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copertina TEATRO

Teatronovita'GIOVANNI PRIOLO
Teatro d'Avola in Provincia di Siracusa
20
10, 16°, pagg. 64
Libreria Editrice Urso
Collana
RECUPERATA n. 2, 6,00
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Già dalla seconda metà del XVI secolo abbiamo testimonianza storica di rappresentazione di tragedie sacre e di esecuzioni musicali in Avola.

Tante e svariate manifestazioni si svolgevano, fra l’altro con alterne vicende, in numerose strutture private (saloni o magazzini di case gentilizie del barone Sirugo di S. Domenico, di Pompeo Interlandi principe di Bellaprima, del cavalier Giampiccolo dei baroni di Cammarana, del cav. Gubernale, del cav. Toscano) oppure in spazi pubblici su cui si approntavano palchetti e sedie, e altre ancora nei magazzini dello Stato, situati, allora, in via Manin, tra l’attuale chiesa dell’Annunziata e la scuola Media Bianca. In quest’ultima struttura, chiamata per tutto il periodo borbonico Teatro comunale, si continuò a esercitare spettacolo fino agli anni Sessanta del Novecento, col nome di Cinema Tripoli all’inizio di quel secolo, e successivamente Arena Lux.

TeatroVenne il momento che la classe dirigente avolese ebbe bisogno di un luogo idoneo, di un vero teatro, come luogo di aggregazione didattica e ludica, e, quindi, fece di tutto per adeguarsi ai tempi e alle necessità, superando, fra l’altro, ostacoli alla partecipazione del sesso femminile.

Ovviamente eccitò molto gli animi il fermento verso il teatro di altre città viciniori come Modica e Vittoria, allora facenti parte della provincia di Siracusa, che all’epoca comprendeva il distretto di Ragusa.

La fabbricazione iniziò nel 1872 sotto la sindacatura di Calogero Gubernale con l’assegnazione dell’incarico agli ingegneri Fortunato Quériau e Salvatore Rizza (quest’ultimo fu l’architetto di tutto quanto si edificò ad Avola in quegli anni, dal Palazzo comunale, al Mercato, al Molo di Mare Vecchio, alla Torre dell’Orologio, ecc.).

Sorse su parte dello spazio dedicato a giardino da parte del Convento dei Padri Domenicani (questi ultimi, infatti, erano succeduti ai Gesuiti nella gestione di questa vasta area), e la comunità poté usufruire di questo spazio, a seguito dell’esproprio per le leggi eversive del 7 luglio 1866, così com’era già avvenuto con l’altro spazio destinato al Palazzo comunale, alla Pretura e alla Villetta adiacente.

L’opera fu completata alla fine del 1875, dopo poco più di quattro anni dall’inizio dei lavori, con una celerità impensabile oggigiorno, sotto la sindacatura del successivo sindaco, il cav. Francesco Azzolini, e il Teatro fu  inaugurato il 20 aprile del 1876.

Sei anni più tardi, subito dopo la morte dell’Eroe dei due mondi, fu titolato a Giuseppe Garibaldi.

La cittadina, così, era entrata a far parte di quel centinaio di comuni siciliani che possedevano un teatro e poteva esercitare, e sviluppare, quel ruolo eccezionale di laicizzazione ed emancipazione che ebbe la nuova borghesia locale a cavallo dei secoli Ottocento e Novecento.

Pertanto, la costruzione di questo novello Teatro comunale, collocato ad angolo tra la strada del Cassaro (oggi corso Garibaldi) e con ingresso nella Piazza di S. Venera (oggi piazza Teatro), non fu casuale, ma il giusto punto di arrivo di una municipalità ormai disponibile, con la nuova ricchezza, economica e culturale, alla musica, all’opera lirica e al teatro in generale.

 

TeatroQuesto volume sul Teatro avolese che propongo alla vostra lettura è un’opera dell’ingegnere Giovanni Priolo, dal titolo Teatro d’Avola in provincia di Siracusa e col sottotitolo Sommaria esposizione, quasi a significare, da parte dell’autore, una personale e modesta valutazione su quanto scritto, e detto. Sommaria, come vedrete, non fu affatto e, invece, risulta essere un prezioso documento da leggere sotto molteplici aspetti.

