DAL VIET-NAM
Il nostro
amico Chân
Phâp Y si trova da non molto tempo in Vietnam e si
è impegnato a inviarci delle lettere su specifici temi che possono
stimolare la curiosita' dei lettori, una sorta di travel diary.
Ci scrive fra l'altro: -Se potrò incollerò anche delle
foto. Il mio vero problema è l'accesso alla rete e il tempo.
Siamo così oberati, che spesso penso di dare forfait e andare
in ibernazione. Ma sarò forte, resisterò, e finirò
ciò che sto scrivendo per il Giardino Zen.
Tutto quello che dal nostro amico riusciremo a ricevere, in queste
particolari situazioni di difficoltà, sarà particolarmente
gradito.
Ciccio
Carissimi,
Il nostro "pellegrinaggio" da pagoda in pagoda continua. Qui
la pagoda si chiama Chua e ha lo stesso significato del Tailandese Wat
e del Tibetano Gompa, ovverosia tempio-monastero, e ce ne sono almeno
cinquemila sullintero territorio. Noi stiamo visitando le più
importanti o che hanno avuto e mantengono una funzione di preminenza
nella storia del Buddismo Vietnamita.
Laspetto architettonico delle pagode varia secondo i mezzi finanziari
che la sostengono o, qualche volta, perché espressamente disegnato
dal re o dal feudatario locale che lha voluta. Si va da semplici
costruzioni quasi sempre quadrate a complessi dallestensione insolitamente
vasta.
In questo momento, le 14: 25 ora locale che dovrebbe corrispondere alle
8: 25 in Italia, del 26 Gennaio 2005, giorno del mio compleanno, sto
scrivendo nella sala da pranzo della Chua Phap Van grazie a due ventilatori
che mitigano i 33 gradi celsius di Ho Chi Minh City, una volta Saigon.
Allentrata di ogni pagoda troneggiano statue di impauranti deità
protettrici , sorta di spiriti dei luoghi, invariabilmente dipinti di
rosso e armati di spada. E più che evidente linfluenza
della iconografia indiana. Hanno facce distorte dalla rabbia e dallaggressività,
occhi dilatati, denti quasi felini e corpi tozzi come modellati dallaccetta.
Ne potete vedere di equivalenti in qualsiasi dipinto indiano di ispirazione
religiosa.
Allinterno le pagode sono foreste di statue del Buddha e dei Bodhisattva
anchesse di vernice sanguigna e similoro. Le offerte sugli altari
mostrano tutta la panoplia di frutta tropicale e, spesso ma solo nel
nord, bottiglie di birra.
Alle pareti figure di assorte espressioni dai colori smunti e di paramenti
cardinalizirinascimentali : i defunti grandi maestri, o fondatori, locali.
Laria è pressoché irrespirabile. Linquinamento
impedisce il manifestarsi della luce solare e i nostri polmoni sono
stracarichi di polvere farinacea che arrossa gli occhi. Gli abitanti
della città portano una striscia di cotone che copre la bocca,
a guisa di maschera, ma penso che la protezione sia minima.
Sullaereo da Hanoi a Saigon ho letto una notizia che mi ha intristito
e che è divenuta meditazione. Un piccolo agricoltore espone le
proprie lamentazioni perché la coltre spessa di materia grigia
nel cielo impedisce al sole di far fiorire i suoi ottanta peschi. I
fiori del pesco sono indispensabili nella celebrazione del Tet, il capo
danno lunare delle civiltà asiatiche, che occorrerà
fra pochi giorni. Altri contadini sono ricorsi alla illuminazione artificiale
e allinnaffiamento con acqua tiepida ché a Hanoi è
ancora freddo.
Le strade sono letteralmente coperte da sciami di rumorosi e inquinanti
scooters. La motoretta è il mezzo di trasporto individuale più
diffuso nel paese. Credo ce ne siano svariati milioni. Un giorno, a
Hanoi, ho visto dal finestrino del nostro bus, una strada molto larga
e lunga interamente coperta da queste locuste a due ruote. Avevo già
avuto una immagine simile a Patna nello stato indiano del Bihar, ma
lì si trattava di riksha, i famigerati tricicli a energia umana.
Ce nè qualcuno anche a qui.
La vegetazione, alberi, piante, frutti, fiori è lussureggiante
e lussuriosa come solo ai tropici è dato di vedere.
Vedo dappertutto ricostruzioni di antiche pagode e costruzione di nuove.
Si costruisce ovunque, una specie di impositiva ma discreta rinascenza
di una religione folklorica altrimenti dissuasa. Anche le chiese cattoliche,
a Ho Chi Minh City e nel sud in generale il cattolicesimo è molto
diffuso, non sfuggono alla medesima febbre del mattone e del cemento.
Sembra si stia riscoprendo, forse in ritardo, che la religione organizzata,
istituzionalizzata, di qualsiasi denominazione, per quanto artificiosa,
serve bene il proposito sottinteso nella definizione: rilegare, tenere
uniti. La religione organizzata è essenziale alla stabilità
politica di un paese e alla sua struttura etica.
Che poi soddisfi il bisogno umano naturale di spiritualità, questo
è un altro discorso.
