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VINCENZO POLITINO
Pittura d'Italia Ecco i maestri veneti scelti da Goldin Fausto Politino |
...
persone come Enzo
costituiscono una grande risorsa
per gli amici e per l'ambiente
che ha la fortuna di accoglierli.
Grazie
Enzo!
I campi di girasoli che si susseguono nel paesaggio senese hanno permesso a Vincenzo Politino la realizzazione di pastelli legati a tale tema. Questi fiori dalla breve vita non sono una novità per il pittore, in quanto più volte inseriti come particolari dei suoi precedenti lavori (collage manipolati), ma nei pastelli divengono unici protagonisti. Il girasole in base alle stagioni cambia colore e nei due o tre mesi prima della raccolta acquisisce delle tonalità ramate che attraggono l'attenzione dell'artista. Il fiore si incurva, si flette, si spezza, mostrando tonalità marrone-arancio, mentre scompare ogni traccia di verde. I petali esangui abbandonano la corolla che li ha nutriti e protetti presagendo il loro tempo ormai passato. La forma di partenza si fa più evanescente, al punto che il fiore diventa foglia e viceversa. Il girasole viene realizzato, poi, su carta grigia e rugosa per rendere al meglio i colori verdi Politino decontestualizza il soggetto, isolandolo e pervadendolo di una luce innaturale, contemporaneamente però non permette al fiore di perdere la sua individualità di forme date dal contatto serrato tra colore e linea. Un alito di vento muove le inflorescenze, abbandonando così il ricordo dei millenari ulivi segnati da un vento che ha inciso le forme
Per
Vincenzo Politino il pastello richiede grande concentrazione, nega gli esperimenti,
lo si può ritoccare appena e non si ripassa sul lavora già
sbozzato. E' una fase di transizione tra disegno e pittura. Quest'ultima
permette il dialogo tra luce e colore dando come risultato l'immagine nell'interezza
di forme e di rapporti tra elementi; il disegno è immediatezza espressiva.
Probabilinente questo processo ricondurrà l'artista verso un dipingere
legato ai suoi esordi informali.
I campi
di girasoli che si susseguono nel paesaggio senese hanno permesso a Vincenzo
Politino La realizzazione di pastelli legati a tale tema Questi fiori dalla
breve vita non sono una novità per il pittore, in quanto più
volte inseriti come particolari dei suoi precedenti lavori (collage manipolati),
ma nei pastelli divengono unici protagonisti. Il
girasole in base alle stagioni cambia colore e nei due o tre mesi prima
della raccolta acquisisce delle tonalità ramate che attraggono l'attenzione
dell'artista. Il fiore si incurva, si flette, si spezza, mostrando tonalità
marrone-arancio, mentre scompare ogni traccia di verde. I petali esangui
abbandonano la corolla che li ha nutriti e protetti presagendo il loro tempo
ormai passato. La forma di partenza si fa più evanescente, al punto
che il fiore diventa foglia e viceversa. Il girasole viene realizzato, poi,
su carta grigia e rugosa per rendere al meglio i colori verdi Politino decontestualizza
il soggetto, isolandolo e pervadendolo di una luce innaturale, contemporaneamente
però non permette al fiore di perdere la sua individualità
di forme date dal contatto serrato tra colore e linea. Un alito di vento
muove le inflorescenze, abbandonando così il ricordo dei millenari
ulivi segnati da un vento che ha inciso le forme.
Per Vincenzo
Politino il pastello richiede grande concentrazione, nega gli esperimenti,
lo si può ritoccare appena e non si ripassa sul lavora già
sbozzato. E' una fase di transizione tra disegno e pittura. Quest'ultima
permette il dialogo tra luce e colore dando come risultato l'immagine nell'interezza
di forme e di rapporti tra elementi; il disegno è immediatezza espressiva.
Probabilinente questo processo ricondurrà l'artista verso un dipingere
legato ai suoi esordi informali.
Di Annalisa
Civelli, da "Marco Goldin Elogio del pastello Line d'ombra
editrice"; Mostra in Conegliano, palazzo Sarcinelli, 7 Febbraio 1999.
Vincenzo
Politino è nato ad Avola (Siracusa) nel 1946.
Compie gli studi presso l'Istituto d'Arte di Siracusa, successivamente si
diploma all'Accademia di Belle Arti di Firenze. Tra il 1977 e il 1978 frequenta
i corsi alla Scuola Internazionale di Grafica a Venezia. Ha tenuto personali
e partecipato a collettive presso diverse gallerie e istituzioni, a partire
dal 1967 alla Galleria E. Caors di Marsiglia. Gli esordi dell'artista sono
legati alla pittura informale con la realizzazione di protofigure ( Galleria
Sansovino di Vittorio Veneto 1974). Lentamente questa pittura si trasforma
in un iperealismo legato a soggetti riconducibili alla sua terra di origine.
