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VINCENZO POLITINO

Pittura d'Italia Ecco i maestri veneti scelti da Goldin
il mattino di Padova — 10 gennaio 2010   pagina 46   sezione: SPETTACOLO

Un’opinione in apparenza molto accreditata tende ad identificare il critico d’arte e curatore di mostre Marco Goldin con l’impressionismo. Una sorta di coazione a ripetere che gli impedirebbe di analizzare altri modi di fare pittura. In realtà non è così. E’ molto attratto invece dall’arte italiana contemporanea, anche di quella legata alla sua generazione. Basti ricordare la collettiva, “Pitture. Artisti italiani degli anni Cinquanta e Sessanta”, organizzata a Treviso nel 1996-97.  Ora Goldin è riuscito a realizzare una virtuale e insieme reale koinè dove ci si interroga su quale attualità è possibile per la pittura. Come possa raccontare l’emozione, la spazialità, l’interiorità e l’esteriorità “del vedere o dell’anima”. Per rendersene conto è sufficiente recarsi a Rimini, a Castel Sismondo. Insieme alla grande rassegna - “Da Rembrandt a Gauguin a Picasso” - si può vedere la mostra “Pittura d’Italia. Paesaggi veri e dell’anima”, articolata in due tempi per ragioni di spazio.  Goldin ha invitato 50 autori contemporanei che incarnano interpretazioni diverse del fare artistico. Dividendoli, volendo semplificare, tra figurativi e non figurativi. Fra chi rimane fedele alla forma nella sua riconoscibilità iconica e fra chi frantuma la forma, disancorandola dalla parvenza percettiva. La prima fase, quella che accomuna i pittori che utilizzano immagini vicine all’evidente, Zigaina, Sarnari, Massagrande, Guccione per ricordarne alcuni, si è conclusa il 6 gennaio.  Ieri si è aperta l’altra, quella degli artisti che si sono emancipati da tutto ciò che è considerato reale, proponendo tematiche che abbandonano schemi dettati dalla pittura di natura, per un’arte dove prevale l’urgenza espressiva sia segnica sia cromatica.  Fra i pittori veneti o di area veneta presenti nella rassegna bisogna citare il veneziano Ennio Finzi che identifica nell’interiorità il luogo immateriale per cercare il vero. Nel suo “Grammaticando in rosso” il colore fondamentale è interrotto da macchie nere che gocciolano come ad ostacolarne l’invadenza. Un’altra atmosfera si respira nel trevigiano Loreto Martina con le sue pennellate sofferte tumultuose, come onde che s’inseguono.  Il vicentino Silvio Lacasella cerca i toni nebbiosi del primo mattino o le ultime luci di un tramonto silenzioso che non vuole morire. Francesco Stefanini cattura nella tela bagliori luminosi che scrutano la faccia nascosta del paesaggio. Il padovano Franco Pedrina supera i confini dell’immagine, innestando i suoi alberi e i suoi rami in una mobilità cromatica per proteggerli da ogni offesa. Il coneglianese Enzo Politino inventa colori dalla trama latente, fondati sul ritmo, per consentire al battito della vita di emergere. «Pittura d’Italia. Paesaggi veri e dell’anima» Rimini, Castel Sismondo Fino al 21 marzo 2010

Fausto Politino

Enzo Politino

... persone come Enzo
costituiscono una grande risorsa
per gli amici e per l'ambiente
che ha la fortuna di accoglierli.
Grazie Enzo!
Girasoli

I campi di girasoli che si susseguono nel paesaggio senese hanno permesso a Vincenzo Politino la realizzazione di pastelli legati a tale tema. Questi fiori dalla breve vita non sono una novità per il pittore, in quanto più volte inseriti come particolari dei suoi precedenti lavori (collage manipolati), ma nei pastelli divengono unici protagonisti. Il girasole in base alle stagioni cambia colore e nei due o tre mesi prima della raccolta acquisisce delle tonalità ramate che attraggono l'attenzione dell'artista. Il fiore si incurva, si flette, si spezza, mostrando tonalità marrone-arancio, mentre scompare ogni traccia di verde. I petali esangui abbandonano la corolla che li ha nutriti e protetti presagendo il loro tempo ormai passato. La forma di partenza si fa più evanescente, al punto che il fiore diventa foglia e viceversa. Il girasole viene realizzato, poi, su carta grigia e rugosa per rendere al meglio i colori verdi Politino decontestualizza il soggetto, isolandolo e pervadendolo di una luce innaturale, contemporaneamente però non permette al fiore di perdere la sua individualità di forme date dal contatto serrato tra colore e linea. Un alito di vento muove le inflorescenze, abbandonando così il ricordo dei millenari ulivi segnati da un vento che ha inciso le forme

