GIOVANNI PRIOLO E IL TEATRO DI AVOLA SPAZIO A CURA DELLA LIBRERIA EDITRICE URSO 96012 AVOLA e-mail info@libreriaeditriceurso.com vedi Catalogo Libreria Editrice Urso scarica IN PDF scarica IN WORD |
GIOVANNI PRIOLO
Tante
e svariate manifestazioni si svolgevano, fra l’altro con alterne vicende, in
numerose strutture private (saloni o magazzini di case gentilizie del barone
Sirugo di S. Domenico, di Pompeo Interlandi principe di Bellaprima, del
cavalier Giampiccolo dei baroni di Cammarana, del cav. Gubernale, del cav. Toscano) oppure in spazi pubblici su cui si approntavano
palchetti e sedie, e altre ancora nei magazzini dello Stato, situati, allora,
in via Manin, tra l’attuale chiesa dell’Annunziata e la scuola Media Bianca.
In quest’ultima struttura, chiamata per tutto il periodo borbonico Teatro
comunale, si continuò a esercitare spettacolo fino agli anni
Sessanta del Novecento, col nome di Cinema Tripoli all’inizio di quel secolo, e successivamente Arena Lux.
Venne
il momento che la classe dirigente avolese ebbe bisogno di un luogo idoneo, di
un vero teatro, come luogo di aggregazione didattica e
ludica, e, quindi, fece di tutto per adeguarsi ai tempi e alle necessità,
superando, fra l’altro, ostacoli alla partecipazione del sesso femminile.
Ovviamente
eccitò molto gli animi il fermento verso il teatro di altre città viciniori
come Modica e Vittoria, allora facenti parte della
provincia di Siracusa, che all’epoca comprendeva il distretto di Ragusa.
La
fabbricazione iniziò nel 1872 sotto la sindacatura di Calogero Gubernale con
l’assegnazione dell’incarico agli ingegneri Fortunato Quériau e Salvatore Rizza
(quest’ultimo fu l’architetto di tutto quanto si edificò ad Avola in quegli
anni, dal Palazzo comunale, al Mercato, al Molo di Mare Vecchio, alla Torre
dell’Orologio, ecc.).
Sorse
su parte dello spazio dedicato a giardino da parte del Convento dei Padri
Domenicani (questi ultimi, infatti, erano succeduti ai Gesuiti nella gestione
di questa vasta area), e la comunità poté usufruire di questo spazio, a seguito
dell’esproprio per le leggi eversive del 7 luglio 1866, così com’era già avvenuto con l’altro spazio destinato al Palazzo comunale,
alla Pretura e alla Villetta adiacente.
L’opera
fu completata alla fine del 1875, dopo poco più di quattro anni dall’inizio dei
lavori, con una celerità impensabile oggigiorno, sotto la sindacatura del
successivo sindaco, il cav. Francesco Azzolini, e il
Teatro fu inaugurato il 20 aprile
del 1876.
Sei
anni più tardi, subito dopo la morte dell’Eroe dei due mondi, fu titolato a Giuseppe Garibaldi.
La
cittadina, così, era entrata a far parte di quel centinaio di comuni siciliani
che possedevano un teatro e poteva esercitare, e sviluppare, quel ruolo
eccezionale di laicizzazione ed emancipazione che ebbe la nuova borghesia
locale a cavallo dei secoli Ottocento e Novecento.
Pertanto,
la costruzione di questo novello Teatro comunale, collocato ad angolo tra la
strada del Cassaro (oggi corso Garibaldi) e con
ingresso nella Piazza di S. Venera (oggi piazza Teatro), non fu casuale, ma il
giusto punto di arrivo di una municipalità ormai disponibile, con la nuova
ricchezza, economica e culturale, alla musica, all’opera lirica e al teatro in
generale.
Questo
volume sul Teatro avolese che propongo alla vostra lettura è un’opera dell’ingegnere Giovanni Priolo, dal titolo Teatro
d’Avola in provincia di Siracusa e col sottotitolo Sommaria
esposizione, quasi a significare, da parte dell’autore, una
personale e modesta valutazione su quanto scritto, e detto. Sommaria,
come vedrete, non fu affatto e, invece, risulta essere
un prezioso documento da leggere sotto molteplici aspetti.
