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I "PERIPATETICI DI ELORO"

Le vie del buddismo

di Mario Thanavaro

“Il buddhismo è semplicemente la verità che include in sé varie verità”.

Shunryu Suzuki

La parola ‘buddhismo’ viene associata a una grande varietà di pratiche religiose. Tutte quante hanno la loro origine nel Buddha storico, Siddhartha Gautama [1] , detto anche Shakyamuni [2] , che visse per circa 80 anni nel VI-V secolo a.C. nel nord dell’India. La cronologia è alquanto incerta e la stessa biografia del Buddha è intessuta di elementi leggendari. Questo ci rammenta che per studiare il buddhismo (o un qualsiasi insegnamento religioso) occorre una certa elasticità mentale, non aggrapparsi ai concetti. Il Buddha nacque a Lumbini, vicino a Kapilavatthu, dal re Suddhodana Gautama e da sua moglie Maha Maya, la quale morì dopo soli sette giorni dalla sua nascita. Siddhartha, “colui che conosce la meta”, fu affidato alle cure della zia Mahapajati, sorella della madre e seconda moglie di Suddhodana. Trascorse una serena fanciullezza principesca sotto l’attenta sorveglianza del padre che temeva l’avverarsi della profezia secondo cui Siddhartha sarebbe divenuto o un grande re o un ‘liberatore dei mali del mondo’. Il giovane principe si unì in matrimonio, all’età di sedici anni, alla bellissima Yasodhara. Visse nell’agio e nella spensieratezza, dimorando nei tre palazzi e nei quattro giardini che il padre gli aveva via via donato per distoglierlo dall’intraprendere la ricerca  spirituale. Ma un giorno, narra la tradizione, si avverrò quanto temeva Suddhodana: recandosi da un giardino all’altro sul suo cocchio dorato guidato dal fedele Channa, volle cambiare strada e incontrò un vecchio sofferente per la sua avanzata età. Ne rimase profondamente turbato ma al tempo stesso curioso di conoscere quella realtà che per tanti anni gli era stata nascosta. In tre successive uscite da uno dei suoi palazzi si imbatté in un malato agonizzante, in un corteo funebre e per ultimo in un asceta mendicante dallo sguardo sereno e profondo.

 Quest’ultimo incontro lo convinse a lasciare la vita agiata condotta per ventinove anni e a intraprendere un cammino di rinuncia dei piaceri terreni, al fine di scoprire il rimedio al male della vecchiaia, della malattia e della morte. Preso congedo dal padre, salutò senza svegliarli la moglie, il figlio neonato, Rahula e si diresse verso la foresta.

Questa storia può essere vista come una metafora della condizione umana; il palazzo regale rappresenta il nostro aggregato psicofisico, nel quale viviamo inseguendo continuamente, con il contatto sensoriale, il piacere e fuggendo dal dolore. A volte può succedere che questo approccio dualistico all’esistenza venga messo in discussione e ci ritroviamo a cercare il senso della vita. Questo cambio di direzione può scaturire dall’incontro con l’insoddisfazione, il disagio fisico, mentale, emotivo, spirituale, la sofferenza. Entriamo dunque nell’esplorazione di un ambiente interiore intricato simile ad una foresta, apblankemente oscuro e ostile.

Seguendo le discipline ascetiche molto diffuse già allora in India, Siddhartha Gautama praticò strenuamente per ben sei anni, fino a giungere allo stremo delle forze. Il principio che regolava queste tecniche era basato su un credo piuttosto diffuso a quei tempi e tuttora presente nella cultura religiosa indiana, secondo il quale l’anima era prigioniera del corpo e poiché il corpo era il luogo di indicibili sofferenze, legato alla morte quale suo destino ultimo, queste pratiche miravano a far emaciare il corpo affinché l’anima, priva di base e di sostegno, potesse finalmente prendere il volo verso la libertà.