Per Vincenzo Politino il pastello richiede grande concentrazione, nega gli esperimenti, lo si può ritoccare appena e non si ripassa sul lavora già sbozzato. E' una fase di transizione tra disegno e pittura. Quest'ultima permette il dialogo tra luce e colore dando come risultato l'immagine nell'interezza di forme e di rapporti tra elementi; il disegno è immediatezza espressiva. Probabilinente questo processo ricondurrà l'artista verso un dipingere legato ai suoi esordi informali.
I campi di girasoli che si susseguono nel paesaggio senese hanno permesso a Vincenzo Politino La realizzazione di pastelli legati a tale tema Questi fiori dalla breve vita non sono una novità per il pittore, in quanto più volte inseriti come particolari dei suoi precedenti lavori (collage manipolati), ma nei pastelli divengono unici protagonisti. GirasoliIl girasole in base alle stagioni cambia colore e nei due o tre mesi prima della raccolta acquisisce delle tonalità ramate che attraggono l'attenzione dell'artista. Il fiore si incurva, si flette, si spezza, mostrando tonalità marrone-arancio, mentre scompare ogni traccia di verde. I petali esangui abbandonano la corolla che li ha nutriti e protetti presagendo il loro tempo ormai passato. La forma di partenza si fa più evanescente, al punto che il fiore diventa foglia e viceversa. Il girasole viene realizzato, poi, su carta grigia e rugosa per rendere al meglio i colori verdi Politino decontestualizza il soggetto, isolandolo e pervadendolo di una luce innaturale, contemporaneamente però non permette al fiore di perdere la sua individualità di forme date dal contatto serrato tra colore e linea. Un alito di vento muove le inflorescenze, abbandonando così il ricordo dei millenari ulivi segnati da un vento che ha inciso le forme.
Per Vincenzo Politino il pastello richiede grande concentrazione, nega gli esperimenti, lo si può ritoccare appena e non si ripassa sul lavora già sbozzato. E' una fase di transizione tra disegno e pittura. Quest'ultima permette il dialogo tra luce e colore dando come risultato l'immagine nell'interezza di forme e di rapporti tra elementi; il disegno è immediatezza espressiva. Probabilinente questo processo ricondurrà l'artista verso un dipingere legato ai suoi esordi informali.
Di Annalisa Civelli, da "Marco Goldin – Elogio del pastello – Line d'ombra editrice"; Mostra in Conegliano, palazzo Sarcinelli, 7 Febbraio 1999
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Vincenzo Politino è nato ad Avola (Siracusa) nel 1946.
Compie gli studi presso l'Istituto d'Arte di Siracusa, successivamente si diploma all'Accademia di Belle Arti di Firenze. Tra il 1977 e il 1978 frequenta i corsi alla Scuola Internazionale di Grafica a Venezia. Ha tenuto personali e partecipato a collettive presso diverse gallerie e istituzioni, a partire dal 1967 alla Galleria E. Caors di Marsiglia. Gli esordi dell'artista sono legati alla pittura informale con la realizzazione di protofigure ( Galleria Sansovino di Vittorio Veneto 1974). Lentamente questa pittura si trasforma in un iperealismo legato a soggetti riconducibili alla sua terra di origine. Tale periodo, definito dal pittore "citazionista", inserisce in uno scenario irreale decorazioni libertv, sconosciute, presenti in palazzi storici siciliani.Girasoli
Trasferitosi dalla Sicilia a Conegliano (Treviso), nel 1975 espone alla Gallerie la Radice di Belluno, il Tappeto di Conegliano (Treviso), concludendo l'anno con la partecipazione al Concorso Nazionale città di Fiume Veneto (Pordenone). Negli anni settanta numerose esposizioni segnano il percorso dell'artista, che alterna mostre in Sicilia, dove sono i paesaggi i protagonisti, con altre nel Triveneto, dove sono le farfalle il tema dominante: Galleria La Cave di Treviso, Galleria Serenissima di Gradisca d'Isonzo, Sala Comunale di Avola. Con il sopraggiungere degli anni ottanta, l'interesse di Politino si concentra sugli ulivi, sui muretti, sui capitelli scovati nei paesaggi siciliani. Questi temi vengono ulteriormente approfonditi e tradotti con le tecniche incisorie, senza trascurare però gli oli (esposti alla Galleria dello Scudo di Verona nel 1983 e alla Galleria d'Arte Ariele a Vicenza nel 1985). Negli anni novanta si concentra progressivamente prima su immagini oniriche come mezzo evocativo della memoria (Treviso, Casa dei Carraresi; Pordenone, Galleria Quadreria; Conegliano, Palazzo Da Collo, Cappella dell'Assunta, tutte mostre accomunate dallo stesso titolo, Voci dall'isola), tornando poi al dato oggettivo, con la volontà di continuare cambiando obiettivi.

