Avola: la Storia
Novità del mese Offerte del mese Acquista Benvenuti sul sito della Libreria Editrice Urso, dal 1975 un angolo di cultura ad Avola. per informazioni

IL 2 NOVEMBRE 2015 È MORTO GIUSEPPE PIGNATELLO


fotoGiuseppe Pignatello fu coraggioso studioso della complessità della storia di Avola.
Tramite le sue ricerche a cominciare dagli anni Settanta cominciammo ad aver conferma, dopo il prof. Salvatore Ciancio, e nonostante i falsi intellettuali di piazza, dell'articolata storia di questa nostra città, sfortunata per quel che riguarda i suoi amministratori e per tutti i suoi diplomati e laureati quasi analfabeti.
A differenza degli altri che scrivono libri, spesso esageratamente narcisistici ed egocentrici, Pignatello fu generosissimo nel regalarci i risultati dei suoi studi, e nel mentre lo capivamo, lui consegnava ai posteri informazioni minute, soprattutto nel libro "Avola dalla preistoria al Duemila".
In quelle pagine trovammo le notizie più particolari, tra cui gradimmo molto notizie sulla Libreria Editrice Urso, su Michele Urso, maestro scalpellino, su "Avola in laboratorio", su "Acquanuvena" e su tanto altro...
Che dire?
Il presente non è straordinario, e perdere risorse non è confortante...
I venticinque "manzoniani" lettori di questa pagina capiranno quanto sia grave quel che ci sta accadendo, e condivideranno, vogliamo sperare, la rabbia che viene a non vedere all'orizzonte nulla di straordinario.

 

 

Giuseppe Pignatello
Avola dalla preistoria al Duemila
2007, 8°, pp. 784, ill.
€ 26,00acquista

DA Salvatore Martorana, ITINERARI STORICI AVOLESI, Avola 1991

1. - PERIODO PRE-GRECO

La storia del Comune di Avola ha inizio nel periodo preistorico; secondo Francesco Di Maria la città fu fondata dai Sicani nei primi anni del XVII secolo a.C. ed è la mitica Ibla che, per l'ampiezza del territorio, lo sviluppo civile, la floridezza economica, l'antichità delle origini meritò l'appellativo di Maior, con cui la si volle distinguere dalle altre tre o quattro cittadine omonime che, in tempi successivi, furono fondate in altri luoghi della Sicilia e vengono ricordate da autorevoli scrittori antichi a proposito di eventi storici di notevole importanza. Sulla identificazione di Ibla di età preistorica, greca e romana con Avola Antica hanno scritto, diffusamente e con appassionata convinzione, lo stesso Di Maria, nella sua seconda opera scritta per dimostrare alla luce dei fatti storici la sua convinzione, e, a distanza di moltissimi anni, un altro avolese, Corrado Caldarella Tiberio; noi non abbiamo la stessa loro certezza sulla identificazione di Ibla con Avola Antica perché non abbiamo trovato chiare indicazioni nelle fonti antiche. Bisogna, d'altronde, dire che le fonti medievali e moderne identificano in Avola Antica la discendente della sicana Ibla, per cui il Di Maria e il Caldarella Tiberio, come i loro seguaci, non azzardano ipotesi inverosimili.

È fuor di dubbio che l'altopiano ibleo, comprendente la vasta area collinare dell'attuale Avola Antica, fu intensamente abitato a partire dalla Media Età del Bronzo (XV secolo a.C.), quando la Sicilia era ancora abitata dai Sicani; questo viene confermato dai reperti archeologici venuti alla luce talora occasionalmente o a séguito di scavi esplorativi condotti, però, senza sistematica continuità, nell'arco di un secolo o poco più. La calata dei Siculi nella nostra isola dal Continente–avvenuta almeno in due fasi, di cui la prima nel 1270 e la seconda ed ultima nel 1050–interessò anche la nostra zona montana in cui si insediarono i nuovi invasori; tale insediamento è attestato dai circa quaranta sepolcri, ancora visibili nella roccia del Cozzo Tirone, risalenti ai secoli X-VIII a.C., a ridosso, cioè, della prima colonizzazione greca che avvenne nel 750, circa, a.C. A quest'ultimo periodo risale il materiale ricavato dalla ripulitura di tombe rinvenute nel Cozzo Tirone e nel vallone Ronchetto-Pisciarello, di cui uno dei documenti è l'anfora riportata nella figura 1.Anfora a decorazione geometrica

