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“LE NOSTRE ESISTENZE” di Sonja Alia Terminello
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/e questa siepe che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, ( G. Leopardi, “L’infinito”) e dietro a quella siepe che esclude lo sguardo, ma non l’immaginazione e la fluidità di scrittura, ci sono “Le nostre esistenze”, ravvisabili altresì in quella forza centrifuga e in quella centripeta che al contempo la mano esercita su certe acque lattescenti di uno stagno immaginario; legge fisica di cerchi concentrici che si staglia sulla prima di copertina e diviene così immagine di un canzoniere i cui componimenti si susseguono secondo precisi criteri e legati fra loro da un refrain che evoca assenze e lontananze ed “aria lontana di memorie”(op. cit.) insieme a quella nostalgia mai sublimata e quella tristezza mai disciolta “nel tempo fluente” (ibidem).
“A volte si è tristi, a volte… A volte si è paghi, a volte… per un senso non svelato …per un senso ritrovato” (ibidem) e “tra odore di resina e mirto” (ibidem) “ risponde/ al pianto il canto/(del silenzio)/ che il pianto australe/ non impaura”. ( G. D’annunzio, “La pioggia nel pineto”)
Nell’opera di quest’autrice al registro linguistico assai colloquiale e spesso narrativo fa riscontro una sintassi essenziale, scarna e lineare, una sintassi che mai si addentra nel labirinto di una paratassi articolata in concatenazioni e legami complessi. Un costrutto, questo, che permette a chi legge di poter carpire con facilità i messaggi segreti e quelli palesi che ciascun componimento va ad enunciare e caratteristica e stile di scrittura diviene l’uso di versi brevi, formati anche da un solo vocabolo, da un solo elemento grammaticale, versi che talvolta diventano versi lunghi quasi a voler porre una cesura alla climax dei pensieri come pure a quella accumulazione di parole, allineate ordinatamente per dare risalto all’espressione concettuale e a quella ritmica che talvolta si fa incalzante. Espressione che denota, sì, un impianto stilistico analogico e simbolista, con belle metafore e similitudini, ma che si assimila al primo periodo della poesia ermetica e che denota anche un impianto ritmico, punteggiato qua e là da rime irrelate e rime perfette, e che per questo è da ricondursi alla poesia ermetica di un Caproni, di un A. Gatto, di un Betocchi, di un Bigonciari, di un Sinisgalli, di un Luzi, e non ultime a quelle forme intimistiche e contenutistiche di pascoliana memoria...
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Lucia Bonanni
San Piero a Sieve
7 aprile 2012
Sonia Alia, Le nostre esistenze, 2012, 8°, pp. 56, Collana ARABA FENICE n. 40, € 9,50ISBN 978-88-96071-56-4 |
POETA PRESENTA POETA
Mary Di Martino
per
“Le nostre esistenze” di Sonja Alia
“Cerco l’infinito” di Lucia Bonanni
“Vibrazioni sconosciute” di Cettina Lascia Cirinnà
(Libreria Editrice Urso)
“La poesia è un vomere che ara
e rivolge il tempo,
portando alla superficie
i suoi strati più profondi e fertili;
la sua terra nera torna alla luce.”
(Mandel'ŝtam)
La loro fioritura - un candido sbocciare in filari che dipingono incantevoli vie di fuga verso il cielo, là dove le nuvole cambiano continuamente forme e direzione, come i pensieri, come le sensazioni - è uno dei più poetici annunci di primavera che la natura siciliana sappia regalare allo sguardo... Ebbene, è proprio pensando ad essi, ai mandorli della mia terra, che mi sovviene un paragone con la variegata “esplosione” di poesie fiorite, da nord a sud, di questa bellissima primavera letteraria avolese, di quel dì di marzo, all’interno della splendida cornice in cui si è attuata e conclusa l’edizione 2011/2012 del Concorso: “Libri di-versi in diversi libri”.
