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120) Giovanni Fascetti  Maschio
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Allarme impianti gassificatori nella provincia di Pisa

Inceneritori: tutte le questioni ancora aperte

Invio a tutti gli amici cittadini materiale di riflessione su quanto sta accadendo nella provincia di Pisa, in un'area meravigliosa dal punto di vista naturalistico, storico, archeologico, da sviluppare turisticamente e importante per le produzioni agricole e artigianali, un'area fortemente antropizzata. Dal mio punto di vista penso che non ci sia nessun interesse generale in questi progetti ma soltanto un interesse privato, visto che le spazzature da bruciare non sarebbero prodotte in zona ma verrebbero da province, addirittura da regioni vicine e si è forse pensato che la Provincia di Pisa sia il Terzo Mondo dove a popolazioni povere e ignoranti si può fare agevolmente la violenza di imporre qualsiansi porcheria. La situazione è particolare: se i cittadini perderanno questa loro battaglia da qui in poi qualsiasi progetto dissennato e devastatore potrà essere realizzato su questo territorio: fatto il buco nelle siepe, recita un antico proverbio erotico, tutti ci vogliono passare. In un futuro prossimo potremmo essere scelti dal Governo per l'impianto di una bella centrale nucleare così un tranquillo Comune come Vicopisano potrebbe diventare una potenza nucleare! Ma soprattutto, in una nazione dove la corruzione è sempre di più uno status symbol, chi ci garantirà in futuro l'esistenza di un effettivo controllo delle strutture pubbliche preposte alla tutela della salute del cittadino, su questi impianti? Anche la Amministrazione Provinciale non ha nulla da guadagnare da simili progetti dal momento che, secondo me, abbattono il valore dei terreni agricoli della Valdera e se già ora l'Amministrazione non riesce a vendere l'immensa estensione di poderi che ha acquistato dai Gaslini...., come potrà farlo in futuro quando quest'area sarà a rischio inquinamento? Dove sono in questo momento alcuni partiti? Sono in vacanza è ovvio. Ma ci auguriamo di sentire la loro voce visto che altri hanno già incontrato i cittadini e espresso tutto il loro appoggio. Mi auguro che anche i parroci scendano in campo per difendere ciò che Dio ha dato anche agli uomini di questa parte del mondo: vita, terra, salute. Per il momento abbiamo in mano solo un bel mazzo di punti interrogativi che speriamo di non dover deporre un giorno sulle tombe della Democrazia, della Libertà e del Progresso. Un Saluto.

Giovanni Ranieri Fascetti.





Inceneritori: tutte le questioni ancora aperte


Pare prossima l’autorizzazione per gli impianti di Gello, Castelfranco e Vicopisano, ma sono molte le obiezioni dei cittadini che ancora non hanno una risposta
fc75ca97479cfaa7d8dfc5ece3" style="padding: 0px; border-width: 0px 0px 1px; margin: 0px auto; background-color: rgb(255, 255, 255); border-bottom: 1px solid rgb(153, 153, 153); max-width: 292px;">E' una questione che ormai si trascina da mesi. Le comunità di Vicopisano, Castelfranco e Pontedera si oppongono alla realizzazione nei loro territori degli impianti di smaltimento dei rifiuti per cui alcuni privati hanno richiesto alla Provincia l'autorizzazione a procedere.

A poco è servita fino a questo momento la mobilitazione dei cittadini, che non ha prodotto cambiamenti di rotta da parte delle istituzioni competenti e delle imprese. Eppure sono molti i dubbi e le domande sollevate dai comitati, così come i rischi paventati e le preoccupazioni per i possibili danni provocati da tali installazioni. Domande che fino a questo momento non hanno ottenuto risposte ritenute sufficienti ed adeguate per la cittadinanza

I membri del Coordinamento Gestione Corretta Rifiuti Valdera presenteranno alla Provincia nella giornata di oggi (19 agosto) un fascicolo che riporta tutte le ragioni da loro addotte per richiedereun'inchiesta pubblica sulla questione inceneritore; partendo da quel documento, proviamo a sollevare i principali quesiti che emergono da tutta questa vicenda.

Tre nuovi inceneritori servono davvero al territorio pisano? I progetti in attesa di autorizzazione sono quelli presentati alla Provincia da parte della Waste Recycling per un pirogassificatore a Castelfranco, dalla Ecofor Service per un dissociatore molecolare a Gello, e dalla Delca per un gassificatore a Vicopisano. Al di là delle differenti definizioni, comitati e cittadini hanno messo in evidenza come tutti questi impianti siano equiparabili a dei veri e propri inceneritori. L'impianto di Gello, a pieno regime, dovrebbe essere in grado di trattare 120 mila tonnellate di rifiuti l'anno, configurandosi come il più grande di questo tipo in Europa. Ma da quanto emerge dal Piano provinciale per i rifiuti speciali che la Provincia ha realizzato nel 2004, il territorio pisano non avrebbe bisogno di nuove installazioni, in quanto esisterebbe già un'eccedenza di offerta di trattamento. Ciò porta i membri del comitato della Valdera a pensare che "i nuovi impianti accoglieranno soprattutto materiali prodotti in province limitrofe (come quella di Firenze, dove opera la Waste Recycling, ndr) o addirittura in Regioni contigue, come la Liguria".

Gli inceneritori risolvono il problema delle discariche? La combustione dei rifiuti negli inceneritori crea la necessità di smaltire due tipi di ceneri: quelle generate appunto dalla combustione (che ammontano a circa il 20% dei rifiuti caricati), e quelle tossiche derivanti dall'abbattimento degli elementi inquinanti (circa il 2%). Le discariche si rendono quindinecessarie per accogliere queste scorie. Come ha di recente fatto notare il Comitato cittadino della Valdera, "Non si supera il problema della discarica costruendo un'altra discarica. Le sostanze non spariscono con la combustione, è la legge di Lavoisier (Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, ndr)".

Esistono alternative agli inceneritori? La normativa europea prevede la combustione dei rifiuti come soluzione preferibile soltanto allo smaltimento in discarica: nella "gerarchia" delle misure per la protezione dell'ambiente e della salute è preceduta dalla prevenzione - cioè la riduzione dei rifiuti alla sorgente - dal riutilizzo dei materiali e dal riciclaggio. Secondo le associazioni ambientaliste e comitati ancora troppo poco è stato fatto in queste direzioni, e si è passati direttamente alla soluzione degli inceneritori.

Perché così tanta fretta di approvare gli impianti entro la fine dell'anno? Gli impianti proposti si basano su una nuova tecnologia che al momento è in sperimentazione nell'impianto di Dumfries, in Scozia. Proprio a causa di questo carattere inedito, mancano dati ufficiali sulle emissioni inquinanti nell'aria, che probabilmente non saranno disponibili fino ai primi mesi del 2011. Quello che si sa con certezza però è che nel primo semestre di quest'anno l'impianto scozzese ha superato i limiti consentiti per le emissioni. Secondo il comitato della Valdera "questa fretta di ultimare gli inceneritori deriva dal non voler attendere i dati ufficiali dell'impianto scozzese, che potrebbero creare problemi".

Cosa comporta l'attuale assenza di un Piano provinciale sui rifiuti? La mancanza di una normativa generale sulla questione rifiuti riguarda sia il livello provinciale che quello interprovinciale, ed è forse il motivo più importante per cui sono aumentate notevolmente le richieste di autorizzazione per nuovi impianti. Nei mesi passati alcune forze politiche di opposizione in Provincia hanno fatto notare come la vigenza di un Piano non permetterebbe la proliferazione di installazioni inquinanti. "A questo si aggiunge - sottolineano i comitati - un ulteriore interrogativo riguardo ad una certa riluttanza da parte delle autorità provinciali ad accogliere fino ad oggi la richiesta di una Valutazione di Impatto Ambientale".

Sono stati consultati esperti in materia di smaltimento dei rifiuti? Nella Provincia di Pisa sono presenti eccellenze come l'Università, il CNR ed il Centro di Ricerca dell'ENEL, in grado di dare giudizi e suggerimenti competenti sulla questione del trattamento delle sostanze inquinanti. "Ad oggi però - dicono i membri del Coordinamento - è mancato un loro coinvolgimento diretto".