Realtà, memoriaFiume Anapo, 1997
di Guido Giuffré


Quanto delle esperienze precedenti permane negli ultimi dipinti di Politino - e di ogni artista? Tutto, da un certo punto di vista. Quod factum... si diceva un tempo, ed è sempre vero. E se ciò che si fa è autentico, ci si fa in esso ed esso permane in noi. Da un altro punto di vista non sempre il lavoro di ieri è visibile in quello di oggi; esso può restare segreto, presupposto necessario ma non necessariamente riscontrabile. Enzo Politino ha lavorato molto; il suo linguaggio ha subìto elaborazioni notevoli ma non occorre risalirne il percorso - talmente le immagini odierne sono ricche di suggestioni: anche se suggestione è parola poco adatta perché sembra rimandare ad altro, suggerire appunto qualcosa d'altro, mentre qui si è piuttosto risucchiati dentro, avvinti all'interno travaglio.

Sottolineerei quest'ultimo punto: travaglio. Paesaggi, fiori, acque: immagini che parrebbero di tutto riposo. Ma il soggetto, si sa, non conta più di tanto. Che cosa direbbe il lavoro di Morandi (si passi l'esempio abusato, l'abuso non ne incrina la grandezza) se dovesse parlare soltanto per i soggetti? o quello di Morlotti? Qualche volta poi il soggetto conta di più, qualche volta di meno; in Monet ad esempio, soprattutto in certi anni, soggetto e linguaggio, visione poetica nel suo insieme, sono un unico inno al creato e alla vita. Era altra stagione, si obietterà; ma Turner molti decenni prima aveva già creato immagini superbe senza tener quasi conto di ciò che rappresentava: facendo tempesta dell'animo, non del cielo.Lago di Pradella n.2, 1997
Certi esempi non vengono a caso. Alcune tele di Politino (carte, ma il risultato non cambia; non si capisce perché spesso si tenga in così gran conto la diversità del supporto) sembrano riandare proprio a Monet. Qualche mimosa ricorda vagamente quella rifusione degli elementi, acqua terra cielo, che era delle tarde ninfee - canto del cigno della natura mentre dallo stesso Monet i Fauves avevano già tratto conseguenze estreme. Qualche altro dipinto (Paesaggio d'acqua) sembra invece ricordare quell'Adda a Imbersago dove alla metà degli anni cinquanta Morlotti tastava il polso all'informale.
Ecco, per Politino i due riferimenti andrebbero sovrapposti. Egli appartiene ora, nei modi suoi propri, a quell'ampio versante di pittori per i quali è irrinunciabile il rapporto con le cose, necessario un luogo riconoscibile di umana esperienza. Ma il mondo di Monet egli lo vede con l'introversa pena di Morlotti, con quel rovello esistenziale che il grande francese non fece in tempo a conoscere. Politino non ha (nessuno - statura a parte - può più avere) l'abbandono a quell'innocenza della natura, umanissima e mitica, viva e vera come mai prima- che fu dell'Impressionismo. Non è questione di condizioni storiche: intorno al 1870, quando nell'arte fioriva la primavera, la situazione della Francia non era proprio tranquilla. È la cultura troppo mutata perché al paesaggio si possa guardare con quegli occhi e quello spirito. Ai grappoli di glicine di Politino forse non sono estranei i papaveri di Monet, i sentieri che salgono fra l'erba di Renoir, i giardini di Fontenay; eppure al siciliano del Veneto più vicini sono in qualche modo il granturco, gli sterpi, l'Imbersago ridotto a poltiglia - in cui Morlotti rimestava, splendidamente, il suo rovello.

