pur complessa vita, nella profondit‡ dell'opera stessa che ci ha lasciato. Nella cui opera Ë presente, inequivocabilmente, oltre alla sua personalit‡ vivace, lucida, razionale, profonda, il suo indubbio talento poetico.
Carmela Ë stata capace di dire sempre qualcosa di importante, senza tuttavia consolarsi, o consolarci, di nulla. Non dovrebbe essere opinabile il fatto che consolazione appaia spesso come una parola banalmente sentimentale. Se ad essa vogliamo attribuire un significato meno banale, allora dobbiamo far nostre, ad esempio, le parole che Sgalambro rivolge al pensiero di Nietzsche: ì... se esso puÚ suscitare in noi un mare di dubbi e infine commiserazione, Ë solo perchÈ cadiamo in ginocchio davanti alla sua opera. Qui non ci sono pi? perplessit‡ ma: Sia benedetta la tua parola, dolce pi? di un favo di miele. Non si tratta pi? di stabilire meriti e difetti, di pensare ragioni e valutare argomenti. Ma ecco, io sono nelle tue mani, si dice a quell'opera ti affido tutto me stesso, mi perdo in te. Non io possa rinascere, ma l'opera miaî (M. Sgalambro, La consolazione, Adelphi, Milano 1995).