Il principe Siddhartha, ora diventato l’asceta Gautama, aveva abbracciato l’ideale dell’ascetismo anche come risposta alla sua vita agiata nei lussi del palazzo reale, dove aveva ottenuto il massimo piacere sensoriale senza però raggiungere quella felicità ultima alla quale intimamente aspirava. Dunque il suo ardore, la sua passionalità nella pratica ascetica era pari a quella che era stata la sua sensualità durante la vita principesca. Attorno a lui si era radunato un piccolo gruppo di cinque asceti della foresta che lo ammiravano per l’impegno profuso nella pratica  (Koãdañña, Bhaddiya, Vappa, Assaji, Mahánáma). I lunghi digiuni, però, insieme alle altre privazioni cui era dedito, lo avevano portato allo stremo delle forze, quasi alla morte. Si narra che un giorno, recandosi al fiume Nerañjará che si trova nella stato del Bihar (attualmente uno degli stati più poveri dell’India, se non il più povero), svenne; dopo essersi ripreso si rese conto che doveva necessariamente mangiare se voleva portare avanti la sua pratica. Lì vicino, ai piedi di un albero, si trovava una donna del villaggio vicino, di nome Sujátá, che stava offrendo allo spirito di quell’albero un’offerta, una ciotola di riso dolce, con la richiesta di rimanere incinta.

 Quando Sujàtà vide Siddhartha, che nel frattempo era tornato a meditare, rimase colpita dalla luce che egli emanava, e pensò che quello doveva essere lo spirito dell’albero. Così offrì a lui la ciotola di riso. Siddhartha, avendo riflettuto sull’inutilità di un’eccessiva mortificazione del corpo, accetto l’offerta e mangiò. Aveva compreso che il suo cammino spirituale percorso fino a quel momento era stato privo di equilibrio, e gli tornò in mente il motivo di una canzone che aveva udito. Le parole di questa canzone, accompagnata dalla musica di un liuto, dicevano che le corde dello strumento non dovevano essere né troppo tese né troppo lente, affinché la corretta tensione producesse il giusto suono. Siddhartha intuì quindi che era necessario accordare lo strumento della propria pratica.

Questo strumento è costituito dal nostro corpo e dalla nostra mente; dobbiamo avere cura del nostro corpo ed è la mente che con retto discernimento può comprendere ciò di cui il corpo ha bisogno. Se il corpo ha freddo, deve essere coperto al fine di evitare un raffreddamento della temperatura corporea e conseguenti malanni. Se il corpo ha fame, deve essere sfamato, se ha sonno, deve riposare. Se il corpo è irrigidito, ha bisogno di esercizi affinché i propri muscoli siano flessibili e capaci di compiere i movimenti necessari. Se noi trattassimo il corpo con la giusta attenzione non ci riuscirebbe troppo difficile comprendere ciò di cui abbiamo bisogno sul piano fisico, e potremmo meglio prevenire le malattie, gli incidenti.

Dunque, è importantissimo il corretto rapporto con il proprio corpo e questo può avvenire solo se ne riconosciamo la sua natura istintiva; gli istinti primari sono sicuramente delle pulsioni necessarie affinché il corpo possa sopravvivere in condizioni più o meno favorevoli. Al tempo stesso non possiamo fare della ricerca del soddisfacimento degli istinti primari lo scopo unico della nostra esistenza. Vivere a un livello meramente istintivo, sfrenato, offusca la coscienza, non la nutre di valori e non la eleva a stati di purezza. 

È importante comprendere il ruolo fondamentale della rinuncia. Per rinuncia qui si intende essenzialmente rinunciare a ciò che nuoce, rinunciare all’eccesso, rinunciare al superfluo: rinunciare, in altre parole, a star male. Se fossimo veramente capaci di trovare nello spirito della rinuncia il senso comune delle cose, questa stessa non ci peserebbe come un sacrificio, anzi, sarebbe accolta come vera liberazione. La rinuncia, in effetti, semplifica la vita, la alleggerisce da tutto ciò che non è essenziale, non è necessario. Non è sempre facile. A questo proposito ricordo di aver letto che Paolo VI, all’inizio del suo pontificato, richiese la ristrutturazione di alcuni locali all’interno del Vaticano perché sfoggiavano troppa ricchezza.

 Ebbene, i lavori che furono portati avanti furono così costosi che egli fu accusato di aver speso un’enorme quantità di denaro per un desiderio estetico di povertà. A volte il desiderio di semplificare la vita implica un dispendio di energie che di fatto non semplifica la vita. Disfarci delle cose che ci sembrano superflue talvolta può creare molte complicazioni, crisi famigliari, e portare a uno stato di confusione anziché di semplicità. Invece che inseguire una semplicità apblanke, è preferibile rinunciare alla smania di accumulare cose che di fatto non ci servono, comprendere e lasciare andare il bisogno psicologico di colmare un vuoto interiore che di fatto è incolmabile.