Sulla base della documentazione archeologica alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che il centro urbano sorto nella zona collinare di Avola Antica - che, d'ora in poi, per comodità se non per convinzione, chiameremo Ibla – fu abbastanza fiorente in epoca protostorica, grazie alla felice disposizione topografica in cui è situato: esso, infatti, è protetto da tre valloni che costituiscono invalicabili difese naturali da incursioni provenienti dal mare ed è a breve distanza dalla costa. Per questa invidiabile posizione geografica Ibla fu così stazione appetibile a viaggiatori d'oltremare talché è lecito immaginare–ed è suggestiva ipotesi – che essa sia stata un centro di primaria importanza commerciale per i manufatti degl'indigeni dell'entroterra ibleo e per le merci provenienti dall'Oriente, portatevi, molto probabilmente, dai Fenici, la cui presenza nella nostra zona pare che si possa fare risalire alla seconda metà dell'XI secolo a.C.; si aggiunge che, in epoca antecedente, il flusso commerciale miceneo aveva potuto interessare anche Ibla, come aveva interessato la penisoletta di Magnisi e altri punti della costa orientale siciliana.

2. PERIODO GRECO 800-300 a.C

Non è, dunque, peregrino congetturare che, già all'arrivo dei Greci sulla costa orientale siciliana, Ibla avesse raggiunto un florido stato economico e che per qualche tempo ancora lo abbia mantenuto. Alla sicurezza economica si sarebbe accompagnata la sicurezza dei confini, garantiti dalle difese naturali, come abbiamo sopra detto. È, forse, a questi due aspetti che il Di Maria, sulla scorta delle sue fonti, fa risalire i privilegi di cui avrebbe goduto Ibla al tempo di Ducezio, re dei Siculi. Questi, si sa, aveva tentato di organizzare la rivolta delle città sicule contro le colonie greche che erano state dedotte sulle fasce costiere meridionale ed orientale della Sicilia; a tal fine aveva riunito le genti sicule in una sorta di confederazione e a ciascuna delle città confederate aveva imposto un tributo.
Ibla–è sempre il Di Maria a narrarlo–sarebbe stata esonerata dal pagare il tributo, cosa che non ci deve meravigliare considerando a quali e quanti pericoli essa si sarebbe esposta a dichiararsi apertamente nemica di una città vicina e potente come Siracusa, con cui doveva, certo, mantenere rapporti di natura commerciale. Di questi rapporti, sono, forse, testi i numerosi tesoretti monetali rinvenuti nel territorio avolese, tra i quali spicca per importanza quello ritrovato nel 1914 in contrada Mammanelli e di cui diede notizia nel 1917 Paolo Orsi. In un vaso fittile grezzo erano contenute trecento o quattrocento monete d'oro emesse dalla fine del V fino alla metà del IV secolo a.C.; molte monete erano state coniate per celebrare un felice evento che l'Orsi pensò potesse essere la vittoria riportata sugli Ateniesi da parte delle forze alleate dei Siracusani e degli Spartani nella seconda fase della guerra del Peloponneso, che si concluse, nel Settembre del 413 a.C., nelle nostre contrade. A questa battaglia riporta anche il tesoretto di duemila monete, di cui diede notizia lo stesso archeologo nel 1891, avanzando l'ipotesi che fosse il tesoro dell'esercito ateniese in fuga, che se ne disfece per potere procedere speditamente. Ecco, molto sinteticamente, le drammatiche fasi della disfatta ateniese, come si leggono in Tucidide4: al comando di Nicia, uno dei due generali ateniesi, l'esercito, superata la difesa siracusana al guado del fiume Cassibile, invece che risalire il fiume lungo la Cava Grande, si diresse verso l'Erineo, in territorio neutrale se non amico. Accampatosi su una collina al di là del fiume, si rimise in marcia a due giorni dall'arrivo, dirigendosi verso l'Asinaro, laddove termina il fiume, in contrada Falconara. Fu proprio qui che avvenne la strage dell'esercito ateniese perché i soldati, stanchi ed assetati, sfiancati dalla calura del nostro Settembre, si precipitarono disordinatamente a bere offrendosi come insperato, facile bersaglio al nemico. I morti furono migliaia mentre i superstiti, in numero di 7000, si arresero e finirono i loro giorni nelle latomie siracusane. In quegli stessi anni, lungo il litorale avolese, nella località che oggi chiamiamo Falari, i Siracusani fondavano una cittadina, di nome Talaria, con l'intento, certo, di farne un avamposto difensivo. Già il Di Maria riferiva che esistevano ai suoi tempi "nello Scaro volgarmente detto, Faudale, evidenti segni di antichità" ma non fa cenno alla cittadina di Talaria, che è menzionata da Stefano di Bisanzio e i cui abitanti sono citati da Plinio il Vecchio.

