Benito
Marziano , Don Agostino Salvìa e altri racconti,
Avola Novembre 2002, pp. 112, € 10,00 
Raramente
capita di scoprire, inequivocabilmente e con piacevole sorpresa, che
sotto il velo della discrezione e dietro il senso della misura adottati
da alcune persone, nella loro pur attiva vita di relazione sociale,
culturale e politica, si celano, a volte, un'attenta capacità
di osservazione e una feconda attitudine all'analisi, che permettono
dì stabilire basi solide per i rapporti necessari alla convivenza
civile. Quando ciò avviene, è sempre una connotazione
eticamente radicata a caratterizzare fortemente la vita e l'operato
delle persone interessate. Se poi tutto questo trova sbocco nella
creatività letteraria con felici esiti narrativi, allora ci
si trova davanti a qualcosa di inusuale, a qualcosa di straordinariamente
positivo, che apre il cuore alla speranza e conferma fiducia nella
vita e nelle relazioni umane, nonché - privilegio particolare
nella funzione positiva della letteratura.
Queste sono state, più o meno, le considerazioni che, con naturalezza,
m'è venuto di fare a mano a mano che portavo a termine la lettura
di Don Agostino Salvìa e altri racconti di Benito Marziano.
E, a pensarci bene, mi rendo conto che non poteva essere diversamente,
se vado con la mente allo stile dell'uomo, che, oso immaginare, avrà
comprensibilmente avuto qualche iniziale resistenza a dare alle stampe
questi racconti, che ora non sono più suoi, ma che della sua
persona hanno involato non poco di essenziale, per regalarlo al pubblico
dei lettori attenti.
A me pare che con Don Agostino Salvìa e altri racconti siamo
davanti a un piccolo opus di bella scrittura, a una sorta di minuscolo
scrigno d'arte che contiene e rivela note alte di umanità e
di apertura mentale e affettiva, che toccano vivamente il lettore.
Temi e motivi dei racconti sono gli stessi che riguardano tutti gli
uomini di ogni tempo e luogo, come dimostrano peraltro vari echi letterari
di matrice diversa affioranti qua e là, da una parte, e riferimenti
a problemi peculiari del nostro tempo, dall'altra. L'asse portante
di tutti i racconti sembra essere il dramma dell'esistenza umana,
che si gioca tutto sul filo bipolare intercorrente tra comunicabilità
e incomunicabilità. Sono i primi due racconti, Don Agostino
Salvìa e Tre storie saccensi a racchiudere probabilinente l'intera
cifra del libro: l'uno per il tema dell'incomunicabilità, l'altro
per quello opposto.
L'incapacità di comunicare induce talvolta le persone financo
a distruggere i rapporti affettivi e amorosi, e a tirare dritto per
la propria strada lastricata di proiezione fortemente egoistica e
di sordità interiore. E ciò che avviene, per esempio,
nel racconto Il maestro di ballo, la cui lettura non può non
indurre a pensare che nella vita forse siamo un po' tutti, come Miro
Ralli, dei grandi maestri di ballo. Accanto al tema dei
rapporto bipolare comunicabilità - incomunicabilità
incisiva valenza assume pure, quasi in tutti i racconti, la capacità
affabulatoria dell'uomo, che viene fuori nel piacere del raccontare;
nella giocosità e nell'apertura umoristica, che, sul versante
della comunicabilità, accompagnano autore e personaggi lungo
la linea, spontanea ma consapevole, di una ricca e variegata memoria
letteraria e personale. Con i vari agganci, che le problematiche toccate
evocano, ora di tipo pirandelliano, ora di tipo boccacciano, ora di
atmosfera sciasciana, ora di sapore paesano, sfilano, davanti alla
nostra memoria e/o ai nostri occhi, personaggi imparentati con nobili
antenati, per esempio, con l'uomo dal fiore in bocca, con la fascinosa
Alatiel della settima novella della seconda giornata del Decamerone,
con Costanza da Lipari, colei che, con animo e determinazione tipicamente
femminili, avviluppatasi la testa in un mantello, nel fondo
della barca piagnendo si mise a giacere... e al vento tutta si commise"
nella seconda novella della quinta giornata sempre del Decamerone.
