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Mercoledì 14 dicembre è morto
all'età di 98 anni e due giorni
George Whitman
Ha continuato a leggere ogni giorno, fino all'ultimo,
con la compagnia della figlia Sylvia, del cane, del gatto e degli amici.
La sua libreria «Shakespeare and Company»
ha ospitato nei decenni Lawrence Ferlinghetti e gli altri protagonisti della Beat Generation,
ma soprattutto decine di ragazzi e di ragazze disposti a dare una mano in negozio
e a leggere un libro al giorno - così vuole la leggenda - in cambio di un materasso su,
al terzo piano della piccola comune, al n. 37 rue de la Bûcherie a Parigi
Già in passato sentii spesso parlare di lui,
a lui mi paragonò, e di lui scrisse il mio amico scrittore Giovanni Stella
Quel che segue è appunto alle pagine 39-40-41-42 del suo libro
“Il rigattiere
e l’avventore” (Libreria Editrice Urso, Avola 2002)
Francesco Urso
Shakespeare and
Company
di Giovanni Stella
Un caldo insolito e un soleil
de nuit, per usare il titolo felice di un libro
di versi di Prévert,
accarezzano le giornate parigine di metà febbraio.
Persino un quotidiano titola in piena prima pagina "L'estate d'inverno a
Parigi".
Al Quai de Malaquais, tanto
caro a Sciascia che vi frequentava le librerie antiquarie, les bouquinistes, sul lungosenna,
imperturbabili come sempre, osservano i passanti, offrono ascolto ai curiosi,
suggeriscono gli acquisti di libri, stampe, riviste.
Notre Dame si erge maestosa nell'Ile,
quasi a fare da cuore pulsante del centro della ville lumière.
A lato, sempre sulla rive
gauche, al 37 di me de la Bûcherie la
libreria Shakespeare and Company è
immarcescibile. Non si capisce se la facciata è come la foto di tanti anni fa,
oppure è la foto che riproduce intatta la facciata della libreria ora come
allora.
Nello spiazzale antistante
ampi scatoloni contengono libri usati, alla rinfusa, offerti al pubblico a
prezzi stracciati.
La porta d'ingresso è aperta; mi accade di strisciarla appena: scricchiola e mi
fa venire addosso i libri allocati alla maniera della
libreria di Ciccio Urso.
Li raccolgo e non senza fatica li ripongo ai loro posti di attesa.
È ancora là dietro il tavolinetto, seduto sulla sedia, George Whitman. Ancora
come tanti anni fa, quando gli consegnai il mio primo volumetto di poesie Miraggi e lui si affrettò a chiamare un
ragazzo con una cinepresa per farmi un'intervista.
"Voi siete italiano e poeta", mi aveva detto allora, vedendomi osservare
gli scaffali che da terra al soffitto contengono libri in larga parte di lingua
inglese.
"Come avete fatto a capirlo?" avevo chiesto. "Italiano, da come
siete vestito".
"E poeta?"
"Sono vecchio ... " aveva esclamato, portando l'indice della mano destra
sulla palpebra inferiore di un occhio.
Ora è ancora nelle stesse condizioni o quasi, con una più acuita sordità.
Comunque è meglio vestito. Al posto delle calze con grossi buchi e pantaloni
stracciati indossa un paio di calzoni in velluto con calze in cotone e un
maglione privo di buchi ma pieno di macchie.
Gli chiedo se ha ricevuto il volumetto Datteri
verdi, che porta una poesia sulla libreria.
"Quando l'avete inviato?", mi chiede. "Alcuni anni fa",
rispondo.
"No, no, non ricordo di averlo ricevuto; per noi è molto importante una
poesia o uno scritto sulla libreria".
Mi invita a un rendez-vous per il dì seguente alle ore 16, al piano superiore della libreria, per un
salotto letterario. Accetto.
Mostro a mia figlia Cetty la libreria.
Una ripida scaletta in legno conduce al piano
rialzato.
Anche lì libri ovunque e anche due lettini, un tavolo, quattro sedie e una
vecchia macchina da scrivere Remington,
che gli ospiti possono utilizzare: c'è un ragazzo di colore, studente della
Sorbona, che sta dattiloscrivendo una tesina.
Un frigorifero come quelli di cui ho ricordo da bambino, un lavello in acciaio, un cucinino…
Cetty osserva e commenta sbalordita.
Alle 16,30 del giorno appresso mi presento in libreria.
Il vecchio, vedendomi fra gli avventori, mi fa cenno con la mano.
Prega un signore di scattarci una foto con la mia macchina fotografica, poi mi
apre il portone accanto, verde, e m'invita a salire al primo piano.
Nell'ingresso c'è tanta posta per terra e una bicicletta appoggiata sotto la buca
delle lettere. Una larga scala mi conduce al piano superiore.
La stanza, che ha la finestra che sporge su Notre Dame, è stracolma di libri; ci sono anche un tavolo, tre sedie e due sofà.
Talune carpette contengono scritti sulla libreria, foto e interviste, tutto
materiale d'archivio.
Una quindicina di strani personaggi sostano chi seduto, chi sdraiato, chi in
piedi; alcuni sorseggiano un po' di tè preparato nel cucino, in un recipiente
di rame e versato in bicchieri di plastica del tipo usa e getta, deformati dal
troppo uso.
Le lingue che sento parlare sono prevalentemente inglese e tedesco, ma mi
accorgo anche di una coppia di giapponesi. Tutta gente con in mano un libro, una rivista o che affronta un argomento letterario.