La rinuncia, nel suo significato più profondo, è quella totale spoliazione di ambizione da cui nascono l’umiltà del cuore e l’accettazione della vita. Siddhartha Gautama, nel consumare quel riso delizioso, attua di fatto una rinuncia profonda. Rinunciava a quei modelli di pratica che sebbene gli avessero fatto meritare la stima dei suoi cinque compagni, non lo avevano condotto alla liberazione ultima. Mangiando quel riso probabilmente sapeva di tradire la fiducia dei suoi compagni, ma era giunto il momento di assumersi la completa responsabilità della sua pratica e svincolarla dalle aspettative degli altri. È in quel momento di totale rinuncia che egli scopre una autentica solitudine: i suoi compagni, giudicando il suo gesto come una mancanza di fervore spirituale, si allontanano da lui, e non ci sono più neanche quei concetti sulla pratica che per ben sei anni avevano sostenuto i suoi sforzi. In questa totale solitudine nella giungla indiana, Siddhartha ritrova la fermezza per attuare nella sua vita quel cambiamento e quella rivoluzione di prospettive che lo porteranno al Risveglio (Bodhi). Il Risveglio avviene il mattino seguente la luna piena di maggio, ai piedi di un albero che da allora verrà chiamato l’albero della Bodhi, dove Siddhartha si era seduto in meditazione col proposito di non rialzarsi fino a quando non avesse raggiunto la liberazione finale. Si dice che nel corso della notte della luna piena di maggio del mese del Vesak, i pensieri più turbolenti, i ricordi più ammalianti e seducenti affollavano la mente del Buddha. Tradizionalmente, questi pensieri erano emanazioni dell’archetipo del Male, Mara, il signore della morte, che presiedeva al samsara [3] . Preoccupato dal fatto che qualcuno volesse uscire dal ciclo delle rinascite, dal condizionato, Mara attaccò Siddhartha con le sue armate e con le sue figlie, suscitando paure, desideri e altre emozioni turbanti. Ma questi, riconoscendo tutti i fenomeni come transitori, privi di realtà ultima e dunque fugaci, rimase sereno con la fermezza e la quiete interiore.

 Nel corso della prima veglia gli venne il ricordo delle sue vite precedenti. Durante la seconda veglia, egli comprese la legge del karma percependo la morte e la rinascita degli uomini, a seconda delle loro azioni, e sorse in lui compassione per la condizione di tutti gli esseri. Nella terza veglia comprese la vera natura dell’esistenza, il ciclo di nascita e morte.

All’apparire della stella del mattino, egli era un Risvegliato (Buddha), libero dall’attaccamento e dall’identificazione con il corpo-mente, in intimità con il senso profondo della realtà, con la natura luminosa (pabhassara) della mente. Si rese conto che l’universo intero non è altro che la sua stessa natura, vacua, libera, spaziosa, pregna di potenzialità energetica e di luce.

Chiamò allora a testimonianza della sua buddhità lo spirito della Terra, affermando la propria liberazione da ogni legame egoico con le seguenti parole:

 

«Per il samsara – per molteplici nascite –

Ho corso invano,

cercando il costruttore della casa.

Dolorosa è la nascita senza fine.

Costruttore della casa, sei stato riconosciuto!

Non erigerai più la casa!

Tutte le travi sono state disfatte,

la traversa del tetto è stata distrutta.

La mente si è liberata dai coefficienti,

è giunta al termine di ogni sete».

                                                                        Dhammapada 153-4   [4]

Siddhartha, all’età di trentacinque anni, portò in tal modo a compimento la sua lunga ricerca interiore che lo aveva visto come Bodhisattva [5] vita dopo vita impegnato nello sviluppo delle Paramita (le perfezioni) per giungere sull’altra riva, il Nirvana [6] per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

 Non era un dio, ma un uomo che aveva raggiunto in terra la liberazione (vimutti), l’estinzione della sofferenza (dukkhanirodha), realizzando così l’inscindibilità con il Dharma, la Legge Eterna [7] .

Dimorando in una pace indescrivibile, il Buddha rimase in meditazione per settimane, nel corso delle quali avvertì l’esigenza di divulgare questo suo messaggio all’intera umanità per il beneficio di innumerevoli esseri senzienti. Questa decisione del Buddha ha un’importanza straordinaria nel pensiero religioso dell’umanità.