Gli scherzi di Giorgio Carratore richiamano alla mente quelli intercorsi
tra Biondello e Ciacco nell'ottava novella della nona giornata ancora
dell'opera boccacciana. Riaffiorano anche, lungo le note dell'affabulazione
e le trame, magari involontarie, delle beffe e dello sviluppo grottesco
di alcuni racconti, personaggi di tipo sciasciano, come, per esempio,
quelli di Quando non arrivarono i nostri. Rivivono, infine, personaggi
pittoreschi e strani propri di certe leggende metropolitane, ma, ahimè,
propri anche di certe realtà paesane come quelle delle liete
agorà dì quartiere di una volta che erano le frequentatissime
sale da barba. E sfilano persino figure come quella di Peppino Laganà,
che più che dalla fantasia dell'autore, sembra, in tutta evidenza,
uscita da qualche episodio creativo di vita goliardica, uno fra i
tanti, tra quelli che ama coltivare un libraio editore di mia conoscenza.
Al lettore, perciò, il piacere di scoprirsi e di ritrovarsi
immesso in cosi amena compagnia.
Temi e ascendenze letterarie e memoriali sono, però, trattati
dall'autore liberamente, con taglio assolutamente personale. Basti
pensare, per esempio, al rovesciamento dello schema pirandelliano
che Marziano opera nella vicenda di Tonino Ventura in Condannato a
morte. Qui, infatti, il dramma personale fa precipitosamente emergere
quello familiare, e la vita di relazione ha il sopravvento su quella
interiore, per cui il rischio del ripiegamento su di sé è
superato dalla rabbiosa reazione del protagonista, che vive il suo
problema con lucida consapevolezza, se è ancora in grado di
guardarsi come in uno specchio attraverso la puntuale citazione pirandelliana.
E poi la potenza del caso, che, in Come in un puzzle, si risolve,
questa volta, positivamente.
Casualità, equivoci, solitudine umana, condizionamenti sociali,
differenze generazionali, isolamento ed emarginazione, consumati talvolta
fino al suicidio, delle persone ritenute socialmente inattive, insieme
con egocentrismo e fragilità psicologica, chiusure mentali
etc... costituiscono il reticolo restistente altraverso il quale si
ordisce, come in una tela, la trama del tessuto di vita di relazione
tra gli uomini. Il tutto in un sottofondo di contenuta malinconia
e di pena sottile che permea, dove più dove meno, tutti i cinque
racconti della silloge.
E tuttavia, attraverso il difficile e accidentato cammino all'interno
di questo reticolo che si sviluppa la capacità di ascolto umano
che caratterizza i racconti, sgorgando dal versante della residua
capacità, che l'uomo conserva, di comunicare e forse anche
di avere pietà, una capacità di ascolto e di apertura
umana che è probabilmente il messaggio di speranza recondito
del libro, visto che esso è proprio dell'autore, così
come lo è dei personaggi, nell'uno e negli altri di fatto,
se non di professione. Il racconto Tre storie saccensi, più
quella del narratore è emblematico a tale riguardo. In esso
l'io narrante esterno ascolta pazientemente e attentamente il personaggio
affabulatore di Basilio Basilio, il quale finisce per meravigliarsi
di tanta attenzione e a conclusione dell'incontro, rivolgendosi al
suo ascoltatore, gli domanda assai contento dentro di sé: Ma
lei ce ne deve avere pazienza se sciupa mezza giornata delle sue vacanze
a sentire fesserie di un vecchio che non sa come passare il tempo
e attacca bottoni alla prima persona gentile che ci capita davanti(p.51).