3. PERIODO ROMANO 300 A.C. - 476 d.C.

Relativamente a questo periodo non si hanno notizie storiche di sicura attendibilità intorno ad Avola o ad Ibla. Al di là del nome non sappiamo nulla neppure di Talaria. Dal Di Maria apprendiamo che Ibla passò ai Cartaginesi una volta che Marcello, il vincitore di Siracusa nel 210, partì dalla Sícilia per Roma, e che il pretore Marco Cornelio la ricondusse sotto la dominazione romana. Riportiamo queste notizie per averle lette, ma non perché le riteniamo credibili, mancando il riscontro nella storiografia accreditata. Tuttavia, se mancano documenti storiografici, non si può pensare che non ci sia stata forma di vita in luoghi già intensamente abitati e così vicini ad una grande potenza come Siracusa. In tal senso ci viene incontro l'archeologia con il suo ínequivocabile linguaggio. Nel 1954 furono ritrovate in contrada Borgellusa tre statuette -Demetra, Kore ed Heracles - della fine del III o dell'inízio del II secolo a.C.; nello stesso anno fu individuata una costruzione romana del I secolo a.C.; procedendo lungo il litorale avolese, è stato ritrovato in contrada Piccìo un complesso agricolo industriale di questo stesso periodo. Si dice oggi che lungo il litorale da Falari a Calabernardo(La Balata) siano disseminate un numero imprecisato di ville di epoca romana; si tramanda pure che proprio a Falari si siano trovate, in epoca remota, monete greche ed altre dei tempi degli imperatori romani Nerva e Gordiano Pio. Arriviamo così, seguendo i rinvenimenti dell'epoca imperiale, agli anni della diffusione del Cristianesimo: allora sarebbe approdato sul litorale di Avola l'apostolo Paolo che, per dissetarsi, avrebbe fatto sorgere un pozzo di acqua fresca; qui tutte le bisce che bevono, morirebbero. Negli stessi anni, esattamente nel 143 d. C., sarebbe arrivata ad Avola la nostra santa patrona, S. Venera, che si sarebbe rifugiata nella grotta che da lei prende il nome ad Avola Antica. Sono leggende che riportiamo per documentare quanto ricco sia il patrimonio popolare.

Ristabilire un po' di verità su eventi storici messi in ombra dalla storiografia ufficiale del nostro Risorgimento siciliano (In questa circostanza i liberali dell'isola furono responsabili di rivolte ingiustificate e di assassini di innocenti) è stato l'obiettivo dell'incontro di "Avola in laboratorio" di Mercoledì 25 giugno 2003, alle 20,30, presso il Ristorante Pizzeria "Rustico" dei f.lli Di Maria in Via S. Lucia ad Avola. Quella che segue è la traccia usata per la discussione tra amici, con la pizza, la birra e tanta ottima compagnia.