Come è un altro discorso, e per me penoso, scoprire un angolo
silenzioso dove possa rimanere indisturbato per qualche diecina di minuti
a leggere o a scrivere. Molto tempo fa scoprii che il silenzio non è
duso nei paesi poveri perché il silenzio è sempre
il silenzio della paura; paura del buio, dellignoto, dellimprevedibile,
della morte.
Mi adatto a una situazione spiacevole non solo per via della rumorosità
continua e assordante ma anche per la mancanza di tempo personale, stiamo
in giro dalle cinque del mattino alle nove di sera. Laccesso alla
rete non è facile quantunque ci siano cafe-internet in ogni strada.
Oggi ho dichiarato sciopero e sono rimasto a "casa" per scrivervi
questa lettera e per meditare sui miei dubbi, sulle mie delusioni e
sulla tristezza che ne deriva. Sto meditando su decisioni molto importanti
per la mia vita di persona zen. Ho bisogno vitale di restare me stesso
in ogni momento ad ogni costo in tutte le situazioni.
Mi sento catapultato in un passato da incubi. Osservare questapoteosi
di superstizioni che ancora perpetuano sé stesse sotto i paludamenti
di una religione obsoleta e sclerotizzata scalfisce la mia tranquillità
mentale e minduce a rifugiarmi nel mondo surreale della mia scrittura.
Non una fuga ma un salutare allontanamento.
Domani inizierà un ritiro monastico di sei giorni e si resterà
nello stesso luogo per lintera settimana, dopodiché continueremo
la marcia da pagoda in pagoda.
Fraternamente vi abbraccio tutti
Chân
Phâp Y
da Ho Chi Minh City
Con
la lettura è possibile consolare lanima
Dal Vietnam, ma potrebbe essere da qualsiasi altra parte del mondo.
La descrizione dei luoghi fatta dal nostro amico porta con sé
limmagine di questa vita che sempre più non ci appartiene,
che sempre meno è a misura duomo. Lo spaesamento umano,
perché di questo vuole parlarci il nostro amico Chân
Phâp Y, non è quella condizione in cui la persona prova
disagio o smarrimento in relazione allambiente in cui si trova,
è piuttosto una situazione di non-riconoscimento, di inadeguatezza,
soprattutto interiore. E questo lo vedi ovunque ed in relazione
a qualsiasi problematica: nella società, nella religione,
che, come giustamente accenna il nostro amico, è ormai relegata
ad unimmagine conformista e poco spirituale.
Con la scrittura è possibile lavarsi il cuore, direbbe un
mio amico. Io aggiungo: con la lettura è possibile consolare
lanima.
Dal Vietnam, ma potrebbe essere da qualsiasi parte del mondo
Dal mio luogo, un abbraccio.
Leonardo
Miucci |
Seconda
lettera dal Viet-Nam Lo squarcio fra le due finestre
su Ho Chi Minh City è così profondo che lunico
filo di connessione è costituito da esigue pattuglie di
motorette. Non cè dubbio comunque che siamo sempre
nella stessa città super popolata di dieci milioni dabitanti.
Le facce sono vietnamite ma le loro espressioni sono più
distese che nelle periferie. Siamo infatti nel cuore di Saigon,
nel centro della città che ti getta negli occhi tutto il
cascame di sapore coloniale e occidentale.
Macchine private, come raramente se ne vedono in periferia, sostano
dappertutto. Sono macchine che in occidente costano care: giapponesi,
coreane, tedesche. Leconomia coreana e massivamente
presente in Vietnam. Dei paesi europei solo la Germania ha un
notevole scambio commerciale, anzi la Germania è in partner
numero uno dellinterscambio con il Vietnam.
Qui sono concentrati tutti gli Hotels di catene internazionali
che sistematicamente ho visto in tutti i paesi del terzo mondo:
Sheraton, Novotel, Majestic,Grand Hotel, Caravelle etc. Ho visto
questi hotels, e in alcuni di essi, obbligato da necessità
logistiche, ho vissuto per qualche tempo, nei paesi più
poveri del Terzo Mondo che rifiuto di chiamare Paesi in via di
Sviluppo. Rifiuto perché è la denominazione e la
legalizzazione di un imbroglio a scala mondiale. Se qualche cosa
è in via di sviluppo nei paesi del terzo mondo questa è
la miseria, laids, e una lunga serie di epidemie mortali.
È tristemente noto che la miseria del terzo Mondo è
un business di proporzioni globali che genera vergognosi profitti
e coinvolge diecine di migliaia di persone. Il cosiddetto aiuto
al Terzo Mondo non è però uno dei soggetti di questa
lettera. È un argomento scottante, molti se ne sono già
occupati e anchio in futuro avrò qualcosa da dire
per esperienza personale.
Basta dire che laiuto economico al Terzo Mondo, così
come oggi è concepito e attuato dai paesi del nord, è
unaltra forma di colonialismo, di sfruttamento e di oppressione.
Diceva il re Sikanio Kokal a Lucilius, legato imperiale nellIsola
dOro: la vostra ricchezza è la miseria degli
altri. Ma questa storia la leggerete più tardi.
Ai risonanti nomi degli Hotels sincollano molto più
famose e più familiari etichette perché la scansione
alfabetica mi è di casa, sono affarucci italiani: Armani,
Cerruti, Cavalli, Versace, Fendi e altri a me sconosciuti. Non
basta, il panorama di falsa vetrina non sarebbe completo senza
i vari Cartier, Rolex, Rado, Bulgari e che ne ha più ne
metta.
