
Ogni volta che muore un artista, tutta la sua comunita' ne sente fortissimamente la mancanza.
Noi tutti di AVOLA IN LABORATORIO con questa emozione ci uniamo al dolore della famiglia del pittore avolese Corrado Frateantonio scomparso improvvisamente.
Per AVOLA IN LABORATORIO
Francesco Urso
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Partecipo al lutto della citta' di Avola per la morte del maestro Frateantonio, che ebbi modo di conoscere alcuni anni fa e che mi uso' la cortesia di farmi visitare il suo studio. Estendo ai familiari il mio cordoglio.
Ai suoi quadri sulla mattanza dei tonni mi sono ispirato nella mia poesia Trappole, finalista al concorso di poesia Tapirulan 2007, presente nell'antologia Star.
Filigrane di seta nella bruma
tra l'erbe sulle grate dei recinti
brillano lievi le tele di ragno
alla chiaria del giorno evanescenti.
Scioglie il mattino le perle di brina
e porta il vento di mille arpe il canto
legate al cielo restano le prede
alle cune di morte intrappolate.
E tornano alla mente le tonnare
le trappole tessute negli abissi
sopra l'anello pronto alla mattanza
l'arpione teso a mordere le carni
l'onda incresparsi diventare sangue
al canto duro di morte del rais.
Ci avvolgono invisibili altre reti
battiti nelle vene di silicio
in cielo bip che giocano a biliardo
d'amori dicono e corpi violati
di voci libere fede terrore
d'arte cultura di musica e sport
di tutto tanto e di troppo si muore.
Cordiali saluti
Giovanni Catalano |
Corrado Piccione parla dell'artista Corrado Frateantonio e parlando di lui descrive gli incontri e i giochi particolari di una citta' del Sud Italia nel dopoguerra italiano, il senso di appartenenza ai quartieri, i valori di quel tempo, l'amore per l'arte...
...nostalgie e rimpianti per quei frammenti di vita e di amore che abbiamo vissuto, che abbiamo considerato persi in quanto ammantati nelle nebbie del tempo e che pur tuttavia ritornano per aiutarci a vivere meglio...
La duttile poetica del vissuto:
ricordi e riflessioni su un avolese doc
Corrado Frateantonio, lo conosco! Si puo' dire che lo conosca da sempre! e' mio coetaneo e abbiamo tanti amici in comune.
Ad Avola, nei primi anni del dopoguerra, un po' come in tutti i paesi vicini, i quartieri erano una realta' individuale e sociale molto importante. Indicavano l'appartenenza e la vicinanza, ed esigevano la partecipazione alla vita che si viveva fuori, per le strade, nei cortili, o in piazza. Io appartenevo al quartiere di Sant'Antonio, all'interno dell'esagono; Corrado, invece a quello del Sacro Cuore, all'esterno dell'esagono. Per noi, ragazzi, il quartiere rappresentava un microcosmo a se stante, una citta' nella citta', dove combattevamo gli uni contro gli altri, sia per difenderlo sia per affermarne la superiorita' sugli altri. Le nostre armi erano i sassi, strumenti di difesa e di offesa che non mancavano mai, visto che allora le strade non erano pavimentate. Il capobanda, di solito il ragazzo piu' grande o quantomeno il piu' impavido, dava la carica al grido di Savoia, magari senza capirne il significato. Le pietre volavano fitte da entrambe le parti, e talvolta qualcuno si faceva male. I vetri rotti erano innumerevoli, ed ecco che la battaglia veniva interrotta dai proprietari che ci inseguivano con un bastone in mano e noi scappavamo da tutte le parti. Ma si trattava solamente di una tregua armata che cessava pochi minuti dopo in quanto la battaglia ricominciava spostandosi altrove. La supremazia del quartiere non era basata soltanto sulle sassaiole; c'erano anche quelle interminabili sfide al tuppettu o le corse sfrenate con i carramatti. Il gioco del tuppettu richiedeva una notevole perizia, una rara abilita' e una continua cura di tale oggetto. Veniva spesso personalizzato con dei colori o con dei disegni. Le dimensioni variavano, cosi' come erano vari la lunghezza e lo spessore della mazzata, ovvero della cordicella che serviva a conferirgli la durata dei giri. Occorreva adattare la punta al terreno in cui si giocava, e anche il tipo di lancio non era sempre lo stesso: poteva essere orizzontale o verticale. Effettuando il lancio dall'alto verso il basso era necessario ammortizzare la punta per proteggerla, e di solito si ricorreva allo sterco di cavallo. Chi perdeva la gara era sottoposto alla pizzata, ovvero doveva lasciare il suo tuppettu in balia dei tiri verticali degli altri ragazzi, e prima o poi andava a finire che il suo giocattolo veniva centrato e rotto. Si giocava all'aperto, soprattutto nelle prime ore dei pomeriggi estivi.
