Oggi 4 luglio 2009 l'amico Nunzio Bruno ci ha lasciati
04-07-2009 inserito da ciccio; categoria Obituario. Obituario

Con Antonio CaldarellaCOSI' E' SE VI PARE ( O meglio, adesso, cosi' era, se vi pare)


L'orgoglio di essere siciliano




S'agita, s'accalora, urla. Abbassa il tono della voce per rialzano subito dopo. Tra lo spiazzo - al quale s'accede, alla fine del viale d'ingresso, passando sotto le aste incrociate (come le forche caudine) di due antichi carretti - e le stanze riservate al Museo degli antichi arnesi della civilta' contadina e artigiana di Sicilia, lui si lascia andare in un monologo che ci inchioda tutti ad ascoltarlo in un silenzio quasi religioso. Del resto ce n'e' tutta l'atmosfera. Siamo circondati dalle panche di legno, assai simili a quelle delle chiese di campagna, che guardano verso il tavolo, rivestito di un panno penzolante ai quattro lati, e ornato con fiori, depliant della cerimonia e sorvegliato da un retrostante pannello portante oggetti di culto del museo.

Dietro quel tavolo in taluni ci siamo alternati, come celebranti di un rito laico, a parlare di cucina, di tradizioni popolari e di cose di quella Sicilia che lentamente scompare e che lui - come fa il barcarolo che tenta di salvare il naufrago tirandolo per i capelli fuori dall'acqua che l'inghiotte, col rischio di andargli appresso - tenta disperatamente di riportare in superficie dagli abissi di una memoria distratta, smemorata, svogliata, che rischia di consegnare tutto all'oblio.

Lui, chi? Ma naturalmente Nunzio Bruno, che in questo San Giuseppe del Duemila ha rispolverato la minestra che porta il nome del Santo e che un tempo, quando gli uomini avevano meno soldi ma piu' cuore, s'era soliti donare ai poveri in segno di carita', di affetto, di solidarieta'. Una scodella di minestra a base di legumi, verdure e riso per una carezza d'amore verso i deboli, gli umili, i diseredati, che poi forse sono - e sono sempre stati - gli uomini piu' forti, quelli che, avendo piu' tempo a disposizione per pensare e meditare, piu' e meglio degli altri si sono interrogati sulla condizione umana e sui tanti perche' di questo veloce passaggio terreno.

Insomma un atto d'amore di uomini ricchi verso altri uomini apparentemente poveri, ma in realta' forse anche piu' ricchi dei donatori.







Presentazione di Presentazione
di "Il rigattiere e l'avventore" presso la Villa Museo di Nunzio Bruno
in Contrada Monasteri a Floridia. Da sinistra verso destra Nunzio Bruno,
Francesco Urso, Salvatore Salemi, Giovanni Stella e Antonio Caldarella.

E lui, Nunzio, ha deciso quest'anno di invertire l'ordine.

Rispolverata la ricetta del piatto, lui, all'apparenza povero, ha voluto far dono della minestra alle persone ''d'elite'', con cio' dimostrando qual e' la vera ricchezza e dove e' allogata.

Ha ricevuto i suoi ospiti (il termine e' improprio, poiche' sono tutti amici suoi, vecchi e nuovi), con l'abbigliamento piu' consono alla circostanza, quello che lo fa apparire se stesso, senza ipocriti formalismi di facciata. La sua camicia, un tempo, era a quadri rossi, ora e' una summa di colori, ma e' lasciata andare sui pantaloni (di velluto grigio rivestiti di bianco... polvere) e probabilmente dev'essere stata ricavata da un paracadute, attese le dimensioni centrali dell'uomo che riveste. Le scarpe sono da tennis, come quelle che usano i giovani oggi, del colore della terra.

Urla, si', urla: inveisce contro qualche ignoto uomo politico che diserta e snobba il museo, la sua manifestazione. Non ha tutti i torti; ma la sensibilita' verso certe cose e' come il coraggio di manzoniana memoria: ''chi non ce l'ha non se lo puo' dare'', e appunto non e' merce che si possa comprare al supermercato.

L'uomo che ha un progetto serio, che dedica una intera vita a una certa cosa che merita apprezzamento, non lavora tanto per i suoi contemporanei, quanto soprattutto per le generazioni future. E questo Nunzio lo sa, lo intuisce perfettamente. Dietro quella rozzezza, come puo' sembrare a prima vista (''aiu a quinta elementari,'' fa sapere), si nasconde un uomo tutta sostanza, un uomo di profonda esperienza di vita e di grande saggezza: dote, quest'ultima, che credo innata in lui. In Nunzio c'e' il bambino, l'artista estroso, il barbone, il cultore delle tradizioni popolari siciliane, il custode della memoria storica della vita di Sicilia, il filosofo. Intendo dire, per quel lettore che gia' sta storcendo il naso, che se per ''filosofo'' s'intende anche un uomo che pensa, che sogna, che trasforma spesso i sogni in realta', e soprattutto, nella sua semplicita' di dialogo e di comunicazione, partecipa all'interlocutore emozioni e messaggi di vita che ancora l'altro ignora, Bruno e' anche un figlio filosofo di questa terra dolce-amara.