A loro confronto Whitman, che non brilla certo per eleganza, sembra alla moda.
Mi sento a disagio, ma prima l'indifferenza, poi la tiepida cordialità dei
presenti mi induce a restare e a recitare la parte
della comparsa o se si vuole, di un voyeur in quello strano salotto letterario.
Ognuno avrà avuto le proprie buone ragioni per interloquire con gli altri: ho
la vaga impressione di trovarmi in uno di quei locali dove, al tempo degli hippies, i figli dei fiori, si discuteva di amore e non di
guerra.
Il tramonto s'approssima. Scendo giù, mi avvicino a
Whitman e, ringraziandolo, gli comunico che gli manderò una fotocopia della
poesia e la foto scattata prima.
Mi stringe forte la mano, dicendomi ad alta voce "Molte grazie, signore
... " .
Mi reimmergo nell'aria di
Parigi. Senza voltarmi, comincio a percorrere il lungosenna, incrocio un via
vai di gente, ma non la vedo: ripenso a quell’uomo canuto, con le palpebre rosse, un solo dente
nell’arcata gengivaria inferiore, un maglione sporco,
ma con un cuore generoso e pulito. |
Davide Scamporlino
Ciò che un cuore, in continuo andare, sente di dire
2011, 8°, pp. 56,
€ 9,00
ISBN 978-88-96071-41-0
È il messaggio di un giovane, che tende la mano al mondo dei “grandi”, a volte superficiali, testardi, autoritari, incosapevoli del tesoro che si nasconde nei mendri più profondi della psiche giovanile, incapaci di tendere loro la mano impegnati, come sono, a mantenere machiavellicamente ricchezza e potere.
Maria Concetta Iacono
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Dal 15 novembre 2011 in libreria
Benito Marziano
Randagi - Sei racconti
2011, 8°, pp. 88
Collana Mneme n. 35
ISBN 978-88-96071-52-6
€ 10,00
DALLA PREFAZIONE
Perché “randagi”? Si tratta di cani? No... Non proprio. Si sarebbe potuto scegliere allora tra tanti altri aggettivi, per così dire, meno equivoci: derelitti, emarginati, vagabondi, erranti, solitari. Benito, tra tutti, ha scelto, come titolo della sua ultima raccolta di sei racconti, “Randagi”. Quasi a indicare che tra l’uomo e il cane non c’è solo un rapporto di amicizia e di fedeltà, ma anche un’inconfessabile condizione esistenziale di prossimità: il rischio incombente dell’abbandono.
I randagi sono randagi, possiamo dire, riprendendo l’adagio del cinico Antistene, che esprimeva tutta la sua filosofia riduzionista nel concetto “l’uomo è l’uomo”. Nel nostro caso, non può esaurire il concetto nessun altro aggettivo che non sia, appunto, randagi. Perché i vagabondi, i derelitti, gli emarginati, non sono tali se non sono stati in qualche modo abbandonati, allontanati dal loro mondo. Da qualcuno, da qualcosa. Come quei dieci pianeti che Takahiro Sumi dell’Università di Osaka ha recentemente scoperto nella Via Lattea, vaganti per la Galassia perché espulsi dalla stella di riferimento. Non a caso, definiti mondi “orfani” o “vagabondi”. E si avvalora di ora in ora l’ipotesi che ce ne siano molti di più di dieci, addirittura miliardi.
Benito li avrebbe chiamati randagi. Per sottolineare che al fondo di ogni vita solitaria e emarginata c’è un colpevole abbandono...
Orazio Parisi |
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IN LIBRERIA DA MARTEDI' 1 novembre 2011
Salvatrice Catinello
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
a cura di Roberta Malignaggi
2011, 8°, pp. 120
€ 14,00
Collana OPERA PRIMA n. 27
ISBN 978-88-96071-48-9
Salvatrice Catinello è la madre di un tossicodipendente
«L'indifferenza più della droga»
«Claudio aveva un tumore, ma in carcere e in ospedale lo liquidavano con poche parole» |
SABATO 17 DICEMBRE 2011 DALLE 18,00
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ROBERTA COFFA
Ex Refettorio dei Domenicani, Via Mazzini n. 38 AVOLA
Roberta Coffa
Esiste il diritto di morire?
2011, 8°, pp. 112
€ 15,00 - Collana ASSAGGI n. 1
ISBN 978-88-96071-47-2
Bioetica, diritto, religione, morale, politica. Questi i campi toccati dalla giovane scrittrice, che affronta scottanti argomenti quale quelli del cosiddetto ‘testamento biologico’ e dell’eutanasia, temi della difficile discussione politica attuale, divisa fra laici e cattolici. Al centro, l’opinione pubblica, “sempre più sondata e sempre meno informata”. E’ possibile ricostituire un dialogo tra le parti che tenga conto dei diversi, e molto spesso confliggenti, interessi in gioco? L’autrice ripercorre, tentando di ritrovarne una base giuridica ed etica, i numerosi interrogativi che, a tutt’oggi, non trovano ancora una risposta soddisfacente: esiste o no il diritto di morire con dignità? Esiste o no il diritto di rifiutare le cure non desiderate? Quali sono, e se ci sono, i confini fra diritto ed etica, fra libertà personale e paternalismo medico? E’ giusto o no che la Chiesa intervenga nel dibattito politico circa le scelte di fine vita? E qual è il ruolo dello Stato italiano dinanzi a tutto questo? Dalla questione squisitamente giuridica ad una discussione etica e culturale, per riflettere su temi estremamente delicati quali quelli della vita e delle morte.
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