La
prima (e unica) edizione precedente fu pubblicata a Siracusa a fine 1875, ad opera della tipografia di Andrea Norcia e la versione
circolante in questi ultimi anni fra gli appassionati, risulta essere fotocopia
di altra fotocopia e, pertanto, di difficile lettura, per la stampa poco chiara
di numerosi caratteri. Errori tipografici di quella vecchia versione, inoltre,
nella trascrizione di alcuni vocaboli, oppure la presenza di spazio prima dei
segni di interpunzione della prima edizione, sono
stati opportunamente corretti in questa mia nuova edizione; non ho cambiato
nulla del testo originale e ho mantenuto, giustamente, tutti quei termini
caduti in disuso nel nostro linguaggio odierno (come abbenché,
bentosto, edifizio, rettangola, prolungazione, ecc. ecc.);
ho anche rispettato, come nel testo originale, il maiuscolo, quando l’autore
parla di Re, e il minuscolo, quando parla di Risorgimento, della Comune di
Parigi, perché ciò testimonia l’orientamento e la conformazione culturale di un uomo di quel tempo.
A
parte queste mie avvertenze e considerazioni di carattere generale con
riferimento essenzialmente alla forma testuale, mi sembra di sottolineare, inoltre, la difficoltà di immaginare la personalità e lo
scrupolo, magari eccessivo, di questo ingegnere-autore, nonostante fosse quasi
certamente alla sua prima – e unica – opera. Quel che è certo, è il fatto che la sua scrittura va al di là di quanto lui
stesso presupponesse. E le sue riflessioni estremamente “puntuali” di natura tecnica e non sulla qualità dei lavori realizzati e dei
servizi offerti ci fanno capire quali fossero le condizioni, le aspettative, i
sogni di una vecchia aristocrazia e di un “nuovo” ceto borghese delle
professioni avolesi, desiderosi entrambi di locali adeguati ai nuovi intrattenimenti,
che facilitassero la partecipazione delle donne e il compattamento delle forze
liberali.
Con
questa nuova edizione, ripropongo, pertanto, ai
lettori di oggi questo raro testo nella mia collana Recuperata,
in concomitanza della fine del lungo lavoro di restauro e di rifacimento del
Teatro Garibaldi, e voglio dedicare il mio
personale sforzo (portato avanti, come sempre, senza finanziamenti pubblici) a
tutti gli appassionati di storia patria.
La
lettura sarà senz’altro piacevole. Noi non eravamo con l’autore in quella ispezione, ma, attraverso i suoi occhi e la sua
scrittura, recepiamo quel che vide e – le sue emozioni diventano anche
nostre – con il procedere della lettura.
L’autore
confessa di essere venuto di corsa ad Avola per
visionare le scene, ma rimane impressionato da tutto ciò che trova esposto alla
sua vista. Sebbene scriva solamente qualche parola,
com’egli scrive, sull’oggetto
principale della corsa ad Avola (che era motivata dalla esclusiva visione delle scene del teatro), a lungo
invece si dilunga su parecchi aspetti fondamentali del teatro avolese, con la
pignoleria e la serietà di un tecnico di tribunale o di un militare, nel
descrivere minuziosamente tutto quel che percepisce, man mano che esamina tutti
gli ambienti.
Stretta
tra Noto e Siracusa, che già avevano da tempo lunghe
tradizioni culturali, Avola dedicò, sulla scia di altre città, principalmente
del ragusano (ad esempio, Modica, Vittoria, ecc.), sacrifici e risorse
inimmaginabili alla realizzazione di questo Teatro comunale, in un momento
difficilissimo per le finanze municipali e per la concomitante mancanza di
risorse statali per tali opere.
Da
non dimenticare, poi, che ad Avola in quegli anni, che contava una popolazione
di circa dodicimila abitanti, il 93% dei cittadini non sapeva né leggere né
scrivere, e che questi interessi erano diffusi, allora, in poco più di
settecento persone… A quello sparuto nucleo di “illuminati” interessati e
sensibili, va riconosciuto il merito di quella realizzazione.