Nelle eleganti e policromatiche vesti grafiche della Libreria Editrice Urso, i numerosi libri di poesie presentati in concorso sono stati scelti e pensati come tanti diversi tasselli di un grande mosaico emozionale sapientemente confezionato, come una mappa esauriente, un sistema aperto in uno spazio in cui sono venute a convergere le specifiche individualità degli scrittori emergenti e di talento, ognuno con le loro interiorità ed esperienze di vita, con le loro virtuosità poetiche e scritture differenziate. Ma uniti tutti dall’affinità delle loro anime e dal comune amore per la Poesia, intesa, secondo la concezione di Paul Celan, e che io condivido, come “luogo utopico”, ma pur sempre realissimo, di un possibile incontro con l’altro. Luogo che il poeta rumeno identifica con il “meridiano” (titolo omonimo della sua nota opera), figura immaginaria, metaforica, geografica, segno convenzionale e criterio di orientamento nello spazio e nel tempo. Una linea immateriale, ma allo stesso tempo terrestre, reale che indica una direzione attraverso svariati territori biografici e concettuali, su cui ogni individuo, (ogni poeta), ha la possibilità di tracciare il proprio cammino verso l’altro o ciò che è “altro”, dilatare lo sguardo al di là dei confini nazionali, scorgere connessioni nuove, congiungendo voci associate e fuse, provenienti da spazi, tempi, e lingue diverse.
Un pensiero, questo, capace - come afferma Mandel’štam ne “La parola e la cultura” - di muovere e rivoltare le zolle della cultura, avvalendosi di un “vomere” altrui, la poesia, appunto. Tendenza, a me pare, riscontrabile anche in quella che è stata l’anima del Concorso letterario organizzato da Ciccio Urso, per quel gesto di “meridiano” scambio empatico tra un poeta e l’altro che ha caratterizzato l’intero evento letterario, per quel mettersi in comunicazione, in simbiosi con l’interlocutore che diventa elemento dell’Io, fino ad esserne parte costitutiva. E', infatti, nello scambio, nel continuo confronto con il mondo circostante, che l’anima umana prende anche coscienza della sua complessità e ricchezza.
Questa, si può dire, l’essenza che sostanzia tre silloges d’esordio, fattemi dono dalle stesse autrici mie amiche, che, grazie all’irripetibile individualità di ognuna, concorrono a formare una koinè tutta al femminile, creativa e coinvolgente insieme. Si tratta de “Le nostre esistenze”, “Cerco l’infinito”, “Vibrazioni sconosciute” (Libreria Editrice Urso), rispettivamente di Sonja Alia, Lucia Bonanni e Cettina Lascia Cirinnà, tre donne diverse per personalità, ma accomunate da un’intelligenza marcata mista ad una estrema sensibilità...
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Mary Di Martino
Sonia Alia, Le nostre esistenze, 2012, 8°, pp. 56, Collana ARABA FENICE n. 40, € 9,50ISBN 978-88-96071-56-4
Lucia Bonanni, Cerco l'infinito, 2012, 8°, pp. 56, Collana ARABA FENICE n. 44, € 9,50SBN 978-88-96071-60-1
Cettina Lascia Cirinnà, Vibrazioni sconosciute, 2012, 8°, pp. 56, Collana ARABA FENICE n. 60, € 9,50ISBN 978-88-96071-76-2
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VI PARLO DI UN LIBRO
PER ''RANDAGI'' DI BENITO MARZIANO
Ho appena terminato di leggere il libro “Randagi” (sei racconti) di Benito Marziano, edito dalla Libreria Editrice Urso, di Avola. Preliminarmente desidero scusarmi con l’autore per non averlo ringraziato d’avermi fatto dono del prezioso volume all’indomani della sua uscita editoriale. Lo faccio ora, affidando a queste righe sia il mio ringraziamento sia il pensiero di ciò che ho dedotto leggendo il libro.
Benito Marziano non è nuovo in questo genere di impresa letteraria, avendo già pubblicato con la medesima casa editrice sue precedenti opere: “Don Agostino Salvìa e altri racconti”; “Juliette cara”; ed altre opere poetiche tra cui “Sisifu” e “Altri anni”.
Come recita il sottotitolo messo in parentesi si tratta di sei racconti che ritengo possano tutti ricondursi attorno ad una tematica che un po’ sprigiona fastidio: gli ultimi. Anch’io, come è stato detto da più parti e per ultimo sulla stampa, voglio, ma solo per il momento, affidarmi al conformismo e, quindi, dirò che in questo libro si parla degli ultimi. Almeno per il momento, come dicevo. Tornerò su questa nota polemica alla fine della mia recensione.