A volte catturavamo delle lucertole con un filo d'erba lungo e resistente, detto ajna, che ci serviva per guidarle nelle corse a cui erano sotto poste. Si trattava di un gioco alquanto crudele, tuttavia dopo le gare di velocita' le povere bestioline, per loro fortuna, venivano liberate.
I giocattoli non esistevano, e quei pochi che c'erano in commercio erano riservati ai ragazzi piu' agiati. Ecco allora che ci inventavamo di tutto: il cerchione della ruota della bicicletta da sospingere con un pezzo di legno, il gioco dello scuppiddu, il fucile con il manico della scopa; qualunque oggetto, insomma, diventava un modo per trastullarci.
La parrocchia era un altro punto di aggregazione. Essere scelti per suonare le campane o servire la messa con l'abito da chierichetto, era per noi un grande privilegio, un onore che ci faceva sentire importanti.
In estate scendevamo a mare per i bagni, ovviamente a piedi, e il nostro divertimento preferito era quello di fare scoppiare i residui bellici che allora abbondavano lungo la spiaggia. Si trattava di un gioco altamente pericoloso che a volte provocava gravi danni e anche qualche lutto.
In questo periodo sorgevano i primi partiti politici. La sera in piazza c'erano degli spettacoli di satira politica, una sorta di antesignana di Striscia la notizia. La sinistra ci intratteneva con L'ora del popolo, i cui testi venivano elaborati dal maestro Gaetano Alia; il centrodestra con L'ora degli amici. Era un periodo che non saprei definire; forse era bello, forse era brutto, ma era pur sempre maestro di vita!
Crescendo, ci si metteva a discutere per cercare di capire quali fossero le nostre inclinazioni, le nostre aspirazioni future e quale progetto di vita fosse alla nostra portata.
Finita la scuola media, le nostre strade si divisero; ognuno di noi prese un itinerario diverso. Ad Avola non c'erano ancora le scuole superiori, per cui bisognava andare fuori, a Siracusa o a Catania. Per qualcuno c'era anche il collegio a Bronte o ad Acireale. Qualcun altro, seguendo la specificita' del suo studio, si allontanava ancora di piu'. Tuttavia eravamo in un periodo in cui le condizioni economiche non consentivano a tutti di mandare i propri figli a scuola. Allora la via piu' breve e meno dispendiosa era quella di mandarli a studiare al seminario. Alcuni, terminato il percorso di studi, sono andati via; qualcun altro ha preso i voti, ma gia' allora, come oggi, le vere vocazioni erano rare.
Roma era la capitale; sogno di tutti, ma non per tutti. Solo Corrado, dopo avere terminato gli studi artistici a Siracusa, ebbe l'opportunita' di stabilirvisi per studiare all'Accademia: Scenografia.
Anch'io mi allontanai per parecchio tempo da Avola, per cui i nostri contatti si fecero sporadici. Ci si rivedeva in estate, nel periodo delle ferie, ma non era piu' la stessa cosa. Non c'era piu' il clima giocoso e goliardico di una volta. La vita ci aveva fagocitati, ognuno aveva i suoi problemi personali, vuoi familiari, vuoi di lavoro. Pur tuttavia incontrarsi era bello, cosi' come era piacevole intrattenersi sui tempi andati.