[1] (sanscrito; pali: Siddháttha Gotama). Trattandosi di un nome ormai noto anche in ambito occidentale, viene qui usato Siddhartha in sanscrito e senza i segni diacritici. La forma ‘Siddharta’ conosciuta in Italia deriva da un errore di trascrizione di Massimo Mila nella traduzione del romanzo Siddhartha di Hermann Hesse (si veda M. Piantelli, Il buddhismo indiano, in G. Filoramo (a cura di) Buddhismo, Editori Laterza, Bari 2001, nota a p. 21).

[2] ‘Il saggio degli Shakya’. Gli Shakya erano la famiglia di origine di Siddhartha, a capo di un piccolo regno (l’Uttarakosala) che si estendeva dal Nepal meridionale fino al Gange, con capitale Kapilavatthu (Kapilavasthu), a circa 250 km da Benares.

[3] Il ciclo delle nascite e delle morti.

[4] Anekajáti samsára³ sandhávissa³ anibbisa³; gahakára³ gavesanto, dukkhá játi punappuna³ / Gahakáraka dißßhosi, puna geha³ na kahási; sabbá te phásuká bhaggá, gahakúßa³ visaýkhata³;  visaýkháragata³ citta³, taãhána³ khayamajjhagá. Si è adottata la traduzione in italiano di Francesco Sferra, in La Rivelazione del Buddha, a cura di C. Cicuzza, R. Gnoli, F. Sferra, Milano 2001, I Meridiani Mondadori, p. 533.

[5] (sanscrito; pali Bodhisatta): nella tradizione antica il termine Bodhisattva si riferisce solitamente al Buddha prima dell’illuminazione, sia nelle vite precedenti che in questa vita; nel buddhismo Mahayana il bodhisattva è colui che rinuncia a una liberazione individuale per la liberazione di tutti gli esseri, mosso da grande compassione (mahakaruãá).

[6] (sanscrito; pali Nibbána): il termine nirváãa letteralmente significa ‘spegnere una fiamma con un soffio’ e si riferisce alla libertà dall’arsura (il fuoco) dell’attaccamento e dell’avversione.

[7] In questo contesto il termine Dharma viene adoperato non nel suo significato di insegnamento del Buddha, ma nel significato di verità ultima, immortale. Nei testi antichi della tradizione buddhista ricorre sovente la definizione Asamkhata Dhamma, ‘la Verità Incondizionata’.

OshoQuale sentiero per la verità?
La verità è stata trovata soltanto in solitudine
Ci sono cose che non possono essere cercate direttamente. Più una cosa ha valore e più indirettamente la devi avvicinare. In verità devi fare qualcos'altro che semplicemente prepari il contesto in cui cose come l'illuminazione, la verità possono accadere. Non puoi metterti alla ricerca della verità. Dove andresti? Kabul - Kulu Manali - Katmandu - Goa?…. Per poi tornare a casa. Tutti i ricercatori della verità fanno questo percorso e tornano a casa sembrando ancora più stupidi di prima. Non hanno trovato nulla. Dove andare a cercare la verità? Non sai la strada, non hai nessuna mappa, non c'è direzione. Nessuno sa cosa, come, quando è possibile realizzare la verità. Il vero ricercatore della verità, non cerca mai la verità. Al contrario, cerca di ripulirsi da tutto ciò che non è vero autentico e sincero - e quando il suo cuore è pronto, purificato, l'ospite arriva. Tu non puoi trovare l'ospite, non puoi metterti a cercarlo. E' lui che viene da te. Tu devi essere solo pronto, devi essere nella giusta disposizione. Io non sono mai stato spirituale nel senso che tu intendi. Non sono mai andato per chiese o templi, non ho mai letto i testi sacri, né seguiti certe pratiche per trovare la verità, né ho adorato dio, non ho pregato. Il mio atteggiamento non è mai stato questo. Quindi sicuramente puoi dire che non stavo facendo niente di spirituale. Ma per me la spiritualità ha una connotazione totalmente differente. Richiede un'onesta individualità. Non permette alcun tipo di dipendenza. Crea la propria libertà, qualunque ne sia il prezzo. Non è mai nella massa, ma sola, perché la massa non ha mai trovato alcuna verità. La verità è stata trovata soltanto in solitudine. Spiritualità, per me, significa semplicemente trovare se stessi. Non ho mai permesso ad alcuno di fare questo lavoro per me - perché nessuno può fare questo lavoro per te, lo devi fare tu. E neppure lo puoi fare direttamente, devi creare un certo contesto, in cui accade. Illuminazione, liberazione, risveglio, realizzazione tutte queste parole indicano una cosa sola: che accade. Per questo molte persone hanno paura:" "Se è una cosa che accade, cosa possiamo fare noi? Quando accadrà accadrà. Accade, ma tu puoi fare molto per preparare il terreno in cui potrà accadere. La preparazione del terreno potrebbe non essere considerata molto spirituale da quelli che non capiscono. Ma deve essere spirituale, perché l'illuminazione è accaduta. Il risultato dimostra che, qualunque sia stato il mezzo usato, si è rivelato sostanzialmente giusto. E' la meta a dimostrare che il cammino intrapreso era giusto.
Osho The trasmission of the lamp
Un nuovo umanesimo alle soglie del Terzo Millennio.
Diversità in dialogo per una coscienza unitaria
di MARIO THANAVARO