Perora la causa di un signore presente, che su suo suggerimento ha lasciato il lavoro sicuro (''cu avi u postu e' sottopostu!'' dice), per l'attivita' in proprio di scalpellino di pietra bianca, e ci mostra orgoglioso alcune foto dell'artista, sollecitando i presenti a interessarsi a questo astro emergente nei lavori in pietra.

Nunzio BrunoPoi afferra con le mani una copia del libro Le Sirene e l'Isola e si lascia andare in una estemporanea, originale, imprevedibile presentazione del volume fino a leggere alcune righe del pezzo che lo riguardano, dicendosi onorato di essere stato inserito fra le Sirene di Sicilia, accanto a Bufalino, Consolo (''ca ha statu ca' a man giari ccu mmia''), e gli altri.

Per leggere s'e' tolto gli occhiali; quando li inforca vedo che le pupille sono rosse: il sangue e' arrivato fino agli occhi...

Accanto a me Ciccio Urso, editore del libro, non appena Nunzio siconcede una breve pausa, mi sussurra ''Mizzica, ma chista e' 'a megghiu presentazione del libro che abbiamo avuto e che si possa avere''. Annuisco. ''E' spontanea, venuta dal cuore, da un grande cuore, percio' e' genuina e apprezzabile'', conclude Ciccio.

Liliana, col cappellino, abituata solitamente a intervenire nelle discussioni, rimane impassibile: ha un sorriso sulle labbra che e' piu' eloquente di ogni parola.

Orazio e Rossella mi chiedono lumi sul museo. Li invito a visitarlo.

Li' trascorriamo piu' di un'ora per dare appena uno sguardo veloce ai 7.000 pezzi che Bruno, con cura e passione certosina e maniacale, ha recuperato in ogni angolo di Sicilia. Gli attrezzi e utensili da cucina, gli attrezzi della bottega del carradore, gli arnesi dei calzolai, dei barbieri, dei falegnami, dei contadini, dei macellai e via dicendo, dei vari secoli (dal Seicento al Novecento), sono la', ordinati a modo suo, pronti a essere visti, accarezzati, come si fa con le tombe degli avi, dai visitatori che riscoprono angoli occulti della propria memoria d'infanzia e di quella dei propri antenati.

''La Sicilia e' tutta qui'', m'era venuto di dire qualche ora prima ai presenti, comunicando di sentirmi come un neonato in culla, circondato dall'affetto e dal calore di tutti i parenti.

Mi s'era accapponata la pelle: effetto naturale di un coinvolgimento nell'essenza piu' pura della terra d'origine, di una ricerca delle proprie radici, di un bagno fra i profumi intensi dell'Isola...

Intanto 'Nzina, la moglie di Nunzio (dietro un grande uomo c'e' sempre una donna intelligente), veloce come un felino si muove su e giu' per ultimare i preparativi della minestra.

Tra la zona dove e' allogato il museo e la cucina si attraversa la terrazza coperta della villa, tutta allestita per l'occorrenza di prodotti tipici siciliani.

Fa bella mostra il tavolo con le bocce in vetro, col coperchio rivestito, come la testa degli arabi, da una stoffa a quadri, e custodenti il gusto dei sapori smarriti. E' una lodevole iniziativa dei fratelli Concetto e Pino Burgio, coadiuvati dalla sorella Maria, insegnante che ama la letteratura siciliana ed e' anche attrice di teatro.

Il ciliegino di Pachino, le noci della valle dell'Anapo, le olive (a mosa) di Cassaro, l'origano delle cave d'Avola, il miele ibleo e tante altre cose trovano nelle mani esperte dei Burgio il giusto dosaggio per la gioia dei palati piu' raffinati nel gusto della vecchia, buona, autentica cucina sicula.

Arrivano varie troupe televisive e Nunzio, instancabile, fa a tutti da cicerone, muove con incredibile sveltezza la sua stazza pachidermica, risponde alle domande, sta al gioco dei riflettori, parla come uno speaker consumato, dice comunque per ultimo la sua. La minestra e' pronta in una enorme pentola nuova che bolle sulla carbonella all'aperto.

Nunzio prende il mestolo e l'assaggia con nonchalance, tante volte quanti sono i fumati e le foto.

Le ciotole di terracotta vengono riempite dalla minestra; sul tavolo si trovano pane cotto nel forno a legna, olive nere a mosa in olio d'oliva, pomodorini essiccati conditi con capperi, peperoncino rosso, formaggio. In una piccola botte c'e' il vino che ciascuno si serve a volonta'.

Il bisbiglio tipico delle riunioni e' sostituto dal rumore di cucchiai e scodelle.

Dire della bonta' di quel cibo e' pressoche' impossibile. Se potessi definirlo con una sola parola, azzarderei chiamandolo ''il mangiare degli dei'', essendo questi, nella mitologia, uomini come gli altri, pero' dotati di immortalita'.

"Te ne vai?", mi dice Nunzio abbracciandomi forte. Gli leggo negli occhi un grande affetto ed anche un dispiacere per il distacco.

"Ci rivedremo presto", gli dico. "Grazie, Giovanni" risponde, lui che e' anche scultore e conosce bene l'arte di riportare tutto all'essenziale.

Ripasso sotto le forche caudine, con un'ultima occhiata abbraccio quel verde paradisiaco, quest'angolo della Sicilia da scoprire e valorizzare, mi infilo nell'auto, avverto l'orgoglio di essere siciliano.


Giovanni Stella


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