I Rolex e i Rado si trovano anche sulle bancarelle delle periferie.
Camminiamo lentamente per queste vie del centro seguendo Thay
che ci descrive i luoghi con dovizia di dettagli. Thay ha vissuto
per circa ventanni in Saigon dove fondò la scuola
per il servizio sociale nonché luniversità
buddista.
Dal Palazzo Presidenziale, quello dellantico regime, ci
dirigiamo verso il Song Sai-Gon, il fiume della città,
attraverso lavenue Nguyen Hué, larga ben 70 metri,
che qui i locali chiamano Champs-Èlysées del Viet-Nam.
Il fiume, che si riversa nel delta del Mekong, ovvero nel mare
orientale o mare della Cina, sembra affollato dimbarcazioni
di media e piccola stazza. Alcuni mi ricordano i burchielli veneziani
e come quelli sono destinati a uso turistico.
Camminando osservo le merci esposte dai negozi, in alcuni entro
e mi soffermo a toccare, chiedere, sorridere. Cè
una notevole varietà di mercanzie, specialmente valigeria
dogni sorta, di ottima qualità e dal disegno quasi
italiano. Tutto viene dalla Cina e tutto costa pochi € . Una
valigia di medie proporzioni, robusta e leggera, quindi ideale
per viaggi in aereo, costa soltanto dieci € . Sandali solidissimi
e di bella forma, te li danno a un € o un dollaro e mezzo.
Lentamente nasce la febbre dello shopping e infatti lindomani,
nelle poche ore libere regalateci da un cambio del programma,
è la corsa allacquisto di quanto necessario ma a
prezzi monastici.
Bancarelle sui marciapiedi regalano visioni ricchissime di frutta
e di fiori, altre di verdure e tuberi, altre ancora di pesci ancora
vivi e guizzanti in larghe bacinelle di plastica.
Il frutto più ammirato e più consumato è
il Dragone Verde del quale vi accludo una foto ma anche il sapodilla,
dolcissimo, è apprezzato assieme alla papaia, al mango
e al Durian che in Thailandia è considerato il re del mondo
della frutta. Il Durian è di una dolcezza schifiltosa e
appiccicosa, non consigliato a chi ha problemi di glicemia.
Dragone Verde
Il Dragone Verde, anche chiamato uovo di dragone, ha una polpa
bianchissima e tenera affollata da semini neri. Lesterno
è rosso e ha delle protuberanze che sembrano piccole ali.
È molto bello.
Si possono osservare anche arance e mandarini talmente piccoli
e perfetti che mi ricordano la frutta di marzapane nella Sicilia
della mia infanzia. Vengono dalla Cina mentre le mele, lucide
di cera e tutte perfettamente uguali per colore e dimensioni,
sono importate dagli USA. Incredibile ma vero.
Dopo una sosta sulla riva cementata del fiume invertiamo la marcia
e ci dirigiamo verso una piazza assolatissima dove i nostri bus
NON ci attendono.
Gironzoliamo attorno al monumento di un re medievale scrutando
per esigue zone dombra.
Thay ci invita a sederci per terra e ci godiamo alcuni momenti
di frescura.
Fortunatamente cè una pattuglia ti taxi che ci salva
dallarrostimento solare.
Ma qualcosa dinsolito accadde negli ultimi istanti.
Da un computer delladiacente cybercafé volò
tra la folla un ippopotamo azzurro dalla coda di mandrillo. Emise
alcuni suoni gravi privi di grazia e tentò di planare sulla
testa della statua storica ma fu scacciato da una coppia di cornacchie.
Imperterrite motorette e macchine si dirigevano compatte verso
lOpera, chiusa al pubblico per via di prove di spettacoli
per il Tet, avvilendo il grosso maiale che deluso anche dalla
disattenzione degli umani rientrò frettolosamente in un
cavo delladsl.
Nessun giornale citò lavvenimento e fu così
che Sai-Gon perdette un momento di gloria.
Chân
Phâp Y
Ho Chi Minh City, 12 Febbraio 2005
P.S. Da quando sono arrivato in Viet-Nam non ho ancora visto il
cielo blu.
P.S. 2: Dalla prossima lettera comincerò a parlarvi dellimpatto
culturale che la presenza di Thay sta generando.
|
Terza
lettera dal Viet-Nam Dobbiamo lasciare Ho Chi Minh
City per Huè, la terra natale di Thay nel Viet-Nam centrale.
Mentre preparo il mio piccolo bagaglio ho la sensazione di qualcosa
che fugge, di una mancanza non definita. Ho qualche ora a mia
disposizione e ne approfitto per un’ultima camminata nell’affascinante
zibaldone del mercato rionale Cho Tan Huong., apprenderne ancora
i sentori, incantarmi alla visione delle molteplici delizie vegetali,
sorridere a qualche anguilla che salta fuori dalla bacinella d’acqua
ch’è la sua prigione; mi fermo a riempirmi gli occhi
dei colori di cianfrusaglie in sintetico appese ad aste di bambù
contro i muri delle case: sono tele di un’arte estemporanea
che ha una sua energia segreta di ispirazione.
Chiedo
a una sorella olandese di scattare alcune foto per me. Ve ne
allego alcune.
Non
mi va molto di andare per botteghe se non quando realmente necessario.