La prima (e unica) edizione precedente fu pubblicata a Siracusa a fine 1875, ad opera della tipografia di Andrea Norcia e la versione circolante in questi ultimi anni fra gli appassionati, risulta essere fotocopia di altra fotocopia e, pertanto, di difficile lettura, per la stampa poco chiara di numerosi caratteri. Errori tipografici di quella vecchia versione, inoltre, nella trascrizione di alcuni vocaboli, oppure la presenza di spazio prima dei segni di interpunzione della prima edizione, sono stati opportunamente corretti in questa mia nuova edizione; non ho cambiato nulla del testo originale e ho mantenuto, giustamente, tutti quei termini caduti in disuso nel nostro linguaggio odierno (come abbenché, bentosto, edifizio, rettangola, prolungazione, ecc. ecc.); ho anche rispettato, come nel testo originale, il maiuscolo, quando l’autore parla di Re, e il minuscolo, quando parla di Risorgimento, della Comune di Parigi, perché ciò testimonia l’orientamento e la conformazione  culturale di un uomo di quel tempo.

A parte queste mie avvertenze e considerazioni di carattere generale con riferimento essenzialmente alla forma testuale, mi sembra di sottolineare, inoltre, la difficoltà di immaginare la personalità e lo scrupolo, magari eccessivo, di questo ingegnere-autore, nonostante fosse quasi certamente alla sua prima – e unica – opera. Quel che è certo, è il fatto che la sua scrittura va al di là di quanto lui stesso presupponesse. E le sue riflessioni estremamente “puntuali” di natura tecnica e non sulla qualità dei lavori realizzati e dei servizi offerti ci fanno capire quali fossero le condizioni, le aspettative, i sogni di una vecchia aristocrazia e di un “nuovo” ceto borghese delle professioni avolesi, desiderosi entrambi di locali adeguati ai nuovi intrattenimenti, che facilitassero la partecipazione delle donne e il compattamento delle forze liberali.

Con questa nuova edizione, ripropongo, pertanto, ai lettori di oggi questo raro testo nella mia collana Recuperata, in concomitanza della fine del lungo lavoro di restauro e di rifacimento del Teatro Garibaldi, e voglio dedicare il mio personale sforzo (portato avanti, come sempre, senza finanziamenti pubblici) a tutti gli appassionati di storia patria.

La lettura sarà senz’altro piacevole. Noi non eravamo con l’autore in quella ispezione, ma, attraverso i suoi occhi e la sua scrittura, recepiamo quel che vide e – le sue emozioni diventano anche nostre – con il procedere della lettura.

L’autore confessa di essere venuto di corsa ad Avola per visionare le scene, ma rimane impressionato da tutto ciò che trova esposto alla sua vista. Sebbene scriva solamente qualche parola, com’egli scrive, sull’oggetto principale della corsa ad Avola (che era motivata dalla esclusiva visione delle scene del teatro), a lungo invece si dilunga su parecchi aspetti fondamentali del teatro avolese, con la pignoleria e la serietà di un tecnico di tribunale o di un militare, nel descrivere minuziosamente tutto quel che percepisce, man mano che esamina tutti gli ambienti.

Stretta tra Noto e Siracusa, che già avevano da tempo lunghe tradizioni culturali, Avola dedicò, sulla scia di altre città, principalmente del ragusano (ad esempio, Modica, Vittoria, ecc.), sacrifici e risorse inimmaginabili alla realizzazione di questo Teatro comunale, in un momento difficilissimo per le finanze municipali e per la concomitante mancanza di risorse statali per tali opere.

Da non dimenticare, poi, che ad Avola in quegli anni, che contava una popolazione di circa dodicimila abitanti, il 93% dei cittadini non sapeva né leggere né scrivere, e che questi interessi erano diffusi, allora, in poco più di settecento persone… A quello sparuto nucleo di “illuminati” interessati e sensibili, va riconosciuto il merito di quella realizzazione.

