Hospitaleri nel cammino di SantiagoBERCIANOS DEL REAL CAMINO di
Carla De Bernardi(autrice di
Contare i passi, Mursia editore)
Ho lasciato a Bercianos una parte del mio cuore.
Un giorno andrò a riprenderla.
Quando? Questo non lo so.
La vita tranquilla del villaggio, il vento tiepido e le nuvole, le care vecchiette che aiuto a spostare le sedie perchè siano sempre al sole, i giocatori di pétanque verso sera che mi invitano a partecipare perché ne manca uno, il tramonto che qui si chiama la puesta del sol, il latte tiepido con il pane per il cane da pastore che lo aspetta ogni giorno all’alba con fiducia, la spesa quotidiana da Carmen, il cafè cortado con leche al bar di Maria e Lucio, un gregge in lontananza, le strade deserte, il rumore dei trattori, il bucato steso nel sole.
La quiete.
Bercianos del Real Camino Frances è un piccolo pueblo dal nome imponente di 34,2 chilometri quadrati a 858 metri sul livello del mare.
Si trova nella meseta castillana, a 44 chilometri da León, 170,5 da Burgos, 347 da Santiago de Compostela. D’inverno ha centottanta abitanti, più o meno.
A Bercianos ci sono un campo di pelota, una scuola primaria fino al sesto livello, due negozi di alimentari (Comestibles Molleda e Comestibles Jesus y Maria), il Bar Ristorante Hostal Rivero, una chiesa, San Roque, dove una domenica al mese si celebra la messa e il portale semiaperto di un’altra, El Salvador, crollata nel 1992 e ora circondata da macerie.
Naturalmente c’è l’Ayuntamiento (il Comune) e un consultorio e di qui passa la linea ferroviaria Madrid–La Coruña anche se la stazione, El Apeadero, è ormai chiusa.
Il nome deriva dal Bierzo, la regione da cui provengono gli abitanti del villaggio in seguito alla ripopolazione voluta da Re Alfonso VI secoli fa.
L’8 settembre si festeggia la Virgen de Perales, patrona del pueblo e il 19 agosto San Roque.
La casa del parroco è ora l’albergue de peregrinos.
L’ostello.Una costruzione del diciassettesimo secolo a due piani in mattoni scuri con un piccolo cortile rivolto a occidente.
Al primo piano ha due camerate a dodici letti, una a dieci e tre piccole camere a quattro letti. Tutti a castello.
La maggior parte in legno chiaro e sembrano quelli di un kinderheim svizzero. Gli altri in ferro azzurro o blu.
I bagni sono tre. Uno per los hombres e due per las mujeres.
Al piano terra un ingresso con il pavimento di sassi che formano un disegno floreale e il soffitto di travi. Qui vengono accolti e registrati i pellegrini.
Inoltre una camera a tre letti e il bagno per gli hospitaleros, la sala da pranzo con quattro lunghi tavoli in finto legno e otto panche di legno chiaro che un tempo erano in chiesa, la cucina molto ben attrezzata, la dispensa. Infine la cappella e un piccolo locale di passaggio con gli scaffali per gli scarponi.
In questo luogo amichevole e antico, dopo un viaggio in treno di quasi quattro ore da Madrid a Sahagún, il cui nome deriva dal martire San Facundo, ho passato i miei primi quindici giorni come hospitalera voluntaria.
Il mio compito è quello di accogliere i pellegrini sulla via di Santiago che passa proprio davanti alla porta, ascoltarli, confortarli per la fatica, far loro trovare letti freschi, pavimenti lustri, bagni candidi, qualcosa da bere appena arrivati, un pasto caldo, un momento di raccoglimento serale nella piccola cappella, due chiacchere in cucina.
Con me Judith. Canadese di Calgary. Alla fine del primo giorno, distrutta dalla quantità di lavoro da fare vuole già ripartire. Non ce la posso fare mi dice in inglese. Domani vado.
Riesco a trattenerla e l’ultimo giorno, in lacrime, mi ringrazia davanti a trenta pellegrini commossi come lei. Commossi come me.