Non amo le cattedrali del consumismo e quando mi capita di entrare
in un supermercato ne esco dopo cinque minuti. Vedo, attraverso
uno spazio lasciato libero da cappellini e scialli di policromie caraibiche,
un negozietto modesto nel quale si alzano, ai lati della porta,
coloratissimi rotoli di non-so-cosa. Spinto dalla curiosità entro. Prendo in mano uno di quei rotoli
e realizzo che sono tappeti di paglia. La signora che gestisce
il negozio mi invita a distenderne uno sul pavimento.
È davvero molto bello, di un’estetica sobria nonostante
la vivacità dei colori.
La
signora mi corregge, non è un tappeto ma una stuoia per
dormirci sopra, e mi informa che è prodotta in Laos dalle
donne contadine. Riprendo in mano la stuoia, è solida,
leggera e facilmente pieghevole. Chiedo il prezzo, 100.000 dongs
che qui è una somma di rispetto ma che corrisponde a poco più di quattro € . La compro
pensando di farne il mio dormitorio per il resto dei miei giorni.
Infantilmente
contento del mio acquisto me ne torno alla Pagoda Phap Van in attesa del bus per l’aeroporto.
Atterriamo
nella cittá imperiale di Huè. Centinaia di persone
accolgono Thay e la delegazione di Plum Village. Macchine
e autobus affollano il parcheggio mentre montagne di petali
di rose e fiori gialli di pruno ci cadono a pioggia sui corpi.
Ci dirigiamo alla Chua Tu Dam che è la pagoda principale della
cittá e la più antica. Dopo l’offerta di
rispetto ci incamminiamo per Tu Hieu, il tempio dove Thay è
nato alla vita monastica
all’età’di 13 anni Il momento è carico di emozioni. Dopo quaranta anni
di esilio Thay
ritorna nella sua casa. Ne era uscito da monaco solitario e
ne rientra da Maestro Zen mondialmente conosciuto con
un seguito di circa trecento persone più qualche centinaio
di praticanti locali..
Sono vicinissimo a Thay e ne approfitto per guardarlo attentamente
in viso, è stanco ma gli vedo negli occhi e sulle labbra
semisorridenti una profonda felicità che arriva, in compostezza,
da una lunga, lunghissima attesa.
L’indomani inizia una serie di conferenze pubbliche che continua
il flusso di comunicazione
iniziato a Hanoi e proseguito a Ho Chi Minh City. È ormai evidente che Thay sta seminando
i grani di una rivoluzione culturale dagli esiti imprevedibili.
Thay sta offrendo al Viet-nam
la sua visione del Buddismo adattata alla cultura occidentale.
Essenzialmente Thay parla della consapevolezza, quale veicolo
verso una vita di felicità, così come
esposta nei sutra del Canone Pali Satipattana e Anapanasati.
Questi sutra si trovano pure negli Agama del Mahayana. Thay
insiste anche, e con appassionata forza sullo sviluppo e il
mantenimento dello spirito di fratellanza.
Quanto tempo questi semi richiederanno per germogliare è arduo
prevederlo. Il suolo è da lungo tempo invaso dall’erba
e dalle gramigne della superstizione istituzionalizzata. La
fertilità di questo suolo è incerta ma esiste
anche una permacultura della spiritualità.
Masanobu Fukuoka ne sa qualcosa. Ho parlato con molte
persone, laiche e monastiche e tutte condividono il bisogno
di cambiamento e di approfondimento per quanto coscienti della
pesantezza e della falsità delle liturgie abitudinarie.
Mi diceva un parroco di
campagna, vecchio saggio e mio buon amico, che spesso le apparenze
sono la linfa vitale della essenzialità. Forse aveva
ragione.
L’indomani andiamo in una pagoda che è la sede di un istituto per avanzati studi
buddisti dove anziché l’insegnamento usuale Thay
offre agli studenti la possibilità di porre domande,
ma prima di iniziare Thay esplicitamente parla di corruzione
nel mondo monastico.
Ogni risposta è una miniconferenza e le domande sono tutte pertinenti, alcune anche ansiose quale
per esempio quella posta da una giovane monaca: Thay, come possiamo
praticare i tuoi insegnamenti senza che ci sia una guida costantemente
presente?
Thay promette l’invio trimestrale di insegnanti del Dharma da
Plum Village, dalla California e dal Vermont. Intanto tutti
gli insegnanti del Dharma di nazionalità vietnamita ma
temporaneamente residenti in Europa e
negli USA dovranno ritornare immediatamente in Vietnam
e rendersi utili.
Dopo il pranzo, come era già accaduto a Ho Chi Minh City, camminiamo per qualche
ora sul viale principale della città, diamo uno sguardo
al mercato coperto e rientriamo a Tu Hieu in minibus traversando
il ponte sul Song Huong, il Fiume Profumo o Fiume delle Fragranze
dove, se noleggiate un Sampan per una passeggiata navigante,
si possono ascoltare le cantatrici barcarole.
Qui tutto è verde, ovunque si guardi non c’è che
verde, alberi, erbe, cespugli, boschi di bambù, un’ossessione
di verde.
Andiamo per un breve tour turistico e visitiamo la cittadella imperiale
della dinastia Nguyen (1802-1945). La cittadella, costruita
dal re Minh Mang fra 1804 e il 1833,
è un insieme di padiglioni all’interno dipinti
di rosso e soprascritti in giallo. Sono i due colori che si
ripetono ossessivamente in tutto il Paese, anche nella bandiera
nazionale. Sono forse i colori karmici del Viet-Nam?
