Letteres
de mon mulin di
Daudet, L'albero dai fiori bianchi di Biagi…, in
letteratura, Il posto delle Fragole, di Bergman…, nel cinema, sono soltanto taluni esempi di
omaggio alla propria infanzia, dell'uomo che
nell'eta' avanzata rivede come in una moviola l'eta' piu' bella della propria vita e ne sofferma man mano il ricordo. E ricordando rivive.
Ed e' come un
Riessere, attraverso la memoria e finché questa concede.
Fissarne il ricordo attraverso la scrittura assolve
ad un duplice effetto: catartico, per sé medesimo,
come volevano i greci, e di traccia a futura memoria per chi, quel tempo,
quegli episodi, non ha vissuto e non conosce e che attraverso il sortilegio della
pagina scritta sapra', vedra', e ancor meglio vivra' quanto narrato a distanza di
tempo anche notevole, essendo funzione primaria del libro quella di sfidare, anzi superare il tempo.
La senilita', o se vogliamo la maturita' avanzata,
nell'uomo e' quella del crepuscolo. Le albe sono audaci, i
tramonti pieni di dolcezza: il sole che tramonta all'orizzonte e' come una palla
di fuoco: prima di tutto illumina di un colore magnifico,
gioia degli occhi, un "rossore" che e' diverso dal rosso, ma e' piu' idoneo al momento, che si spande e diffonde
ovunque questa sua tipicita', sui monti, sul mare, sui prati, sulla vegetazione,
sugli uomini, sulle citta'...
Marrakech, la
fascinosa citta' del Marocco, e' detta anche la ''citta' rossa'' per il colore delle mura che hanno quel ''rossastro'' che ben
si sposa con i pomeriggi, dove nella famosa grande piazza Djemaa el Fnaa si
assiste contemporaneamente a un tramonto degno delle migliori riproduzioni fotografiche o pittoriche, e al brulichio di
migliaia di persone del luogo e no, che in mezzo a dentisti improvvisati,
incantatori di serpenti, giocolieri, venditori di acqua custodita in tipiche
borracce di rame, venditori di
tappeti e di chincaglierie, venditori di tutto e di niente, soprattutto
venditori di parole, per consegnare
all'avventore l'anima di un popolo che mai riuscira' a scoprire se stesso, e soprattutto ricchezza multicolore di tessuti che
ammaliano, mentre il bambino di turno insiste a tirarvi la camicia reclamando l'offerta di qualche soldo.
In questo, in tutto questo mondo, fra i mondi,
cala il tramonto. E come in ogni dove, gli occhi
ammirano la palla rossa
che lentamente cala fino a sparire dietro il filo lontano del mare, la vetta di una montagna, l'orizzonte comunque sia. Per consegnare il creato alle
tenebre della notte che si avvicina...
Domani
tornera' il sole ''a violentare altre notti'', avvertiva Fabrizio De Andre' e sara'
un nuovo giorno per chi avra' diritto di goderlo. Sara' ancora una volta la palla
tonda a spuntare dal monte, dal mare,
dall'orizzonte, a rischiarare di luce tutto e tutti, perché cosi' e' la vita,
perché cosi' e' il viatico.
Chi
ha avuto la forza e la grazia di aver a lungo camminato prova ristoro a sostare
per ammirare in tutti i suoi particolari il tramonto.
E in quella sosta, seduto sotto un albero, in riva al mare, sulla sedia di un
circolo nella piazza del paese, dal finestrino di un treno, dall'oblo' di un
aereo, dal ponte aperto di una nave, da Marrakech o da qualsiasi altro luogo
del pianeta... ricorda. Il crepuscolo gli suggerisce, anzi gli impone, di
rivedere l'intera sua vita, dall'inizio a quel momento, nel bene
e nel male, nella gioia e nel dolore, negli affetti e nel lavoro, nella (tanta)
via del dovere, in quell'altra (poca) del piacere, nel risultato - spesse volte
magro - del bilancio di una vita
spesa a servizio della collettivita' ignara, quando addirittura ingrata.
Ricordare,
per rivivere. E anche se, come diceva Ronsard, ''il
ricordante e il ricordato hanno ambedue la memoria di un giorno'',
ricordare bisogna, perché nel ricordo, attraverso il ricordo,
la memoria umana e quella storica hanno contezza ancora della propria presenza, della propria esistenza, prima che l'assenza, l'oblio,
tutto cancelli nell'individuo, lasciando solo traccia per chi la rivedra' con la lettura, solo nella
pagina scritta di un libro che fra i tanti riposera' negli scaffali di
una libreria, o se ancor piu' fortunato di una biblioteca.