In queste due settimane abbiamo ci siamo raccontate la nostra vita, abbiamo riso e abbiamo pianto. Per la stanchezza e, a volte, per l’emozione.
Abbiamo lavorato insieme, giorno dopo giorno, aiutate da pellegrini di buona volontà.
L’albergue apre alle 13,30 dopo aver finito di preparare ogni cosa per l’arrivo imminente dei viandanti e dopo un rapido pranzo da Maria, al Bar Ristorante Hostal Rivero. Tapas, insalata mista, cerveza, a volte tortilla.
Dall’apertura fino al tramonto e oltre ecco i «caminantes». Da soli, a coppie, a piccoli gruppi, qualcuno in bicicletta. Stanchi e pieni di fiducia in un’accoglienza di fratellanza e amicizia.
Che io e Judith abbiamo cercato e sperato di dare a ognuno di loro. La stessa accoglienza che abbiamo avuto, e non solo qui, quando eravamo pellegrine.
Ci siamo riuscite? Forse….
Sono passati da queste stanze 419 pellegrini in due settimane.
Spagnoli, molti, francesi, moltissimi, ungheresi, polacchi, olandesi, tedeschi, inglesi, italiani….E poi sudcoreani, giapponesi, neo zelandesi, australiani, canadesi e canadesi del Québec, brasiliani, argentini, americani, messicani….da tutta l’Europa, da tutto il mondo.
Ognuno di loro è stato un incontro.
Matteo di Trescore Balneario che ha preparato con me spaghetti «picanti»…aglio, olio, peperoncino e capperi. Un trionfo.
Due fanciulle della Sud Korea, Yung e Chanee, che saltellavano come uccellini, gioiose e sorridenti. Dopo cena in cucina hanno fatto piccoli delicati massaggi al collo e alle spalle di chi si trovava lì.
Taco, al centoduesimo giorno del suo cammino iniziato a Zoeterwoude, vicino ad Amsterdam. Percorrerà in tutto 3.000 chilometri.
Odile e Paul il cui bisnonno era di origine italiana.
Armelle e Luisette, eleganti e affettuose.
Riccardo, Renato e Gionni de Roma. Li adoro da subito.
Salvatrice di Enna dal nome maestoso. Conosce tre lingue e sorridendo mi racconta che ama andare piano.
Duckchee Chang, Sunhee Kim, Jong Yong Yoon, Jeongee Park.
Juan e Idoya partiti da Saragozza.
Allegri, aiutano preparare la cena, sembrano tranquilli.
Scoprirò che Juan, giovane uomo alto e forte con una lunga coda di capelli scuri, deve tornare a casa per un intervento al rene. Uno è già stato asportato, del secondo si saprà dopo l’operazione.
Se potrà ripartirà per Santiago proprio da qui.
Il francese Michel che una mattina alle sei arriva in cucina per preparare il pain perdu, il pane di ieri come lo chiama Enzo Bianchi, immerso nel latte con zucchero e uova, fritto nell’olio e servito caldo e croccante.
Antonio di Napoli e la sua piccola moglie Fifame che viene dal Bénin, scura come l’ebano. Vivono a Barcellona e sono due ricercatori nel campo del «remote sensing.» Si sono conosciuti a Monaco al centro di ricerche aerospaziali e sono in viaggio di nozze.
Aldo e Ivan di Pordenone che ho già incontrato a Portomarin nel 2008. Come dimenticarli?
I fratelli irlandesi O’Grady che arrivano in bicicletta quando è già quasi notte. Negli occhi la speranza di trovare posto.
Lo trovano anche se siamo già in tanti.
All’albergue di Bercianos non si manda mai via nessuno. Quando finiscono i letti si mettono a terra i materassini da palestra. Quando finiscono i materassini si mettono a terra le coperte.
Conor, di Boston, ha la febbre. Gli preparo un piatto di riso in bianco. Mi dice Jacqui che viaggia con lui che è stata la miglior cena della sua vita.
José che cucina per tutti le patate «a la Riojana». È il secondo anniversario delle sue nozze con Dolores detta Lola, conosciuta sul Cammino ad Azofra. Quando stappiamo per loro due bottiglie di cava, lo spumante spagnolo, sono felici e scoppia un lungo applauso.
