Salvo Zappulla per ''Nel cuore che ti cerca" di Paolo Di Stefano |
13-06-2009 inserito da ciccio; categoria Novita' in libreria. ![]() ![]() Rita ha dieci anni appena quando conosce il suo calvario. Rapita da un maniaco, rinchiusa in una squallida stanzetta tra topi e avanzi di cibo, con un televisore a tenerle compagnia, e seviziata per lunghissimi interminabili anni. Paolo Di Stefano, giornalista del Corriere della Sera e scrittore, racconta la storia di un'infanzia violata prendendo spunto da un fatto di cronaca, (la storia di Natasha Kampusch, la ragazza scomparsa a Vienna nel '98 e tenuta sequestrata per otto anni) sviluppa un noir psicologico dove i ruoli tra vittima e carnefice si intrecciano ambiguamente. Un tema che ricorre spesso nei suoi romanzi. ![]() Rita prova odio e affetto per il suo aguzzino, rabbia e speranza, piu' volte avrebbe la possibilita' di fuggire ma rimane inerme accettando la sua condizione di schiavitu'. E' convinta di poterlo dominare, tra i due e' l'uomo a sottostare, in quanto debole, in quanto morbosamente malato. Un romanzo intenso e coinvolgente, a tratti commovente, tremendamente attuale, che contiene elementi forti. Parallelamente il romanzo procede con l'incessante ricerca del padre della ragazza, un giornalista fallito, con una situazione familiare difficile, ma tutto sommato un personaggio positivo, caparbio, non privo di slanci poetici, il quale non intende rassegnarsi alla perdita della figlia. Pagine di oscura prigionia e bagliori del mondo esterno fanno da contrasto connotando la storia di una propria impronta stilistica. La tensione emotiva della trama cresce vertiginosamente con lo scorrere degli eventi. Di Stefano compie un viaggio esplorativo nei labirinti dell'animo umano, apre voragini di dolore, percorre tragitti di profonda inquietudine, una sorta di ricamo interiore sulla complessita' e la fragilita' della psiche, con finezza di scrittura e acume introspettivo, a un ritmo serrato che coinvolge il lettore. Una storia che suscita orrore, fastidio, risentimento, tristezza, ma anche tanta tenerezza. Una miscela esplosiva di sentimenti contrastanti, con la sua severa morale capace di smuovere le coscienze. ''Nel cuore che ti cerca'' e' stato finalista al premio Strega e al Supercampiello. Salvo Zappulla
D. Di Stefano, questa e' una storia dura, dall'impatto violento, perche' ha voluta raccontarla ai suoi lettori? R. Potrei rispondere che non sono io ad essere stato attratto da quel fatto ma e' stato quel fatto a inseguirmi. La realta' e' che uno scrittore, in genere, vive di ossessioni: una delle mie, che mi insegue (appunto) da quando ho cominciato a scrivere, e' l'infanzia minacciata dagli adulti, dal mondo, dal destino, dalla malattia eccetera. L'infanzia minacciata, l'infanzia cui per qualche ragione e' impedito di crescere. E' un'immagine che mi risulta quasi insopportabile: non riesco a tollerare che un bambino soffra, mi pare profondamente ingiusto e inaccettabile, e forse e' per questo che ci scrivo sopra i miei romanzi, dal primo (''Baci da non ripetere'') a ''Tutti contenti''. Quando l'infanzia si trova, per qualche ragione, a sfiorare la tragedia o la morte, la mia sensibilita' si accende quasi furiosamente e mi costringe a scrivere per liberarmi (almeno provvisoriamente) di quel trauma. Ecco perche' mi sono messo a raccontare la storia di Rita. Ma alla fine forse per una risposta piu' convincente potrei ricorrere a Gadda: ''Il mio libro e' il prodotto di una normale attivita' fisiologica: l'ho scritto per la stessa ragione per cui il mio cuore batte, i miei polmoni respirano...''. D. Certi traumi infantili si ripercuotono negativamente per l'intera esistenza, e spesso elementi esterni intervengono quando un minore non e' protetto dai genitori. Quanto e' importante il calore di una famiglia sana per la formazione di un individuo? R. Mi rendo conto che continuo a girare intorno a questi temi trovando solo risposte parziali. Ho come l'impressione che le famiglie ''sane'' tradizionalmente intese non esistano piu': c'e' sempre qualche ragione endogena o esogena che interviene a turbare un equilibrio in genere gia' fragile. Tuttavia, e' chiaro che la famiglia rimane il luogo centrale per la formazione (e per la deformazione, purtroppo) individuale. Per questo, la famiglia e' sempre piu' un nucleo tematico interessante per la letteratura: e' una sorta di inesauribile motore di immagini e visioni del nostro tempo. E' come se in essa fosse contenuta