I Moti del 1837 ad Avola e nel Val di Siracusa


Il colera apparve la prima volta in Europa nel 1823, in Italia nel 1832 e in Sicilia nel 1837, provocando un altissimo numero di vittime. Alcuni sintomi di questa malattia somigliano moltissimo a quelli causati dall’assunzione di veleno.
Già nel 1832 i liberali di Parigi, al manifestarsi dei primi sintomi dell’epidemia, facendo leva sulla paura e sull’ignoranza delle masse, accusarono il governo di volere avvelenare la popolazione, che si sollevò violentemente. L’idea purtroppo fu ripresa dai liberali siciliani quando, nell’estate del 1837, il colera si manifestò nell’isola. La calunnia, che avrebbe dovuto sollevare la Sicilia contro i Borboni, scatenò una serie di feroci cacce agli untori, provocando il massacro di molti innocenti. Spesso i liberali non riuscirono a controllare la furia popolare che essi stessi avevano eccitato.
L’insurrezione doveva iniziare a Palermo il 15 luglio. Nella confusione generale saltarono tutti i collegamenti tra i vari comitati rivoluzionari dell’isola.
I liberali siracusani decisero ugualmente di agire e, il 18, si ebbero le prime esecuzioni sommarie di funzionari borbonici e presunti avvelenatori. Contemporaneamente si sollevò Floridia, dove si registrarono altri feroci massacri.
Noto si mantenne fedele ai Borboni, bloccando di fatto l’insurrezione nel suo territorio. Tale circostanza probabilmente spinse i liberali siracusani a cercare nuove soluzioni per rilanciare la sommossa. Il 21 stamparono un manifesto che annunciava la scoperta di un complotto di avvelenatori e diedero inizio ad un processo che avrebbe dovuto confermare l’esistenza del complotto. La caccia ai fantasmi diede risultati sconcertanti. All’arrivo del manifesto molti liberali ruppero gli indugi, suscitando vari tumulti in diversi comuni dell’isola.
Avola si sollevò il 23. I tumulti furono brevi ma violenti. I capi, rendendosi probabilmente conto di rischiare di perdere il controllo della situazione, in un paio di giorni ristabilirono l’ordine.
Il 24 si sollevò Catania.
Il 2 agosto sbarcò a Reggio Calabria, con 4000 soldati, il marchese Delcarretto, inviato dal re Ferdinando II, con pieni poteri, a domare una rivolta che si stava propagando anche fuori della Sicilia.
La notizia aumentò, se possibile, la confusione che già regnava fra i capi della rivolta. A Catania, dove era stata proclamata l’indipendenza da Napoli, il 3 agosto una controrivoluzione liberò i borbonici e imprigionò alcuni capi liberali. Si registrarono un po’ dappertutto dei clamorosi voltafaccia.
A Siracusa e in altri comuni furono ancora massacrati parecchi innocenti fino al 7 agosto. Lo stesso giorno Delcarretto sbarcò a Catania e il 10 a Siracusa, installando delle corti marziali. I processi si svolsero inizialmente in modo piuttosto sommario. Dopo appena due giorni di dibattimento, il 18 agosto, si registrarono le prime fucilazioni che, partendo da Siracusa, si allargarono ad altri comuni.
La città aretusea, già il 13 agosto, era stata punita con la perdita del capoluogo, che era stato trasferito a Noto.
I fucilati furono in tutto un centinaio. Migliaia di persone furono arrestate e processate.
Ad Avola si ebbero più di duecento arrestati, 143 dei quali subirono uno o più processi. Il colera, esauritosi nel novembre 1837, mieté in Sicilia 70.000 vittime su poco meno di due milioni di abitanti.
Questi morti non potevano essere evitati, anche se il loro numero si sarebbe sicuramente ridotto gestendo la grave emergenza in modo onesto e razionale. Se ciò fosse avvenuto si sarebbero sicuramente risparmiati i morti e le sofferenze provocati dalla reazione borbonica, ma anche le centinaia di vittime innocenti, spesso anonime, provocate più o meno involontariamente dai liberali.
Forse per quest’ultima considerazione la storiografia risorgimentale ha preferito mantenere in ombra i disgraziati moti del ’37, a volte distorcendo la verità, altre volte minimizzandone la portata. Le conseguenze, al contrario, furono di notevole rilevanza. Infatti la calunnia liberale, con tutto ciò che ne seguì, finì col suscitare un odio incolmabile tra i siciliani e il loro incolpevole re.


Silvano C. Appolloni


BertinottiAvola 2 dicembre 1968, di Liliana Calabrese
Canzone cantata da Liliana Calabrese all'incontro promosso il 2 dicembre 2014 dalla Consulta Giovanile di Avola e organizzato dalla Libreria Editrice Urso di Avola e dall'Anpi, dove poeti, musicisti, testimoni dei fatti e sindacalisti si sono incontrati al Centro Giovanile di Avola in Via Mattarella a quarantasei anni da quell'avvenimento importante in Italia per tutto il movimento operaio. La canzone fa riferimento ai fatti di Avola (SR) del 2 dicembre 1968, dove durante una manifestazione di braccianti in sciopero per il rinnovo del contratto, la polizia sparò contro i manifestanti facendo due morti e numerosi feriti.

Due dicembre, giorno bianco
per la gente in ufficio
e che si vede passare
solite carte e fatture.
Due dicembre, giorno bianco
per mia madre in cucina,
che cantando prepara
il pranzo e la cena.