Si sono valutati attentamente tutti i possibili rischi per l'ambiente e per la salute? I pericoli per le falde acquifere e per la qualità dell'aria sono stati segnalati da molti comitati cittadini: quello di Vicopisano ha messo in evidenza come l'impianto della Delca sorgerebbe a due passi dalle sorgenti di Uliveto e come le ceneri prodotte potrebbero, in caso di pioggia, cadere in Arno ed essere trasportate nei centri situati lungo il percorso del fiume. L'impianto di Gello utilizzerebbe, per la combustione, gasolio invece del metano, quest'ultimo sostanza meno inquinante: le stime del comitato della Valdera parlano di 560 Kg di gasolio per ogni ora di lavoro dell'inceneritore. Ancor più preoccupanti le previsioni sulla salute: l'indagine del CNR di Pisa del marzo 2002 sull'area sud-est della città, dove è attivo l'inceneritore di Ospedaletto, ha rilevato, rispetto al resto della città, "una maggiore occorrenza di ricoveri nelle donne per: leucemie (8 ricoveri rispetto ad un massimo atteso di 7), diabete (140 ricoverati rispetto ad un massimo atteso di 135), cirrosi (67 a fronte di 55 attesi massimi). [...] Sempre per le donne è emerso una frequenza di ricoveri più elevata per abortività e sofferenza fetale. Alcuni eccessi emergono per i maschi in riferimento a ricoveri per malattie cronico-ostruttive del polmone e polmoniti nell'area più esterna (della zona considerata, ndr) e per tumori del sistema nervoso centrale e linfoma non Hodgkin".

Come si finanzieranno i nuovi impianti? I tre progetti potranno usufruire per un certo periodo dell'accesso ai cosiddetti "certificati verdi", incentivi statali per le imprese che smaltiscono. In assenza di questi, la resa degli impianti sarebbe negativa. Sorge dunque la domanda sulla prospettiva di queste installazioni una volta terminate le agevolazioni, e sulle conseguenze aperte da questo scenario.

C'è da attendersi l'apertura di altri impianti oltre a quelli in attesa di autorizzazione? Non appare scontato che la creazione di nuove discariche ed inceneritori riguarderà soltanto i territori di Gello, Castelfranco e Vicopisano. Pare che già vi siano richieste di autorizzazione anche per altri centri della Provincia.

Quale è la posizione della Provincia? L'assessore all'Ambiente Valter Picchi ha più volte definito gli impianti come 'necessari', per raggiungere l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti; un'autosufficienza che però pareva già emergere nel Piano del 2004. A settembre si aprirà la discussione sul Piano provinciale per i rifiuti, da cui emergeranno le posizioni dell'Amministrazione attuale. D'altro canto non si può fare a meno di notare che nel caso dell'impianto di Gello proposto dalla Ecofor, alcuni Comuni (principalmente quelli di Pisa e Pontedera) sono coinvolti dal punto di vista economico in quanto detentori di una cospicua quota di azioni della ditta. I membri del Coordinamento Gestione Corretta Rifiuti Valdera non sembrano però aver dubbi su quale dovrebbe essere l'indirizzo della Provincia: "Compito delle autorità non è quello di far cassa, ma l'interesse dei cittadini".



Leggi anche:

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119) A cura di Paolo Arena e Marco  Maschio
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Giovedì, 19 Agosto 2010 14:15 Host: 93-46-35-176.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Intervista a Carlo Ruta sulla nonviolenza


A cura di Paolo Arena e Marco Graziotti*



Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

È avvenuto per gradi, con lo scorrere degli anni, che mi hanno consentito di riflettere, soprattutto sulla natura dell’atteggiamento violento, rivelatore delle lesioni che fino a oggi hanno egemonizzato la storia. La violenza è un trauma a prescindere, che lascia il segno, sempre e comunque. Ho maturato allora la convinzione che la nonviolenza, sostenuta da una coerente razionalità, sia il modo più consono di resistervi.

Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per lei, e perché?

Come tanti, mi sono trovato a fare i conti con le esperienze di Gandhi, Martin Luther King, Malcom X, Aldo Capitini, Don Milani. Ho avuto quindi nozione di eventi che, per quanto marginali o apparentemente tali, hanno influito sul “normale” corso delle cose, ponendolo in qualche modo in discussione. Da Tucidide a Hobbes, da Machiavelli a Clausewitz, è stato insegnato che il realismo, se propriamente tale, non può che essere bellicista. Esiste ed è operante nondimeno un realismo della nonviolenza, che sconfessa tale visione monolitica della storia. Tanto più nel tempo clou degli olocausti sono state tracciate e testimoniate vie che è possibile percorrere e che in taluni snodi sono risultate perfino determinanti. Specie dopo l’esperienza gandhiana, la nonviolenza è divenuta in sostanza una possibilità operativa, una metodica, una prassi. E tutto questo per me ha contato.

Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

La nonviolenza è una fiumana che ha accompagnato il grande fiume della prepotenza. Consiglierei quindi di accostarsi a questo torrente, minuscolo e tuttavia irriducibile, attraverso le opere o i brani di opere che lo hanno meglio rappresentato, sin dall’antichità. Per comprenderne l’essenza e le sfaccettature, suggerirei comunque la seguente bibliografia minima: Political justice di William Godwin (1793); Disobbedienza civile di Henry David Thoreau, (1849); In che consiste la mia fede di Lev Tolstoj (1884); Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale di Simone Weil, (1934); Nonviolenza in pace e in guerra di Mohandas Karamchand Gandhi (1948); La banalità del male di Hannah Arendt (1963); L’obbedienza non è più una virtù di don Lorenzo Milani (1965); La forza di amare di Martin Luther King (1967); Le tecniche della nonviolenza di Aldo Capitini (1989); Il principio di responsabilità di Hans Jonas (1993); Lo sviluppo è libertà di Amarthia Sen (1999). Suggerirei altresì la lettura di alcuni brani di Kant; in particolare, i passi della Ragion pratica che definiscono il valore assoluto della dignità umana e le geometrie che reggono l’imperativo categorico.

Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno? Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

Mi preme ricordare anzitutto l’organizzazione Freedom Flotilla, che nei mesi scorsi ha pagato il proprio impegno con nove uccisi, per aver tentato di forzare il blocco su Gaza, in sostegno al popolo di Palestina. Le realtà che meritano vicinanza e sostegno sono comunque tante. Penso, per esempio, a Emergency di Gino Strada, ad Amnesty International, alle associazioni israeliane e palestinesi che hanno deciso di cooperare sul terreno della nonviolenza. Fra le realtà italiane che si sono distinte per rilievo e costanza dell’iniziativa, mi piace ricordare i Comboniani, Pax Christi, la Rete Italiana per il Disarmo, la Comunità di Sant’Egidio, la Chiesa Valdese, il Movimento Nonviolento di Daniele Lugli e Massimo Volpiana, l’associazione Libera di Luigi Ciotti, il Centro di ricerca sulla Pace di Peppe Sini, Peacelink, Fortresse Europe, L’Arci, i Beati Costruttori di Pace, la Gioventù Francescana. E si potrebbe continuare, giacché sono numerose le associazioni che, legate comunemente al territorio, hanno deciso di seguire la traccia di Aldo Capitini, Alexander Langer, don Tonino Bello. Trovo infine essenziale l’impegno della LAV e di altre associazioni animaliste.

In quali campi ritiene più necessario ed urgente un impegno nonviolento?

L’impegno nonviolento chiama a confrontarsi, giorno dopo giorno, con l’emergenza delle guerre, con epidemie e carenze alimentari che colpiscono i continenti, con le offese delle mafie, con la realtà dei migranti, con il disagio del non lavoro, diffuso, tanto più in periodi come l’attuale, in ogni parte della terra. Tutto questo propone sfide che è doveroso raccogliere. Fatto salvo tale dato, imprescindibile, volgerei però l’attenzione su un impegno diverso, per certi versi minimalistico, e nondimeno essenziale. Mi riferisco a due terreni specifici: la scuola e la famiglia. Non credo che la nonviolenza possa stabilizzarsi nelle società, fino a influire nelle cose in modo determinante, se manca un criterio educativo di fondo. Il rispetto della dignità e della vita può essere trasmesso, suggerito, insegnato. Il germe della violenza può essere snidato, isolato, posto in discussione, controllato.

Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

Rappresentata non di rado come una debolezza, la nonviolenza è in realtà una risorsa, una tensione civile, positiva, volta a imbrigliare la hybris che si annida negli esseri umani e nella storia. È il gesto di resistenza al disordine degli istinti, la sconfessione quindi di una concezione totalitaria della biologia che si risolve nell’immanenza del male, in quell’orizzonte onnicomprensivo che i militaristi chiamano regno della necessità. Costituisce altresì un cammino, un tirocinio faticoso e volontario, recante alla base l’assunzione di un impegno radicale, razionalmente fondato appunto, verso sé e gli altri, atto a testimoniare, in primo luogo, la dignità incondizionata della vita.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

Alla luce di tutto, ritengo si tratti di un rapporto inscindibile. Le lotte delle donne del secondo Novecento, che hanno determinato una svolta epocale, non si sono risolte nella sola rivendicazione dei diritti. I movimenti femminili, spontanei e organizzati, hanno offerto e continuano a offrire un contributo straordinario, per quanto non sufficientemente riconosciuto, all’affermazione della nonviolenza, ponendo in campo il punto di vista, il sentire, le differenze della donna. Non è un caso che siano stati perentori nel rigettare talune “pari opportunità” come quella dell’inquadramento negli eserciti e altre dello stesso tenore, non coerenti con i modi d’essere della donna, e abbiano reclamato invece, con altrettanta perentorietà, l’espulsione della guerra dalla storia. Da tale prospettiva l’impegno delle donne è stato e rimane poi insostituibile, testimoniato comunque da tantissime esperienze: dal Movimento delle madri in Bosnia durante il conflitto scatenato dalle fazioni serbe di Karadzic, alla scelta determinata di tante donne statunitensi di scendere in campo contro le guerre in Iraq e in Afghanistan. Importanti lezioni di nonviolenza e di pace, insistono a venire d’altronde dalle donne d’Africa, impegnate in prima linea nella lotta per la sopravvivenza, lungo gli orizzonti infelici delle guerre, della fame, delle dittature, delle epidemie.

Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?

L’impegno antirazzista costituisce un aspetto fra i più rappresentativi della nonviolenza. Direi che ne costituisca anzi il fondamento, opponendosi a quel male assurdo e primordiale che, coltivato dai nazionalismi e dalle ideologie di regime, proprio nel Novecento, definito il “secolo dei diritti”, ha generato le più grandi mattanze della storia. Una domanda torna allora inevitabile: cosa può fare il movimento nonviolento per impedire che ritornino Auschwitz, il Ruanda, Srebrenica? E la risposta, per quanto precaria, è essenzialmente una: giocare d’anticipo, valorizzando i percorsi di coscienza, di educazione alla nonviolenza, con strategie d’impegno complessive, pure di livello sopranazionale, che riescano a interloquire con i legislatori, le opinioni pubbliche, le agenzie civili in senso lato, e a coinvolgere, in modo idoneo, le sedi formative, la scuola.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?

Inevitabilmente, la lotta alle mafie è stata e tanto più tende ad essere oggi una delle linee più avanzate dell’impegno nonviolento. Costituiva già negli anni cinquanta-sessanta un momento essenziale del lavoro civile di Danilo Dolci, che si sostanziò, oltre che in testimonianze sul terreno e nelle analisi sul fenomeno del banditismo di Partitico, in una serrata denuncia, indirizzata ai parlamenti, ai governi e alle istituzioni giudiziarie, sul sistema di potere che vigeva nell’isola, cui facevano capo uomini politici come Bernardo Mattarella, Calogero Volpe, Salvo Lima, Giovanni Gioia, Vito Ciancimino. Nonviolenta era altresì, negli anni settanta, la lotta alla mafia di tanti ragazzi siciliani che, sulle vie del Sessantotto, avevano scoperto e fatto propri gli ideali di giustizia e pace. Ne ritroviamo l’emblema nell’impegno di Giuseppe Impastato contro i mafiosi del proprio paese e della sua stessa famiglia, che facevano capo a Gaetano Badalamenti. Nonviolenta era l’iniziativa di Mauro Rostagno, che, giunto a Trapani con la comunità Saman, non esitò a sottoporre a una serrata inchiesta televisiva la mafia che dominava la città. Pacifista e attraversata dal messaggio nonviolento era ancora l’esperienza dei “Siciliani” di Giuseppe Fava, negli anni dei missili Cruise a Comiso. Dopo le stagioni delle grandi stragi in Sicilia, e tanto più dopo gli eccidi di Capaci e via D’Amelio, l’impegno antimafia è divenuto infine caratterizzante in realtà nonviolente attive su tutto il territorio nazionale, come Libera, Pax Christi, il movimento Scout, Peacelink, e non solo. Ha ispirato altresì iniziative specifiche come nel caso di “Antimafia Duemila” di Giorgio Bongiovanni, l’associazione “Ammazzateci tutti” in Calabria, e così via. Oggi le narcomafie cingono d’assedio numerosi paesi, pregiudicano la vita civile, favorite dalla recessione economica globale, vanno all’assalto della finanza, delle Borse, fino a influire vistosamente, in numerosi Stati, sulla formazione del Prodotto Nazionale. Per i movimenti nonviolenti si tratta allora di insistere, intensificare l’impegno.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse? Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?

Si tratta di una problematica complessa. L’oppressione di classe è violenza. Il diritto degli oppressi a resistere, a battersi per difesa della propria dignità, per l’acquisizione di libertà negate, è perciò un fatto sacrosanto. Dopo le grandi rivoluzioni industriali dell’Ottocento, che hanno messo a nudo l’indole bellicista dei capitalismi, hanno prevalso modelli di lotta di tipo insurrezionale: dalle rivoluzioni del 1848 alla Comune parigina del 1871, dall’ottobre russo del 1917 alla lunga marcia di Mao Tse Tung, portata a compimento nel 1949. Era il risultato di oppressioni lunghe, di vere e proprie tirannidi, di condizioni di vita estreme, di grandi calamità e necessità. La lotta delle classi oppresse, procedendo per prove ed errori, determinava beninteso altri modelli, pacifici. È stato comunque lo shock dei fascismi, del secondo conflitto mondiale, della Shoa, di Hiroshima, a portare a maturazione nelle società, nei movimenti operai, progetti di crescita civile pacifisti. Da tali sfondi infatti erompevano, in Italia, la democrazia progressiva di Eugenio Curiel, il socialismo liberale dei fratelli Rosselli, di Guido Calogero e Aldo Capitini, le elaborazione sui diritti di Piero Calamandrei e Norberto Bobbio. La resistenza al nazifascismo si chiudeva d’altronde con un miracolo civile, giacché si generava nel vivo del paese il rifiuto della guerra quale mezzo di risoluzione delle controversie fra Stati. Anche la Costituzione, alla cui redazione avevano contribuito persone come Lazzati, Dossetti, Scoccimarro, Sturzo, Pertini, La Pira, e lo stesso Calamandrei, finiva con il parlare allora il linguaggio del pacifismo. In realtà, si era a uno snodo, che in tutti i paesi induceva i movimenti popolari organizzati a interloquire con le ragioni della nonviolenza, anche se questa non veniva direttamente evocata. Esemplari possono essere considerate in tal senso le battaglie del movimento contadino nel Sud d’Italia, organizzato dalle leghe e dalla camere del lavoro. Si trattò a tutti gli effetti di un movimento pacifico e nonviolento, non dissimile in fondo da quello gandhiano che, alcuni decenni prima, aveva scompigliato le carte in India con la disobbedienza civile, il digiuno, la marcia del sale. E rimase tale, nel solco di un progetto democratico contrastato ma in evoluzione, quando le reazioni degli agrari, nel Palermitano e altrove, si fecero furenti. Ammirato e sostenuto da numerosi uomini di cultura, pacifisti e nonviolenti, dallo stesso Capitini a Carlo Levi, fu d’altronde tale “vento del sud” ad attrarre Danilo Dolci e Franco Alasia nell’isola, dove con quelle lotte poterono interloquire, e a cui vollero contribuire con iniziative emblematiche, come lo sciopero alla rovescia per il lavoro.

Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?

Quanto argomentato fin qui testimonia che esiste una naturale assonanza fra nonviolenza e mondo del lavoro. È fin troppo significativo del resto che lo strumento dello sciopero, che ha scandito i passaggi dei movimenti operai sin dalle rivoluzioni industriali dell’Ottocento, abbia avuto un rilievo decisivo nella stessa vicenda del satyagraha gandhiano. Tale assonanza, su talune linee particolari, è andata altresì crescendo e può crescere ancora. Una delle questioni che nei paesi industrializzati meglio definisce oggi il ruolo della nonviolenza è quella degli immigrati. E a tale riguardo è da considerare esemplare la linea di alcune voci del movimento sindacale italiano, in particolare della CGIL, che, attraverso uffici immigrazione locali, promuove l’accoglienza, il rispetto, l’integrazione, lo scambio interculturale, facendo così argine alla xenofobia leghista e alle logiche di espulsione del governo. L’odio razziale cova nel paese sotto la cenere, e può anche esplodere. Ne dà conto quanto è avvenuto in questi anni in centri come Casal di Principe e Rosarno, dove ad “accogliere” gli immigrati sono stati, rispettivamente, i gangster della camorra e i caporali della ‘ndrangheta, con le armi in pugno e con l’intimidazione. Ritengo allora che la coesione fra movimento nonviolento e sindacati, su tale piano, paradigmatico, e non solo su questo, sia fondamentale.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?

