TURISTI E PELLEGRINI
Il giudizio
Sul cammino ho imparato innumerevoli lezioni, tutte le belle parole che tanto volte avevo letto o ascoltato e che mi erano sembrate “solo belle parole” qui diventano reali: le ho sentite nel mio cuore e sperimentate sulla mia propria pelle.
Ho ricevuto innumerevoli insegnamenti, e perché si imprimessero profondamente nel mio cuore ognuno mi è stato ripetuto in molti momenti, in molti incontri. Ogni lezione, ogni incontro mi ha permesso di apprendere un po’ più a fondo e di cominciare a capire quanto ancora mi manchi per imparare del tutto.
Delle molte lezioni apprese in questa straordinaria esperienza vorrei raccontare di quella ricevuta sulla mia mai guarita “tendenza” al giudizio.
Vorrei parlarne perché per me è stata una lezione bella e utile e perché mi sembra che sia una lezione difficile da imparare non solo per me ma per molti uomini e donne e quindi forse ascoltare la mia storia potrà aiutare un po’ anche te che stai leggendo.
Anche se naturalmente sia io che tu riprenderemo a giudicare circa 10 secondi dopo io l’aver scritto e tu l’aver letto.
Che possiamo farci? Siamo umani.
Ma siccome la differenza tra chi intraprende un “cammino” e chi no, non sta nella maggiore “perfezione”, ma nell’intento e nella maggior consapevolezza, almeno ci proviamo, no? E magari se riusciamo a ridere dei nostri fallimenti riusciamo anche ad essere meno giudicanti verso le defajance degli altri.
Beh, ti racconto la mia storia: spero ti piacerà.
Il mio primo camminoQuando nel 2006 sono partita da Saint Jean per il mio primo cammino ero piena di pregiudizi: pensavo ad esempio che l’unico modo “vero” di fare il cammino fosse di farlo tutto, e da soli. Avevo aspettato tre anni per riuscire ad organizzarmi in modo da avere quaranta giorni liberi e partivo, da sola con grandi aspettative e molti timori.
Il primo cammino come accade a molti è stato uno shock, un ribaltamento totale della mia percezione della realtà. Giorno per giorno, minuto per minuto apprendevo lezioni su ogni aspetto della realtà. E una lezione che ho cominciato ad apprendere sin dai primi giorni è stata “il cammino è personale: non ha nessun senso giudicare la validità del cammino di un altro”.
Sul cammino ogni pellegrino parte ad un’ora diversa, ci sono pellegrini che partono alle 5 e magari dopo un po’ si fermano per una lunga colazione cosicché chi è partito dopo li supera; ogni pellegrino ha la sua velocità diversa nei diversi tratti di percorso: così ti capita di superare pellegrini in discesa e due ore dopo essere da essi superato in un tratto in salita. Ogni giorno è un giorno diverso: un giorno ti senti un leone e le gambe non sono mai stanche di andare e cammini 40 km distanziando tutti quelli che hai conosciuto e il giorno dopo o dopo una settimana sei soprafatto dalla stanchezza o dalle emozioni e ti fermi dopo 10 km perché proprio non puoi andare oltre…
Sul cammino è così e dopo un po’ ti rendi conto che non ha senso giudicare migliore o peggiore di te chi si alza prima o più tardi, chi fa più o meno km, chi è più veloce o più lento. Ognuno ha il suo cammino e la sua modalità e tu vedi il suo cammino di un istante e non puoi per nulla sapere cosa c’è prima o dopo. Così impari a non giudicare il cammino degli altri né il tuo, ma solo andare, giorno per giorno al meglio che puoi e giorno per giorno aiutare gli altri, se puoi, a percorrere il tratto quotidiano.
Una lezione difficile da apprendere fino in fondo: l’astenersi dal giudizio è davvero difficile. Continuiamo, nonostante le lezioni che il cammino e la vita ci danno, a guardare gli altri attraverso i nostri occhi, la nostra storia e a giudicare i loro comportamenti le loro azioni, come fossero nostre. Ma che sappiamo noi degli altri? Della loro storia prima dell’incontro con noi, della loro storia futura, dei loro pensieri….
Nulla..
Pure emettiamo giudizi più o meno lapidari, io lo facevo, spesso ancora lo faccio.
Nel mio primo cammino ho incontrato molte persone che facevano il cammino in più anni, non potendo avere un mese intero di vacanza avevano cominciato da Saint Jean e andavano avanti fin dove potevano completando il cammino in 2, 3, 4 anni. Cominciavo a rendermi conto che il mio modo (dall’inizio alla fine) poteva non essere l’unico valido. Cominciavo a pensare che compiere il cammino in più tappe era un modo per stare sul cammino per diversi anni di seguito. Tornare a casa nel proprio quotidiano con una parte di mente sulla via in attesa di un altro momento in cui percorrere altri chilometri e avvicinarsi ancora un po’ alla meta, a Santiago. Era un modo diverso, ma di certo non meno valido.