In una realtà sempre più pluralistica, che riguarda non solo la società in cui ci troviamo a vivere, ma che investe con la stessa portata, certamente di valenza storica, anche l'interiorità dell'uomo occidentale, risulta sempre più inevitabile dover affrontare anche forme diverse di "soluzioni interiori" che possono non solo darci una visione differente di come vivere la spiritualità, ma farci anche comprendere la diversità con cui l'UOMO si è trovato ad esprimere la propria necessità ed il proprio senso del sacro nella storia dell'umanità. Le verità spirituali ci sono state trasmesse non solo per bocca di Mosè o di Cristo. Risuonano anche nelle rivelazioni dei testi sacri di saggi e profeti di altre culture. Nell'ignoto scrittore che mise in bocca al dio Krishna queste parole: «Nell'acqua io sono il sapore. Sono l'irraggiare nella luna e nel sole, la sillaba OM in tutti i Veda, il suono nell'etere, la virilità negli uomini, il profumo nella terra, lo splendore ardente nel fuoco. In tutti gli esseri io sono la vita. E negli asceti io sono l'austerità… Io sono il padre di questo mondo dei viventi, sua madre, il suo fondatore, il suo avo, l'oggetto della scienza sacra, il purificatore, la sillaba OM, la stanza, la melodia e la formula sacrificale».
Così parlò il Buddha: «Quando la mia mente concentrata divenne pura, illuminata, senza macchia, libera da imperfezioni, malleabile, duttile, stabile e imperturbabile, io la indirizzai alla conoscenza dell'estinzione delle contaminazioni. Allora io conobbi direttamente: "Questo è il dolore"…"Questa è l'origine del dolore"…"Questa è la cessazione del dolore"…"Questa è la via che conduce alla cessazione del dolore"…"Queste sono le contaminazioni"…"Questa è l'origine delle contaminazioni"… Questa è la cessazione delle contaminazioni"…"Questa è la via che conduce alla cessazione delle contaminazioni".
"Non appena vidi e conobbi queste verità, la mia mente divenne libera dalla contaminazione del desiderio sensuale, dalla contaminazione dell'esistenza, dalla contaminazione dell'ignoranza. Come fui libero, sorse in me il sapere: "Ecco la liberazione". Direttamente conobbi: "Distrutta è la nascita, realizzata la via santa, ciò che doveva farsi è stato compiuto, non c'è più rinascita".
Così dice il Dio della Bibbia:«Ecco, sto per creare un cielo nuovo e una terra nuova… Gli anni del mio popolo saranno come quelli di un albero, i miei eletti potranno usare le opere delle loro mani. Non si affaticheranno invano né genereranno figli per la catastrofe; perché saranno la stirpe dei benedetti dal Signore, e come loro, i loro germogli. Prima che mi chiamino, io risponderò loro. Staranno ancora parlando, e io li avrò ascoltati».
Così annuncia il Cristo:«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
Così parla Allah nel Corano:«Quando il cielo si squarcerà, quando gli astri si disperderanno, quando i mari traboccheranno, quando le tombe si sconvolgeranno, ogni anima saprà ciò che ha commesso e ciò che ha omesso. Oh uomo, che cosa ti distolse dal tuo Signore generoso, che ti ha creato, plasmato, e formato in armonia e nella forma che ha voluto ti ha foggiato?… Per certo i giusti saranno nella beatitudine e i dissoluti andranno nel fuoco, nel giorno del Giudizio essi vi bruceranno e non potranno sottrarsi».
E più recentemente un indiano d'America dal nome Giubba Rossa in un discorso a un missionario ci ricorda: «Voi dite che siete stati inviati per insegnarci a professare il culto del Grande Spirito come egli vuole e che se noi non terremo conto della religione, che voi come popolo bianco insegnate, noi non saremo più felici quaggiù. Voi dite che voi avete ragione e che noi ci sbagliamo. Come possiamo sapere se questo è vero? Noi riconosciamo che la vostra religione è scritta in un libro. Se fosse stata fatta anche per noi oltre che per voi, perché il Grande Spirito non ce l' ha data? E perché non ha messo a conoscenza dei nostri antenati dell'esistenza di questo libro e del modo di interpretarlo correttamente?