I popoli hanno diritto di opporsi all’oppressione. È indubitabile. Il problema è costituito dai mezzi e dai modi. La decolonizzazione del Novecento, tanto più dopo il secondo conflitto mondiale, è avvenuta a prezzi altissimi. Per liberarsi dal dominio francese, gli algerini del FLN e dell’ALN non esitarono a ricorrere al terrorismo, e terroristici furono i modi in cui replicarono l'Armée française e i Pied-Noirs. Alle radici di quel terrorismo c’erano lutti e sofferenze, una sopraffazione antica, generazioni di morti che chiedevano giustizia. Franz Fanon ne I dannati della terra spiegò con efficacia le ragioni della rivolta armata. Era uno psichiatra. Conosceva a fondo i tormenti dell’Algeria. E furono tanti gli intellettuali d’Europa che condivisero le sue parole, a partire da Sartre, che non esitò a firmare la premessa al libro, e a compromettersi, giungendo a sostenere che l’uccisione di un europeo, anche a caso, da parte di uno schiavo algerino, costituiva un atto di giustizia. Di altro tenore era invece la visione di Albert Camus, che pure in Algeria era nato e vissuto. Da corrispondente di un giornale parigino, l’autore de L'Étranger osò ritrarsi da quelle violenze, dicendosene disgustato, al punto da proporre una tregua. La risposta fu istantanea: tanto i Pied-Noirs quanto i militanti del FLN lo considerarono un traditore. Si trattava forse di realtà simmetriche? La violenza è cieca, come può esserlo un masso che con impeto si schianta al suolo. Ma quella di un popolo umiliato può essere rappresentata come tale? Si può ritenere che non lo sia, o che lo sia meno. I teologi della liberazione hanno finito con il comprendere e legittimare la rivolta in armi dei diseredati e dei popoli oppressi. Il sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez, autore di Teologia della liberazione, ha creduto nella protesta liberatrice dalla povertà. Frei Betto ha creduto e continua a credere nell’esperienza di Cuba. Leonardo Boff, da padre francescano, ha condiviso a lungo la vicenda sandinista, al pari di sacerdoti e teologi come Ernesto Cardenal e Miguel D'Escoto, che, dopo aver combattuto, sono entrati nel governo di Daniel Ortega. Corre, evidentemente, un abisso fra la violenza cieca e sopraffattrice di una giunta militare e quella di un popolo vessato, senza diritti, ridotto alla fame, che ha deciso di rivoltarsi in difesa della propria dignità. La violenza di Ernesto Guevara era altra da quella di Batista. Ma in tutti i casi si tratta di un trauma, di un danno, di un costo altissimo in termini civili. È il dramma della storia, che tuttavia ha indicato possibili vie d’uscita, o almeno delle varianti. In India, le frange radicali del Partito del Congresso fecero il possibile, lungo gli anni trenta e quaranta, per far prevalere il metodo violento, proponendo pure il ricorso al terrorismo. Ma le componenti di Jawakarlan Nehru fecero muro, sostenendo fino in fondo il metodo della disobbedienza pacifica. Alla fine fu il satyagraha gandhiano a scortare l’uscita dei britannici dal paese. Si tratta beninteso di problematiche aperte, giacché esistono condizioni e condizioni. Non si può non tenerne conto. Sarebbe incongruo chiudere gli occhi davanti all’oppressione dei popoli. Si tratta nondimeno di farvi i conti in modo coerente, con le proprie sensibilità e le proprie aspirazioni, perché possano prevalere le ragioni della vita, così come occorre fare i conti con la tragedia assurda dei terrorismi, che continua a germinare, purtroppo, pure dal terreno degli oppressi.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo? Quali rapporti vede tra nonviolenza e antimilitarismo? Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?

La nonviolenza è l’abc di un pacifismo coerente, la condizione cioè di un pacifismo maturo e senza condizioni. È quindi naturale che nell’agenda dei movimenti che la propugnano, un punto fermo debba essere costituito dall’impegno antimilitarista, per la pace. Si tratta di un compito tra i più difficili, tanto più se si considera che il militarismo intanto ha mutato aspetto, finendo con il non averne più uno distinto. Nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento la guerra veniva nobilitata, esaltata per se stessa, come igiene dei popoli. I militaristi della cosiddetta “età dei diritti”, che è anche età dell’atomica e delle guerre tecnologiche, tendono a ripiegare invece su nozioni più complesse, di ordine morale. La teoria dello Justum bellum, che Michael Walzer ha tratto dalla tradizione scolastica e giusnaturalistica, attualizzandola con i passaggi, per certi versi inediti, della supreme emergency e dell’attacco preventivo, oggi costituisce la dottrina ufficiale dell’America. Gli sfondi sono quelli di un ordine che, a dispetto delle resistenze, sempre più tende a porre in discussione alcuni cardini del sistema westfaliano, degli Stati nazionali, proponendosi di fatto, sotto il profilo della sicurezza in primo luogo ma non solo, come unipolare e imperiale. Come è noto, nel 1998, alla vigilia della guerra in Kosovo, il segretario di Stato di Clinton Madeleine Albright replicava ad alcune riluttanze degli europei a ricorrere alle armi con queste parole: «Se dobbiamo usare la forza è perché noi siamo l’America. Siamo la nazione indispensabile. Noi ci ergiamo alti. Vediamo più lontano nel futuro». E gli eventi successivi, tanto più lungo gli anni zero, danno conto di quanto tale linea, a lungo incubata nei delicati equilibri della guerra fredda con l’URSS, già attiva comunque nella prima guerra del Golfo, sia divenuta strategica. A rendere la situazione più complessa sono d’altronde le rettifiche in direzione dello Justum bellum walzeriano di intellettuali che tanto hanno interloquito nel secondo Novecento con l’opinione pubblica pacifista. Fra i più noti ed emblematici posso citare il tedesco Jürgen Habermas, già attivo nella Scuola di Francoforte con Adorno e Marcuse, lo statunitense Michael Ignatieff, che ha vissuto in prima linea le campagne per il ritiro americano dal Vietnam, il torinese Norberto Bobbio, che negli anni sessanta e settanta ha scritto cose essenziali sull’incongruità civile e giuridica delle guerre. È importante allora che, nell’attuale snodo, i movimenti pacifisti e nonviolenti facciano i conti con tali punti di vista.

Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica? Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica? Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia? Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia? Nonviolenza e cultura: quali rapporti?

Chiuso l’Ottocento, con le elaborazioni di Thoreau e Tolstoj, la nonviolenza è divenuta man mano l’architrave di numerose riflessioni, sebbene non tutte situabili con pienezza nell’orizzonte della medesima. Le ragioni risiedono nelle peculiarità del nuovo secolo. Il Novecento ha segnato significativi progressi negli iter del diritto e della democrazia, ma, come si diceva prima, è stato macchiato da guerre e genocidi che per estensione, metodo, tecniche e «razionalità» posta in gioco non hanno avuto precedenti nella storia. È stato altresì il secolo dei totalitarismi. Già nei primi decenni mentre si svolgeva, fra il Sudafrica e l’India, la lezione di Gandhi, il messaggio nonviolento si avvaleva di significativi rilanci. Nelle forme di un sostenuto pacifismo ispirava infatti intellettuali come Simon Weil, Romain Rolland, Heinrich Mann, Thorstein Veblen, Karl Kraus, Mikhail Bulgakov, altri ancora. Ma soprattutto dopo la Shoa e Hiroshima, che hanno smascherato, da due opposti versanti, il fondo buio della razionalità occidentale, il filosofo, tanto più nell’Occidente liberal, si è sentito istigato, interpellato, sollecitato a dare risposte, oltre che a porre domande che non erano state mai poste. Il Novecento è così divenuto il secolo che più di ogni altro ha interrogato se stesso sul terreno dei valori e dei non-valori. La domanda etica, pacifista e nonviolenta, ha finito con il «contaminare» altresì, più di quanto fosse avvenuto in passato, i territori della conoscenza e della creatività umana: le letterature, le arti, fino al capolinea del sapere scientifico, che con le sue assunzioni di responsabilità, più di ogni altro dà la misura di quanto sia stata profonda l’autocoscienza del secolo. Pure il fisico nucleare Albert Einstein, a quel punto, ha sentito il bisogno di riflettere da filosofo morale, con posizioni forti contro l’atomica, in favore della pace e del disarmo. Nella primavera del 1955, con Bertand Russell e con altri nove scienziati, da Max Born a Hermann Muller, da Leopold Infeld a Hideki Yukawa, ha firmato un manifesto riconosciuto come il più importante atto di denuncia mai scritto da scienziati sulla minaccia delle armi atomiche per il genere umano. E negli anni successivi non ha receduto da tale impegno. A essere colpito di più dall’inquietudine, resa dal nuovo senso dell’imponderabile, è stato comunque il pensiero filosofico, da varie prospettive. Ne L’uomo in rivolta, l’esistenzialista Albert Camus, che aveva militato nel PCF, con Sartre, si espresse con radicalità contro la violenza, la guerra, la pena di morte, rivendicando il valore della solidarietà. I filosofi di Francoforte Marcuse e Adorno misero in discussione l’etica della società uscita dal conflitto, mentre, da Budapest, Agnes Heller annotava che le guerre non possono mai realizzare istanze morali, a dispetto delle intenzioni, e dagli States, Hannah Arendt, addebitava al collasso morale della nuova modernità le grandi tragedie del secolo. Tale impegno anziché estinguersi insieme con la guerra fredda, insiste peraltro sull’onda dei nuovi processi: la globalizzazione, le imponenti migrazioni dal sud al nord del mondo, dall’est all’ovest europeo, le nuove guerre: «preventive» e «umanitarie». L’economista bengalese Amartya Sen ha forzato gli orizzonti della scienza economica introducendo tra i fattori di progresso materiale la variabile forte della libertà. Hans Jonas, ha teorizzato doveri da parte degli individui e delle istituzioni pubbliche nei riguardi degli animali e delle generazioni che devono ancora venire. Elaborazioni significative, su piani differenti, sono venute altresì dal lituano Emmanuel Levinas e dall’australiano Peter Singer. Fra gli italiani è opportuno ricordare Giuliano Pontara, Danilo Zolo, Fulvio Cesare Manara, Raniero La Valle, Tullio Vinay, David Maria Turoldo. E, ovviamente, potrei continuare, con la presa d’atto che il pacifismo e la nonviolenza costituiscono una risorsa non indifferente del pensiero contemporaneo.

Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?

C’è un rapporto strettissimo, perché l’informazione può rivelare le cose. E a volte basta davvero poco per rivelare un mondo. La foto della piccola Kim Phuk che fugge dai bombardamenti di Trang Bang, nei pressi di Saigon, deturpata dal napalm, è bastata a dare agli americani e agli europei il senso profondo della guerra in Vietnam. Ha costituito un tarlo che si è insinuato nel sentire di intere generazioni, senza più uscirne. In sostanza, nel loro irrompere nella coscienza sociale, attraverso il linguaggio di un cronista, i fatti sono in grado di fare memoria in modo denso, fino a scandire fino in fondo gli itinerari civili delle società. Il reportage, di concerto con altri saperi, con altre consapevolezze, è in grado di concorrere allora alla memoria resistente delle cose, di forgiare la “scatola nera” di questa modernità, mentre tanti abusi, delitti, torti alla dignità della vita, rischiano di rimanere ignoti, quindi “inesistenti”. La vicenda dell’ultimo secolo e il presente suggeriscono beninteso che l’informazione può essere anche altro. Può scendere come pietra tombale sui percorsi di conoscenza. Può scortare l’iter di una regressione. In tali casi, il giornalismo finisce per essere tuttavia altra cosa: l’oracolo di una ragione silenziosa, incapace di resistere al buio della storia.



* Paolo Arena e Marco Graziotti fanno parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.
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Lunedì, 16 Agosto 2010 23:23 Host: 93-46-41-233.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Rifugiati. 44 afgani sbarcati nel Salento. EveryOne: ''Ecco perché hanno diritto alla protezione umanitaria''


Milano, 11 agosto 2010. La guardia di finanza ha intercettato a sei miglia da Gallipoli 44 cittadini afgani, con donne e bambini, nascosti in una barca a vela. I profughi sono stati trasferiti nel Centro di prima accoglienza don Tonino Bello di Otranto. Il Gruppo EveryOne teme che gli adulti verranno deportati in Afganistan, dove è in corso una grave crisi umanitaria. "Chiediamo al governo italiano di valutare la situazione dei diritti umani in Afganistan," afferma la presidenza di EveryOne, "che attualmente è assai grave e pone i profughi fuggiti da quel paese in uno stato di pericolo, qualora fossero rimpatriati. Oltre ai pericoli dovuti a persecuzione e instabilità sociale, sono ormai intollerabili la fame e la situazione sanitaria presente nel paese. Stiamo scrivendo un messaggio all'Alto Commissario Onu per i Rifugiati affinché vigili sui rischi di deportazione degli afgani dall'Italia e sulla necessità inderogabile di applicare per i profughi fuggiti dall'Afganistan la Convenzione di Ginevra"
Ecco alcuni link che mostrano la tragica attualità in Afganistan, con pericoli di persecuzione e violazione dei diritti umani, instabilità politica, povertà, crisi umanitaria:

[seattletimes.nwsource.com]
[www.ohchr.org]
[humanrights.change.org]
[www.upi.com]


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Martedì, 10 Agosto 2010 17:04 Host: 93-46-35-255.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Rifugiati: Italia e Malta attuano ancora respingimenti, violando Convenzione di Ginevra


Milano, 8 agosto 2010. Il Gruppo EveryOne e l'Agenzia Habeshia esprimono la più viva preoccupazione e la più ferma protesta nei confronti dei governi di Malta e Italia, che continuano ad effettuare respingimenti di profughi da Paesi in crisi umanitaria, come l'Eritrea e la Somalia. EveryOne e Habeshia chiedono all'Alto Commissario Onu per i Rifugiati, all'Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, al Consiglio d'Europa e ai membri della Commissione europea di mettere in atto misure opportune per evitare che tali azioni contro l'umanità si ripetano e la Dichiarazione di Ginevra sia trasformata definitivamente in carta straccia, come anche la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Carta dei diritti fondamentali della persona nell'Ue. Oltre ai casi riportati negli articoli qui sotto* (in italiano), il quotidiano "La Repubblica" ha dimostrato in un'inchiesta recentissima** che i respingimenti continuano mentre il Gruppo EveryOne e Habeshia hanno ricevuto notizie di altri respingimenti di Somali ed Eritrei dall'Italia verso la Libia, di cui la stampa non ha dato notizia e su cui sarebbe opportuno indagare.



[www.ansamed.info]

[www.repubblica.it]





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Sabato, 17 Luglio 2010 23:19 Host: 93-46-32-126.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Prima riunione ufficiale di costituzione del Comitato NOTRIV a Scicli (RG)



Si è ufficializzata a Donnalucata lo scorso 13 luglio la costituzione del Comitato Notriv di Scicli, il primo in provincia di Ragusa, che ha come obiettivi principali la sensibilizzazione della cittadinanza e il riequilibrio dell’informazione sulle conseguenze che le ricerche di idrocarburi comportano per il territorio e soprattutto per un territorio a vocazione turistica come il nostro.

Un cantiere di perforazione petrolifera è una fonte permanente di inquinamento legato a diversi fattori (come oli per i motori, liquidi di raffreddamento, gasolio, che possono essere portati via con le precipitazioni con il rischio di inquinare le falde superficiali, fanghi e detriti di perforazione, ecc…), per non parlare del rischio sismico che c’è nella nostra zona.

Le finalità del comitato sono pertanto rivolte a mettere in atto ogni iniziativa utile a fermare la devastazione ambientale e di conseguenza economica e sociale che rappresenterebbero i danni derivanti dalle trivellazioni nel nostro territorio.

Invitiamo ad aderire al comitato le istituzioni, i partiti politici, i sindacati, le associazioni e i liberi cittadini, poiché l’adesione è libera e senza preclusioni di carattere politico. Anzi riteniamo che le Istituzioni debbano essere in prima linea nella lotta allo sfruttamento iniquo del nostro territorio e pertanto le invitiamo a partecipare alle prossime iniziative del Comitato NOTRIV di Scicli e quello più ampio e già esistente del Val di Noto.

Il vero interrogativo però non sono le trivellazioni in sé, ma il modello di sviluppo che si vuole dare alla Sicilia e al Val di Noto, di cui Scicli fa pienamente parte, promuovendo nel lungo periodo azioni rivolte all’utilizzo di modelli energetici rinnovabili e alternativi al petrolio.

Il prossimo appuntamento sarà martedì 20 luglio alle ore 20.00 presso la sede del Partito Democratico di Scicli in Via Celestre.