Di certo camminare oltre un mese di fila permette un distacco dal quotidiano e un immergersi nell’attimo presente che governa il cammino che è forse impossibile ottenere in una settimana. Tuttavia un cammino che dura tre o quattro anni può raggiungere una profondità e regalare una consapevolezza che forse in un unico cammino intero non è possibile ottenere.
Ho anche conosciuto pellegrini che facevano il cammino in coppia, o madri o padri con un figlio, famiglie, gruppi di amici. E sempre più mi rendevo conto che anche queste esperienze, permettevano un cammino diverso ma di certo non meno valido del mio.
Anche a questo riguardo ho rivisto i miei pregiudizi. Certo in un cammino solitario si imparano lezioni che è difficile imparare se si è accompagnati da chi ci ama: la percezione che nessuno è mai solo ad esempio ha un significato diverso se si parte già con altri.
Tuttavia che esperienza profonda per la relazione…come poteva riuscirne trasformato il legame di coppia o il rapporto di amicizia da un cammino condiviso. E quanto la relazione genitore figlio poteva arricchirsi.
Mi sembrava dopo il cammino dell’anno passato di aver superato i miei sciocchi pregiudizi e di ripartire libera dal giudizio degli altri pronta a vivere il mio cammino individuale condividendo gioia ed esperienze con tutti quelli che avrei incontrato, pensando che un pellegrino è un pellegrino, e ognuno sceglie il suo cammino…
Però….però…
Però mentre partivo, tutta orgogliosa della mia “apertura” verso modalità di fare il cammino diverse dalla mia, avevo ben chiara una cosa: i pellegrini son tutti pellegrini e il loro cammino è da rispettare…tutt’altra cosa i “turisti”.
Il mio secondo camminoNel 2007, condivido buona parte del mio secondo cammino con un uomo spagnolo, Antonio, che con le sue domande, espresse sempre con curiosità e mai con toni sarcastici o aggressivi, mi spinge continuamente ad interrogarmi, a mettere in dubbio le mie opinioni e le mie certezze, a guardare le cose da punti di vista nuovi.
Un giorno incontriamo una pellegrina che è partita da Astorga per fare l’ultimo tratto di cammino e completarlo. Dopo una piacevole ed intensa serata mi dice: come sono felice di averti incontrato, temevo che da Astorga in poi ci fossero solo “turisti”, il clima è del tutto diverso dai miei primi due cammini…
Concordo con lei, più ci si avvicina a Santiago e più il rapporto turisti/pellegrini varia a favore dei primi. Andiamo avanti a parlare su questo tono così per un po’…
E il giorno dopo, Antonio mi chiede nel suo modo gentile e curioso, “ieri ascoltavo te e Purez parlare di pellegrini e turisti, ma cosa intendi per turisti? Chi sono i turisti?”
Non ho dubbi in proposito e così con la mia presunzione da pellegrina “esperta” rispondo:
è ben chiaro chi sono i turisti! Perdinci! I turisti sono quelli che saltano pezzi di cammino facendoli in pullman, quelli che si fanno portare lo zaino dai taxi, quelli che fanno solo pochi km, quelli che partono da Sarria per farsi solo 4 giorni e 100 km tanto per avere la Compostela!!!
Ma Antonio è diventato il mio “maestro speciale” in questo cammino, così continuo a pensare alla sua domanda.
i pellegrini non saltano le tappeI
Mi torna in mente l’incontro a Estelle con Francesco e Eusebio, due napoletani, il primo di oltre 70 anni il secondo di qualche anno più giovane.
Francesco in realtà è di Torre del Greco e nella sua vita a parte lavorare per un periodo a Piombino non ha mai viaggiato: è arrivato ad oltre 70 anni conoscendo del mondo solo Torre del Greco e Piombino…
Eusebio è più aperto, ha fatto una vita più attiva, è stato in associazioni politiche e di volontariato,ha viaggiato.
Da qualche anno Eusebio continuava a parlare del cammino, finché Francesco gli ha detto, “va bene vengo con te: partiamo”
E sono partiti: da Saint Jean a Burgos, poi autobus fino a Leon e di nuovo camminando a Santiago.
Fanno parte di quelli che io chiamo “turisti”. Saltano una parte del cammino, saltano le mesetas che da chi le percorre (me compresa) sono considerate la parte più spirituale e profonda del cammino.