Due dicembre, giorno nero
per la gente che è stanca
e che scende nelle strade
perché vuole un po’ di pane.
Due dicembre, giorno nero,
da finire al cimitero,
da finirci, assassinati
da quei servi mal pagati.

Ma si sa, si sa che,
ma si sa, si sa che
loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.
Loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.

Due dicembre, giorno bianco
per mio padre, che è sereno:
oramai è assicurato,
ogni mese paga lo Stato.
Due dicembre, giorno bianco
per la gente che è tranquilla
e che approva con la testa
quello che scrive la stampa.

Due dicembre, giorno nero
per chi cerca una risposta,
per chi agisce e più non parla
e si difende come può.
Due dicembre, giorno nero
per chi chiede un aumento
e la risposta è solo una,
la risposta è di violenza.

Due dicembre, giorno nero,
da finire al cimitero,
da finirci, assassinati
da quei servi mal pagati.

Ma si sa, si sa che,
ma si sa, si sa che
loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.
Loro vengon coi fucili,
loro vengono coi mitra,
loro vengono in cento,
mai che siano da soli.

 

 

 

san sebastianoS. SEBASTIANO M.

Nell'antica Avola S. Sebastiano aveva un culto, tanto vero che mi risulta che fra le tante chiese, ve ne era una fondata circa il 1449 dai signori padroni dedicata al bimartire.

Nella odierna città gli fu dedicata una chiesuola posta nella piazza maggiore; ma fu nella seconda mettà del secolo scorso che la festa ebbe un incremento straordinario sì da gareggiare con quella di S. Venera, per lo interessamento del macellaio Lanteri e il lustrascarpe napoletano Francesco ... Certo i macellai sono una classe denarosa e perciò la festa riusciva solenne. Alla parte finanziaria provvedevano il largo contributo dei macellai, i salvadenai presso i negozi, i non pochi doni dei devoti, le raccolte della questua. E la festa si svolgeva in questo modo:

La vigilia (secondo sabato del mese) la musica percorreva le vie principali della città; la chiesa madre, dove fu posta la statua del Santo dopo l'abbattimento della chiesuola omonima e sul cui suolo fu edificato l'edifizio delle scuole elementari dette di S. Sebastiano, veniva riccamente adornata di festoni multicolori che coprivano gli archi della navata centrale ed altresì l'altare maggiore, sul quale saliva la statua durante il solenne vespro, mentre la banda cittadina intonava parecchie marce e fuori sparavano maschetti e bombe.
Qualche volta c'erano corse di cavalli; concerti musicali in piazza, illuminazione come per S. Venera, lancio di palloni e fuochi artificiali.

L'indomani all'alba avevano luogo i cursi re nuri; cioè molti fedeli del basso ceto avendo fatto il voto di correre ignudi per impetrare una grazia o per rendere l'omaggio al Santo per averla ottenuta, si concentravano alla marina d'Avola o a Chiuse di Carlo (distanti oltre un chilometro e mezzo dalla città) e di là a centinaia, nudi con semplici mutandini alla vita e con mazzi di fiori in mano, correvano gridando Viva Sammastianu!! fino a che giungevano ai piedi dell'altare, ove deponevano i fiori. Nella sacrestia attendevano i parenti con gli abiti perché i fedeli si vestissero subito.

Era un episodio barbaro, se vogliamo, ma assal commovente.

La messa cantata si celebrava con l'intervento della musica, scampanio solenne e sparo di mortaretti e maschetti.

Verso le ore 14 usciva il Santo con una lunga processione, clero e musica e percorreva le vie principali del paese. Una tradizione speciale era quella che dai balconi si gettavano sulla popolazione fiori e cuddureddi cioè piccole formette rotonde di pasta di farina a cui si attaccavano dei nastrini rossi e cilestrini.

Notevole era la gara di ragazzi ed adulti per afferrarne qualcuna che ritenevano benedetta e atta a preservare dalle malattie di gola sopratutto. Ricca la raccolta degli oboli in oro che venivano attaccati alle membra ignude della statua.

Dopo un lungo giro il Santo rientrava a sera inoltrata, dopo di che avevano luogo l'illuminazione nella piazza maggiore, i concerti musicali spesso con intervento di qualche musica forestiera, lancio di palloni e alla fine un ottimo fuoco d'artifizio.


Gaetano Gubernale in “Avola festaiola”

 


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29/12/2003 Foto ricordo incontro Avolesi.it


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