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Giovedì, 9 Febbraio 2006 04:00 Host: host139-154.pool80104.interbusiness.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Considerazioni su Patrie smarrite

di Corrado Stajano, Ed. Garzanti

Comincio a leggere con grande curiosit‡ Patrie smarrite di Corrado Stajano. So che il libro parla di Noto, so che líautore Ë figlio di un notinese. Quanto basta per accendere una buona curiosit‡ in un notinese. Sono ancora alle primissime pagine laddove, attingendo al diario di Domenico Russo, bibliotecario del tempo a Noto, relativamente agli avvenimenti bellici del gennaio del í43 in citt‡, ricorda che dopo il bombardamento del 20 della citt‡ e della stazione e gli allarmi divenuti ormai quotidiani, la paura fra la popolazione aumenta e "i pi? impauriti sono gli abitanti delle case vicine alla Villa." CosÏ leggo e la curiosit‡ diventa altro, si fa ëinteresseí nel senso pi? strettamente etimologico, nel senso, cioË, di ëessere in mezzoí, in mezzo agli avvenimenti, perchÈ io sono l‡, bambino, in una di quelle case "vicine alla Villa", tanto vicina da esserci quasi dentro, e ricordo ancora quella paura e quel terrore, perchÈ la guerra, scrive pi? oltre Stajano, "non si dimentica, anche se vissuta da bambini, soprattutto se vissuta da bambini."

E io non sono ancora riuscito a dimenticarla quella guerra e ancora ricordo quella paura e quel terrore. Paura e terrore che sempre torno a rivivere per ësimpatiaí, direi, ogni volta che sento di bombe che cadono su popolazioni civili e su bambini innocenti.

Pi? leggo e pi? rimango impaniato nella lettura, senza pi? riuscire a chiudere il libro prima di arrivare alla conclusione della prima parte, quella appunto dedicata agli eventi bellici a Noto e in Sicilia e poi agli anni del dopoguerra, quando líautore veniva a trascorrere le sue vacanze a Noto che lui considera come la sua patria "smarrita", una delle sue due patrie, líaltra Ë Cremona, nella quale Ë nato, "smarrita" anche questa, e alla quale Ë dedicata nel libro la seconda parte, che leggo egualmente díun fiato nel pomeriggio dello stesso giorno.

"Smarrite" perchÈ la Noto e la Cremona di oggi, nelle quali ancora torna (e proprio da questi recenti ritorni nascono i ricordi e il conseguente racconto), e non vuole pi? tornare, sembrerebbe di capire, gli appaiono cambiate, e non in meglio.

Il viale Confalonieri di Noto gli "sembra una strada di Cinisello Balsamo, un quartiere di MalagaÖ" A Noto "i giovani non si distinguono dai loro coetanei di altre citt‡ piccole e grandi." A Cremona gli sembra di riconoscere i padri di alcuni suoi amici, sono invece proprio quegli amici. Non ritrova tanti luoghi della sua giovinezza e della sua infanzia, ai quali sono legati tanti piacevoli ricordi, nÈ a Noto nÈ a Cremona. O, almeno, non le ritrova come sono nel suo ricordo.

Non le sente pi? sue, queste patrie, eppure ad entrambe dedica queste pagine che sono un sofferto canto díamore, sofferto perchÈ líamore non gli impedisce di scorgere i loro difetti che poi sono un poí i difetti di questo nostro tempo, delle nostre citt‡ saccheggiate dalla speculazione, omologate da un malinteso senso di modernismo. In gran parte vero. Anche se io non credo, in fondo, che il nostro tempo, le nostre "patrie" siano tanto peggiori dei tempi passati e di quelle "patrie". Credo, piuttosto, che forse siamo un poí annebbiati nel giudicare quei tempi migliori di quelli attuali, chÈ ci fa velo il rimpianto di quellíet‡ che avevamo allora e che non puÚ pi? tornare. Anche a Stajano accade, a me pare, di confondere i tempi con la sua giovinezza e la sua infanzia.

Non mi trovo díaccordo con certo risentimento che il libro ha suscitato in alcuni notinesi che, a sentire delle voci, trovano offensivo quanto vi si dice a proposito di alcune peculiarit‡ del nostro carattere di siciliani: del nostro disinteresse per la cosa pubblica, per esempio, controbilanciato da un soverchio interesse per la privata; e simili affermazioni che non sto qui a riportare, ma che credo per buona parte condivisibili.