Tale periodo, definito dal pittore "citazionista", inserisce in
uno scenario irreale decorazioni libertv, sconosciute, presenti in palazzi
storici siciliani.
Trasferitosi
dalla Sicilia a Conegliano (Treviso), nel 1975 espone alla Gallerie la Radice
di Belluno, il Tappeto di Conegliano (Treviso), concludendo l'anno con la
partecipazione al Concorso Nazionale città di Fiume Veneto (Pordenone).
Negli anni settanta numerose esposizioni segnano il percorso dell'artista,
che alterna mostre in Sicilia, dove sono i paesaggi i protagonisti, con
altre nel Triveneto, dove sono le farfalle il tema dominante: Galleria La
Cave di Treviso, Galleria Serenissima di Gradisca d'Isonzo, Sala Comunale
di Avola. Con il sopraggiungere degli anni ottanta, l'interesse di Politino
si concentra sugli ulivi, sui muretti, sui capitelli scovati nei paesaggi
siciliani. Questi temi vengono ulteriormente approfonditi e tradotti con
le tecniche incisorie, senza trascurare
però gli oli (esposti alla Galleria dello Scudo di Verona nel 1983
e alla Galleria d'Arte Ariele a Vicenza nel 1985). Negli anni novanta si
concentra progressivamente prima su immagini oniriche come mezzo evocativo
della memoria (Treviso, Casa dei Carraresi; Pordenone, Galleria Quadreria;
Conegliano, Palazzo Da Collo, Cappella dell'Assunta, tutte mostre accomunate
dallo stesso titolo, Voci dall'isola), tornando poi al dato oggettivo, con
la volontà di continuare cambiando obiettivi.
Realtà,
memoria
di Guido Giuffré
Quanto delle esperienze precedenti permane negli ultimi dipinti di Politino
- e di ogni artista? Tutto, da un certo punto di vista. Quod factum... si
diceva un tempo, ed è sempre vero. E se ciò che si fa è
autentico, ci si fa in esso ed esso permane in noi. Da un altro punto di
vista non sempre il lavoro di ieri è visibile in quello di oggi;
esso può restare segreto, presupposto necessario ma non necessariamente
riscontrabile. Enzo Politino ha lavorato molto; il suo linguaggio ha subìto
elaborazioni notevoli ma non occorre risalirne il percorso - talmente le
immagini odierne sono ricche di suggestioni: anche se suggestione è
parola poco adatta perché sembra rimandare ad altro, suggerire appunto
qualcosa d'altro, mentre qui si è piuttosto risucchiati dentro, avvinti
all'interno travaglio.
Sottolineerei
quest'ultimo punto: travaglio. Paesaggi, fiori, acque: immagini che parrebbero
di tutto riposo. Ma il soggetto, si sa, non conta più di tanto. Che
cosa direbbe il lavoro di Morandi (si passi l'esempio abusato, l'abuso non
ne incrina la grandezza) se dovesse parlare soltanto per i soggetti? o quello
di Morlotti? Qualche volta poi il soggetto conta di più, qualche
volta di meno; in Monet ad esempio, soprattutto in certi anni, soggetto
e linguaggio, visione poetica nel suo insieme, sono un unico inno al creato
e alla vita. Era altra stagione, si obietterà; ma Turner molti decenni
prima aveva già creato immagini superbe senza tener quasi conto di
ciò che rappresentava: facendo tempesta dell'animo, non del cielo.
Certi
esempi non vengono a caso. Alcune tele di Politino (carte, ma il risultato
non cambia; non si capisce perché spesso si tenga in così
gran conto la diversità del supporto) sembrano riandare proprio a
Monet. Qualche mimosa ricorda vagamente quella rifusione degli elementi,
acqua terra cielo, che era delle tarde ninfee - canto del cigno della natura
mentre dallo stesso Monet i Fauves avevano già tratto conseguenze
estreme. Qualche altro dipinto (Paesaggio d'acqua) sembra invece
ricordare quell'Adda a Imbersago dove alla metà degli anni cinquanta
Morlotti tastava il polso all'informale.
Ecco,
per Politino i due riferimenti andrebbero sovrapposti. Egli appartiene ora,
nei modi suoi propri, a quell'ampio versante di pittori per i quali è
irrinunciabile il rapporto con le cose, necessario un luogo riconoscibile
di umana esperienza. Ma il mondo di Monet egli lo vede
con l'introversa pena di Morlotti, con quel rovello esistenziale che il
grande francese non fece in tempo a conoscere. Politino non ha (nessuno
- statura a parte - può più avere) l'abbandono a quell'innocenza
della natura, umanissima e mitica, viva e vera come mai prima- che fu dell'Impressionismo.