All’interno delle mura c’è molto verde, stagni di
nenufar e ampi spazi terrazzati in cotto.
La cittadella è un monumento nazionale e la trovate anche nelle
guide turistiche. Per quel che mi concerne è solamente
un relitto dell’arretratezza feudale che, per quanto di
recente costruzione, ricorda il maniero cintato di un baronetto
medievale; solo che i baroni usavano pietre mentre qui ci si
affida alla fragilità di legni dipinti.
Su una flotta di minibus arriviamo in un villaggio dalla piazza in
terra nuda dove parcheggiamo i mezzi di trasporto. Siamo 353
persone. A piedi passiamo un ponticello in pietra e ci inoltriamo
su una stradicciola a tratti cementata fra campi di riso e orti.
Andiamo verso il villaggio natale di Thay. In realtà
non c’è alcun villaggio nel senso comune del termine
ma varie casette seminate a caso e troppo recenti perché
Thay possa averne memoria. Solo il tempietto degli antenati
familiari resta al suo posto
ben guardato da due vecchissimi blanki di Thay. Niente
di speciale, il solito tempietto confuciano dedicato agli antenati
nel quale Thay entra con tutti gli onori, dai flauti ai parasole,
offre incenso all’altare e doni ai due guardiani. Solo
poche persone riescono a entrare con Thay, l’area è
troppo piccola. Alcuni, ovviamente caucasici, ne approfittano
per fare acrobazie su un ponte costituito da due aste di bambù
all’inizio e alla fine e da una sola asta in centro.
Sono stanco, stanchissimo; automaticamente mi incammino verso il ponte
in miniatura e la piazza dei bus
ma dopo qualche diecina di metri mi sento chiamare da
una voce femminile. Mi volto in direzione della voce e vedo
un gruppetto di tre monache inginocchiate sull’erba, i
loro sguardi e le loro braccia convergenti verso qualcosa davanti
a loro. Arrivo, mi inginocchio anch’io e guardo l’oggetto
del loro interesse: un millepiedi dall’aria itterica su
un tratto di ciottoli rossi molto comuni in questa zona.
Il vermiciattolo giallastro alza la protuberanza anteriore che suppongo
faccia funzione di testa
e saetta il
suo sguardo semiliquido contro i miei occhi. Per una snocciolata
di secondi i miei muscoli fremono e mi sento addosso il fenomeno
adrenalinico della pelle d’oca. Altro che millepiedi!
Lo riconosco d’acchito. Non ho dubbi, questa è
una vecchia conoscenza
la cui origine si perde dove il tempo non arriva. Sono mosso
da pietà mentre mi sento coinvolto in un delirio di grottesco
dal sapore d’infinito.
Il bacherozzo altro non è che l’ultima reincarnazione
di Kostanbhar il
più grande fra i signori della guerra nel mondo senza
pace di Mirlack, il più potente fra i Maghi-Dragoni nell’universo
dove fui posto a guardia della foresta degli alberi flauto.
Sovente Kostanbhar tentò di penetrare la barriera di
muschio trasformante che circondava il mio dominio ma sempre
ne fu respinto e per lungo tempo restò fra le sue montagne
a risanarsi le ferite delle frequenti guerricciole con altri
potentati di caimani volanti.
Sciaguratamente convinto dalla posizione delle stelle durante la notte
del suo novantesimo matrimonio Kostanbhar decise di sfidarmi
chiedendo la foresta in caso di vittoria e offrendo il suo regno
in caso di sconfitta. Il collerico alligatore non sapeva che
la foresta degli alberi flauto apparteneva al Consiglio dei
Nikantropi e che era pertanto imprendibile ma era fra i miei
doveri mantenere il segreto
né il mago-lucertola era consapevole che, grazie
alla mia natura, non avrebbe mai potuto vincermi.
Decisi, per il mio piacere, di
accettare il duello sapendo tuttavia che stavo per commettere
due errori fondamentali : uscire dalla foresta senza il permesso
del Consiglio e commettere un atto di violenza, grave delitto
nel codice dei Pacificatori. Ero
molto giovane, undicimila anni nel calendario terrestre,
amavo le avventure e decisamente detestavo Kostenbhar.
Ci incontrammo sul pianoro delle Nove Torce nel possedimento neutro del vecchio e povero dragone Matukrank
che ormai non combatteva più da oltre
ventuno generazioni.
Dal che mi vide il nemico mi saettò addosso un fiume di ardesia
fiammante che lasciai passare attraverso il mio corpo trasformandola
in missili di ghiaccio che sferrai nella bocca del serpentaccio.
Kastenbhar crollò al suolo privo dei sensi ma
si rimise in sesto di svelto e contrattaccò di lancia,
la sua famosa zagaglia incantatrice di giada magica.
Per quanto sapessi che il protervo giocoliere della guerra non poteva
infliggermi alcuna ferita, la vista del suo famigerato coltellaccio
da mattatoio mi avvampò lo spirito e chiamai dall’interno
del mio corpo la spada parlante dei
guardiani di Areteia.