IL COMITATO promotore NOTRIV - Scicli



Info: Valentina Gulino

Emilia Arrabito



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Mercoledì, 7 Luglio 2010 14:36 Host: 89-190-177-129.ip.bkom.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Il fallimento dei partiti
Ai nostri giorni le ideologie hanno perso la forza vitale che avevano fino a qualche decennio fa e di conseguenza i partiti, non avendo più il supporto degli ideali e della passione, non ricoprono più il loro ruolo costituzionale ma si limitano a sopravvivere come semplici congreghe di interessi. Ha ragione Michele Mazzarino quando dice che il forte collante che rende maggioranza il berlusconismo è il denaro, il bisogno di trovare complicità e l’interesse comune ad avere una rete di protezione efficace contro le curiosità dei magistrati e la disapprovazione dei pochi onesti rimasti in questo paese. Ci vorrebbe un partito nuovo dove sia bandito il desiderio di potere e del denaro ma con la vocazione al servizio degli altri, a cominciare dai più umili, ma poi mi accorgo che esiste già ed è il partito di San Francesco che opera su un’altra dimensione non proponibile nella nostra attuale società. Purtroppo non esiste alternativa quindi è giocoforza tornare alla scelta tra i partiti attuali. Chi si oppone o almeno dichiara di essere antitetico all’attuale governo è il Partito Democratico. Ma una sinistra come quella attuale non serve al paese almeno fino a quando non si renderà conto che il muro di Berlino è caduto e che, se vuole tornare a governare, deve rappresentare tutte le classi della società compresi anche i ricchi e trovare anch’essa un collante efficace come quello di Berlusconi. Alla difesa del grande capitale e dei propri servi e alleati quando incappano nelle maglie della giustizia si può tranquillamente opporre la difesa dei meno abbienti, dei malati e degli onesti senza appellarsi a maestri più o meno illustri. Di fronte alle difficoltà economiche del momento una sinistra che si rispetti, per esempio, dovrebbe pretendere, senza se e senza ma, un’imposizione straordinaria sui grandi patrimoni. Sono convinto che gli italiani, pur con i loro individuali egoismi e i difetti culturali, che sono molti, premierebbero questo atteggiamento. Per il momento non mi resta che sognare il momento in cui la sinistra, in un solo giorno di governo, riesca a sottoporre a un giusto giudizio Berlusconi e tutti i corruttori suoi simili e restituisca ai legittimi proprietari la grande ricchezza dagli stessi accumulata. Gli antichi dicevano che lavorando onestamente non si diventa ricchi e bisogna credere all’esperienza dei padri.
Fulvio Maiello
fulviomaiello@tele2.it
Trento
114) Michele Mazzarino  Maschio
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Martedì, 15 Giugno 2010 14:42 Host: 93-46-46-127.ip106.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Fare i conti con la storia

Noto sulle bacheche di Facebook una preponderanza di temi "intimistici" o di "intrattenimento".
Tralasciando questi ultimi, vorrei concentrarmi sui primi.
La loro caratteristica principale è che non hanno una fascia di età di riferimento. Tutte le età sono rappresentate. L'altra cosa è, che chi dà una particolare importanza a questi temi, non ha una precisa collocazione politica in senso lato. Vi si trovano persone di sinistra, altre di destra, altre senza alcuna preferenza (almeno secondo i loro profili).
La necessità di un rapporto con gli "altri" è forte e sentita.
Tutto ciò esprime una generale fragilità emotiva che in qualche caso arriva a una vera e propria richiesta di aiuto. I commenti e le risposte a questi quesiti sono, nella maggior parte dei casi, altrettanto fragili, per non dire inconcludenti. E' ovvio che tale situazione mostra una solitudine di fondo e un ripiegarsi dell'individuo esclusivamente in una sfera privata.
Questo è il dramma di oggi: la solitudine, che in quanto tale spesso fa perdere di vista l'esatto contrario.
Il social network per sua nature è globale e tutti apparteniamo a un gruppo più grande seppure indistinto.
Questa esigenza di privato è però forte e i marpioni dei vecchi "mass media" lo sanno enfatizzando questa voglia di privato attraverso trasmissioni generaliste che indagano spudoratamente nel privato (anche se poi la politica partorisce delle leggi farisaicamente a difesa della privacy, vedasi i vari grandi fratelli, isole dei famosi, ecc.).
L'esigenza di intimità diventa, guardare dal buco della serratura. Ci si crogiola nel piccolo mondo dei drammi personali rimestando i lati peggiori della persona.
E mentre tutti sono intenti a guardare e guardarsi l'ombelico, qualcuno da marpione traffica con il nostro didietro.

Questo è il problema che mi (e) pongo, se questo desiderio di rapporti umani non sia la medicina sbagliata, guarda caso il periodo di più esaltanti rapporti umani furono gli anni in cui tutto era per tutti.
Dovremmo allora riappropriarci di questa dimensione "pubblica", finire di piangerci addosso.
Il berlusconismo, secondo me ha capito questo meccanismo e lo usa alla grande. La sinistra no. Continua a piangersi addosso e non trova di meglio che continui compromessi che non la portano in nessun posto.
Qualche giorno fa in una intervista su "La7", baffetto di ferro (al secolo Massimo D'Alema) ha giustificato la sua posizione politica con in chiave di opportunismo: Visto che la sinistra non è maggioritaria, se si vuole mandare a casa Berlusconi è bene allearsi con l'UDC di Casini. Apparentemente il discorso sembra filare ma il bravo Massimo (che da sempre è stato un opportunisrta) dimentica che fu proprio un discorso simile di opportunismo che fece imbarcare il sig Mastella nel governo Prodi. E' stato un discorso di opportunismo a creare quel mostro informe che è il PD attuale.
Risultato: Mastella fece cadere Prodi perché è inutile cacciare la sporcizia sotto al tappeto, rimane sempre là. Il governo Prodi non seppe dare alcun segnale forte di svolta, dai PACS alla riforma della legge elettorale, alle liberalizzazioni (quelle vere), al problema del testamento biologico, ecc., bloccato com'era tra varie anime contrastanti e senza quel collante straordinario della destra che sono gli interessi di bottega.
Allora, secondo me, bisogna ripensare a una nuova sinistra completamente slegata dal passato, capace di analizzare (marxisticamente) l'oggi e il futuro. Una sinistra che rifugga dai compromessi soprattutto con il grande compromesso che è il concordato.
Bisogna recidere questo cordone ombelicale puzzolente che uccide la politica italiana e che impedisce alla nazione di essere laica e moderna.
Bisogna inoltre che finalmente la nazione faccia i conti con la storia. Mi riferisco al partito socialista e ai governi di quegli anni. Se Craxi riuscì a scappare, è perché tutti vollero farlo scappare, perché nessuno voleva veramente Craxi in galera, nessuno voleva che lui parlasse. Così assistiamo a Bobo a sinistra e sua sorella a destra insieme a tutti gli ex da Maroni a Frattini, passando per Brunetta e allo stesso Berlusconi. Massimo questo lo sa e secondo me è per questo che ha salvato più volte il culo a Silvio dalla bicamerale in poi. I soldi e le mazzette hanno da sempre intossicato la politica italiana. Questo è l'altro motivo per cui il mio essere a sinistra non vuol dire essere con questa sinistra.
Bisogna fare i conti con il passato, poi se necessario metterci una pietra sopra. Ma questi conti mai come ora sono necessari.

Michele Mazzarino
113) Paolo Pantano  Maschio
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Giovedì, 3 Giugno 2010 22:52 Host: 93-46-35-153.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

La manovra economica e le spese militari

Si potrebbe evitare la manovra economica di 24 miliardi di euro, tagliando le commesse militari.
Solo rinunciando all'acquisto degli armamenti l'Italia potrebbe risparmiare appunto 24 miliardi.
Tagliando la commessa dei 131 caccia bombardieri F 35 -JFF, si possono risparmiare 15 miliardi di euro.
L’ acquisto delle 10 fregate Fremm costerà 5 miliardi di euro, i 100 elicotteri NH90 programmati costeranno altri 4 miliardi.
Economicamente parlando la crisi si potrebbe superare risparmiando ed evitando sprechi. Ad esempio, diminuendo drasticamente le 620 mila auto blu in Italia, in altri paesi sono poche decine di migliaia.
Qualcuno sostiene: " ma così si danneggia il settore auto!!"
A parte che non sono nemmeno auto italiane, ma Audi e Bmw, non è questo il problema, la questione è che "fare economia" non significa consumo e crescita, ma bisogna riprendere il significato corretto ed originario della parola e non stravolgere "i fondamentali" dell'economia come si è fatto finora.
Chi da destra, centro e sinistra inneggia alla crescita ed "a far ripartire i consumi" nega la possibilità di uscire dalla crisi, in quanto è la crescita dissennata ed indiscriminata, insostenibile ed indeterminata, la causa della crisi. Tutti affermano: "la crisi impedisce la crescita", o come appare oggi sui giornali: "meno deficit ma salvando la crescita", ma poi sono gli stessi ad affermare (e ciò è vero) che il mondo occidentale vive al di sopra delle proprie possibilità. Così dicendo, si sostiene un'ipotesi assurda cioè la non contraddizione degli opposti o la convergenza delle antinomie.