Il primo racconto, dal titolo “Ciccio e Lucia”, parla di due barboni che l’ipocrisia mediatica chiamerebbe clochard. Si tratta di due ubriaconi, marito e moglie, che trascinano la loro esistenza chiedendo elemosina, improvvisando strip per racimolare centesimi da spendere in qualche bettola a bere vino, unico scopo della loro vita. Un tempo erano stati giovani, belli, soprattutto Lucia, ed anche felici; la loro vita è precipitata nel baratro a causa della miseria che li ha costretti a vivere di stenti e, quindi, a darsi al vino. Colpisce in questo racconto l’antiteticità della visione esistenziale: se da un parte l’autore rivela tutto il sospetto marxiano attorno alle vicende umane e dunque la certezza che l’esistenza è determinata dalle condizioni materiali e, pertanto, non v’è via d’uscita dalla sua ineluttabilità; dall’altra, egli fa trasparire, tuttavia e ancora, tutta la speranza di poter cambiare il sistema che avvolge e costringe l’essere umano, che c’è ancora un margine di progettualità heidggeriana dell’esistenza, anche quanto la vita sembra essere lì lì per scivolare via e chiudere la sua partita. L’opera di Marziano, d’altronde, non è nuova alle concezioni di progettualità dell’essere: così anche nel romanzo Juliette cara. Ciccio “si ricordò di quando si erano sposati. Era bella allora. Miseria infame! Se non fossimo nati poveri, sarebbe stata altra cosa la nostra vita. Forse saremmo andati a scuola … saremmo stati felici. Come tanti”. “In quelle brevi pause che il dolore gli concedeva … lo prendeva più forte il desiderio di vivere, di cambiare vita … Tale è la natura umana che, per quanto possa essere triste e vuota la vita, misera, infelice, se è minacciata, ci si attacca disperatamente ad essa e con essa alla speranza che qualcosa possa pur cambiare in meglio”.
Leggendo il secondo racconto, “termini pasqualino detto lino”, mi è sembrato di scorgere ad un tempo un libro di Calvino ed una poesia di Montale. Il personaggio “viaggia”, infatti, con la sua mente tra l’inarrivabile, la solitudine e, per ultimo, la paura. Una paura che si manifesta nel procedere razionale del personaggio: partendo da domande che definiremmo esistenziali, quali sono quelle legate alla solitudine umana, egli perviene a risposte che sembrano più un paravento alla sua paura di vivere; ecco, credo che un tratto distintivo di questo personaggio sia proprio quello della paura, della paura di condividere la sua esistenza. Poi, attraverso una prosa atipica, in quanto non corredata di segni di interpunzione, che ricorda un po’ il grande scrittore e premio Nobel per la letteratura José Saramago, l’autore racconta in una sorta di monologo l’intera esistenza di questo soggetto traendo il pretesto da un fantomatico – o forse vero, ma ciò ha poca importanza – incontro di questi con la celebre attrice Monica Bellucci. Termini pasqualino detto lino si racconta così tutto d’un fiato, senza soluzione di continuità, attraverso mille pensieri che sembrano gettati l’uno dietro l’altro senza sosta, che fanno emergere una sostanziale solitudine rispetto all’accadere del mondo e alla sua indifferenza. La nostalgia del passato per un attimo sembra fare capolino attraverso i ricordi, che ai suoi occhi appaiono tutti brutti, anche quelli che un tempo furono belli.
La considerazione è implicita: i ricordi belli suscitano la nostalgia per i tempi andati che mai più torneranno; i ricordi brutti riaprono ferite che sembravano cicatrizzate. Il rimosso che inesorabilmente riemerge. Una vita consumata tra soggetti tipicamente freudiani: la madre oppressiva; il padre assente; la mancata realizzazione matrimoniale – esistenziale...
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Leonardo Miucci
Benito Marziano, Randagi - Sei racconti, 2011, 8°, pp. 88
Collana Mneme n. 35
ISBN 978-88-96071-52-6
€ 10,00
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