Spiaggia di Mare Vecchio, 1998Avola in provincia di Siracusa è più prossima a Noto, anzi ne è a un tiro di schioppo - ed è come si sa Sicilia superba. Politino è nato ad Avola, ha studiato a Firenze, vive da tempo a Conegliano. La natura del Veneto ha caratteri forti, forti di dolcezza, di cristallino nitore, di luci che in passato hanno toccato i vertici che sappiamo. Il nostro pittore li conosce bene, ma in lui altre radici sono ancora più profonde; non il barocco di Noto né il fascino di Ortigia, e forse neppure una luce frequentata ormai soltanto nella memoria. Le forre che in tanti suoi dipinti tagliano la piana, il verde cinerino dei salici lungo i canaloni sono tipici della regione in cui egli vive ora, ma quella sorta di travaglio della e nella pittura, quel suo tessuto faticato, raschiato - sono retaggio antico. Ed è singolare - in un paesaggio dal riconoscibile taglio veneto, così frequente in tanti pittori veneti - vedere qualcosa di imponderabile e pure determinante che veneto non e più.

Oggi come ieri, anche una luce - veneta, toscana, campana - rileva in quanto diventi cultura. Lo stendersi nei dipinti di Politino di verdi prati o pareti rocciose, i vasti cieli sui sentieri pausati d'ombre o il rigoglio delle stagioni, dicono anzitutto un'interna latente tensione. Nella malinconia c'è un allarme, nelle solitudini un'eco turbata, nell'incanto una passione muta, cocente, stupita- e il senso appena dolente di un tempo il cui scorrere è già memoria.

Guido Giuffré

 

IL VERDE DELL'ERBAAvola antica, 1999

di Marco Goldin
I
Fin da quando dipingeva antichi ulivi rigogliosi, abbarbicati alla terra arsa dell'estate in Sicilia, Politino manifestava un fortissimo desiderio di spazi, di luci, di azzurri, di verdi stringenti e tuttavia placati dentro la vastità inestinguibile dei confini. C'era, in quelle immagini, un senso di devozione alla terra, come riandare alla culla, alla sorgente, alla ragione prima dell'esistenza, al suo stesso motivo. Si poteva dire una pittura dell'anima, ma della storia dell'anima. Come se tutto quell'armamentario di natura fosse stato il culmine di una memoria prenatale, fiorita nel momento della nascita, e così forte da non aver più abbandonato gli occhi del pittore.

Perché altro non era che un fiorire perenne di ulivi, nuvole sfrangiate e scheggiate, statue sul limitare di un giardino che non era un giardino gozzaniano, ma il rigoglioso verdeggiare senza malinconia del grande cortile dell'infanzia. Così è sembrato che tutto il lavoro di Politino, fino a questa metà di decennio, fosse in misura particolare lo struggimento per una terra abbandonata, e poi ricercarne i segni, i confini smarriti nell'aria, l'azzurro tonante sopra la campagna di Avola, il pietrisco, i muretti a segnare le distanze. Qualcosa di intoccabile dentro il ricordo, perché la Sicilia solo andandoci, solo percorrendola, solo vivendola si può capire cosa significhi. Dunque la pittura è stata per un lungo tratto di strada soprattutto nostalgia, eppure mai angosciata e invece musicale, piena di grazia, viva nei suoi colori.