Paolo Pantano
112) NO-TRIV www.notriv.it 
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Lunedì, 31 Maggio 2010 17:06 Host: 93-46-43-209.ip106.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

ADESSO BASTA: PER UNA MORATORIA SULLE RICERCHE GAS-PETROLIFERE IN SICILIA, RIPRENDE CON MAGGIOR VIGORE LA LOTTA DEL COMITATO NO-TRIV DOPO IL DISASTRO DEL GOLFO DEL MESSICO E DELL’OLEODOTTO RAGUSA-PRIOLO NEL TERRITORIO DI NOTO


§ La rottura dell’Oleodotto Ragusa- Priolo del 18 gennaio 2010, in territorio di Noto, ci spinge a nuove richieste ed a prese di posizioni forti su cui mobiliteremo la Popolazione del Val di Noto come già accaduto nel 2007.
§ La Grande Marea nera del Golfo del Messico che sta distruggendo una regione intera dell’Oceano e minaccia la Terra ci ha convinto sempre più che non è possibile far rischiare alla Sicilia un dramma simile a quello che sta vivendo la Luisiana negli USA.
Il rischio Ambientale ed Economico dei territori in cui si perfora è troppo grande per poterlo lasciare in mano a Compagnie che non avrebbero, come sta accadendo con la Britisch Petroleum e la Transocean negli USA, i soldi e la volontà per risanare un intera regione eventualmente danneggiata da sversamenti e perdite di idrocarburi. I danni sono già incalcolabili e per decenni se ne piangeranno le conseguenze .
Il Val di Noto continua ad essere sotto la minaccia di nuove perforazioni. I Cittadini, gli Operatori turistici ed Agricoli, i Giornalisti, gli Scrittori, le Istituzioni e gli Uomini Politici più sensibili, hanno però dimostrato fino ad oggi e da anni di volersi opporre alle Perforazioni della Panther Eureka S.r.l., così come di qualsiasi altra Compagnia italiana o straniera.

La vocazione della Sicilia passa dalle sue ricchezze Ambientali, Monumentali, Agricole e non vogliamo rischiare di perderle.
Le Energie rinnovabili stanno crescendo a ritmi elevati.
La Sicilia può non essere più costretta a farsi perforare da chiunque chieda ed ottenga un Autorizzazione a “scavare”.

Oggi diciamo NO alla prosecuzione della Politica dei Permessi e delle Concessioni che la Regione Siciliana continua ad elargire favorendo il processo di “Colabrodizzazione” della Sicilia.

Basti pensare che al 30 giugno 2009 tra Permessi di ricerca e Concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi la superficie interessata era di 425.134 ettari su una superficie totale dell’Isola di 2.570.200 ettari ovvero il 16,54% del Territorio siciliano !!! ( Elaborazione dati URIG).
E’ un continuo fiorire di nuovi Pozzi per idrocarburi!!

ADESSO BASTA !!! NON SIAMO IN VENDITA!!!

Il Modello di sviluppo economico per la Rinascita della Sicilia non passa dagli Idrocarburi e chiediamo alle Istituzioni scelte forti e coraggiose per invertire la tendenza degli anni trascorsi!
La Sicilia è dei Siciliani e non può essere ceduta in cambio di Royalties. Non ci sono Royalties che bastino per comprare e cambiare il futuro della Sicilia!!!

Il COMITATO NO-TRIV (www.notriv.it <http://www.notriv.it/> ) sostiene e rilancia le reiterate richieste di “Bloccare i Permessi e le Concessioni” e chiede, a nome del popolo siciliano NO-TRIV, al Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo una Moratoria a tempo indeterminato ed al Presidente della Regione Lombardo di applicare il Piano Paesaggistico Regionale e il blocco di Nuovi Permessi di ricerca e Concessioni di coltivazione.
" i NO-TRIV sono disposti a ricorrere a tutti i mezzi leciti e non violenti pur di fermare le trivellazioni"
Noto 27 maggio 2010 Il Comitato NO-TRIV [www.notriv.it] <http://www.notriv.it/>
111) Tonino Solarino  Maschio
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Sabato, 10 Aprile 2010 17:00 Host: 93-46-18-20.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Un’ora di religione sull’islam?
Ciclicamente sulla stampa è fonte di aspre polemiche l’ora di religione nella scuola pubblica. L’ultima polemica è nata da una affermazione del presidente della camera Fini che si è detto favorevole all’ora di islam nella scuola.
Ho letto sui giornali dichiarazioni contrastanti sulla possibilità o meno di inserire nella scuola un’ora di religione sull’Islam e dichiarazioni di politici che si dividono sul no e sul si.
I sì sono motivati dalla consapevolezza che quella cattolica non può essere l’unica religione di Stato e con la necessità di portare avanti una riflessione coerente sulla libertà religiosa e sulla laicità.
I no sono motivati da una parte dalla consapevolezza della confusione che ne verrebbe fuori se ogni minoranza religiosa dovesse pretendere di avere lo stesso spazio nella scuola pubblica della maggioranza cattolica e dall’altra con la difesa dell’identità cristiana del popolo italiano.
Nel dibattito, i giornali anticlericali hanno gioco facile nel fare emergere una Chiesa con atteggiamenti difensivi, portatrice di interessi di parte e di privilegi, ostacolo alla piena espressione della libertà religiosa.
Chiaramente sono “politicamente corrette” le motivazioni sulla necessità di difendere l’identità culturale della nostra Italia e sui diritti della maggioranza, ma non possono essere queste le motivazioni importanti per il popolo cristiano.
Questa motivazione è debole e non reggerà le sfide del futuro multiculturale e multireligioso. Questa motivazione è perdente e non regge in altre realtà dove l’identità cristiana risulta meno evidente e dove i cristiani siamo una minoranza.
Tra l’altro quella di far conoscere l’identità culturale della nostra Italia dovrebbe essere già una preoccupazione dei docenti di storia, di storia dell’arte, di filosofia, di letteratura dotati di sufficiente e onesta professionalità (e purtroppo tanti o perché ideologizzati o perché incolti non vi provvedono sufficientemente).
Ritengo che la grande preoccupazione formativa che deve accompagnare la Chiesa e la funzione di stimolo che essa deve esercitare nei confronti della politica debba essere quella di custodire nella scuola laica le domande sul senso della vita, sul dolore, sulla morte, sulla dignità dell’uomo, su ciò che è bello, giusto, buono e il confronto con le risposte che sono state elaborate nei secoli. Millenni di ricerca sapienziale che non possono essere dispersi e che la scuola ha il dovere di custodire e di far conoscere.
In un contesto mondiale dove la scuola si caratterizza come luogo di addestramento, di formazione meramente tecnica c’è la necessità che essa non dimentichi di essere luogo di educazione relazionale, emotiva, interiore, spirituale. C’è la necessità che la scuola recuperi la sua capacità di promuovere le diverse intelligenze: razionale, relazionale, emotiva, ermeneutica. Questa mi sembra la preoccupazione fondamentale che dovrebbe animare i responsabili delle chiese e che rischia di passare in secondo piano nel conflitto sull’ora di religione e sulla libertà. D’altra parte la preoccupazione dei vescovi più volte rivolta agli insegnanti di non trasformare l’ora di religione in un’ora di catechismo è espressione di questa sensibilità. Quando penso, poi, che l’insegnamento della religione è facoltativa, per cercare di salvaguardare il rispetto delle libertà individuale, penso al grave rischio di meta-comunicare che essa è secondaria e in fondo meno importante rispetto agli altri insegnamenti.
Per testimoniare con forza questa prospettiva non bisogna attardarsi in altri conflitti, ma avere il coraggio di rinunciare a quelli che oggi sembrano, ai più, privilegi, E’ questo conflitto che sta producendo danni e che indeboliscono la possibilità che la riflessione sull’uomo e su Dio trovi accoglienza senza pregiudizi.
Penso che sarebbe una grande lezione di laicità, di ecumenismo, di minorità se proprio i vescovi chiedessero che a scuola gli studenti potessero ascoltare ciò che l’ebraismo, il buddismo, l’islam, il cristianesimo hanno da dire sull’uomo, sui rapporti umani, sul mistero, sul dolore, sulla morte…
Sempre in questa ottica penso che favoriremmo un arricchimento culturale se chiedessimo che le lauree in scienze religiose non fossero solo una prerogativa delle nostre facoltà teologiche, ma che in vista dell’inserimento nel mondo della scuola potessero essere rilasciate dalle università pubbliche o dalle Università di altre religioni che rispettassero gli standard accademici concordati .
Questa è la sfida a cui ci chiama il presente e a cui ci chiamerà sempre più il futuro.
E’ la sfida dell’accoglienza, del dialogo con le altre religioni, del dialogo con i non credenti. E’ la sfida ai laicismi e ai clericalismi, in un contesto globalizzato, dove alla Chiesa cattolica (universale) si chiede di essere maestra di tutti e si chiede profezia.
E’ la sfida per permettere alle maggioranze e alle minoranze di sentirsi rispettate.
E’ la sfida per non svuotare la scuola della sua identità, della sua doppia funzione di custode della sapienza e di promotrice delle competenze.
Ragusa 18-ottobre 2009

Tonino Solarino
110) Comitato no-trivellazioni 
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Mercoledì, 3 Febbraio 2010 21:38 Host: 93-46-8-11.ip105.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

''LEGGERO'' DISASTRO AMBIENTALE IN VAL DI NOTO IL 18 GEN 2010
I NOSTRI TIMORI SUI RISCHI PER IL VAL DI NOTO SONO SEMPRE FONDATI...