Francesco racconta di quello che sta vivendo, partendo dalla benedizione multilingue a Roncisvalle…racconta di come ogni giorno sia per lui un’esperienza nuova e coinvolgente, racconta dei “miracoli”, delle riflessioni e degli incontri e il suo viso splende di gioia e i suoi occhi brillano di lacrime…ha l’impressione di aver cominciato a “vivere” con questo viaggio a oltre 70 anni…
Non è un “turista”, non posso non vederlo… è chiaramente, senza ombra di dubbio un pellegrino…almeno uno dei miei cliches va rivisto…
I pellegrini non si fanno portare gli zaini
Un altro giorno, un altro incontro…
Una coppia di spagnoli, anch’essi intorno ai settant’anni, sovrappeso, non sportivi.
Camminano arrancando su una salita, sulle spalle zainetti leggeri con l’occorrente per un giorno (acqua, qualcosa da mangiare, k-way).
Sono partiti da Saint Jean e arriveranno a Leon, l’anno prossimo intendono completare il cammino. Un servizio di taxi porta i loro zaini giorno per giorno alla tappa successiva.
Camminiamo chiacchierando per diverse ore.
Gli brillano gli occhi…la moglie mi dice che è così entusiasta di quanto sta sperimentando, così colpita da quanto sta “apprendendo” sulla vita e sugli uomini che l’anno prossimo porterà a termine il cammino anche se il marito ci ripensa…ma il marito non ha nessuna intenzione di ripensarci: è anche lui nello stato di gioioso “rincitrullimento” tipico dei pellegrini.
Noto le scarpe da tennis della donna: sono state tagliate alle punte…aveva i piedi così pieni di vesciche che non riusciva a proseguire, ma non ha rinunciato, ha tagliato le scarpe ed è andata avanti. Mi raccontano che consapevoli dell’età e della scarsa forma fisica si sono resi conto che sarebbe stato impossibile fare il cammino portando gli zaini, il trasporto via taxi è il compromesso che permette loro, se pur con fatica di compiere il cammino.
Devo lasciar andare un altro cliches, un altro pregiudizio…
Esistono pellegrini che si fanno portare gli zaini, ma non per questo sono turisti.
Esiste un minimo di Km da percorrere per essere pellegrini
Ancora giorni, ancora incontri e a Bercianos incontro una donna spagnola sessantenne che vive li.
Mi racconta che guardando i pellegrini che arrivano stanchi e sudati, con gli zaini e le vesciche, col sole e con la pioggia, per anni ha pensato che fossero del tutto pazzi. Non riusciva capire perché mai persone di tutte le età, di tutto il mondo e di tutti i tipi si sottoponessero volontariamente a quello che le sembrava una tortura.
Finché un paio di anni fa la figlia di poco meno di trent’anni le dice: proviamo a capire
E così partono per una tappa di 26 km da casa loro a Mansilla de Mula. Nella stessa giornata torneranno a casa in pullman.
“da quel momento- mi racconta la donna- ho capito tutto, è cambiato tutto”
Da quel giorno lei si sente pellegrina. Appena può, da sola o con la figlia rifà i 26 km fino a Mansilla de Mula, ritornando in giornata a casa (la figlia ha un bambino piccolo e non se la sente di lasciarlo più a lungo e la madre non se la sente di proseguire da sola però sta cercando di convincere il marito che ora è in pensione a farlo tutto loro due). Da quel giorno la donna accoglie i pellegrini con amore e si offre come volontaria nell’albergo per pellegrini ogni volta che ce ne è bisogno.
Così, sono costretta a “vedere” che il numero di km è irrilevante, possono bastare un solo giorno e 26 km per divenire un “pellegrino”, per cambiare una vita…
Santiago è sempre più vicino, il mio cammino con Antonio prosegue e la mia risposta alla sua domanda è sempre più piena di dubbi.
I pellegrini non partono da Sarria
A Gozar, a tre giorni da Santiago incontriamo Paola, una ragazza spagnola di 23 anni che è partita quella mattina da Sarria.
Arrivo dal retro dell’albergo dove sono stata a stendere la mia biancheria e Antonio seduto sui gradini affianco ad una ragazza mi chiama. “Immacolata, questa è Paola, credo che devi parlare con lei”.
Mi siedo anch’io con loro e Paola comincia a raccontare…mentre parla comincia a piangere…
E’ arrivata ieri sera in pullman a Sarria per percorre gli ultimi cento km di cammino. I genitori e gli amici le hanno detto (come spesso succede) che è pazza a far il cammino da sola, che non ce la farà etc. …
Ma lei è partita. E’ la prima volta che si allontana da casa da sola.
La sera prima all’albergo per pellegrini c’erano solo pellegrini in gruppo, o magari così le è sembrato. A Sarria si è quasi giunti e anche chi è partito solo ha fatto in tempo a conoscere mezzo mondo.
Comunque ha passato una serata molto triste, già sente la nostalgia dei genitori e del suo ragazzo, già si sente sola e senza aiuti in una prova difficile.
