DALL'ANGOLO DI MONDO
RIMASTO FUORI DALL'EFFICIENZA UTILITARISTICA
Intervento di Orazio Parisi alla presentazione del libro di Giusy Cancemi, Un po' di me attraverso il mare
(domenica 13 settembre 2009 - Portopalo di C. P.)
Quando parliamo di poesie,
dobbiamo sempre chiederci se oggi la poesia interessi a qualcuno. La risposta
arriva dal mercato dei libri: a nessuno, o quasi. I libri, in genere, non
rappresentano una buona merce. Figuriamoci quelli di poesia. Perche'? Un bel
libro di Romano Montroni, edito da Laterza nel 2006, s'intitola ''Vendere
l'anima - il mestiere del libraio''. Aveva capito Montroni che oggi, in
questo Paese, il mestiere del libraio e' un'attivita' in fallimento. Vendere
l'anima. Che se ne fa la gente dell'anima. L'anima non la si cerca piu' nemmeno
in chiesa. In chiesa ci si va per tutt'altri motivi. Se fosse per l'anima...
Finalmente,
ho trovato il tempo di battere al computer questi appunti, letti in occasione
della presentazione dei libro di Giusy Cancemi, domenica 13 settembre a
Portopalo di Capo Passero. Appena ho cominciato a ticchettare sulla tastiera
del computer, mi sono ricordato di aver chiesto quella sera, all'inizio del mio
intervento, alla piccola e sensibile Erika, la figlia di Giusy, se sapesse
perche' le macchine da scrivere ''ticchettano''. Erika mi ha guardato un po'
stordita per l'inaspettata domanda, seduta in prima fila accanto a mia moglie.
L'ho
tranquillizzata subito. Ho detto che questa domanda e' il titolo di un piccolo
saggio contenuto in ''Filosofia del Design'' di Vilem Flusser (Bruno Mondadori).
Flusser dice che i tasti della macchina da scrivere non scorrono, ticchettano.
Somiglia, infatti, questo ticchettio, a un balbettio. Perche'? e' semplice,
aggiunge: la macchina da scrivere ''balbetta'' perche' tutto il mondo balbetta.
Non
parliamo di poesia, balbettiamo di poesia. La poesia e'..., gia' e' presunzione. e' come dire: il mare e'... Che ne
sappiamo del mare? Tutti vanno al mare, anche i bambini. Ma chi conosce il mare
veramente? Chi conosce le profondita' del mare, le insidie delle sue correnti,
la violenza delle sue tempeste, e perfino la calma apparente delle sue onde
leggere o del suo mormori'o silenzioso?
Il
mare, in certi casi, e' pero' una parola ambigua: non possiede la calma vitrea
del lago e neppure la profondita' oscura e insondabile dell'oceano. e' una
parola, per certi versi, indefinibile; sembra che oscilli incessantemente tra
due opposti: tra un liscio lago di semplice superficialita', di calma piatta, di
banalissima melma (quando si dice, a volte, ''siamo in un mare di merda!'', anche
se inconsciamente, se ne vorrebbero dedurre gia' i confini) e un abissale,
oscuro e perturbante oceano, il cui fondo irraggiungibile richiama alla mente
l'Arche', l'Origine terribile e imperscrutabile di tutte le cose.
Nino
Muccio sembra aver intuito questa sua, come dire, insufficienza simbolica. In
quanto il mare, piu' che rappresentare per lui un punto di equilibrio tra due
opposti, si palesa come un punto di confluenza, di mescolamento, di superficie
e profondita', di calma e agitazione; insomma, come una melassa amorfa che, a un
confronto, si puo' vedere, ora come un grande lago, ora come un piccolo oceano.
e' ovvio che qui si sta alludendo al nostro Mare Jonio. Quello che noi nativi
guardiamo con animo infantile, stupiti di tanta immensita', e incapaci di
immaginare uno spazio piu' vasto.