Non è questione di condizioni storiche: intorno al 1870, quando nell'arte
fioriva la primavera, la situazione della Francia non era proprio tranquilla.
È la cultura troppo mutata perché al paesaggio si possa guardare
con quegli occhi e quello spirito. Ai grappoli di glicine di Politino forse
non sono estranei i papaveri di Monet, i sentieri che salgono fra l'erba
di Renoir, i giardini di Fontenay; eppure al siciliano del Veneto più
vicini sono in qualche modo il granturco, gli sterpi, l'Imbersago ridotto
a poltiglia - in cui Morlotti rimestava, splendidamente, il suo rovello.
Avola
in provincia di Siracusa è più prossima a Noto, anzi ne è
a un tiro di schioppo - ed è come si sa Sicilia superba. Politino
è nato ad Avola, ha studiato a Firenze, vive da tempo a Conegliano.
La natura del Veneto ha caratteri forti, forti di dolcezza, di cristallino
nitore, di luci che in passato hanno toccato i vertici che sappiamo. Il
nostro pittore li conosce bene, ma in lui altre radici sono ancora più
profonde; non il barocco di Noto né il fascino di Ortigia, e forse
neppure una luce frequentata ormai soltanto nella memoria. Le forre che
in tanti suoi dipinti tagliano la piana, il verde cinerino dei salici lungo
i canaloni sono tipici della regione in cui egli vive ora, ma quella sorta
di travaglio della e nella pittura, quel suo tessuto faticato, raschiato
- sono retaggio antico. Ed è singolare - in un paesaggio dal riconoscibile
taglio veneto, così frequente in tanti pittori veneti - vedere qualcosa
di imponderabile e pure determinante che veneto
non e più.
Oggi come ieri, anche una luce - veneta, toscana, campana - rileva in quanto diventi cultura. Lo stendersi nei dipinti di Politino di verdi prati o pareti rocciose, i vasti cieli sui sentieri pausati d'ombre o il rigoglio delle stagioni, dicono anzitutto un'interna latente tensione. Nella malinconia c'è un allarme, nelle solitudini un'eco turbata, nell'incanto una passione muta, cocente, stupita- e il senso appena dolente di un tempo il cui scorrere è già memoria.
Guido Giuffré
IL
VERDE DELL'ERBA
di
Marco Goldin
I
Fin
da quando dipingeva antichi ulivi rigogliosi, abbarbicati alla terra arsa
dell'estate in Sicilia, Politino manifestava un fortissimo desiderio di
spazi, di luci, di azzurri, di verdi stringenti e tuttavia placati dentro
la vastità inestinguibile dei confini. C'era, in quelle immagini,
un senso di devozione alla terra, come riandare alla culla, alla sorgente,
alla ragione prima dell'esistenza, al suo stesso motivo. Si poteva dire
una pittura dell'anima, ma della storia dell'anima. Come se tutto quell'armamentario
di natura fosse stato il culmine di una memoria prenatale, fiorita nel momento
della nascita, e così forte da non aver più abbandonato gli
occhi del pittore.
Perché altro non era che un fiorire perenne di ulivi, nuvole sfrangiate e scheggiate, statue sul limitare di un giardino che non era un giardino gozzaniano, ma il rigoglioso verdeggiare senza malinconia del grande cortile dell'infanzia. Così è sembrato che tutto il lavoro di Politino, fino a questa metà di decennio, fosse in misura particolare lo struggimento per una terra abbandonata, e poi ricercarne i segni, i confini smarriti nell'aria, l'azzurro tonante sopra la campagna di Avola, il pietrisco, i muretti a segnare le distanze. Qualcosa di intoccabile dentro il ricordo, perché la Sicilia solo andandoci, solo percorrendola, solo vivendola si può capire cosa significhi. Dunque la pittura è stata per un lungo tratto di strada soprattutto nostalgia, eppure mai angosciata e invece musicale, piena di grazia, viva nei suoi colori.