Danni ambientali considerevoli sono stati causati dalla fuoriuscita di petrolio allo stato grezzo dall’oleodotto Ragusa-Priolo Mostringiano in un affluente del Fiume Tellaro nei pressi della Città di Noto il 18 gennaio 2010. L' incidente ci dà una ulteriore conferma della bontà della battaglia, a suo tempo intrapresa, per evitare che avessero compimento le concessioni per le trivellazioni petrolifere in un territorio dalle forti vocazioni agricole e turistiche, patrimonio mondiale dell' Umanità. Abbiamo da sempre paventato, inoltre, il pericolo che tali interventi possono comportare per le falde acquifere e per gli eccellenti prodotti che il distretto offre (olio, mandorle, agrumi, cereali, legumi, frutta, ecc.).
I nostri timori sono stati supportati da consulenze scientifiche autorevolissime. Nel recente passato la texana Panther Eureka s.r.l. aveva provato ad avviare un nuovo sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Questo scellerato tentativo, voluto dal governo regionale di allora, aveva visto una fortissima reazione delle associazioni, delle istituzioni locali e delle comunità. Dopo questo scempio, facciamo l' ennesimo appello alle Istituzioni Regionali affinché siano presi provvedimenti adeguati per evitare di imboccare una strada che comporti ulteriori danni irreversibili all' economia ed al paesaggio per poter far sì, invece, che decolli definitivamente un modello di sviluppo ecosostenibile consono alle peculiarità del territorio. Il Comitato per le energie rinnovabili e contro le trivellazioni petrolifere in Val di Noto assieme a tutte le organizzazioni naturaliste, ambientaliste, culturali, agricole e turistiche vigilerà con grande attenzione ed è pronto a far in modo che si mobilitino tutti i soggetti interessati per impedire che ulteriori tentativi siano messi in campo. Pensiamo che siano maturi i tempi, invece, di realizzare il Parco degli Iblei poiche' permetterebbe grandi vantaggi e benefici per un futuro durevole e compatibile per la gente.
Noto, 23 gennaio 2010 COMITATO NO TRIV

COMUNICATO STAMPA DELL'ENTE FAUNA SICILIANA Del 19.01.2010
L’emergenza sembra passata ma i danni ambientali causati dalla fuoriuscita di petrolio allo stato grezzo dall’oleodotto Ragusa-Priolo Mostringiano che, a quanto pare, per uno smottamento del terreno, favorito dalle abbondanti piogge dei giorni scorsi, ha determinato l’incidente di lunedì 18 scorso con lo sversamento in un piccolo corso d’acqua affluente del fiume Tellaro, sono ancora da quantificare. L’evento, oltre ad allarmare gli imprenditori agricoli della zona interessata, ha preoccupato anche noi che del territorio ibleo abbiamo continua attenzione ed interesse. Questo incidente è, ancora una volta, una testimonianza lampante che la strada all’industrializzazione del nostro territorio, votata da qualcuno, ha dei grossi limiti in quanto, con le fragilità ambientali esistenti, questo rischia di subire sempre più danni irreversibili. Nel recente passato, la texana Panther Oil aveva provato ad avviare un nuovo sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Questo scellerato tentativo, appianato dal governo regionale di allora, che aveva visto alzare contro gli scudi da parte di tutti noi ambientalisti oltre che dalle popolazioni locali, oggi confermano ancor di più che le manifestazioni e i convegni di allora, per dare l’altolà ai petrolieri, erano sacrosanti. Dopo questo ennesimo scempio invochiamo la politica a dare le definitive e giuste direttive per l’affermazione di uno sviluppo sostenibile che questa provincia merita. Noi crediamo che oggi l’idea dell’istituzione del Parco degli Iblei diventi sempre più attuale e che ciò sia imprescindibile per il futuro di questo territorio legandolo alla salubrità quale “marchio di qualità” dello stesso.
F.to la Segreteria Regionale
109) Perché sostengo Lumia  Maschio
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Mercoledì, 21 Ottobre 2009 16:20 Host: 93-46-44-246.ip106.fastwebnet.it Scrivi un commento Invia una E-mail

Primarie PD: quello che nessuno vi racconterà è il modo in cui in Sicilia Ë nata la candidatura di Lumia a segretario regionale. Corrono molti giudizi sulla persona, del tipo "mipiace/nonmipiace", varie illazioni sul percorso che ha portato alla sua candidatura ma poche considerazioni sulle sue ragioni e prospettive politiche: sapere come sono andate le cose può aiutare a comprenderle.
1) » vero che Lumia aveva maturato da tempo la sua intenzione di candidarsi alla guida del Pd siciliano: ciò perché la direzione regionale del PD aveva deciso che il congresso siciliano si sarebbe svolto, in via straordinaria, nella primavera del 2009. Per un politico che ha maturato un'esperienza e una popolarità come le sue (importanti in elezioni aperte a tutti, come le primarie che faremo) scegliere di mettersi in gioco mi pare assolutamente normale e forse anche doveroso. Le dimissioni di Veltroni hanno poi fatto slittare tutto ma le ragioni di quella candidatura sono rimaste intatte.
2) Per la sua disponibilità a candidarsi, Lumia non ha mai posto la condizione d'essere appoggiato da uno dei candidati alla segreteria nazionale, ovviamente non escludendola. Ha chiesto loro che gli venisse garantita la possibilità di competere comunque, in primarie libere ed aperte. La cosa non deve apparire ovvia o superflua, se si pensa che nel 2007 ciò gli fu sostanzialmente impedito.
3) » vero che, sia Franceschini che Bersani hanno, in differenti occasioni, manifestato l'interesse ad indicare Lumia come proprio candidato alla segreteria regionale in Sicilia (di Marino non so dire). Certamente comprendendone il potenziale elettorale ma anche, devo ritenere, la capacità di guida del partito nell'isola.
4) Ad opporsi alla candidatura di Lumia in seno alle mozioni "nazionali" sono stati i loro rispettivi maggiorenti siciliani, in particolare quei deputati - quasi tutti nazionali - che da anni in Sicilia tengono in mano le sorti dei DS e della Margherita prima e del PD adesso, intendendo fermamente mantenerle. Sono loro che stanno dietro le brave persone candidate alla segreteria regionale.
Quelli illustrati sono i fatti, tutti pacificamente dimostrabili, che mi permetto di non documentare a sola garanzia di privacy delle persone coinvolte, da nessuna delle quali potrà tuttavia provenire, in tutta onestà, una loro smentita. Quella che segue è invece la mia valutazione politica di tali fatti.
Va da sÈ che una classe politica siffatta deve per forza avere partiti privi di effettiva partecipazione e collegialità nelle scelte, con gruppi dirigenti autoreferenziati e cooptati. Come infatti, con poche eccezioni, erano i nostri partiti ed è oggi il PD.
» in questa luce che va inteso il contrasto fra la conduzione del gruppo del PD all'ARS, di cui mi assumo la corresponsabilità e che difendo, e quella parte del partito che, non a caso con in testa i principali esponenti delle mozioni Franceschini e Bersani in Sicilia, l'hanno apertamente osteggiata.
Il mancato collegamento della candidatura di Lumia dalle mozioni nazionali è il prodotto della distanza da coloro i quali in Sicilia rappresentano quelle mozioni ed attraverso di esse intendono rappresentarvi i loro interessi.
Collegare infatti il sottosviluppo dell'isola alla subalternit‡ delle nostre classi dirigenti ed a quella politica assistenzialista e predatoria che le ha negato autonomia vera, è fin troppo facile. Ma dire che i nostri partiti, attraverso coloro i quali li hanno "posseduti" e vogliono continuare a farlo, hanno avallato questa politica ed è ora di rompere questo tetro equilibrio, è il principio di fondo della candidatura di Lumia. Che proprio per questo si chiama "Prima di tutto la Sicilia".
Per questo io sostengo Lumia. e chiedo di fare altrettanto il prossimo 25 ottobre a tutti coloro con i quali, da anni, condividiamo un comune percorso politico, fatto all'insegna del cambiamento e della speranza. E' in nome di questo percorso che non vedo possibile una diversa altra scelta.
Roberto De Benedictis
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