In mattinata è partita presto e ha camminato con un’unica sosta di una decina di minuti per quasi trenta km fino a Gozar. Sentendosi sempre più sola, stanca e spaventata. Ha incontrato un solo pellegrino lungo la via e ha provato a parlargli, ma lui è tedesco non parla spagnolo, lei parla inglese a mala pena e comunque è stato molto freddo e scostante.
E’ arrivata all’albergo di Gozar e ancora non c’era nessuno, si sentiva sempre più sola e persa e insomma ha chiamato i genitori che stanno venendo a prenderla in macchina. Ora è li sulla soglia ad aspettarli.
Non ricordo bene le parole che ho usato e penso siano del tutto irrilevanti. Era chiaro, mi era chiaro che Paola stava cercando disperatamente qualcuno che la aiutasse, che la spronasse a non rinunciare al suo sogno. So che alla fine l’ho convinta a ritelefonare ai suoi per dir loro che avrebbe continuato. Sarebbe arrivata a Santiago anche se dovevo portarla in spalla.
Paola ha telefonato, c’è stata una divertentissima chiacchierata con tutta la famiglia in macchina, madre, padre e fratello…
Poi Antonio le ha offerto da bere, io le ho massaggiato i piedi, nel frattempo ci siamo uniti ad altri pellegrini e abbiamo cenato tutti insieme.
L’indomani io, Paola ed Antonio siamo ripartiti insieme.
Ma Paola non era preparata fisicamente, né come equipaggiamento: zaino troppo pesante, scarpe e calze non adatte, inoltre per lei era solo il secondo giorno, non aveva ancora l’allenamento che ci si ritrova a fine cammino.
Paola comincia ad avere vesciche in numero folle, ma continua a camminare.
Il giorno prima di arrivare a Santiago è veramente a pezzi, ci fermiamo perché possa comprare un paio di sandali per alleviare il dolore, rincontriamo Hans, il pellegrino tedesco che aveva incontrato il primo giorno che in realtà è gentilissimo e le regale un po’ di antidolorifici, un altro pellegrino, Francisco, si unisce a noi e le conta i km che mancano per spronarla a continuare, un pellegrino francese, Mark, le regala una scatola di compeed. Io e Franciscio le regaliamo un paio di calzini tecnici a testa.
L’ultimo giorno Paola si trascina a forza di volontà e determinazione. Non parla, non si ferma, cammina e basta senza lamentarsi. Ma noi le vediamo lo sforzo ed il dolore sulla faccia e vediamo la rigidità dei passi. Antonio e Hans le portano lo zaino per un po’, poi verso le nove, arriviamo ad un bar e Antonio propone di lasciare li lo zaino e magari anche di chiamare un taxi e farsi gli ultimi km in macchina (ormai ne mancano poco più di dieci). Ma Paola è irremovibile arriverà a piedi a Santiago e con il suo zaino sulle spalle. Dopo la colazione prende un altro antidolorifico e sarà l’antidolorifico, sarà il miraggio di Santiago sempre più vicino, sarà il caffé con brioche che anelavamo dalla nostra partenza alle 5 di mattina, fatto sta che Paola riprende il suo zaino sulle spalle e io lei ed Antonio arriviamo a Santiago tra risa e lacrime.
Paola continua a ringraziarmi, mi ringraziano anche il cugino ed un’amica che, orgogliosissimi di lei, sono venuta a prenderla nella piazza della cattedrale. Ma non sono io ad aver portato Paola fino alla cattedrale. Sono stati Antonio e Hans, portandole lo zaino, gli antidolorifici di Hans, i compeed di Mark, il sostegno di Francisco e i suoi calzini tecnici…
Ma soprattutto è stata Paola stessa, la sua determinazione, la sua volontà, il suo impegno…
E così all’arrivo a Santiago crolla il mio ultimo cliché…come posso mai pensare che partire da Sarria significhi essere turisti dopo aver conosciuto Paola e la sua determinazione, la sua forza…
Per la millesima o forse milionesima volta ricevo un insegnamento sulla follia del giudizio…sarà sufficiente o domani riprenderò a giudicare chi si comporta in modo che “per me” sarebbe “non valido”?
Certamente non sarà sufficiente, certamente mi ritroverò in mille altre situazioni a dire “chi fa così non è un vero pellegrino, chi fa così sta raccontandosi frottole e non sta facendo un cammino iniziatico”
Tuttavia Francesco, la coppia di spagnoli delle mesetas, la donna di Bercianos, Paola e Antonio, mio saggio “maestro di cammino”, sono presenti nel mio cuore e nella mia memoria e sono certa che se anche non riuscirò a frenare il giudizio, dopo qualche minuto o qualche ora il ricordo della dabbenaggine della mia classificazione turisti-pellegrini mi tornerà in mente e sarò obbligata a ridere di me stessa e della mia infantile presunzione.