Ma il ricordo - e' nota
comune a tutti - si centra
principalmente nel periodo dell'infanzia e della gioventu'. E’ quello che
comincia a introdurre alla scuola e alla vita. E’ quello dove fuori dall'alveo familiare si formano i primi amici di
quartiere e compagni di scuola, che resteranno poi, per sempre, quelli a cui ci si sentira' legati da un sentimento che ti fa
abbracciare e rendere gli occhi lucidi a lungo quando uno di questi
compagni lo rivedrai anche se a distanza di mezzo secolo.
Italico
Libero Troja questo ha fatto. E lo ha
fatto dopo varie pubblicazioni impegnate - una sui fratelli Condorelli Orazio e Luigi, suoi dioscuri, un’altra sullo sbarco degli alleati ad Avola nel 1943,
poi sulla vita di un personaggio di grande cultura, Patti - che forse lo hanno condotto anche ad una meditazione e riflessione sui suoi
trascorsi giovanili. L'autore, gia' magistrato di Cassazione, ha al suo
attivo una lunga vita di studi, di lavoro e di viaggi culturali (ha visitato
tutti i paesi, anche comunisti, d’Europa, nonché Cipro, Turchia, Nord-Africa, Cina, Messico, Canada, Stati Uniti).
Allievo
prediletto di Orazio Condorelli, gia' Rettore magnifico dell’Universita' di
Catania e ordinario di Filosofia del Diritto della cui cattedra e' stato per alcuni anni assistente, e poi grande amico anche del
fratello Luigi, noto clinico e cardiologo, ha da sempre avuto una passione per
gli studi classici, latino e greco (considera la Grecia sua seconda patria),
che tuttora coltiva e, vincitore di concorso in magistratura, ha percorso tutte
le tappe della carriera: dalla Pretura al Tribunale civile e penale, alla Corte
d'Assise, a Siracusa, nonché alla Suprema Corte di Cassazione e al Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche a Roma, dove per tanti anni e' stato componente della seconda Sezione penale ed anche di quella
civile.
E'
stato anche Presidente della Terza Sezione della Commissione tributaria di
primo grado di Siracusa, nella quale, per decenni, quale difensore tributario, mi
sono presentato e con me i tanti colleghi; e tutti serbiamo dell'uomo un
ricordo positivo per le elevate doti di equilibrio e
moderazione, pronto a
troncare ogni prepotenza del forte contro il debole al quale non esitava a rendere quella Giustizia che una Societa' civile gli deve. E’ stato anche presidente dell’Ospizio-Ospedale ''G. Di
Maria'' di Avola, realizzando un nuovo edificio ospedaliero di stile canadese e
americano, ed e' stato anche impegnato nel Diritto Comunitario.
La vita di Paese e' soprattutto vita di quartiere.
La grande citta' fa disperdere l'individuo che diventa un
uomo fra tanti, ancorché vicini di casa, fatti salvi quanti abitano nei grattacieli: fra loro bene o male si
conoscono, si salutano, si controllano le abitudini.
Nel paese la vita e' diversa, e' a dimensione umana.
Tanto piu' piccolo e' il paese, tanto piu' umano e' il rapporto fra gli abitanti che, spesso, finiscono per conoscersi in
molti.
Ma il quartiere e' una sorta di agglomerato comune dove si vive una vita nella vita del paese: tutti si conoscono, nelle abitudini di vita e nei rapporti, in molti ci
si frequenta, in tanti si fa amicizia. I bambini e i
giovani, poi, ieri ancor piu' di oggi (distolti da tante cose), si frequentano
per ore e ore della giornata, giocando, discutendo,
studiando, divertendosi, gareggiando.
Avola ha il suo limite alto nella ferrovia, quindi nella
stazione, oltre la quale non ci sono piu' abitazioni.
Dalla stazione si parte la via che, dritta, porta fino al mare.
Ma la stazione e' il confine alto del
paese.
Li' c’e' il quartiere omonimo che contiene anche i giardini
pubblici e il parco delle rimembranze a fronte, méta e luogo di ritrovo dei
giovani del quartiere in quegli anni quando la campanella
della stazione, in assenza di rumori d'auto pressoché insistenti, richiamava
tutti a vedere il treno arrivare, far scendere i pochi passeggeri, imbarcarne
altrettanti, ripartire.
Fuori nello spiazzale ad attendere,
le carrozze guidate dai cocchieri alla ricerca di un viaggiatore con bagagli da portare a destinazione.
Cosi' ai
tempi della mia infanzia, anni Cinquanta, cosi' anche ai tempi del Littorio di
cui parla Italico Libero Troja,
che col suo volume rievoca un pezzo della sua vita,
ma anche, con prosa suadente, un pezzo di storia avolese e di storia patria. Troja e' nato nel 1926 da genitori
siciliani a Sesto al Reghena (Udine), piccolo centro urbano della Bassa friulana, dove il padre
– persona illustre che ha lasciato un buon ricordo in Avola – era insegnante elementare, ma da illo-tempore vive ad Avola
(Siracusa).