Più veloce della
sua percezione mi fulminai
su Kostanbhar, ne avviluppai il corpo scaglioso nella
la sofficità del mio e ordinai alla
spada Gadhur di mozzargli
la testa.
Kostanbhar si dissolse in fiocchi amaranto di gas e rinacque molto tempo dopo nel mondo degli iguana
. Non sentii più parlare di lui per una dozzina di eoni.
Indietro nella foresta dovetti affrontare il prevedibile. La voce del
Consiglio arrivò severa
e implacabile. Posi la spada ai piedi del decano degli
alberi, mi sollevai al di sopra della foresta
e guardai per l’ultima volta il mio corpo di Nuvola
Mutante.
Mi ritrovai in sembianze umane seduto sul suolo di una capanna , nel
paese di Han , recitando e traducendo nel mio linguaggio alcune
delle risposte che,
nel Vajrachedka, Shakyamuni dà al Bodhisattva
Subhuti:
la realtà, caro Subhuti, è non-realtà, quindi possiamo chiamarla realtà.
Il giorno appresso andiamo alla famosa pagoda Linh Mu dove Tich Quang Duc fondò la Chiesa Buddista Unificata,
trasmise il Pratimoksha , cioè l’orinazione completa,
a Thay nel 1946
e da dove partì per Saigon su una Martin azzurra verso
il suo destino di Bodhisattva. Tich Quang Duc si immolò,
in segno di protesta contro il regime fascista e discriminatorio
di Ngo Dinh Diem, infiammando
il proprio corpo cosparso
di benzina l’11 Giugno 1963. La fotografia di Tich Quang
Duc in fiamme fece il giro del mondo.
Il relitto della macchina è in una stanza senza porta, visibile
da tutti . Al muro dietro la macchina è appesa la fotografia
del suo cuore pietrificato, l’unica parte del suo corpo
non incenerita dalle fiamme.
Chân
Phâp Y
Hué, Vietnam Centrale, il 27 Febbraio 2005
P.S. 01. Nel prossimo futuro vi racconterò in dettaglio la storia di Mirlack che l’arrivo
contemporaneo del Buddha e del Cristo
trasformò in tempio cosmico della pace.
P.S. 02. Tutte le fotografie allegate sono di Sister Sandra.
Un angolo del mercato Cho Tan Huong
Camminando in Ho Chi Minh City
Albero del Sapodilla
Bulgari in Ho Chi Minh City
PV in Ho Chi Minh City
La danza del drago
nel giorno del Tet
Sulla strada verso il villaggio di Thay
Lom Chom
Mang cau-Na
Longans
Due bambine dedicate
a futura vita monastica
Giovane novizio
alla campana della pagoda
Thay mostra la colonna sulla quale,
quand’era novizio Scrisse di nascosto
Prendo il voto di salvare
tutti gli esseri viventi.
A quel tempo la colonna era ancora bianca.
Al tempio dei suoi antenati
Thay e' accolto da due
suoi distanti cugini.
Questo è uno di loro.
La venerabile Dieu Tri, 98 anni,
che conosceva Thay da bambino
e che e’
venuta ad accoglierlo
all’aeroporto di Hue’
Thay accolto dai venerabili all'entrata di Tu Hieu
Thay offre incenso
alla stupa del fondatore di Tu Hieu
Sulla stradina per Tu Hieu.
Alla destra la triplice porta
di un tempietto confuciano
Thay sulla strada del suo villaggio
All'aeroporto di Hue'
Quarta
lettera dal Viet-Nam La saggezza dellastuzia
impostora, quella del cambiar tutto per non cambiare niente,
è di astorica vecchiezza e probabilmente nasce con i
primi poteri organizzati.
Ci sono tuttavia eventi nella vicenda umana in cui questa saggezza
delloscurità sagoma comportamenti sociali e filosofie
di vita che possono resistere per millenni.
Il Gattopardo, e qui va per nome collettivo, non scoprì
molto sul tema; fu consapevole dellimbroglio storico e
con cinica intelligenza ne visse lesperienza. Dopotutto
apparteneva a unetnia che nulla perdette se non una bandiera
per acquisirne unaltra.
Il primo invisibile cambiamento per non cambiare fu invece dordine
eonico nel mezzo della prima epoca assiale di cui si abbia testimonianza.
Accadde in quel territorio che oggi è lIndia del
nord. La pervasiva corruzione morale della morente società
vedico-aryana aveva obbligato la casta braminica a riforme radicali
di autoprotezione in estremo. I Bramini riformatori codificarono
la nuova morale in testi a noi noti come Upanishad. La violenza
contro gli animali -labbattimento di cavalli, vacche e
ovini sia per laltare dei sacrifici che per il mercato
alimentare- era sì comune e inutilmente esagerata che
divenne unonta pubblica.
Chi rischiava di pagarne le conseguenze, in termini di estinzione,
era la casta sacerdotale,la più potente nellordine
delle quattro caste di potere, che più di altri abusava
della vita animale per le sue cerimonie sacrificali.
Consapevoli della destabilizzazione di quellasse portante
etico chera stato il coibente dellunità tribale
ariana i Bramini più astuti o più sensibili o
più perspicaci aprirono i portali a quella che fu poi
definita la prima rivoluzione culturale dellIndia. Definizione
incorretta per due ragioni: primo non fu una rivoluzione ma
una riforma con loccultato intento di essere contro-riformata;
secondo perché le idee che si portano dentro i germi
delle grandi rivoluzioni sono sempre idee, così arguisce
Anthony de Mello, della minorità di uno, cioè
di una sola persona. Infatti la prima vera rivoluzione culturale
in India fu opera del Buddha.