Christian che ci canta la canzone di Santiago. «Ultreya.»
E poi Tina e Antonin di Bercianos che abitano di fronte e appena possono vengono ad aiutarci.
José Maria di Cordaleza che porta vino bianco e rosé della sua cantina per tutti.
Padre Jorge, el cura, giovane e radioso, che celebra la breve funzione nella cappella.
Inizia alle sette con una delicata frase sul Cammino.
«Quando la polvere della strada e della vita si attacca ai nostri scarponi, Stella di Compostela, Principessa delle Stelle, mi dirai tu come raggiungere l’amore?»
Poi una preghiera di San Francesco di Assisi.
«Fa che io non cerchi tanto di essere consolato quanto di consolare, di essere compreso quanto di comprendere, di essere amato quanto di amare.»
E una piccola candela, una vela, che passa di mano in mano. Ognuno dice quello che desidera dire su di sé, sul suo viaggio, sui suoi incontri. Molti non dicono nulla. Gli occhi spesso sono lucidi. Alla fine tutti si abbracciano e si augurano buen camino.
Una brasiliana mi dice che sono un angelo. Non è vero, ma è bello sentirlo dire.
Ogni giorno dalle cinque in poi arrivano in cucina i volontari che aiutano me e Judith a preparare la cena.
Lavano l’ insalata, tagliano i pomodori e il pane, preparano la tavola, affettano il melone, riempiono le caraffe di acqua e di vino e ne beviamo tutti insieme un bicchiere, scattiamo delle fotografie, parliamo del loro e del nostro cammino. Delle nostre e delle loro speranze. Dei sogni? Anche…
A tavola mangiano tutti come cuccioli affamati. Cantiamo in tutte le lingue. La Canción del Peregrino sul ritmo della bamba suscita ogni volta una comune ilarità.
Dopo cena altri pellegrini sparecchiano, lavano i piatti, preparano per il mattino dopo.
Ciotole di ceramica bianca con un cucchiaino e un bicchiere. La tavola sembra quella di un convento.
Dividono con me e Judith, ormai distrutte, un ultimo caffè o una tisana.
Alle dieci chiudo la porta che riaprirò alle sei e mezza sulla notte ancora buia inseguita dall’aurora.
Al mattino ognuno riprende la sua strada dopo la colazione con latte caldo, caffè, cioccolata, thè, biscotti, pane e burro e marmellata, succo d’arancia, pane e olio, qui si usa così, frutta fresca.
Li vedo partire come se fossero tutti figli miei, in cammino verso la loro vita.
Li abbraccio, mi dicono che mi portano a Santiago con loro, ho già nostalgia di ognuno.
I loro passi verso Compostela saranno i miei.
Quelli già percorsi e quelli che un giorno percorrerò.
Vado a rifare i letti, a lavare i pavimenti, a fare la spesa. C’è così tanto da fare.
«Judith…!»
Tutto deve essere pronto per i pellegrini che tra poco, lentamente, cominceranno ad arrivare.
Carla De Bernardi
CONTARE I PASSI-Dai Pirinei all'Oceano sul Cammino di Santiago
2010, 8°, pp. 304, illustrato
Euro 17,00
COMPRA“Contare i passi” è il diario di un viaggio di ottocento chilometri che inizia da una promessa fatta a se stessa molti anni prima e reso possibile da un messaggio trovato su uno dei siti in cui si ritrovano, virtualmente, i pellegrini, o gli aspiranti tali. Un incontro sulla rete che diventa progetto: dai primi allenamenti sulle strade attorno a Milano, alla stesura dell’itinerario, all’acquisto e alla preparazione dei materiali (fondamentale la scelta e la preparazione dello zaino) fino al fatidico primo passo. “Un minuto di silenzio. Si concentrano sul preciso momento in cui inizia il loro viaggio. Facciamo il primo passo tutti insieme? Chiudono gli occhi. Pronti via”. E’ la descrizione dell’inizio di un percorso le cui tappe devono essere puntualmente registrate sulla Credencial, “una specie di passaporto lungo quasi un metro” che rappresenta il documento ufficiale dei pellegrini.