Libere tutte le opinioni! Ma veramente riteniamo di essere immuni da tante di quelle pecche che oggi Stajano ci rimprovera, ieri tanti altri, e anche siciliani, ci hanno rimproverato? Io credo che, a non essere affetti da una sorta di scotoma mentale, ci dovremmo rendere conto che se troviamo tanto da lamentarci per come vanno le cose in questa nostra terra, ci deve essere una qualche responsabilit‡ di qualcuno, ma ci deve pur essere, almeno, una nostra corresponsabilit‡. O fanno tutto gli altri e la fatalit‡? Non Ë possibile che se prestassimo un poí díattenzione a come gli altri ci vedono, potremmo conoscerci meglio? Non Ë conoscendosi meglio che ci si puÚ migliorare?

Mi Ë capitato anche di leggere su un giornale locale, in questi giorni, una breve nota sul libro in questione, che sostanzialmente si riduce allíaccusa di anticlericalismo a Stajano per avere scritto: "La Chiesa e le famiglie nobiliari sono dalla met‡ del Settecento le padrone della citt‡."

Ma si dimentica che líoperato della Chiesa in quel tempo, e non soltanto a Noto, Ë gi‡ consegnato alla Storia e Stajano non ci mette niente di suo, ce lo ricorda semplicemente.

Díaltra parte se la Chiesa non sentisse un qualche disagio per il suo operato nel passato, non ci accadrebbe di sentire il Papa chiedere continuamente scusa a destra e a manca.

Pi? realista del papa?

E come si potrebbe non condividere pienamente quanto scrive ancora Stajano: "Si tenta di riabilitare, falsificandolo, un lugubre passato, si mettono sullo stesso piano di giudizio i carnefici e le vittime, i morti per la libert‡ e la giustizia e coloro che hanno agito per soffocarle."

» opera meritoria di quanti, come lui, sostengono ancora il dovere di ricordare, specialmente oggi che tante sirene si fanno avanti (chiss‡ poi quanto disinteressatamente!), per tentare di convincerci a dimenticare, a ëconfondere ogni erbaí, per cui puÚ accadere di sentire (appena pochi giorni or sono perfino dalla pi? alta carica dello Stato), frequenti sollecitazioni a tener conto, nel giudizio storico anche della ëbuona fede dei ragazzi di SalÚí?

Uníinesattezza desidero segnalare (allíautore, se mai dovesse capitargli di leggere queste brevi considerazioni), senza peraltro niente voler togliere a questa sua pregevole fatica, in merito alle vicende relative al tentato sacco di Vendicari. Si ascrive, a questo proposito, a merito dei Verdi aver salvato Vendicari. Non mi pare che siano andati esattamente cosÏ, i fatti. Intanto, se la memoria non mi inganna, i Verdi sono apparsi sulla scena politica pi? tardi di quando si verificarono gli avvenimenti. Almeno i primi, quelli relativi alla vicenda ISAB. Inoltre perchÈ chi si battÈ per salvare la prima volta, appunto, Vendicari, dal tentativo di insediarvi la raffineria ISAB, fu la sezione locale del PCI, rimasta sola e isolata in quella battaglia. Chi scrive ricorda le accuse che ci venivano rivolte (ero militante comunista), le pi? benevoli di essere ëipocriti che dicevamo di lottare per il lavoro e quando il lavoro veniva offerto, spingevamo la gente a rifiutarloí.

Personalmente fui quasi aggredito, trovandomi per acquisti in un negozio, da altri acquirenti, perchÈ difendevo le ragioni dei comunisti contro líinsediamento dellíISAB, a salvaguardia dellíambiente. Rimanemmo isolati nellíastiosa e minacciosa avversione generale; salvo il rinsavimento di molti e il riconoscimento di tanti qualche tempo dopo, quando i cittadini di Marina di Melilli dovettero abbandonare le loro case per líinquinamento della zona dovuto a quella stessa raffineria che da quelle parti aveva trovato di gettare le ancore.

La seconda volta líassalto a Vendicari venne tentato da un gruppo di imprenditori che volevano impiantarvi un grande albergo e, mi pare, anche un villaggio vacanze. E anche questa volta, questi altri pi? che spregiudicati speculatori trovarono orecchie pronte a Noto. E ancora, anche questi si trovarono di fronte a contrastare le loro mire la sezione del PCI, non pi? da sola ora, pronta a difendere quel territorio che ora costituisce la riserva di Vendicari.

Questo per precisione e amor del vero. E senza niente togliere al valore di un libro che, a mio giudizio va letto come un grande atto díamore di Stajano per le sue "patrie", e che mi auguro abbia la diffusione che merita.
Benito Marziano
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