Alberi, 1998II

Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quel suo quaderno - poteva essere più o meno la fine degli anni ottanta- nel quale avrebbe potuto scrivere: << Vivo qui da molto tempo, poco per volta il ritorno mi è sempre più difficile. La lontananza mi sembra accresca l'amore e l'amore càpita si esprima meglio nella sofferenza degli spazi. No, non intendo qualcosa di doloroso, la mia pittura per il momento non ne è capace. È solo il senso della distanza, di tutto questo cielo che c'è tra il mio io di adesso e quello di prima. Non voglio più vedere, ma solo ricordare. Vedere sarebbe oggi una contemporaneità col passato e il tempo sta invece avvolto in un diverso mantello, e da questo voglio farmi fasciare. Così dipingo da questo studio la natura di Sicilia, più come un battito, un rintocco che come una visione. Oppure un vedere prolungato, che non è mai finito dal momento in cui è cominciato. Forse per questo non sento il bisogno di ritornare, di rimettermi in cammino per scendere al mare dalle strade del paese o inoltrarmi invece nella campagna arsa del principio dell'estate. Certo, non posso immaginare la bellezza senza sapere che quella terra esiste, che su quella terra sono passati gli dei, gli eroi.
Ho creduto talvolta che tutta quella bellezza mi mettesse perfino soggezione, e per questo avevo il bisogno di concepirla come un'assenza, o ancor meglio una distanza. Nello studio di una città lontana mi sentivo protetto, riparato, in qualche modo al sicuro. Ho scelto dunque di coltivare ancora e sempre il paesaggio di Sicilia come un'illusione, uno schianto attutito, la misura perfetta del ricordo>>.

III

Ma a un certo punto, proprio quando questa memoria siciliana poteva anche dare il senso di una certa stanchezza, nelle stanze dove Politino dipinge hanno cominciato a comparire quadri un po' eccentrici, sui quali pareva agire un sentimento nuovo della natura, come se un vento non prepotente, ma neppure lieve, fosse trascorso sui campi prima inzuccherati di quelle nuvole di cotone. Quadri che inizialmente si vedevano come un incidente nel percorso, magari nascosti sotto a molti altri perché non confondessero le idee. Ma poi era forte il desiderio di far loro risalire la china, per vederli non come irregolarità nel cammino e invece quale nuova strada maestra.Ai laghetti n.2, 1998
Si sa cosa succede in questi casi: il pittore è timoroso di far torto a collezionisti e gallerie, di fare improvvisamente apparire un volto nuovo, e chissà se ugualmente apprezzato. Allora, di solito, si percorre un doppio binario, finché non ci si senta così sicuri da imboccarne uno soltanto. Questo è accaduto a Politino, a partire dalla metà degli anni novanta. Dapprima in silenzio, quasi con un senso di fastidio per immagini che sorgevano diverse, forse non richieste, ma poi, certamente dal 1997, con la determinazione delle imprese che si sentono ormai definitivamente proprie. E allora il lavoro è fluito via senza più remore, nella consapevolezza che il paesaggio non era più coscienza dell'infanzia ma era diventato splendente, umidissimo risultato di una vera maturità.
Dunque sono cambiati gli angoli, la visuale s'è assottigliata, la natura ha perso la sua intonazione lievemente barocca che l'aveva fin qui caratterizzata. È come se d'incanto il pittore avesse sentito il bisogno di una parola più secca, perché la bellezza potesse diventare, infine, inestinguibile. Come se egli avesse deciso di concentrarsi sulla durata di un tempo sorto non più dalla visione, ma anche, e forse soprattutto, dallo stringersi delle ragioni del cuore. La natura ha cessato di essere invenzione e si è fatta straziato pulsare degli occhi. Il vedere è diventato subito esperienza.

IV

Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quell'altro suo quaderno - dovrebbe essere più o meno di questi giorni - nel quale la conclusione potrebbe suonare circa così: << Chissà perché, giunto questo momento della vita, non c'è stata più la possibilità di andare al passato come a una fonte benedetta, e ho dovuto rischiare ricominciando tutto dal principio, come non avessi mai dipinto niente prima. Che sensazione strana, essere senza storia, senza infanzia, senza un padre e una madre, senza le foto ricordo da potere, se non vedere, almeno, appunto, ricordare. E invece prendere in mano tutto questo verde spalmato sui fogli, spargerlo a piene mani senza paura e dipingere prati, declivi, colline, laghi cosparsi di bianche foglie sorgenti. E poi prendere un po' di giallo, metterlo sulla carta per dei girasoli contorti, straziati, che a me paiono dolcissimi, il segno stesso della vita. Ecco, se c'è una cosa che adesso mi sembra, è che ho incontrato la vita dal suo lato più vero, quello che se ti prende un colpo di vento non c'è nessuna finzione che ti può riparare. Ho pensato di dipingere la natura così, senza riposo, senza protezione, come un silenzio che crepita e gorgoglia>>.

ENZO POLITINO
Via Borlini 27 - 31015 Conegliano Veneto
tel 0438 32243

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