Le
prime pagine del libro sono dedicate a questa ''radice'' solida e inalienabile, ancorché dopo il trasferimento dalla Prealpa friulana agli Iblei, come
dire gli antipodi della penisola, la residenza non ebbe piu' mutamenti dalla citta' di Avola, se non per
contingenze lavorative alternate a viaggi in luoghi piu' o meno lontani.
La prima residenza fu in via Bovio dove piu' o meno ricordi intensi affiorano - come
quello di ''don Sebastiano il folle'' -,
tipico e a quella generazione arcinoto personaggio avolese.
Il trasloco nel quartiere stazione in quegli anni
della sua infanzia raggrumo' amici e luoghi che a distanza di tanti lustri sono
rimasti intatti, senza sbiaditure, nel negativo della pellicola della memoria.
L’autore
fa menzione del ricordo al Teatro Greco di Siracusa di un ''Eracle portato a
spalla su una lettiga nella scena, mentre, morente, mostra il petto bruciato
dalla camicia di Nesso mandatagli da Deianira''. Nei miei ricordi di quel Teatro
sopravvive ancora un Vittorio Gasman incatenato che urla a squarciagola nei
panni di Prometeo mentre l’aquila gli rode il fegato.
L’autore nell’opera passa in rassegna anche i suoi
insegnanti privati, delle materie di secondo grado, che erano noti ad Avola e nei comuni viciniori, ancora
rimasti nella memoria di quelli della sua generazione. Don Francesco Piccione,
che poi divento' cieco ma continuo' a dare lezioni di latino. Il ragioniere Salvatore
Nigro, docente privato di matematica e francese, Saverio Greco detto ''il
Baronello'', autodidatta con grande competenza in matematica, fisica, botanica e
astronomia e il professore Alessandro Patti, docente di greco, latino e
tedesco, uomo di grande cultura al quale Troja ha dedicato un libro Alessandro Patti, un esiliato di Weimer, che
perdette il suo cuore ad Heidelberg (Libreria Editrice Urso, Avola 2007).
Di tutti (tranne di Greco per impossibilita' di
reperirla) c’e' la foto nell’appendice fotografica del volume, con belle
immagini d’epoca in bianco e nero che emozionano anche chi non conosce luoghi e
persone. Un rapporto amichevole ebbe l’autore anche con Antonino Mangiagli,
insegnante elementare, docente di disegno e scultore, realizzatore della
fontana monumentale dei ''Tre leoni'' posta in Avola Piazza Vittorio Veneto,
ancora oggi oggetto di ammirazione dei visitatori.
Sono
dodici i capitoli dei quali si compone il lavoro di Troja:
1) I natali nella Bassa Friulana, a Sesto al
Reghena. 2) Dalle Prealpi agli Iblei. La casa ad Avola in via Bovio. 3)
L’incontro con la scuola e il trasloco in via Cappellini. 4) Nel quartiere
''Stazione''. 5) La Villa Comunale come Parco Giochi. 6) La fine delle elementari
e la colonia estiva. 7) La vita pendolare. Il passaggio del Duce. 8) La festa
dei ''Morti'' e il cine-teatro. 9) Gli amici inseparabili: Lulu' e Fiocchetto. 10)
I vicini del nuovo quartiere. 11) La scuola secondaria: il Magistrale. 12) ''Per
aspera ad astra.''.
Gia' la titolazione da' contezza, soprattutto a chi vive
in Avola, del richiamo di memoria di ciascun capitolo.
Un
filo conduttore, come il sottofondo musicale di una bella sinfonia, lega e
permane durante tutto il libro che si legge d’un fiato ma anche si memorizza.
Ed e' il vero motivo ispiratore della stesura dell’opera. E’ una bimba di dieci anni
che l’autore conobbe, anche lui alla medesima eta', e alla quale aveva donato
come primo gesto ''gli artistici e misteriosi ghiaccioli celesti caduti con la
grandine sullo spiazzo del Lido''. Quella bimba poi divenne la sua sposa e la inseparabile compagna di vita
per quarantasei anni, fino a quando, colpita da un ictus, si spense il 6 marzo
1990, e cioe' esattamente venti anni fa. Ricordo l’autore in ospedale piangere
in piedi avanti il corpo moribondo della moglie e singhiozzando ripetere ''Nun
mi lassari…'' (non lasciarmi).
A Lei e' la dedica, tratta dalle Odi di Orazio, versi che poi l’autore riprende nella commovente
postfazione che rievoca l’ultimo giorno trascorso con la amata Nella, e la sua
vita vissuta con Lei e per Lei. E da quando ''Ella e' uscita dal tempo, senza di
lei Nil …mei prosunt honores''.
Giovanni Stella
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