Noi sappiamo solamente ciò che voi ci dite; come possiamo sapere quando vi si può credere, considerato che gli uomini bianchi ci hanno così spesso delusi?
Fratello, voi dite che non c'è che un modo di adorare e servire il Grande Spirito. Se non c'è che una sola religione, perché così tanti uomini bianchi se ne allontanano? Voi non siete tutti d'accordo anche se potete tutti leggere il libro.
Fratello, noi non comprendiamo queste cose. Ci è stato detto che la vostra religione era stata data ai vostri antenati e che è stata trasmessa di padre in figlio. Anche la nostra religione è stata data dai nostri antenati che l' hanno trasmessa a loro volta ai propri figli. E' così che noi professiamo il nostro culto. Esso ci insegna ad essere riconoscenti per tutte le cose buone ricevute, ad amarci gli uni con gli altri e ad essere uniti. La nostra religione non è mai stata causa di litigi».
Come dice Raffaele Luise:«In un tempo "in bilico", ricco di minacce e di speranze globali; in un tempo di grandi, radicali trasformazioni dei saperi, dei costumi e delle istituzioni tradizionali; in un tempo di crisi della scienza, che si trova oggi di fronte ad un profondo ripensamento dei suoi fondamenti, dei suoi processi, dei suoi fini, in una parola, di se stessa, mentre le applicazioni tecnologiche nel campo dell'informatica, della telematica e del virtuale ridisegnano profondamente i nostri comportamenti e la realtà che ci circonda, globalizzando la storia e la vita del pianeta; in un tempo in cui - legato intimamente a questi profondi rivolgimenti - risorge un profondissimo bisogno religioso, di sacro, di spiritualità, di fede che abbracci olisticamente gli uomini e tutti gli esseri viventi, tutte le creature; in questo tempo, fortissimo si fa il bisogno di un dialogo "fino alle radici" tra le grandi religioni fra loro, e dei grandi sistemi religiosi con la scienza, con il sapere scientifico, perché - di fronte al panorama caotico e senza anima del "cosiddetto sviluppo" che meccanicamente, quasi automaticamente conduce la società, gli individui, il pianeta verso un orizzonte di non senso, di caos quasi primigenio - si ricostituisca un nuovo alfabeto, un nuovo linguaggio, che sia vettore di un nuovo umanesimo.
Quello - alle soglie del Terzo Millennio - di una nuova antropologia, che faccia fiorire energie sconosciute dell'"homo absconditus" in una figura di uomo planetario (come diceva padre Ernesto Balducci), per una storia veramente universale e autenticamente libera e liberante per le culture, i popoli, le persone, le creature».
E sempre padre Balducci ci ricorda che:«La nuova etica si rivela come una "religione naturale" con cui dovranno misurarsi le religioni positive, la cui origine è nella comunione fra tutte le creature, che si rivela alla coscienza che ha preso atto delle interconnessioni che legano l'uomo all'uomo e gli uomini alle cose.
Nel coincidere con questo substrato materiale biologico, la necessità etica non muore, ritrova il suo senso profondo che è, a dispetto di tutti gli spiritualismi, la custodia del fuoco sacro della vita su questo pianeta».
L'Associazione Amita Luce Infinita promuove e partecipa ad incontri tra le varie culture e tradizioni religiose nello spirito unitario della visione olistica.

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