una forza mitica di tensioni primarie. Me lo ha fatto notare Gabriele Pedulla' in una sua recensione apparsa sul ''Manifesto'': in fondo, la pedofilia che io racconto e' il sintomo estremo dell'impazzimento in atto del ciclo delle generazioni. Il pedofilo non e' oggi colui che sovverte l'ordine biologico ma colui che rende manifesto un principio piu' generale di una societa' di lolite dodicenni e settantenni. Una societa' fatta di adulti infantili e di bambini costretti a maturare troppo presto. D. Rita, la protagonista del suo romanzo, instaura un legame quasi di complicita' con il suo carceriere, chiamato da lei affettuosamente ''Il signor Sergio''. Si sviluppano tra carnefice e vittima quei meccanismi contorti che rendono quest'ultima estremamente debole, incapace di reagire. Nel suo romanzo scava molto sulla fragilita' della psiche umana. Cosa ha voluto fare emergere? R. Non c'e' intenzionalita' nel mio racconto. Dunque, non posso dire di aver voluto far emergere qualcosa. Semplicemente, man mano che procedevo nella scrittura e via via che i personaggi prendevano voce forma e vita mi accorgevo che affioravano, a mia insaputa, meccanismi psicologici ambigui, doppi. Rita cominciava a dire di essere lei la piu' forte, quasi volesse proteggere il suo carceriere. Quando accadono delitti del genere, la televisione e le cronache dei giornali non ci dicono mai abbastanza: raccontano questi fatti restando in superficie, descrivendone le dinamiche e magari tirando fuori dal cappello ogni tanto qualche curiosita' piu' o meno pruriginosa. Soprattutto non mettono mai in gioco i sentimenti, le psicologie delle persone, le emozioni profonde e autentiche. Per capire davvero ci vuole qualcosa in piu'. Ecco, io sono partito da li', da dove poteva partire la letteratura, dalle parole e dalle emozioni, dalle parole che esprimono emozioni. E da li' a poco a poco si sono formati i personaggi. Direi che ho scritto questo libro per dare a Rita - ma anche a suo padre Toni Scaglione - la possibilita' di raccontare la sua tragedia perche' tornasse a vivere nel mondo. Per questo ho fatto un enorme sforzo di empatia. Ho cercato di immedesimarmi in lei e di lasciarla parlare dentro di me. Via via che il lavoro procedeva, questo processo di identificazione mi riusciva sempre piu' naturale. Mi sentivo come una sorta di ventriloquo che trascriveva sulla pagina la fragilita', le paure, le fantasie raccontate dalla ragazzina attraverso di me. D. Lei e' originario di Avola (SR). Ad Avola c'e' l'associazione di don Di Noto che si batte incessantemente contro la pedofilia, un'associazione di volontari. Pensa che le Istituzioni facciano abbastanza per combattere il triste fenomeno degli abusi sui minori? R. I bambini vittime di abusi crescono in maniera esponenziale e preoccupante. Ammiro moltissimo le persone che si battono contro questa sciagura sociale. Ma non so se le Istituzioni possano davvero fare qualcosa attraverso dei decreti legge o altro. Ritengo piuttosto che si tratti di questioni piu' profonde non sanabili con atti legislativi o di polizia. Si tratta di questioni che affondano le radici nei valori culturali e morali della nostra societa'. Viviamo un'epoca di capovolgimenti spaventosi che rischiano di ''giustificare'' ogni tipo di deviazione o di perversione. Per esempio, trovo inammissibile l'uso che viene fatto in pubblicita' e in televisione del corpo femminile e dell'infanzia. Bisognerebbe cominciare da una rivoluzione dei costumi e della cultura. D. Come concilia la sua attivita' di giornalista con quella di scrittore? R. Da un po' di tempo le due attivita' convivono senza troppo confliggere. Sul piano pratico, e' piu' semplice che in passato, perche' essendo ormai da sette anni un inviato del Corriere non ho obblighi stretti di presenza in redazione e i tempi di lavoro sono molto piu' flessibili. Dunque posso organizzare meglio i tempi della scrittura ''creativa''. Ma anche sul piano teorico le cose si sono semplificate: mentre prima pensavo che non dovessero esserci sovrapposizioni di sorta, oggi sono convinto che l'occhio e l'orecchio del giornalista possono essere utilissimi allo scrittore. E riutilizzo nei romanzi molti materiali raccolti sul campo. Certo, poi bisogna sempre tener ben distinte le cose nell'atto della scrittura: e cioe' non cedere mai alla tentazione di fare il giornalista scrivendo romanzi e di fare lo scrittore facendo articoli di giornale. VEDI Paolo Di Stefano | Invia ad un Amico | 398 letture |