Le uccisioni di esseri viventi furono ridotte allessenziale,
per quanto il concetto di essenzialità sia sempre di
natura egoistica e comunque sempre dubitativo, e la rinascita
dello spirito ebbe inizio.
Quanto durò? Non lo sappiamo con certezza ma innegabilmente
per meno di un secolo.
Lo spirito della non violenza fu mantenuto vivo fuori dal Bramanesimo,
dai Jain e dal Buddha nonché da alcune sette tradizionali
che furono in seguito alle origini dellInduismo. In questa
continuità millenaria sta linfluenza positiva di
una riforma che altrimenti nacque per ben altri scopi.
Certo è che in successive Upanishad la necessità
di uccidere ciò che si muove, per cibo o per difesa,
è nuovamente sanzionata.
Il capolavoro della controriforma arriva con la sentenza, impeccabile
per sintesi e chiarezza, che dice uccidere per il sacrificio
non è uccidere.
Purificato della sua natura peccaminosa latto si spoglia
dellabito sporco della violenza,
ammazzare in guerra non è omicidio, non è genocidio,
non è strage. Assassinare un condannato a morte non è
delitto, si sostituisce il verbo con giustiziare.
La coscienza è salva, lanima è bianca.
Mi sono lasciato prendere da questa breve riflessione, già
lungamente e altrove elaborata più di un anno fa, dopo
il mio rifiuto di intervenire al programma di oggi che prevedeva
qualche ora di navigazione in sampan sul Song Huong e il rituale
della liberazione di pesci e uccelli. La liberazione di animali
catturati, in questa parte del Paese, è un atto liturgico
estremamente semplice, un solo gesto, praticato da laici e monastici,
come mezzo per accumulare meriti. Quali meriti? E per quale
ragione? Di fronte a chi? Mi sono astenuto dal parteciparvi
sebbene fossi già caduto nella trappola contribuendo
alla liberazione di alcune rondini.
Si dovrebbe scoraggiare luso di questa pratica che è
mostruosa sin dallinizio. La cattura degli uccelli o dei
pesci e il loro intasamento in gabbie e vasche dove muoiono
per soffocamento è una tortura inutile poiché
anche il profitto economico derivato dalla vendita degli animali
da liberare è di inconsistente rilevanza. Purtroppo anche
questa pratica è una ulteriore manifestazione di quanto
penetrata a fondo sia nel contesto culturale la trasformazione
della spiritualità in superstizione regimentata e di
quanto un atto di crudeltà, la cattura, non sia considerato
violenza.
Thay è fisicamente stanco e per alcuni giorni se ne è
rimasto nella sua stanza a farsi curare con massaggi e dieta
speciale. La venuta in Viet-Nam di Thay e della delegazione
di Plum Village sta suscitando opposte reazioni nel mondo buddista
vietnamita sia in Viet-Nam che in Europa.
Purtroppo ciascuno guarda alla propria bottega e non è
comunque facile comprendere la sottile strategia che Thay sta
giocando per convincere lOrganizzazione Buddista ufficiale
ad aprirsi e riformarsi prima che sia ingoiata dalla deflagrazione
morale verso cui sta correndo il paese.
Ciò che non piace ai religiosi vietnamiti allestero
è che Thay riconosca limpegno del Governo a sradicare
corruzione, delinquenza minorile, prostituzione sia minorile
che adulta e alcolismo. Ma Thay sottolinea che questo impegno,
per quanto forte e risoluto, non basta se prima non si ricostruisce
larchitettura morale del Paese. Quindi il suo non è
un riconoscimento passivo per ammorbidire le Autorità.
E larchitettura morale la si ricostituisce riconducendo
a nuova vita antichi valori mai obsoleti perché della
natura stessa dellesistenza. Da qui nasce la necessità
di spogliarsi dantiche liturgie e pratiche devianti.
Thay parla soprattutto ai giovani e parla di ascolto profondo,
di sviluppo del senso di fratellanza, di compassione e di impegno
sociale. I pilastri dellarmoniosa esistenza
Tutti, Governo compreso, lo ascoltano con estrema attenzione
e rispetto. Perché Thay parla di una verità oggettiva
difficilmente contestabile e visibile da chiunque.
Linaspettato riposo, si fa per dire, mi cede a indulgere
alla contemplazione del piccolo giardino davanti la porta della
mia stanza. Alberelli di tè dalle foglioline di pallido
verde che avvolgo in minute biglie da masticare o che lascio
in infusione per trenta secondi. Se fossero commercializzate,
queste foglie appena nate avrebbero letichetta di tè
bianco e costerebbero parecchi € per grammo.
Ci
sono alberi di sampucé o sapodilla e alcune cactacee
rampicanti chiamate dragone verde e che producono un frutto
dalla forma attraente e dal gusto raffinatamente dolce. La fotografia
del Dragone Verde che vi ho inviato non vi è arrivata
perché contestuale alla lettera. Problemi forse di linguaggio
internet.Ve ne mando una separatamente.
Cè anche un alberino di limoncello senza frutti
ma con fiori -si dice zagare?- dal profumo intenso e dalla tessitura
morbida per quanto densa.