Come
sono cambiati i tempi da allora! Oggi, quasi siamo all’opposto… A meno di
centocinquant’anni, tutto è, e assume nella nostra vita, non solo a livello
locale, anziché aspetto di impegno e tensione civile e
culturale, sempre più sembianza di finzione, se non aspetto di arrogante
ignoranza, in una terribile conformazione di altro teatro nei
rapporti interpersonali, nell’esercizio dell’attività che si dice ancora (sic!) politica, in una quotidianità sempre più modesta, con
un’analfabetismo di ritorno e un’indifferenza generale a tutto e a tutti,
sintomi inequivocabili di un degrado sempre più incalzante.
Qualsivoglia Amministrazione comunale
attuale, di destra o di sinistra, come si dice ancora, considerato l’anzidetto
clima sociale e politico che si respira al presente, potrebbe, per intenderci,
iniziare col risolvere i problemi spiccioli, e, visto che oggi Avola può
contare (forse!) su quei settecento “illuminati” – che erano già pochi rispetto
a una densità demografica di dodici mila abitanti (cosa dire oggi, che siamo
trentaduemila!), potrebbe copiare di pari passo quanto si faceva a fine 1898,
per risolvere il problema impellente in quel momento dei numerosi topi, con una
banale deliberazione avente ad oggetto la collocazione di due gatti nel Teatro.
Adesso,
tutti ci rendiamo perfettamente conto che, in presenza di efficienti sistemi moderni di derattizzazione, ci sarebbe voluta una
differente delibera, altra da quella, per favorire quei pochi elementi rimasti
che sanno leggere e scrivere, in mezzo ad una popolazione al cento per cento
alfabetizzata, sì, ma senza interessi e senza tensioni, con analfabetismo di
ritorno, come dicevo, risultante identica, in proporzione, a quell’altra di
fine Ottocento che non sapeva né leggere né scrivere (Evviva la democrazia!).
Io ed altri pochi amici, che abbiamo protestato già dagli
anni Settanta, per il degrado di quel Teatro, che negli anni Cinquanta si
voleva adattare ad aula consiliare, diventato dal dopoguerra deposito di
biciclette e motorini e di ogni altro tipo di cianfrusaglia (agli inizi degli
anni 80 sotto la sindacatura di Paolo Magro – con Giuseppe Corsico
assessore – furono tirati fuori 5000 scope di erica, 200 vecchie
biciclette e manoscritti inediti di musica di Salvatore Falbo), usato
alternativamente anche per uffici del Comune e altro ancora. Noi, che
utilizzammo appieno come Libreria Editrice Urso e Avola in laboratorio quel Foyer appena restaurato all’inizio degli anni Novanta (indimenticabili, due rassegne
della piccola editoria siciliana, due edizioni del concorso letterario “Un
racconto per un segnalibro”, diverse presentazioni di libri e di autori, e
numerosi dibattiti e conferenze). Noi pensiamo di potere essere utili, non solo
in senso metaforico, assieme a qualche altro meraviglioso amico, quanto lo
furono quei due gatti di quella delibera (che non erano nemmeno quattro!).
Con
lo scopo civile, tuttavia, di sviluppare interessi culturali in questa
singolare e sempre bella città (nonostante tutto)!
E
così, sia pure quattro gatti, saremmo pur sempre un argine al dilagare dei topi...
Chissà
cosa accadrà! Speriamo bene.
I
miei ringraziamenti vanno al presidente pro tempore della Pro Loco, il rag. Giuseppe Corsico, per avermi fornito
una versione quasi leggibile del testo del 1875 e alla signorina Anouk
Travaillard, per l’eccezionale aiuto nella fase di correzione delle parti del
testo in francese.
Per ulteriori approfondimenti sul tema oggetto di questa
pubblicazione suggerisco la lettura delle opere di Gaetano Gubernale, nel fondo Gubernale presso la Biblioteca Comunale di
Siracusa.
Indispensabili
per farsi un quadro esaustivo, così com’è stato per
me, risultano essere le approfondite ricerche dello studioso Alessandro Loreto, quali la Rassegna
musicale italiana, anno V n. 18 aprile-giugno 2000, l’Archivio
storico siracusano s. III, XVI (2002) della Società Siracusana di Storia
Patria, e Avola musicale.
Francesco Urso
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