Potrebbe
essere una fortuna, allora, se ci trovassimo ad abitare nel punto di
confluenza tra due mari, come titola Nino Muccio la prefazione al libro di
Giusy. ''Nel punto di confluenza tra due mari - egli scrive - una
bonaccia, di colpo, puo' trasformarsi in tempesta''. e' proprio questa la fortuna.
Perche', al di la' dei contraccolpi psicologici (delusione, scoramento,
sbalordimento, ecc.) per la improvvisa scoperta che un immenso mondo puo'
divenire inaspettatamente ''piccolo'', ci si abitua d'istinto al confronto. Il
confronto tra mare e oceano racchiude in se' un altro aspetto della metafora
poetica.
Se
il mare rappresenta il semplice contatto dell'uomo con la natura, l'oceano
simboleggia il carattere complesso di questo rapporto nell'epoca moderna,
complessita' che porta l'individuo fino a sentirsi estraneo alla natura: la
poesia, quindi, non e' piu' ''ingenua'', come nell'antica Grecia, ma
''sentimentale'', per usare la giusta espressione di Schiller, cioe' evocatrice di
una profonda nostalgia per quello stato di natura che si allontana sempre piu' e
che, pertanto, appare agli occhi del poeta piu' compiuto, quasi perfetto. Fino a
divenire un angolo di mondo, come lo vede Giusy: uno spazio prezioso, da
preservare; perche' e' da li', da quello spazio, esclusivo - come
dice lei, ''angolo di mondo rimasto fuori dall'efficienza utilitaristica''
- che le sembra possano ancora parlare i poeti.
(...)Una
poesia nostalgica, sentimentale, dunque, quella che Giusy ci fa leggere in
questo suo primo libro, dal titolo quasi premonitorio, ''Un po' di me attraverso
il mare'', perche' sembra prevedere il destino delle sue poesie, strette, come in
una prigione, tra due scritti brevi ma profondi di Nino Muccio, uno all'inizio,
simile a una prefazione, e l'altro alla fine, come postfazione. e' come se quel
titolo dicesse: un po' di me attraverso Nino Muccio. Ma, non sto facendo
nessuna ironia. Questa e' la prima opera di Giusy Cancemi, e il fatto che Muccio
abbia voluto eccedere, non e' solo per omaggiare l'incontro dopo anni con la sua
ex allieva, ma credo principalmente perche' ha ritenuto che quest'opera
costituisse, al di la' di certi insicuri caratteri d'esordio, un buon inizio di
lavoro poetico, tale da poter consentire anche alcune considerazioni di
carattere generale.
E,
in realta', il primo scritto non e' una vera e propria prefazione. O, meglio, non
vuole essere solo una prefazione. Nino Muccio inscena un dialogo - non so
se reale o immaginario - con l'autrice. E in questo dialogo quasi
accompagna il lettore alle tematiche dei versi, e persino alle stesse poesie
della raccolta. E intanto, lascia scivolare, ma con semplicita', qualche punto
di riflessione intorno alla consapevolezza del poetare e alla funzione della
poesia.
Consapevolezza
del poetare. Sembra che il poeta debba avere coscienza, quando poeta, di
non fare altro che poesie. Rappresentare i propri, o altrui, sentimenti,
affermare delle verita'? Niente di tutto questo; solo poetare, semplicemente,
fare poesie. ''Quindi a partire dal linguaggio?'', si legge alla fine della
prefazione. L'arte per l'arte, e' il motto della poesia moderna. e', il
linguaggio, lo scafandro che s'indossa per sondare l'animo umano. ''Mi sono
chiesto, spesso, - scrive Lautreamont ne I canti di Maldoror - che cosa fosse piu' facile da esplorare: la profondita' dell'oceano o la
profondita' del cuore umano!''. e' la stessa considerazione di Baudelaire: ''...
uomo nessuno ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi''. Ma il poeta per questo
non usa altri strumenti che le parole. Tiene in efficienza il linguaggio.
Quello che poi servira' allo psicologo, all'apprendista stregone, come lo
chiama Aldo Carotenuto.
ORAZIO PARISI