Come sono cambiati i tempi da allora! Oggi, quasi siamo all’opposto… A meno di centocinquant’anni, tutto è, e assume nella nostra vita, non solo a livello locale, anziché aspetto di impegno e tensione civile e culturale, sempre più sembianza di finzione, se non aspetto di arrogante ignoranza, in una terribile conformazione di altro teatro nei rapporti interpersonali, nell’esercizio dell’attività che si dice ancora (sic!) politica, in una quotidianità sempre più modesta, con un’analfabetismo di ritorno e un’indifferenza generale a tutto e a tutti, sintomi inequivocabili di un degrado sempre più incalzante.

Qualsivoglia Amministrazione comunale attuale, di destra o di sinistra, come si dice ancora, considerato l’anzidetto clima sociale e politico che si respira al presente, potrebbe, per intenderci, iniziare col risolvere i problemi spiccioli, e, visto che oggi Avola può contare (forse!) su quei settecento “illuminati” – che erano già pochi rispetto a una densità demografica di dodici mila abitanti (cosa dire oggi, che siamo trentaduemila!), potrebbe copiare di pari passo quanto si faceva a fine 1898, per risolvere il problema impellente in quel momento dei numerosi topi, con una banale deliberazione avente ad oggetto la collocazione di due gatti nel Teatro.

Adesso, tutti ci rendiamo perfettamente conto che, in presenza di efficienti sistemi moderni di derattizzazione, ci sarebbe voluta una differente delibera, altra da quella, per favorire quei pochi elementi rimasti che sanno leggere e scrivere, in mezzo ad una popolazione al cento per cento alfabetizzata, sì, ma senza interessi e senza tensioni, con analfabetismo di ritorno, come dicevo, risultante identica, in proporzione, a quell’altra di fine Ottocento che non sapeva né leggere né scrivere (Evviva la democrazia!).

Io ed altri pochi amici, che abbiamo protestato già dagli anni Settanta, per il degrado di quel Teatro, che negli anni Cinquanta si voleva adattare ad aula consiliare, diventato dal dopoguerra deposito di biciclette e motorini e di ogni altro tipo di cianfrusaglia (agli inizi degli anni 80 sotto la sindacatura di Paolo Magro – con Giuseppe Corsico assessore – furono tirati fuori 5000 scope di erica, 200 vecchie biciclette e manoscritti inediti di musica di Salvatore Falbo), usato alternativamente anche per uffici del Comune e altro ancora. Noi, che utilizzammo appieno come Libreria Editrice Urso e Avola in laboratorio quel Foyer appena restaurato all’inizio degli anni Novanta (indimenticabili, due rassegne della piccola editoria siciliana, due edizioni del concorso letterario “Un racconto per un segnalibro”, diverse presentazioni di libri e di autori, e numerosi dibattiti e conferenze). Noi pensiamo di potere essere utili, non solo in senso metaforico, assieme a qualche altro meraviglioso amico, quanto lo furono quei due gatti di quella delibera (che non erano nemmeno quattro!).

Con lo scopo civile, tuttavia, di sviluppare interessi culturali in questa singolare e sempre bella città (nonostante tutto)!

E così, sia pure quattro gatti, saremmo pur sempre un argine al dilagare dei topi...

Chissà cosa accadrà! Speriamo bene.

 

I miei ringraziamenti vanno al presidente pro tempore della Pro Loco, il rag. Giuseppe Corsico, per avermi fornito una versione quasi leggibile del testo del 1875 e alla signorina Anouk Travaillard, per l’eccezionale aiuto nella fase di correzione delle parti del testo in francese.

Per ulteriori approfondimenti sul tema oggetto di questa pubblicazione suggerisco la lettura delle opere di Gaetano Gubernale, nel fondo Gubernale presso la Biblioteca Comunale di Siracusa.

Indispensabili per farsi un quadro esaustivo, così com’è stato per me, risultano essere le approfondite  ricerche dello studioso Alessandro Loreto, quali la Rassegna musicale italiana, anno V n. 18 aprile-giugno 2000, l’Archivio storico siracusano s. III, XVI (2002) della Società Siracusana di Storia Patria, e Avola musicale.

 

Francesco Urso

 

 

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