Le vicende della vita ci avevano cambiati e lui aveva acquisito un'aria anticonformista. Vestiva di nero, portava la barba, fumava Gauloises, mentre noi fumavamo le piu' semplici e popolari Nazionali. Era proprio un bel ragazzo, ma ostentava un atteggiamento di superiorita' nei confronti del paese e dei compagni di un tempo. Ci dava l'impressione del grande artista. Veniva sempre in compagnia di belle donne, ed era proprio questo che suscitava in noi un certo sentimento di invidia nei suoi confronti. Anche questo era frutto del nostro trascorso, del periodo in cui, passeggiando in piazza, i nostri discorsi toccavano sempre l'argomento Donne. Erano i tempi in cui le donne erano l'oggetto del nostro desiderio inappagabile. il corteggiamento e l'amore erano fatti di sguardi, passeggiate sotto la finestra dell'amata, bigliettini fatti recapitare, toccate furtive nelle sale buie dei cinema, la cosiddetta manomorta. Era impossibile avvicinare, e ancor meno parlare con la persona amata. Le uniche occasioni di incontro erano la chiesa, durante la messa, e le feste da ballo. Si tentava di organizzarle in casa dell'uno o dell'altro, ma era raro che le ragazze venissero. Si sperava nelle sorelle degli amici, ma spesso i fratelli erano gelosi per cui i balli finivano tra soli maschi. Ancor oggi, dopo la mutazione e l'emancipazione dei costumi, parlando delle donne, lo si fa con un linguaggio fatto di sottintesi e maliziosita'.
Poi, infine, per un lungo periodo di tempo non ci siamo piu' rivisti.
Recentemente, l'associazione Gli Avolesi nel Mondo ci ha dato l'occasione di incontrarci ancora una volta e di riallacciare quell'amicizia che era stata per noi una complice intesa, quasi un accordo indissolubile.
Adesso, piu' maturi e ricchi di esperienza, ricordiamo con nostalgia i vecchi tempi in cui ci si divertiva veramente con meno di poco.
La scorsa estate, assieme agli amici Michele Tarantino, Michele Favaccio e Paolo Magro, adesso studioso di storia antica, siamo andati a fare un'escursione ad Avola Antica alla ricerca dei quartieri, delle strade e delle chiese della citta' scomparsa dopo il terremoto del 1693. Qualche giorno prima c'era stato un incendio, uno dei tanti incendi che ormai sono soliti accompagnare le nostre estati, che aveva fatto bruciare tutta la vegetazione e le sterpaglie e che aveva messo a nudo i muri delle antiche case e le grotte che venivano utilizzate come ricovero per gli animali. Paolo Magro ci ha indicato l'ubicazione delle chiese e delle strade, ma soprattutto dell'antico castello trecentesco di cui rimangono solo poche tracce e che solo gli occhi e la fantasia di uno studioso riescono a farlo emergere dall'oblio del tempo e dall'incuria degli uomini.
Seduto fra i rovi carbonizzati, Corrado, usando magistralmente una matita, ha tracciato uno schizzo del vecchio sito di Avola Antica.
Di recente ho avuto modo di visitare la ricca pinacoteca di Corrado e mi sono reso conto che la sua arte rappresenta il retaggio della sua esperienza in Sicilia e della nostra identita' isolana. Pur non essendo un esperto di arte, credo di poter dire che egli sia riuscito a carpire con acuta intelligenza le problematiche dell'individuo, mettendo a nudo la crudezza del volto dell'uomo e conferendogli una forte spiritualita'. I personaggi ritratti nelle sue tele sono per lo piu' povera gente, lavoratori della campagna, pescatori, scalpellini, muratori. Corrado ha rappresentato in molti dei suoi dipinti la vecchiaia. I suoi vecchi non seguono il processo verso lo stadio finale della vita. Dai loro volti sembra scaturire la loro volonta' di affidare all'immaginario e all'arte la trasposizione della vita biologica. I volti esprimono forza, carattere, capacita' volitiva; quei volti, che il duro lavoro ha scavato, striato e solcato, danno l'impressione a chi li guarda di tranquillita', di saggezza e di infinito. Certo non e' facile afferrare le mille nuances del volto umano, in quanto ognuno e' un essere unico e irripetibile. Corrado ne ha fatto una sintesi, immortalando le varie sfaccettature che lo forgiano e che sono figlie dell'esistenza e dell'esperienza travagliata e spesso tragica dell'uomo.
Sono passati molti anni dalla nostra infanzia, l'adolescenza e' un ricordo oramai lontano, i sassi hanno ceduto il passo ai libri e alle competenze, la memoria dei vecchi giochi e' diventata l'arte di rivivere gli smarrimenti della giovinezza e gli insegnamenti da parte dei piu' grandi; e' subentrata la voglia di vedere rifiorire i valori della semplicita', della lealta' e dell'umanita'.
Le rimembranze, le memorie, ovvero i ricordi che si fanno nostalgie e rimpianti per quei frammenti di vita e di amore che abbiamo vissuto, che abbiamo considerato persi in quanto ammantati nelle nebbie del tempo e che pur tuttavia ritornano per aiutarci a vivere meglio.
Corrado Piccione
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