Gli alberi di Jackfruit, forse conosciuto in Europa con il nome
portoghese di Jaca ma non ne sono certo, si sprecano.
I frutti di questalbero, enormi palloni verdi da rugby
interamente ricoperti da protuberanze dure ma non spinose, nascono
direttamente dal tronco, da ogni parte del tronco, dalla cima
al rasoterra. Si mangiano crudi o cotti in salsa dolciastra
e perfino fritti. Quel che si mangia è una polpa bianca
ricchissima in fibre attaccata attorno ai semi che hanno la
dimensione di una noce. Lalbero è di origine Malay,
ovvero della penisola formata dalla Tailandia sudoccidentale,
dalla Malesia occidentale e dallisola di Singapore. Ve
ne invierò una foto.
Che dire dei Frangipani? Ovunque volgo lo sguardo ne vedo uno,
in questa stagione purtroppo senza i suoi fiori dai variegati
colori e dalla fragranza gentile. Deve il suo nome al marchese
italiano Muzio Frangipani del sedicesimo secolo ma è
conosciuto anche come Plumeria che mi sembra nome più
bello.
Questa mattina sono andato, con altri due fratelli, allantico
mercato di Dong Ba, istituzione storica di Hué e del
quale Thay parla in alcune sue storie. Ci sono andato per comprare
unerba nera e disseccata che infusa dà un tè
medicinale amarissimo ma efficace per il mantenimento dellequilibrio
trigliceridi- colesterolo. Lerba si chiama Chè
Dang e va per dodici € al chilogrammo, prezzo proibitivo
in Vietnam ma giustificato: le foglie vengono dalle montagne
dove sono preparate a mano dalle piccole etnie locali.
Nientaltro mi attrae in questo mercato dove dolciumi iperzuccherati
e merci in sintetico provenienti dalla Cina si impilano fino
allaltissimo soffitto.
Ci instradiamo verso luscita per ritrovarci sotto una
pioggia monsonica senza alcun riparo di parapioggia o di giacconi
impermeabili. La mia testa appena rasata è coperta da
un berretto di lana artificiale, le scarpe di robustissima fattura
americana aprono discreti e segreti passaggi allacqua.
Mi sono appena rimesso da tre giorni di febbre influenzale.
Che facciamo?
Semplice, se nellintimo della mente siamo convinti che
la pioggia non esiste, allora la pioggia non esiste e non può
quindi bagnarci. Detto fatto siamo già sul ponte del
Song Huong e mica tanto di corsa, lo zen è zen.
Prendiamo la strada che fiancheggia lhotel Saigon-Morin,
monumento dellepoca coloniale costruito allinizio
del 900, glissando sotto le tettoie dei negozi quando
vedo uninsegna che mi attrae: Mandarin Café . Confesso
di essere una vittima volontaria, inveterata e felicissima della
bevanda nera, amara e calda che viene dalla filtrazione di questi
fagioli tostati e macinati che girano il mondo sotto il nome
di caffè.
Invito accolto, entriamo. Siamo fradici inzuppati fino ai canali
delle ossa. Lo zen non ci ha salvato.
Riassestati alla meglio dopo aver consumato tutti i tovaglioli
di carta dei quattro tavoli a portata di mano ci sediamo e aspettiamo
che qualcuno venga a chiederci cosa vogliamo. Non ceravamo
accorti, gli occhi semichiusi dallacqua, che almeno quattro
persone sono intorno a noi sorridenti e curiose.
Ovviamente chiedo un primo caffè mentre gli altri due
vorrebbero mangiare qualcosa. Nellattesa giro lo sguardo
attorno. È una stanza stretta e lunga, come spesso se
ne trovano anche a Parigi, con una parete interamente tappezzata
di fotografie 40x60 senza cornici, senza descrizioni. Finisco
il caffè e mi alzo per guardare da vicino le foto. Resto
quasi senza fiato. Sono opere darte, sono la creazione
di un occhio magico che sa vedere lanima degli oggetti,
che sa penetrare linterno della sofferenza umana, che
illumina la miseria senza defraudarla del suo stato di ingiustizia.
Lautore si chiama Pham Cu ed è il proprietario
del Mandarin Cafè che funge anche da agenzia turistica,
biglietteria aerea, noleggio di auto, barche, motorette e biciclette.
Non ho chiesto, per pudore, se noleggiassero anche impermeabili.
Sono al mio terzo caffè, beandomi delle immagini che,
in formato cartolina, la signora Cu mi ha voluto regalare quando
un signore piccoletto, sulla sessantina, formalmente cortese
si avvicina al tavolo e si presenta. È il signor Pham
Cu, lartista fotografo, ha esposto in Italia e in Francia,
conosce Thay da quarantanni e da altrettanto tempo non
lo vede, mi mostra lultimo libro di Thay in lingua Vietnamita
e mi parla del villaggio di sampan, la gente che vive sul fiume,
invitandomi a visitarlo.
Ora è quasi tardi, la pioggia non cessa di sacrificare
le strade piene di buche e i marciapiedi sventrati.
Ci guardiamo lun laltro, ci sorridiamo e alla faccia
dello zen chiamiamo un taxi.
Chân
Phâp Y, Hué 06 Marzo 2005
Tutte le fotografie allegate sono di Sister Sandra
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