II
Se
solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quel suo quaderno -
poteva essere più o meno la fine degli anni ottanta- nel quale avrebbe
potuto scrivere: << Vivo qui da molto tempo, poco per volta il ritorno
mi è sempre più difficile. La lontananza mi sembra accresca
l'amore e l'amore càpita si esprima meglio nella sofferenza degli
spazi. No, non intendo qualcosa di doloroso, la mia pittura per il momento
non ne è capace. È solo il senso della distanza, di tutto
questo cielo che c'è tra il mio io di adesso e quello di prima. Non
voglio più vedere, ma solo ricordare. Vedere sarebbe oggi una contemporaneità
col passato e il tempo sta invece avvolto in un diverso mantello, e da questo
voglio farmi fasciare. Così dipingo da questo studio
la natura di Sicilia, più come un battito, un rintocco che come una
visione. Oppure un vedere prolungato, che non è mai finito dal momento
in cui è cominciato. Forse per questo non sento il bisogno di ritornare,
di rimettermi in cammino per scendere al mare dalle strade del paese o inoltrarmi
invece nella campagna arsa del principio dell'estate. Certo, non posso immaginare
la bellezza senza sapere che quella terra esiste, che su quella terra sono
passati gli dei, gli eroi.
Ho creduto
talvolta che tutta quella bellezza mi mettesse perfino soggezione, e per
questo avevo il bisogno di concepirla come un'assenza, o ancor meglio una
distanza. Nello studio di una città lontana mi sentivo protetto,
riparato, in qualche modo al sicuro. Ho scelto dunque di coltivare ancora
e sempre il paesaggio di Sicilia come un'illusione, uno schianto attutito,
la misura perfetta del ricordo>>.
III
Ma
a un certo punto, proprio quando questa memoria siciliana poteva anche dare
il senso di una certa stanchezza, nelle stanze dove Politino dipinge hanno
cominciato a comparire quadri un po' eccentrici, sui quali pareva agire
un sentimento nuovo della natura, come se un vento non prepotente, ma neppure
lieve, fosse trascorso sui campi prima inzuccherati di quelle nuvole di
cotone. Quadri che inizialmente si vedevano come un incidente nel percorso,
magari nascosti sotto a molti altri perché non confondessero le idee.
Ma poi era forte il desiderio di far loro risalire la china, per vederli
non come irregolarità nel cammino e invece quale nuova strada maestra.
Si
sa cosa succede in questi casi: il pittore è timoroso di far torto
a collezionisti e gallerie, di fare improvvisamente apparire un volto nuovo,
e chissà se ugualmente apprezzato. Allora, di solito, si percorre
un doppio binario, finché non ci si senta così sicuri da imboccarne
uno soltanto. Questo è accaduto a Politino, a partire dalla metà
degli anni novanta. Dapprima in silenzio, quasi con un senso di fastidio
per immagini che sorgevano diverse, forse non richieste, ma poi, certamente
dal 1997, con la determinazione delle imprese che si sentono ormai definitivamente
proprie. E allora il lavoro è fluito via senza più remore,
nella consapevolezza che il paesaggio non era più coscienza dell'infanzia
ma era diventato splendente, umidissimo risultato di una vera maturità.
Dunque
sono cambiati gli angoli, la visuale s'è assottigliata, la natura
ha perso la sua intonazione lievemente barocca che l'aveva fin qui caratterizzata.
È come se d'incanto il pittore avesse sentito il bisogno di una parola
più secca, perché la bellezza potesse diventare, infine, inestinguibile.
Come se egli avesse deciso di concentrarsi sulla durata di un tempo sorto
non più dalla visione, ma anche, e forse soprattutto, dallo stringersi
delle ragioni del cuore. La natura ha cessato di essere invenzione e si
è fatta straziato pulsare degli occhi. Il vedere è diventato
subito esperienza.
IV
Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quell'altro suo quaderno - dovrebbe essere più o meno di questi giorni - nel quale la conclusione potrebbe suonare circa così: << Chissà perché, giunto questo momento della vita, non c'è stata più la possibilità di andare al passato come a una fonte benedetta, e ho dovuto rischiare ricominciando tutto dal principio, come non avessi mai dipinto niente prima. Che sensazione strana, essere senza storia, senza infanzia, senza un padre e una madre, senza le foto ricordo da potere, se non vedere, almeno, appunto, ricordare. E invece prendere in mano tutto questo verde spalmato sui fogli, spargerlo a piene mani senza paura e dipingere prati, declivi, colline, laghi cosparsi di bianche foglie sorgenti. E poi prendere un po' di giallo, metterlo sulla carta per dei girasoli contorti, straziati, che a me paiono dolcissimi, il segno stesso della vita. Ecco, se c'è una cosa che adesso mi sembra, è che ho incontrato la vita dal suo lato più vero, quello che se ti prende un colpo di vento non c'è nessuna finzione che ti può riparare. Ho pensato di dipingere la natura così, senza riposo, senza protezione, come un silenzio che crepita e gorgoglia>>.
ENZO
POLITINO
Via Borlini 27 - 31015 Conegliano Veneto
tel 0438 32243
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