Al che l'io narrante risponde prontamente con un velo di malinconia:Le
assicuro che non ho sentito per niente fesserie e che ho trascorso
piacevolmente queste due orette in sua compagnia. Mi dispiace soltanto
che si è fatta l'ora di pranzo e devo lasciarla e mi dispiace,
anche, che certamente non ci vedremo più (ibidem). Parole,
tutte, che avvalorano la necessità della tenerezza e del calore
umano, per poter comunicare tra persone, e che confermano quelle esplicitamente
pronunciate da Delia Ferri in quel racconto che pure, più di
tutti gli altri, evoca sottilmente la celebre teoria dei pupi
formulata da Pirandello e che è Il maestro di ballo: La
vita non è mai banale. Può essere cattiva, a volte,
magari crudele, ma, sempre interessante e essenzialmente sempre degna
di essere vissuta (p. 79). Sono parole, queste, che aprono il
cuore e la mente alla speranza, pur nella consapevolezza della complessità
e della problematicità del reale. E che forse la cifra preponderante,
se non proprio vincente, nel tessuto del libro sia quella dell'apertura
al prossimo, della cordialità umana, se non proprio della tenerezza,
e della necessità di comunicare, è verificato anche,
sotto il profilo formale, dallo stile asciutto, scorrevole, misurato,
adatto quindi alla lettura, e persino elegante, che caratterizza l'intera
silloge dei racconti. Uno stile che ricorda quello di alcune tra le
più belle pagine di prosa d'arte del Novecento.
In
5 novelle d'ambiente la difficoltà di comunicare
«Don
Agostino Salvìa e altri racconti» è il titolo di
una raccolta di novelle ambientate in Sicilia da Benito Marziano, noto
scrittore locale, presentato alle stampe da una prefazione critica di
Sebastiano Burgaretta, fine conoscitore di Avola e dei suoi dintorni.
Si tratta di cinque racconti nei quali Burgaretta afferma di essersi
imbattuto «come qualcosa di straordinariamente positivo, un opus
di bella scrittura, dove si possono riscontrare temi ed ascendenze letterarie».
I cinque racconti sono abilmente giocati sul sottile filo che separa
comunicabilità ed incomunicabilità e rivelano, senza alone
alcuno, la drammaticità della esistenza umana, pur espressa attraverso
improvvise ed inaspettate aperture umoristiche.
Lo stile è veloce, e nel primo racconto, quello che dà
il titolo all'intera raccolta, si può trovare una bella invenzione
dell'autore, capace di passare, attraverso l'uso delle maiuscole, al
discorso diretto, quasi come se egli avesse paura di spezzare il filo
narrativo che tiene in apprensione il lettore.
Ed in effetti ci riesce, dipingendo con pennellate decise e garbate
il quadro di personalità e caratteri che stanno a metà
strada «tra indifferenza e cattiveria».
Col suo primo passo paralizza l'attenzione del lettore che s'incide,
fissa, sulla vicenda di Don Agostino, un anziano rinchiuso in una casa
di riposo: «Quando si alzò - comincia il racconto - non
sapeva ancora che il giorno sarebbe stato quello».
Probabilmente il giorno dell'attesa, dei ricordi che accompagnano gli
anziani lungo un'altra vita, quella parallela alla prima, definita «attiva».
«L'egoismo e la sordità interiore", rilevati da Sebastiano
Burgaretta nell'opera di Benito Marziano, tengono uniti, quasi fossero
un filo rosso, i personaggi dei suoi racconti, sprofondandoli nella
casualità degli equivoci che costituiscono "il reticolo
della condizione umana».
Significativo, a questo proposito, è "Il maestro di ballo",
racconto nel quale ci possiamo limpidamente specchiare ogniqualvolta
siamo convinti di far piacere agli altri, assecondando, in realtà,
soltanto noi stessi e le nostre fragilità psicologiche, rifuggendo
al contempo da ogni sorta di «feedback» verbale o soltanto
fisico col nostro interlocutore di turno.

Roberto Rubino
La Sicilia
10/01/2004 |